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Napoli

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  1. »Sveva90•
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    woow napoli sotterranea è uno spettacolo! è bellissima,ho avuto la fortuna di andarci con la scuola,e vorrei poterci riandare qualke altra volta !!
     
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  2. saretta92
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    napoli è la più bella città del mondo.. fiera di essere napoletana!!!!
     
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  3. Chiot1982
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    sarebbe bello visitarla ma andare sotto....fa davvero mancare l'aria!! :huh:
     
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  4. matilde88
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    provoca un pò di claustrofobia,però vale veramente la pena di vederla!!!!!!
     
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  5. muminal
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    io ci sono stato già due volte e mi è piaciuta moltissimo, con la spazzatura non l'ho vista, ma fa lo stesso... e poi una pizza come l'ho mangiata a Napoli.... mai da nessuna altra parte... non ha paragoni con nessuno altra in alcuna parte d'Italia!!!
     
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  6. saretta92
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    sono d'accordissima con te.... di dove sei????

    Edited by Isabel - 10/10/2011, 17:37
     
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  7. muminal
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    Gorizia... tu?

    Edited by Isabel - 10/10/2011, 17:38
     
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  8. saretta92
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    Io sono di Napoli quindi forse sono un po' di parte :hihi:
    ma come si fa a non amare una città così!!!!!!!!!!!!! :wub:

    Edited by terryborry - 25/10/2011, 17:06
     
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  9. saretta92
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    la vita che c'è a napoli non c'è da nessuna parte.... sembra ogni giorno una festa.... questa è una città piena di vita!!!! ma purtroppo non lo capiscono tutti!!!!
     
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  10. Johnny Blu
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    Unico al mondo!!!!!
     
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  11. pifa953
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    a me il presepe già piace x natura, tradizione poi quello napoletano mi fa impazzire e le foto postate da manuela sono stupende
     
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  12. Isabel
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    Basilica di San Francesco di Paola

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    - Info -

    La basilica di San Francesco di Paola è tra le più caratteristiche e celebri chiese di Napoli; è situata al centro del lato curvo di piazza del Plebiscito, davanti al Palazzo Reale: si tratta della più importante chiesa italiana del periodo neoclassico.

    Storia

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    La facciata della basilica da posizione laterale

    Nel 1809 Gioacchino Murat ordinò la demolizione degli antichi conventi del "Largo di Palazzo", attuale piazza del Plebiscito, e bandì un pubblico concorso per la realizzazione di una nuova piazza. All'architetto Leopoldo Laperuta fu affidata la costruzione dell'ampio portico a emiciclo sorretto da 38 colonne giganti di ordine dorico; esso doveva fronteggiare Palazzo Reale e rifarsi alla tradizione antica delle piazze porticate, luogo delle attività politiche, economiche, sociali e culturali della città. Nel 1815 il re Ferdinando I delle Due Sicilie decise l'edificazione della basilica come ringraziamento a san Francesco di Paola per la riconquista del regno: nel 1817 fu indetto un nuovo concorso, che fu vinto dall'architetto svizzero Pietro Bianchi di Lugano, il quale mostrò nella realizzazione della nuova chiesa grandi qualità ingegneristiche, attestate dalla solidità dell'opera e dall'intelligenza delle soluzioni tecniche. I lavori furono ultimati nel 1824, ma solo nel 1836 la chiesa venne inaugurata da papa Gregorio XVI, che le conferì il titolo di basilica, la rese indipendente dalla curia arcivescovile di Napoli e concesse il privilegio ai suoi ministri di officiare con l'altare rivolto verso i fedeli.

    Esterno

    La chiesa, per la sua forma circolare, ricorda il Pantheon di Roma. La facciata è preceduta da un pronao formato da sei colonne e due pilastri di ordine ionico, che reggono un architrave sul quale è scolpita la dedica:

    « D.O.M.D. FRANCISCO DE PAULA FERDINANDUS I EX VOTO A MDCCCXVI. »

    Il pronao è sormontato da un timpano classicheggiante ai cui vertici sono collocate le statue raffiguranti la Religione, tra San Francesco di Paola a sinistra, titolare della chiesa, e San Ferdinando, a destra, in onore del re Ferdinando. Il pronao è accessibile sia dal porticato, che dalla scalinata che sale dalla piazza. Nel porticato si trovano le statue delle quattro virtù cardinali e delle tre virtù teologali, mentre ai lati della scalinata avrebbero dovuto essere collocate due statue raffiguranti la Pietà e la Costanza, che simboleggiavano le virtù manifestate dal re e da Ferrante d'Aragona: al loro posto si decise invece di collocare le due statue equestri nella piazza, raffiguranti il re Ferdinando (opera di Antonio Canova) e il padre, Carlo III di Spagna (opera di Antonio Calì). La chiesa è sormontata da tre cupole: quella centrale, alta 53 metri, è stata costruita su un alto ed ampio tamburo.

    Interno

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    Interno

    Si entra in un atrio, fiancheggiato da due cappelle; in quella a destra vi è un'opera giovanile di Luca Giordano, con Sant'Onofrio Orante. Al centro la rotonda, dal diametro di 34 m, è coperta dalla cupola sorretta da 34 colonne di ordine corinzio alte 11 m e con fusti in marmo di Mondragone, alternate ad altrettanti pilastri. Sopra il colonnato vi sono le tribune di corte e, lungo le pareti, da destra, otto statue: San Giovanni Crisostomo opera di Gennaro Calì, Sant'Ambrogio di Tito Angelini, San Luca di Antonio Calì, San Matteo, di Carlo Finelli, San Giovanni Evangelista, di Pietro Tenerani, San Marco di Giuseppe de Fabris, Sant'Agostino di Tommaso Arnaud e Sant'Attanasio di Angelo Solani. Agli altari delle cappelle si trovano, da destra, i seguenti dipinti: San Nicola da Tolentino e San Francesco di Paola che riceve da un angelo lo stemma della carità, di Nicola Carta, l'Ultima comunione di San Ferdinando di Castiglia di Pietro Benvenuti, il Transito di San Giuseppe di Camillo Gerra, l'Immacolata e morte di Sant'Andrea Avellino di Tommaso de Vivo. Di fronte all'ingresso è l'altare maggiore, opera di Anselmo Cangiano del 1641, qui trasferito nel 1835 dalla chiesa dei Santi Apostoli, ricco di lapislazzuli e di pietre preziose. Ai lati due Angeli Teofori in cartapesta dorata. Nell'abside San Francesco di Paola resuscita un morto, tela di Vincenzo Camuccini. Nella sagrestia, l'Immacolata di Gaspare Landi e la Circoncisione di Antonio Campi.

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    Il portale d'ingresso

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    Vista interna della cupola


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    Transito di San Giuseppe, opera di Camillo Guerra



    Piazza del Plebiscito

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    - Info -

    Piazza del Plebiscito (già Largo di Palazzo o Foro Regio) è una piazza di Napoli. Ubicata nel cuore della città, con una superficie di circa 25 000 metri quadrati, qui si affacciano importanti edifici storici della città:
    • Basilica di San Francesco di Paola
    • Palazzo Reale
    • Palazzo Salerno
    • Palazzo della Prefettura

    Piazza del Plebiscito oggi si collega alla sottostante Via Ferdinando Acton mediante l'Ascensore Acton, il cui utilizzo è gratuito e la cui gestione è affidata all'Azienda Napoletana Mobilità (ANM).

    Storia

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    Facciata del Palazzo Reale

    La piazza del Plebiscito fu per secoli uno slargo irregolare, dove si svolgevano le feste popolari attorno alle cosiddette macchine da festa, che venivano periodicamente innalzate da grandi architetti (famose quelle di Ferdinando Sanfelice e di Francesco Maresca). Solo dall'inizio del Seicento in poi fu gradatamente "regolarizzata", anche a causa della costruzione del nuovo Palazzo Reale, opera di Domenico Fontana. A questa graduale trasformazione si successero, dalla metà del Settecento in poi, degli interventi sempre più radicali, attuati dagli architetti che lavoravano sulla vicina residenza reale. Fu solo all'inizio dell'Ottocento, durante il periodo napoleonico, che la piazza cambiò completamente volto. Per ordine dei monarchi francesi, essa fu interamente ridisegnata e ripensata: furono demoliti i troppi edifici religiosi che ne limitavano lo spazio ed impedivano di inserirla al meglio nel contesto urbano circostante ed in luogo di essi vennero eretti palazzi di stato, a cornice del famoso emiciclo dorico in pietra lavica e marmo, voluto da Gioacchino Murat su disegno di Leopoldo Laperuta, al centro del quale avrebbe dovuto essere un altro edificio civile, consacrato ai fasti dei napoleonidi. Una riproduzione che descriva l'aspetto della piazza, lo si può intravedere da diversi dipinti paesaggistici di Napoli. Per esempio la Veduta del largo di palazzo, di Gaspare Vanvitelli (dipinto oggi conservato al Palazzo Zevallos di Napoli), grazie al quale si può notare anche l'ubicazione originaria della fontana del Gigante, oggi in via Partenope. Nel 1963 un'ordinanza comunale trasformò la piazza in un parcheggio pubblico per far fronte all'incremento incontrollato di autovetture in città. La piazza rimase così deturpata fino a quando nel 1994, in occasione del vertice dei G7, la giunta Bassolino le restituì dignità pedonalizzandola in toto.

    Descrizione

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    Vista dal centro della piazza sulla collina di san Martino con in primo piano il palazzo della prefettura

    Piazza del plebiscito sorge non molto distante ad altri imponenti monumenti di Napoli, come l'adiacente Teatro San Carlo, la Galleria Umberto I ed il poco distante Maschio Angioino. Inoltre dalla piazza è visibile in alto la collina di san Martino sulla quale sorgono la Certosa di San Martino ed il Castel Sant'Elmo. Ancora, la piazza è anche punto d'incrocio di importanti strade cittadine: Mergellina, Via Toledo e Via Chiaia. Essa si sviluppa su un ampio spazio che vede sul lato ovest un colonnato al centro del colonnato spicca la Basilica di san Francesco di Paola, che ne è l'elemento dominante e fu eretta da Ferdinando I, come ex voto per aver riconquistato il regno dopo il decennio di dominio francese. Di fronte all'edificio di culto, invece, c'è il palazzo reale.

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    La piazza vista dal colonnato della basilica, verso il palazzo reale e palazzo Salerno

    La basilica, commissionata a Pietro Bianchi nel 1817, fu completata nel 1846, nei modi più aggiornati del neoclassicismo il quale si sviluppò e vide i suoi massimi esponenti proprio in città e nel regno delle due Sicilie grazie a personalità del calibro di Luigi Vanvitelli. Il modello di riferimento della chiesa fu quello delle forme del Pantheon romano. All'interno è abbellita da statue e dipinti coevi, ad eccezione del seicentesco altare maggiore e da alcune tele prelevate da luoghi di culto pre-esistenti sul vecchio slargo. Isolate sulla piazza, di fronte alla Basilica, s'innalzano le statue equestri di Carlo III di Borbone (iniziatore della dinastia borbonica) e di suo figlio Ferdinando I. La prima è opera di Antonio Canova che eseguì il lavoro in un arco cronologico compreso fra il 1816 ed il 1822, anno della morte dell'artista; la seconda, non potendo essere eseguita per intero dallo scultore veneto a causa della sua morte, vede per quel che riguarda il cavallo l'effettiva attribuzione al Canova, mentre il re che lo cavalca fu scolpito dall'allievo Antonio Calì. Le sculture furono commissionate per celebrare il ritorno della dinastia borbonica dopo la parentesi napoleonica.

    La piazza nell'arte

    Dalla riforma bassoliniana, piazza del plebiscito è diventato lo scenario dei principali avvenimenti cittadini e nazionali: dai comizi elettorali alle serate del Festivalbar, alle dirette televisive nelle cerimonie nazionali (per esempio durante i capodanni). Tradizionalmente ogni anno nel periodo natalizio sono installate al centro della piazza opere di arte contemporanea, spesso discusse per la loro eccentricità. Tra gli artisti che hanno esposto negli ultimi anni si citano Mimmo Paladino, Richard Serra, Rebecca Horn, Luciano Fabro. Infine, la piazza è disponibile per concerti diventando anche passerella dei principali cantanti italiani ed internazionali, come Pino Daniele, Massimo Ranieri oppure Elton John, Paul McCartney, o illustri voci tenorili come quelle di Andrea Bocelli e José Carreras. Vale la pena inoltre ricordare che nel 1921, nella basilica di san Francesco di Paola, furono svolti funerali di Enrico Caruso.

    Edited by PatriziaTeresa - 5/6/2015, 11:21
     
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  13. Isabel
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    Basilica di San Lorenzo Maggiore

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    - Info -

    La basilica di San Lorenzo Maggiore è una delle più antiche chiese di Napoli. Si trova nel centro antico della città, presso piazza San Gaetano, ovvero nella zona in cui sorgeva l'agorà greca. Risale al XIII secolo e conserva l'interno gotico. Giovanni Boccaccio la defini "grazioso e bel tempio" e si dice che qui egli incontrò Fiammetta nel 1334, mentre nel 1346 Francesco Petrarca dimorò nel convento annesso.

    Storia

    Nel 1235 il papa Gregorio IX ratificò la concessione di una chiesa dedicata a san Lorenzo da erigere in città. All'epoca, è documentata la presenza di almeno altre cinque chiese dedicate al santo, e la chiesa del Foro (di epoca paleocristiana) fu assegnata ai frati francescani come edificio su cui sarebbe stata costruito il nuovo tempio. Carlo I d'Angiò a partire dal 1270, quindi non molto tempo dopo la sua vittoria su Manfredi, iniziò a sovvenzionare la ricostruzione della basilica e del convento, in una mescolanza di stile gotico francese e francescano. Ad architetti francesi si deve l'abside, ritenuta unica nel suo genere in Italia ed esempio classico di gotico francese. Nel passaggio dall'abside alla zona del transetto e della navata si andò affermando invece uno stile maggiormente improntato al gotico italiano, segno del mutamento dei progettisti e delle maestranze con il passare degli anni. Numerosi i rimaneggiamenti che la basilica ebbe nei secoli seguenti, dovuti anche ai danni dei terremoti che colpirono la città e a partire dal XVI secolo vi si aggiunsero, ad opera di architetti locali, pesanti sovrastrutture barocche. A partire dal 1882 i restauri, più volte interrotti e ripresi, sino all'ultimo, terminato nella secondà metà del XX secolo, cancellarono progressivamente le aggiunte barocche, ad eccezione della facciata e della controfacciata, opera di Ferdinando Sanfelice, della cappella Cacace e del cappellone di Sant'Antonio, opera di Cosimo Fanzago. Tra gli anni cinquanta e anni sessanta del Novecento furono eseguite opere di consolidamento da Rusconi per bloccare il crollo delle mura attaverso un contrafforte e opere di cemento armato.

    L'esterno

    La facciata presenta un portale gotico, probabilmente eseguito con la collaborazione di maestri toscani, che ancora offre alla vista gli originari battenti lignei trecenteschi, ciascuno suddiviso in 48 riquadri in un discreto stato di conservazione. Di notevole interesse è il campanile, del secolo XV, eretto a più riprese, in sostituzione di quello preesistente. La torre, di forma quasi quadrata, è a quattro piani e, per la sua posizione nel centro della città è stata al centro di svariati fatti storici. Il chiostro fu deposito di armi dei Viceré spagnoli e nel 1547 il campanile fu posto sotto assedio dal popolo nella rivolta contro Pedro de Toledo; nel 1647 i seguaci di Masaniello lo presero d'assalto utilizzandolo come avamposto di artiglieria contro gli spagnoli.

    L'interno

    La basilica ha una pianta a crociera con cappelle laterali aperte da archi acuti che si aprono sull'unica navata coperta (così come il transetto) da capriate. Tra le cappelle laterali vanno ricordate: la terza a destra (in stile barocco decorata da Cosimo Fanzago, contenente le tombe della famiglia Cacace con busti e statue eseguite da Andrea Bolgi, la Madonna del Rosario, dipinto di Massimo Stanzione), la volta affrescata da Niccolò de Simone; la quarta a destra (polittico rinascimentale in terracotta); il cappellone di Sant'Antonio, maestosamente barocco nell'esecuzione di Cosimo Fanzago del 1638 in cui trovano alloggio due dipinti di Mattia Preti, Santa Chiara e Crocifisso di San Francesco. In quest'ultima cappella era originariamente allocato il celebre dipinto di Simone Martini San Ludovico d'Angiò che incorona il fratello Roberto, re di Napoli, ora al Museo di Capodimonte.

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    Cosimo Fanzago, il Cappellone di Sant'Antonio

    Nel transetto sinistro vi è il Monumento funerario di Carlo di Durazzo, fatto giustiziare nel 1348 dal re Luigi d'Ungheria (l'iscrizione posta di fronte al sarcofago riporta per errore la data 1347. Di rilievo anche la pala di Colantonio, San Francesco consegna la regola agli ordini francescani, iniziata per la chiesa nel 1444.

    L'abside

    La magnifica abside è un esempio chiaro della profonda impronta che lascia il gotico francese sulla basilica. Notevole il deambulatorio con cappelle radiali ed un alto presbiterio a pilastri polistili, costoloni e volte a crocere. Non c'è unanimità fra i vari studiosi circa l'attribuzione di questa parte importante della basilica ad un costruttore. Secondo il Vasari l'autore sarebbe Nicola Pisano, per Gaetano Filangieri invece Arnolfo di Cambio, secondo altri, per alcune analogie costruttive stilistiche con la chiesa di Santa Maria Donnaregina l'attribuzione sarebbe da ascriversi proprio all'architetto francese che edificò quest'ultima. Nel deambulatorio, all'altezza della prima arcata si trova il Sepolcro di Caterina d'Austria (prima moglie del duca Carlo di Calabria, figlio di re Roberto d'Angiò), ritenuta la prima opera napoletana di Tino da Camaino, con un tabernacolo sostenuto da quattro colonne tortili che poggiano su figure leonine. Il sarcofago è sostenuto da due statue femminili raffiguranti la Speranza e la Carità.

    L'altare maggiore

    L'altare maggiore, opera di epoca rinascimentale tra le più belle presenti a Napoli, eseguito da Giovanni da Nola, su cui poggiano le statue dei santi Lorenzo, Francesco e Antonio, mentre sulla parete inferiore lo scultore raffigurò Il Martirio di San Lorenzo, San Francesco con il lupo di Gubbio e Sant'Antonio che parla ai pesci, in uno sfondo in cui è rappresentata la città all'epoca rinascimentale di grande valore documentario oltre che artistico.

    Il museo dell'Opera

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    - Info -

    Il museo dell'Opera di San Lorenzo Maggiore è un polo museale allestinto all'interno dell'omonima basilica di Napoli che include oltre alla visita di alcuni ambienti del convento, come la sala capitolare e la sala Sisto V, anche la visita di diverse testimonianze storiche del 700 e dell'800 appartenenti alle collezioni del convento stesso (abiti, pitture, arredi etc etc). Inoltre è possibile ammirare nei sottosuoli dell'edificio anche i resti archeologici del periodo greco i quali hanno fornito anche alcuni pezzi (mosaici, affreschi, anfore, sculture) dei periodi successivi, risalenti all'epoca medievale, normanna, sveva, angioina ed aragonese, tutti mostrati nella sezione archeologica sempre all'interno del museo.

    Gli scavi archeologici

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    Scavi di San Lorenzo

    Gli scavi archeologici, iniziati nel 1976 hanno rimesso in luce i resti del macellum (mercato) della Neapolis greco-romana, sorto in corrispondenza dell'antico decumano maggiore. La struttura antica presentava al centro un'edicola colonnata, in forma di piccolo tempio circolare, che doveva ospitare una fontana, come provano i resti dell'impianto per lo scarico dell'acqua. In corrispondenza dei lati dell'attuale chiostro si aprivano dei porticati con ambienti sul fondo destinati a bottega. La stratificazione degli scavi, pur essendo alquanto complessa, ha permesso di ricostruire in modo attendibile le varie fasi storiche della città, con strutture di epoca greca risalenti al IV secolo a.C. (fondazioni in blocchi di tufo) sulle quali si innesta un complesso di età imperiale (I secolo d.C.). I lavori archeologici hanno identificato con sicurezza Il macellum, l'antico mercato alimentare semi-coperto, da cui si accedeva in corrispondenza dell'attuale via Tribunali ed è visibile attualmente dal chiostro del convento la costruzione di forma circolare a tholos che vi trovava alloggio. Il macellum era organizzato a terrazzamenti, adattandosi alla particolare conformazione del terreno. Interessante è anche il tratto di strada (lungo circa 60 metri) corrispondente all'attuale vico Giganti e sul quale si aprivano alcune botteghe commerciali e forse, l'antico Aerarium dov'era custodito il tesoro cittadino. Gli scavi, iniziati negli anni ottanta ed interrotti svariate volte per mancanza di fondi, sono conclusi nel maggio 2009, grazie ai finanziamenti della comunità europea che ha permesso di riportare alla luce l'altra metà del complesso archeologico: oggi risulta che, rispetto alla parte aperta ai visitatori nel 1993, l'area si sia raddoppiata. L'area subì notevoli trasformazioni nel corso dei secoli con la sovrapposizione ad esempio, di una basilica paleocristiana del VI secolo, la cui pavimentazione musiva è tuttora visibile in parte sotto il transetto della basilica.

    Il Convento

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    La sala capitolare

    Al convento si accede dal lato destro della basilica. Sulla facciata vi furono posti nel XIX secolo gli stemmi della città e dei sedili cittadini (parlamenti rappresentativi con funzioni amministrative, giuridiche e giudiziari, che riunivano i delegati dei vari rioni a partire dal XIII secolo e per oltre cinque secoli) che, nella Sala capitolare del convento, appunto, costituivano assemblea. Tali seggi rappresentavano una sorta di cirscoscrizione dell'epoca alle quali solo per le famiglie nobili dell'epoca era concesso iscriversi, con la possibilità, grazie a dei tumulti di piazza del XV secolo, da parte del popolo (anche se di fatto non aveva alcun potere), di far parte di uno di questi sedili.

    Gli stemmi dei seggi, visibili sulla facciata esterna del complesso, erano:
    • il cavallo (a ore 1), rappresentava il sedile del Nilo
    • la figura umana (a ore 3), rappresentava il Sedile di porto
    • la porta d'oro (a ore 5), rappresentava il sedile di Portanova
    • la P (che sta per Populus) (a ore 6), rappresentava il comune di Napoli, ovvero il seggio del Popolo
    • la Y (a ore 7), rappresentava il sedile di Forcella
    • l'immagine dei monti (a ore 9), rappresentava il sedile di Montagna (a via Tribunali)
    • il cavallo (a ore 11), rappresentava il sedile di Capuana (a via Tribunali)

    La sala Capitolare, lunga 40 metri e ricoperta di volte a vole, realizzata durante il periodo svevo (1234-1266), fu affrescata da Luigi Rodriguez nel 1608, il quale vi raffigurò, tra l'altro, L'albero francescano (papi, santi, cardinali, dottori appartenenti all'ordine religioso). La sala prende il nome dal Capitolo, ovvero dalla riunione dei frati che qui vi si svolgeva per conferire gli incarichi.

    La sala Sisto V

    Accessibile tramite il Chiostro di San Lorenzo, la sala Sisto V, come per la sala capitolare, venne affrescata da Luigi Rodriguez intorno al XVII secolo. Tali affreschi, circondati da altri quattro che raffigurano Virtù minori, rappresentano le Sette virtù reali. Queste opere attribuivano il "merito di governare" il Regno solo a coloro che rispettavano queste virtù. Nel 1442 la Sala Sisto V, divenne sede del parlamento napoletano.

    Il chiostro

    Adiacente alla Sala Capitolare, vi è il Chiostro di San Lorenzo Maggiore. Importante testimonianza di epoca settecentesca è quella del pregevole pozzo di marmo e piperno scolpito da Cosimo Fanzago e, sulla lunetta del portale che immette in chiesa, l'affresco Madonna con bambino e devoto di Montano d'Arezzo.

    Personaggi celebri legati a San Lorenzo Maggiore

    Gaetano Filangieri diceva della basilica: "la Storia di Napoli e delle province si compendia spesso nel convento di San Lorenzo". Ad avvalorare ciò va ricordato che numerosi personaggi hanno avuto in questo luogo degna sepoltura, come il filosofo e commediografo Giovanni Battista Della Porta, il letterato amico del Petrarca Giovanni Barile, il marchese Giovanni Battista Manso e l'insigne musicista Francesco Durante. San Ludovico da Tolosa, rinunziatario al trono del padre Carlo II d'Angiò, fu consacrato sacerdote in questa basilica. Celebre è il dipinto (oggi al Museo di Capodimonte) di Simone Martini che rappresenta San Ludovico d'Angiò che incorona il fratello Roberto re di Napoli. Altra consacrazione celebre fu quella di Felice Peretti, vescovo di Sant'Agata de' Goti, il futuro papa Sisto V. Francesco Petrarca soggiornò nel convento nel 1343 come egli stesso documentò in una lettera all'amico Giovanni Colonna descrivendogli il maremoto che il 25 novembre colpì la città, mentre Giovanni Boccaccio pare che qui si innamorò di Fiammetta, la bellissima Maria d'Aquino, figlia del re Roberto d'Angiò, sua musa ispiratrice, dopo averla vista nella basilica durante la messa del sabato santo del 1334.



    Basilica di San Paolo Maggiore

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    - Info -

    La Basilica di San Paolo Maggiore è una basilica di Napoli, situata in corrispondenza del foro greco-romano, costruita sui resti del tempio dei Dioscuri, di cui restano due colonne di ordine corinzio con i relativi architravi che sporgono dalla facciata. La basilica ospita all'interno una delle più importanti sculture napoletane del XVIII secolo; l'Angelo custode di Domenico Antonio Vaccaro.

    Cenni storici

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    La facciata prima del crollo (Summonte 1601)

    Il tempio dei Dioscuri (I secolo d.C.)è l'area sulla quale insiste la chiesa. Il suo fronte, con sei colonne e timpano triangolare completo di sculture, rimase in piedi sino al 1688, quando crollò a causa di un terremoto. La chiesa si innalza dove, durante l'epoca greca, vi era l'agorà della città, oggi corrispondente a Piazza San Gaetano. La prima chiesa dedicata a San Paolo sull'area dell'attuale venne eretta tra l'VIII e il IX secolo per celebrare la vittoria riportata dai napoletani sui Saraceni, alle spalle del pronao del tempio pagano. Nel 1538 vi si insediarono i Chierici Regolari Teatini, che solo molti anni, nei primi anni ottanta del Cinquecento, avviarono una vasta campagna di ricostruzione, affidata al progettista Francesco Grimaldi. Inoltre, ricordiamo che questo architetto si occupò anche di altri incarichi; ad esempio, creò il pregevole altare maggiore dalle armoniose proporzioni. Intorno alla prima metà del 500, la chiesa incontrò Andrea Avellino il quale entrò in San Paolo come postulante. Nel 1567, padre don Andrea Avellino venne nominato preposito di San Paolo Maggiore e ricoprì questo ruolo nei successivi dieci anni. Nel maggio del 1585, dopo i tumulti scoppiati a Napoli a seguito dell'uccisione del capo popolo G.B Starace da parte della folla inferocita, il santo si operò come mediatore e mise a disposizione dei bisognosi le risorse del suo ordine. Oggi, le spoglie del santo sono presenti all'interno della basilica.

    Esterno

    La prima parte ad essere edificata fu il grande transetto con la profonda abside poligonale. Dopo una interruzione, i lavori ripresero sotto la guida di Giovan Battista Cavagna, responsabile della costruzione della navata centrale. A partire dal 1625 vennero costruite le navate laterali, ad opera di Giovan Giacomo di Conforto. Nel corso del Seicento continuarono i lavori di decorazione e abbellimento. Nel 1642 Massimo Stanzione affrescò il soffitto della navata centrale. Nel 1671 Dionisio Lazzari, in occasione delle celebrazioni per la canonizzazione di Gaetano Thiene, realizzò una volta in muratura che collegava la facciata della chiesa e le colonne del vecchio tempio pagano. Fu probabilmente a causa dell'intervento operato da Lazzari che la struttura antica, notevolmente appesantita, non resistette al terremoto del 1688.
    Nel Settecento i lavori di abbellimento proseguirono, soprattutto a opera di Domenico Antonio Vaccaro e Francesco Solimena, che riutilizzarono i marmi antichi crollati col terremoto, rilavorandoli e mettendoli in opera all'interno, per rivestire il pavimento e le paraste della navata centrale. Ulteriori lavori vennero intrapresi da Giuseppe Astarita verso gli anni settanta del Settecento, in occasione della proclamazione a beato di Paolo Burali d'Arezzo.
    Nel 1943 nel corso di un bombardamento aereo degli alleati, la chiesa venne gravemente danneggiata. Nel 1962, durante i lavori di ristrutturazione, furono rivenuti resti del primitivo tempio e anche un cimitero, oggi visitabili tramite l'accesso da una porta posta sotto le scalinate principali della basilica.La basilica incorpora inoltre altri due edifici religiosi di modeste dimensioni. Uno, il santuario di San Gaetano Thiene, vede l'ingresso posto sulla base destra della scalinata principale, accessibile direttamente da piazza San Gaetano. L'altro, la chiesa del Santissimo Crocifisso detta la Sciabica, vede l'ingresso posto direttamente sotto la base dell'antico tempio romano.
    Sul lato destro del complesso un accesso laterale tramite scalinata collega ad una porta che conduce direttamente alla chiesa, subito dopo la seconda cappella della navata di destra.

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    Particolare di una colonna corinzia

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    Particolare della scalinata principale

    L'interno

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    Navata centrale

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    Controfacciata

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    Pavimento

    La prima parte ad essere edificata fu il grande transetto con la profonda abside poligonale. Dopo una interruzione, i lavori ripresero sotto la guida di Giovan Battista Cavagna, responsabile della costruzione della navata centrale. A partire dal 1625 vennero costruite le navate laterali, ad opera di Giovan Giacomo di Conforto.
    La pianta è a croce latina, a tre navate: la navata centrale e il transetto hanno una copertura ribassata a padiglione, mentre le navate minori sono voltate con una successione di cupolette ellittiche. Il soffitto della navata centrale, gravemente danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, conserva resti degli affreschi di Massimo Stanzione raffiguranti le Storie dei santi Pietro e Paolo. Nella navata è esposta la statua dell'Angelo custode, opera di Domenico Antonio Vaccaro, scolpita nel 1724 per la cappella omonima (la terza della navata sinistra), ricostruita in quegli anni su progetto di Francesco Solimena, e sostituita nel XIX secolo con una statua di Cristo. L'altare maggiore è stato realizzato nel 1775-6 dal marmoraro Antonio de Lucca su disegno di Ferdinando Fuga. Di particolare interesse, inoltre, per la bellezza dei rivestimenti parietali a marmi policromi, sono le cappelle Firrao di Sant'Agata (a sinistra dell'abside), realizzata da Dionisio Lazzari in società con Francesco Valentino e Simone Tacca a partire da 1640, e quella della Madonna della Purità (terza della navata destra), iniziata nel 1642 ma completata molto più tardi. Alle spalle dell'altare maggiore, vi è collocata infine la sacrestia. La stessa possiede arredi del Seicento e affreschi raffiguranti Angeli, Allegorie e Virtù, la Caduta di San Paolo e la Caduta di Simon Mago. L'intero ciclo di affreschi è firmato da Francesco Solimena.

    <p align="center">Il chiostro
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    Facciata
    Al chiostro del complesso, oggi sede dell'archivio notarile, si accede da un vestibolo con colonne di granito provenienti dalla basilica paleocristiana e con affreschi alle pareti di Aniello Falcone. Al centro del chiostro si trova un pozzo, che secondo una credenza popolare offre l'acqua più fresca della citta.


    Sacrestia di Solimena

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    - Info -

    La Sacrestia di Solimena è un ambiente presente nella Basilica di San Paolo Maggiore a Napoli, interamente affrescato da Francesco Solimena. L'ambiente si trova in fondo alla navata centrale della basilica, alle spalle dell'altare maggiore, accessibile tramite una porticina sulla parete a destra. Si tratta di una delle principali opere espressive dell'autore napoletano.

    Storia e descrizione

    Eseguiti tra il 1689 ed il 1690, il ciclo di affreschi rappresenta Angeli, Allegorie e Virtù, nonché la Caduta di San Paolo e la Caduta di Simon Mago, queste ultime poste sulle grandi pareti frontali.
    I lavori in sacrestia sono eseguiti secondo i più tipici canoni del barocco napoletano con gli affreschi compiuti in fase di piena maturità artistica dell'autore, caratterizzati da incorniciature decorate con motivi fitomorfi e floreali, attraverso stucco e dorature di Lorenzo Vaccaro, elementi questi eseguiti appena due anni prima.


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    Particolare della volta

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    La caduta di Simon Mago, parete posteriore

    La storia costruttiva della sacrestia non è del tutto nota. Di per certo si sa che essa è stata caratterizzata da numerose ridefinizioni degli spazi architettonici dovute al continuo adattamento con gli edifici circostanti la sala, i quali alteravano l'ambiente basilicale. Per questi motivi, il luogo ha necessitato diversi restauri avvenuti durante gli anni settanta del XX secolo, soprattutto per quel che riguarda la parete su cui è affrescata la Caduta di Simon Mago in quanto maggiormente esposta ai rischi esterni.
    Oltre al ciclo di affreschi, è presente nella sala anche un armadio circolare che ruota intorno ai dipinti. Quello frontale alla sala, in origine ospitava un orologio in tartaruga ornato da finiture bronzee e da un piccolo dipinto raffigurante la Natività di scuola Giordanesca. Il pezzo d'epoca (risalente al 1678 e firmato da Lorenzo Shaiter) è custodito in altri ambienti del complesso e, per motivi di sicurezza, non è visibile al pubblico. Si tratta comunque di uno dei più pregevoli oggetti mai realizzati nel Seicento. Eseguiti tra il 1689 ed il 1690, il ciclo di affreschi rappresenta Angeli, Allegorie e Virtùm la Caduta di San Paolo e la Caduta di Simon Mago. L'opera è eseguita secondo i più tipici canoni del barocco napoletano, in piena maturità artistica raggiunta dal Solimena. Gli affreschi, sono dunque caratterizzati da incorniciature decorate con motivi fitomorfi e floreali, attraverso stucco e dorature di Lorenzo Vaccaro eseguiti appena due anni prima.

    Le opere eseguite sono:
    • sulle pareti di fondo sono raffigurate due grandiosi scene quali La Caduta di Simon Mago, firmato e datato 1690 e la Caduta di San Paolo, firmato e datato 1689;
    • nella volta e nelle centine laterali, sono mostrati inveci le Allegorie delle Virtù;
    • in posizione bassa e ruotante intorno al ciclo di affreschi, infine, vi sono dei medaglioni contenenti i ritratti dei quattro fondatori dell'ordine dei Teatini: San Gaetano, Paolo IV, Bonifacio da Colli, Paolo Consiglieri.

    La storia costruttiva della sacrestia non è del tutto nota. Di per certo si sa che essa è stata caratterizzata da numerose ridefinizioni degli spazi architettonici dovote al continuo adattamento con gli edifici circostanti la sala che alteravano l'ambiente della basilica. Proprio di fronte all'ingresso della sacrestia, infatti, vi è una porta che dà libero accesso alla scalinata di un palazzo adiacente. Per questi motivi, il luogo è ha necessitato diversi restauri avvenuti durante gli anni settanta del XX secolo, soprattutto per quel che riguarda la Caduta di Simon Mago in quanto sotto di esso è presente proprio la porta che dà all'edificio civile. Terminati i più recenti lavori di pulitura delle opere, l'ambiente è stato riaperto al pubblico nel giugno 2011.

    Cappella della Purità

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    - Info -

    La Cappella della Purità è una cappella della Basilica di San Paolo Maggiore di Napoli.

    Storia

    La cappella fu voluta per ospitare il dipinto che il sacerdote Diego Di Bernardo y Mendoza donò all'ordine dei Teatini nel 1641. La tela in questione è quella della Madonna della purità di Luis de Morales. L'opera oggi è presente nel convento e non è visibile al pubblico, quella in cappella risulta essere una copia dell'originale. I lavori alla cappella, nelle sue decorazione marmoree, furono eseguiti da Giovan Domenico Vinaccia nel 1681. Tutto l'ambiente rispetta il tema della "purità", infatti molti sono gli elementi circostanti che si ricollegano alla tela di Morales: dal giglio, ribadito anche nei soggetti dei dipinti laterali raffiguranti Storie della Vergine di Massimo Stanzione e delle tele nelle lunette sovrastanti con la Natività della Vergine a sinistra e la Presentazione di Gesù Bambino al tempio a destra, attribuiti entrambi a Pacecco De Rosa.

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    La Madonna della Purità, l'originale dipinto di Luis de Morales presente in convento

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    La Temperanza

    Di particolare rilveanza inoltre risulta essere l'ambiente che precede la cappella, caratterizzato da quattro statue in circolo sovraelevate che raffigurano le "quattro Virtù Cardinali" ed anticipano il visitatore alla visione della pittura.

    Le sculture sono, in senso orario rispetto alla Madonna della Purità posta al centro dell'altare:
    • la Temperanza, opera di Andrea Falcone eseguita nel 1675;
    • la Fortezza, eseguita da Nicola Mazzone nel 1704;
    • la Giustizia, probabilmente anch'essa del Mazzone;
    • la Prudenza, di Andrea Falcone del 1675.

    Edited by PatriziaTeresa - 5/6/2015, 13:04
     
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  14. Isabel
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    Basilica di Santa Chiara

    - Info -

    « Munastero 'e Santa Chiara / tengo 'o core scuro scuro... / Ma pecché, pecché ogne sera, / penzo a Napule comm'era, / penzo a Napule comm'è... »
    (Questa canzone venne scritta in memoria della semi-distruzione della basilica, in seguito ai bombardamenti aerei del 4 agosto 1943, data in cui il notevole interno barocco andò perduto)

    La basilica e il complesso monastico di Santa Chiara (anche conosciuti come Monastero di Santa Chiara) furono edificati tra il 1310 e il 1340, su un complesso termale romano del I secolo d.C., per volere di Roberto d'Angiò e della regina Sancha d'Aragona, nei pressi della cinta muraria occidentale, a Napoli. È la più grande basilica gotica della città. Originariamente costruita in forme gotiche provenzali, tra il XVII e il XVIII secolo venne ampiamente ristrutturata in forme barocche da Domenico Antonio Vaccaro. Durante la seconda guerra mondiale un bombardamento degli Alleati del 4 agosto 1943 provocò un incendio durato quasi due giorni e distrusse la chiesa quasi interamente. Nell’ottobre 1944 Padre Gaudenzio Dell'Aja fu nominato “Rappresentante dell'Ordine dei Frati Minori per i lavori di ricostruzione della Basilica”, alla cui ricostruzione partecipò in prima persona. In seguito venne riportata al presunto e spoglio aspetto originario da un massiccio e discusso restauro conclusosi nel 1953.

    Esterno

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    Il pronao della facciata

    L'accesso, in via Benedetto Croce, è costituito da un grande portale gotico del Trecento, sormontato da un'unghia aggettante di lastre di piperno. La facciata è preceduta da un pronao a tre arcate ogivali, di cui quella centrale inquadra il portale di marmi rossi e gialli con lo stemma di Sancha. Il rosone in alto è stato realizzato durante la ricostruzione.

    Interno

    La basilica è lunga circa 130 metri (compreso il coro delle monache), alta 45 (la chiesa a navata unica più alta d'Europa fino all'avvento delle nuove strutture) e larga circa 40. Tra il 1742 e il 1762 l'aspetto gotico fu celato da decorazioni barocche progettate da Domenico Antonio Vaccaro, Gaetano Buonocore e da Giovanni del Gaizo. La volta fu decorata da stucchi e affreschi di Francesco De Mura, Giuseppe Bonito, Sebastiano Conca e Paolo de Maio. Il bombardamento alleato del 1943 distrusse il tetto e la decorazione barocca, mentre le opere scultoree furono totalmente o parzialmente danneggiate; quelle sopravvissute, dopo la ricostruzione, furono spostate in un altro luogo, tranne il pavimento disegnato da Ferdinando Fuga. L'interno risulta attualmente formato da un'unica navata rettangolare, disadorna e senza transetti, con dieci cappelle per lato. Sulla parete di fondo è posto il Sepolcro di Roberto d'Angiò, opera dei fiorentini Giovanni e Pacio Bertini. Ai lati del sepolcro del re ci sono quelli del primogenito Carlo, Duca di Calabria e di Maria di Valois (1311-1341), entrambi di Tino di Camaino, e il Sepolcro di Maria di Durazzo, di un ignoto maestro durazzesco. Sulla controfacciata si trovano il Sepolcro di Antonio Penna, opera di Antonio Baboccio, e il Sepolcro di Agnese e Clemenza di Durazzo.


    Opera scultorea con al centro un affresco di Giotto

    Nelle venti cappelle ci sono tombe realizzate tra il XIV e il XVII secolo, appartenenti ai personaggi di nobili famiglie napoletane. All'ingresso, subito a sinistra, c'è la tomba di Salvo D'Acquisto. Nella terza cappella si trovano due sarcofagi dei Del Balzo, nella sesta cappella due bassorilievi trecenteschi con il Martirio della moglie di Massenzio, nella settima cappella quanto è rimasto del Sepolcro di Ludovico di Durazzo, opera trecentesca di Pacio Bertini. Fa storia a sé la nona cappella che ha conservato la struttura barocca ed è attualmente il sepolcreto ufficiale dei Borbone, dove riposano i Sovrani delle Due Sicilie, da Ferdinando a Francesco II. A destra del presbiterio si passa alla barocca sagrestia con affreschi e mobili risalenti al 1692; in una sala adiacente si può ammirare un panno ricamato del XVII secolo. Altri due ambienti di passaggio, il primo decorato da maioliche del XVIII secolo e il secondo con affreschi di un pittore fiammingo del XVI secolo, si passa di fronte ad una scalinata chiusa al pubblico che sale al convento e quindi, per un portale gotico, si accede al "Coro delle monache". All'interno sono presenti Le Storie Neotestamentarie e L'Apocalisse di Giotto, andati quasi interamente perduti durante i restauri barocchi e i bombardamenti alleati.

    Coro delle monache

    Il coro, concepito come una piccola chiesa riprende una sala capitolare. Conserva l'arcosolio del Re Roberto degli scultori Giovanni e Pacio Bertini, e, sulle pareti, resti di affreschi di Giotto e frammenti di alcuni affreschi rinascimentali.

    Museo dell'Opera di Santa Chiara

    Nel complesso monumentale, al piano terra del "chiostro delle Clarisse", è ospitato il "museo dell'Opera di Santa Chiara", nato con l'obiettivo di ricostruire la storia della fabbrica della chiesa. Il museo comprende varie sezioni che illustrano i resti archeologici rinvenuti sotto la basilica, ne narrano la storia ed espongono oggetti sacri, in particolare reliquari.


    Il campanile





    Chiostri di Santa Chiara

    - Fonte -

    I chiostri di Santa Chiara sono una serie di chiostri monumentali di Napoli situati nel centro storico; fanno parte del complesso monastico della Basilica di Santa Chiara.

    Storia


    Ingresso al chiostro

    Il chiostro maiolicato, un'opera del 1739, si deve all'estro creativo di Domenico Antonio Vaccaro; questo periodo, diede inizio ad un radicale cambiamento che riguardò tutto il complesso religioso voluto dalla dinastia angioina, che cancellò tutto l'ambiente originario degli edifici religiosi. Superstite a queste trasformazioni vi è il piccolo chiostro dei frati. I religiosi, essendo in ridotto numero rispetto al vicino ordine femminile delle Clarisse e non essendo ricchi quanto quest'ultime, non investirono alcun denaro in restauri o rimaneggiamenti, lasciando la struttura invariata, identica a come la si conosce oggi. Il chiostro grande delle Clarisse, invece, disponendo di maggior denaro per le restaurazioni, ben presto si arricchì di nuove particolarità. Lungo 82,30 metri e largo 78,30 con settantadue pilastri di varia grandezza, sul lato di servizio a nord, disponeva anche di un cimitero, oggi scomparso. Da questo stesso lato, si accede alla scala santa voluta negli ultimi anni del XVII secolo dalla Badessa Teresa Gattola.

    Struttura

    Vista del monastero dal chiostro

    I pilastri sono sormontati da volte a crociera che sorreggono un terrazzo caratterizzato dalle celle, mentre, al secondo piano un ulteriore terrazzo fungeva da "luogo di delizie", soprattutto perché si aveva una visuale della città e si scorgeva il mare. Nel corso dei secoli il monastero è stato più volte rimaneggiato. Un vero e proprio cambiamento settecentesco si ebbe grazie a Ippolita di Carmignano. L'opera di riammodernamento fu resa possibile anche grazie alle donazioni di famiglie aristocratiche, in questo caso, particolarmente grazie all'intervento della badessa che volle una maggiore apertura verso l'esterno: la nuova struttura doveva rompere l'austerità del vicino tempio gotico, rendendo gli spazi più armoniosi e la fusione tra architettura e natura doveva confondere eventuali ospiti. Il chiostro è attraversato da quattro viali in croce su un piano sollevato rispetto a quello dei portici, completando la grandiosa opera di trasformazione con 64 pilastri maiolicati di forma ottagonale sormontati da archi a sesto acuto, di cui 17 al lato nord e 16 lungo i restanti lati. Su ciascuna delle otto facce furono sovrapposte le mattonelle policrome decorate. Uno degli aspetti più interessanti del chiostro sono le scene di vita quotidiana dipinte sui parapetti tra i due pilastri: esse raccontano cosa succedeva all'esterno del complesso, si alternano rappresentazioni della città e le sue allegorie che rimandano ai quattro elementi (terra, aria, fuoco e acqua). Le suore, seppur disponevano di una ingente somma di denaro, per i lavori di ristrutturazione chiesero ulteriori aiuti dalla regina Maria Amalia di Sassonia, moglie di Carlo III di Borbone. Le fontane trecentesche che un tempo abbellivano la chiesa, furono portate all'esterno ed una di queste fu completamente circondata da un "mare maiolicato". Il bombardamento aereo del 1943 che distrusse buona parte dei locali della vicina basilica, non riuscì però a deturpare la bellezza del chiostro, restando quasi completamente immune all'esplosione. L'altro chiostro del complesso è quello dei Minori, importante per la sua varietà dei capitelli delle colonne, sormontati da archi a sesto acuto o ottagonali, alcuni corinzi, altri più semplici e vicinissime alle forme romaniche: un'impronta rarissima in città.

    Il chiostro maiolicato









    Basilica santuario di Santa Maria del Carmine Maggiore

    - Fonte -

    La Basilica Santuario del Carmine Maggiore è una delle più grandi e belle basiliche di Napoli. Risalente al XIII secolo, è oggi un esempio unico del Barocco napoletano; si erge in piazza Carmine a Napoli, in quella che un tempo formava un tutt'uno con la piazza del Mercato, teatro dei più importanti avvenimenti della storia napoletana. Il popolo napoletano ha l'abitudine di usare l'esclamazione "Mamma d'o Carmene", proprio per indicare lo stretto legame con la Madonna Bruna.

    Origini
    La tradizione racconta che alcuni monaci, fuggendo la persecuzione dei saraceni in Palestina, venendo in Napoli, portarono un'immagine della Madonna da essi venerata sul Monte Carmelo, culla del loro ordine. Vi era in Napoli, presso la marina fuori la città, una piccola cappella dedicata a San Nicola che fu concessa ai monaci, che da allora vi si insediarono e collocarono l'immagine della Madonna in un luogo detto la grotticella. Ma il primo documento storico della presenza dei Carmelitani a Napoli si ha nel 1268, quando i cronisti del tempo descrivono il luogo del supplizio di Corradino di Svevia nella piazza antistante la chiesa di Santa Maria del Carmine. In realtà, l'Icona della Vergine Bruna (per il colore della pelle) sembra opera di scuola toscana del XIII secolo. È una tavola rettangolare, alta un metro e larga 80 centimetri. L'immagine è del tipo detto "della tenerezza", in cui i volti della Madre e del Figlio sono accostati in espressione di dolce intimità (modello bizantino della Madonna Glykophilousa).


    L'icona della Bruna
    Come in ogni icona ne possiamo leggere un messaggio:
    • le aureole dorate e il fondo dell'icona, anch'esso dorato (l'oro simboleggia il colore del sole), indicano la santità della Madre e del Figlio;
    • il colore azzurro-verde (colore dell'acqua marina, simbolo della fertilità) del manto della Madonna ricorda il valore della sua maternità divina;
    • il colore rosso (simbolo dell'amore) della tunica sotto il manto e della quale una parte copre il bambino, indica il forte amore che unisce la Madre al Figlio;
    • la stella con coda pendula del manto è segno della sua verginità;
    • la tunica color pelle di pecora del bambino ci ricorda che egli è l'Agnello di Dio;
    • la mano sinistra della Madonna, che stringe in braccio il Figlio è segno di tenerezza. La mano destra, in risposta alla supplica: "Mostraci il frutto del tuo grembo, Gesù...", indica: "Ecco la via, la verità e la vita";
    • I volti della Madre e del Bambino sono accostati in espressione di tenerezza.


    Corradino di Svevia


    Monumento a Corradino di Svevia
    Figlio di Corrado IV, morto quando aveva due anni, erede della casata degli Hohenstaufen, Corradino crebbe in disparte, in Baviera, mentre sul trono italiano sedeva illegittimamente Manfredi. Dopo la morte dello zio Manfredi (sconfitto da Carlo I d'Angiò nella Battaglia di Benevento nel 1266) i ghibellini italiani ne implorarono la venuta nella penisola e Corradino, nel settembre del 1267, mosse finalmente alla riconquista del suo regno. Entrò senza ostacoli e fu accolto calorosamente, ma giunto a Tagliacozzo trovò il nemico accampato; lo scontro fu cruento e vide la disfatta dell'armata di Corradino, che riuscì a mettersi in salvo insieme all'amico Federico d'Austria fuggendo verso le paludi pontine. Furono però riconosciuti e consegnati nelle mani di Carlo d'Angiò, che con sommario processo li condannò alla pena capitale eseguita mediante decapitazione il 29 ottobre 1268. I corpi dei giovani furono dapprima gettati in un fosso coperto da pietre, poi grazie alle preghiere dell'Arcivescovo di Napoli, le loro salme furono sepolte all'interno della chiesa del Carmine. Nel 1670, dovendosi abbassare il pavimento della chiesa, furono trovate due casse di piombo: una portava l'iscrizione Regis Corradini Corpus, all'interno avvolto in un lenzuolo usurato dal tempo, lo scheletro con il teschio sul petto e una spada al fianco. Nel 1847 Massimiliano II di Baviera fece erigere il monumento a Corradino, disegnato dal danese Bertel Thorvaldsen e realizzato da Schopf e al suo interno furono poste le ossa che fino ad allora avevano riposato nel cappellone della Madonna. Nel settembre del 1943 si presentò in chiesa un gruppo di soldati tedeschi intenzionati a portare via i resti mortali di Corradino e intimarono padre Elia Alleva (unico religioso rimasto in custodia del tempio) di mostrargli il luogo della sepoltura. Il religioso pensò bene di portarli nel luogo ove si trova ancora oggi la lapide, frantumata per chi sa quali motivi e mutila delle parti che hanno indotto all'errore. Il sesto rigo, inizia con le seguenti parole: il piedistallo. Manca evidentemente la parte precedente; secondo il Quagliarella la parola mancante è dietro, ma in realtà dovrebbe essere dentro il piedistallo. I tedeschi interpretarono la lapide mutila secondo le indicazioni di Quagliarella ed in pochissimo tempo tolsero il cancelletto che è davanti al monumento e spostarono la statua con tutto il piedistallo due o tre metri dal suo posto. Furono spezzate le tre lapidi che erano a terra ma senza trovare niente; non si arresero e fecero anche un grosso buco nel muro del pilastro alle spalle del monumento, anche stavolta senza esito positivo. Andarono via e oggi le ossa di Corradino riposano ancora nel piedistallo della statua.

    Il miracolo del crocifisso


    Il Crocifisso miracoloso
    Il miracolo del crocifisso è legato alla lotta, nel secolo XV, tra gli Angioini e gli Aragonesi, per il dominio di Napoli. Già dominava in Napoli Renato d'Angiò, il quale aveva collocato le sue artiglierie sul campanile del Carmine, trasformandolo in vera fortezza, quando Alfonso V d'Aragona assediò la città, ponendo l'accampamento sulle rive del Sebeto, nelle vicinanze dell'attuale Borgo Loreto. Il 17 ottobre 1439, l'infante Pietro di Castiglia fece dar fuoco a una grossa Bombarda detta la Messinese, la cui grossissima palla, (ancora conservata nella cripta della chiesa), sfondò l'abside della chiesa e andò in direzione del capo del crocifisso che, per evitare il colpo, abbassò la testa sulla spalla destra, senza subire alcuna frattura. Il giorno seguente, mentre l'infante Pietro dava di nuovo ordine di azionare la Messinese, un colpo partito dal campanile, dalla bombarda chiamata la Pazza, gli troncò il capo. Re Alfonso tolse allora l'assedio, ma quando, ritornato all'assalto nel 1442, il 2 giugno entrò trionfalmente in città, il suo primo pensiero fu di recarsi al Carmine per venerare il crocifisso e, per riparare l'atto insano del defunto fratello, fece costruire un sontuoso tabernacolo. Questo però, compiuto dopo la morte del Re, accolse la miracolosa immagine il 26 dicembre del 1459. Da allora, l'immagine viene svelata il 26 dicembre di ogni anno e resta visibile al gran concorso di fedeli per otto giorni, fino al 2 gennaio. La stessa cerimonia si ripete nel primo sabato di quaresima per ricordare l'avvenimento del 1676, in cui Napoli fu risparmiata da una terribile tempesta, sedata secondo la leggenda popolare dall'intercessione del crocifisso svelato in via eccezionale per l'occasione nefasta. Nel 1766 fu alquanto modificato e innalzato così come ancora oggi lo si ammira.

    Miracolo e devozione del mercoledì


    Edicola (cona) marmorea
    della Vergine Bruna
    Nel 1500 in occasione dell'Anno Santo la confraternita dei Cuoiai portò a Roma in processione il crocifisso (che si trova ancora nel transetto laterale) e la Madonna Bruna. Numerosi miracoli si verificarono nel corso del pellegrinaggio; l'immagine rimase per tre giorni nella Basilica di San Pietro in Vaticano, durante i quali, sparsasi la fama dei suoi prodigi in Roma, tutti i fedeli furono attirati ad essa, tanto che il papa Alessandro VI, temendo che il fervore dei fedeli si attenuasse nella visita delle basiliche, ne ordinò il rientro a Napoli. L'icona della Madonna che prima del pellegrinaggio era in un luogo detto la grotticella fu spostata sull'altare maggiore e successivamente posta in una cona di marmo, con figure di profeti, opera attribuita ai fratelli Malvito che operarono a Napoli tra il 1498 ed il 1524. Dopo eventi così sorprendenti, Federico d'Aragona, il quale reggeva la città di Napoli, ordinò che per il 24 giugno, giorno di mercoledì, tutti i malati del regno si portassero al Carmine per implorare dal Cielo, la sospirata salute. Infatti, nel giorno stabilito, alla presenza dei sovrani e del popolo, durante la consacrazione, un raggio di vivissima luce si posava contemporaneamente sull'Icona della Bruna e sopra gli infermi, i quali in un istante furono guariti o videro alleviati i loro mali. Da allora si scelse il mercoledì come giorno da dedicare tutto alla Madonna Bruna, e ancora oggi, dopo 500 anni, numerosi fedeli vengono in pellegrinaggio da ogni parte della città e della provincia, per deporre ai piedi della Mamma d'o Carmene un fiore, una preghiera, un ringraziamento.

    Masaniello

    Filippo IV di Spagna, mandò come viceré a Napoli il Duca d'Arcos, il quale volendo trarre sempre più somme di denaro per la Spagna, imponeva alla città tra le altre gabelle, quella sulla frutta. Il 7 luglio 1647, mentre si preparavano i festeggiamenti per la Madonna del Carmine, il popolo napoletano, capeggiato da Masaniello (che a sua volta era politicamente manovrato da Don Giulio Genoino), insorse contro il viceré chiedendo l'abolizione delle gabelle, incendiando case, facendo vittime e distruggendo ogni cosa che appartenesse ai nobili, nemici del popolo. Gli storici dell'Ottocento dipingono questa rivoluzione come antispagnola e antimonarchica, ma studi recenti ne dimostrano l'incongruenza, a partire dal grido con cui fu sollevato il popolo: «Viva il re di Spagna, mora il malgoverno». Intanto la chiesa e il convento divennero luogo di comizi popolari, per cui si stipulavano negoziati tra popolo e viceré. Giovedì 11 luglio, Masaniello cavalcò con il Cardinale Filomarino ed il nuovo eletto del popolo Francesco Antonio Arpaia, tra le acclamazioni ed i festeggiamenti dei popolani fino a Palazzo Reale, per incontrare il viceré. Alla presenza del duca d'Arcos, a causa di un improvviso malore, perse i sensi e svenne iniziando a manifestare i primi sintomi di quell'instabilità mentale che gli procurò poi l'accusa di pazzia. Durante l'incontro, dopo un infruttuoso tentativo di corruzione, il pescatore fu nominato Capitano generale del fedelissimo popolo napoletano. Il 16 luglio, giorno della festa della Madonna del Carmine, dalla finestra di casa sua, cercò inutilmente di difendersi dalle accuse di pazzia e tradimento che provenivano dalla strada. Sentendosi braccato cercò rifugio nella chiesa del Carmine, e qui, interrompendo la celebrazione della messa, si spogliò nudo e iniziò il suo ultimo discorso al popolo napoletano. I frati lo invitarono a porre fine a quel gesto poco edificante, ed egli obbedì, mettendosi a passeggiare nel corridoio principale del convento. Là lo raggiunsero alcune persone armate, che prima gli tirarono quattro colpi di archibugio, togliendogli la vita, e poi lo decapitarono. La testa mostrata al viceré fu portata in giro per la città mentre il corpo fu buttato in un fosso fuori la porta del Carmine. Non erano passate ventiquattr'ore che subito si videro i frutti dell'uccisione di Masaniello: il peso del pane diminuito e le gabelle rimesse in vigore. Il popolo si rese subito conto dell'errore e così ne raccolse il cadavere lavandolo nelle acque del Sebeto, la testa fu ricongiunta al corpo e subito portato in processione, il corpo fu sepolto all'interno della chiesa del Carmine. Alle tre del mattino, finita la processione, fu data sepoltura al feretro nella chiesa del Carmine, dove i resti di Masaniello rimasero fino al 1799. In quell'anno, dopo aver represso violentemente la rivoluzione per la Repubblica Napoletana, Ferdinando IV di Borbone ne ordinò la rimozione e la dispersione allo scopo di cancellare il ricordo di ogni opposizione al potere regio. Fino agli anni sessanta del secolo scorso, nemmeno una parola ricordava i luoghi che videro l'uccisione e la sepoltura di Masaniello: fu così che i Carmelitani decisero di tramandare ai posteri il ricordo di quegli eventi con due lapidi, una nel convento dei frati, l'altra in chiesa nel luogo della sepoltura.

    Esterno


    La facciata

    La facciata

    Il campanile
    La facciata attuale risale al 1766; fu elaborata da Giovanni del Gaizo, in sostituzione dell'antica, rovinata dai fulmini e specialmente dal terremoto del 1456, ricostruita nel 1631 e nuovamente rinnovata durante la rivoluzione di Masaniello quando le cannonate spagnole la colpirono per sbaglio. Prima della seconda guerra mondiale, la porta di ingresso era una vera opera d'arte, tutta intagliata a traforo. A lavori ulti mati, si accorsero che la facciata era riuscita tanto bassa da far comparire il tetto della chiesa; pensarono allora a coprirlo con il frontale che si vede tuttora. Sul lato sinistro si può ammirare il monumento ai caduti del quartiere, durante la prima guerra mondiale.

    Il campanile
    Benché costruito contemporaneamente alla chiesa, di esso si parla la prima volta nel 1439, durante la guerra tra Angioini e Aragonesi. Più volte danneggiato e ricostruito assume l'aspetto attuale nella prima metà del XVII secolo. I primi tre piani sono costruiti (partendo dal basso) nello stile ionico, dorico e corinzio, e si devono all'architetto Giovan Giacomo Di Conforto. Questa parte, iniziata nel 1615 con la offerta di 150 ducati, venne completata nel 1620. Nel 1622 fu innalzato il primo piano ottagonale sotto la cui cornice si legge un'iscrizione; nel 1627 fu portato a termine il secondo piano ottagonale e nel 1631, il domenicano Giuseppe Donzelli detto fra Nuvolo, costruì la cuspide ricoperta di maioliche dipinte. In cima troneggia la croce, su di un globo di rame del diametro di 110 centimetri. L'intera struttura è alta 75 metri e risulta essere il campanile più alto di Napoli.


    Le campane

    Sul loro numero originario non ci sono notizie; verso il 1500 se ne contavano quattro, nel corso dei secoli vennero fuse più volte e raggiunsero l'attuale numero di cinque:

    • Sant'Alberto (1546): si affaccia verso il mare, ha il diametro di 74 cm; detta Sant'Antonino, protettore dei marinai;
    • Sant'Angelo Martire (1546): si affaccia verso il Borgo Loreto, ha il diametro di 86 cm; detta campana del Loreto;
    • Santa Barbara (1746): si affaccia verso la via Lavinaio, ha il diametro di 114 cm, pesa 11 cantara e 40 rotoli; detta anche Maria Barbara o Lavenarella;
    • Santa Maria Maddalena dei Pazzi (1712): si affaccia su piazza Carmine, ha il diametro di 128 cm, pesa 18 cantara e 38 rotoli; detta Maria Maddalena Teresa;
    • Santa Maria del Carmine (1746): si trova al centro del campanile, ha il diametro di 147 cm, pesa 23 cantara e 70 rotoli; detta Carmela.

    Il governo di Gioacchino Murat le aveva requisite per coniare moneta, ma alcuni possidenti del quartiere le fecero lasciare al loro posto, sborsando la somma corrispondente.

    Chiostro


    Chiostro del convento
    Originariamente serviva da luogo di ricreazione dei frati e la sua costruzione è contemporanea a quella della chiesa. Al posto dei piani superiori del convento girava un ordine di loggiato e la parte abitata era costituita dal cosiddetto salone, oggi adibito a refettorio. Le pareti interne del porticato furono affrescate da Leonardo de Grazia da Pistoia e completate, nel 1606, da Giovanni Balducci; gli affreschi rappresentano scene della vita dei Santi Elia ed Eliseo, scene di storia dell'Ordine carmelitano e scene di santi carmelitani. La volta ha pitture in stile pompeiano. Il pavimento è a quadroni di piperno e marmo bianco di Caserta. Nel mezzo dell'ala meridionale sorge la torretta con orologio a quadrante in maiolica arabescata di scuola napoletana del XVIII secolo; nell'ala di fronte si ammira invece una meridiana con una lapide al di sotto che ricorda la costruzione del secondo piano del convento. Al centro del giardino è collocata una fontana in marmo del XVI secolo con due ninfee giacenti ai lati.

    Interno


    Soffitto (particolare)
    Originariamente la chiesa fu costruita nell'austero stile gotico, come le altre chiese angioine di Napoli. Tra il 1753 ed il 1766, fu coperto completamente l'antico stile gotico, per fare posto allo stile Barocco napoletano fino a raggiungere l'aspetto attuale. I lavori furono affidati all'architetto Nicola Tagliacozzi Canale, che venne aiutato dai marmisti fratelli Cimmafonti e dallo stuccatore Gargiulo. La chiesa è preceduta da un ampio atrio, sotto il cui pavimento furono sepolti alla rinfusa molti martiri della Repubblica napoletana del 1799, tra cui ricordiamo: Eleonora Pimentel Fonseca, Luisa Sanfelice, Mario Pagano, Domenico Cirillo, Ignazio Ciaia, Luigi Bozzaotra. Nell'atrio possiamo ammirare un altarino, opera di Tommaso Malvito e dedicato a Santa Barbara, protettrice contro i fulmini, e lì collocata perché vi è la base del campanile, più volte rovinato dai fulmini. La tela di Santa Barbara attribuita a Luca Giordano, non è più esposta al pubblico.
    L'interno, ricco di marmi policromi, è caratterizzato da un'ampia navata fiancheggiata da cappelle intercomunicanti e chiuse da balaustre e cancelli in ferro battuto con ornati di ottone, e da un moderno soffitto a cassettoni che sostituisce quello seicentesco in legno, distrutto durante la seconda guerra mondiale a causa di un aeromoto causato dallo scoppio della nave Caterina Costa nel porto di Napoli. Nel mezzo del soffitto si trova una statua in legno raffigurante la Vergine del Carmine opera di Mario Corajola del 1955.

    Cappelle

    Sul lato destro, entrando dalla porta grande, abbiamo le seguenti cappelle:
    • San Nicola di Bari: la tela è opera di autore ignoto del XVII secolo; altare e cornice della tela con marmi commessi;
    • San Simone Stock: la tela è opera di Mattia Preti; altare e cornice della tela con marmi commessi; tela di Santa Lucia, opera di Luca Giordano;
    • Madonna del Carmine, detta anche Madonna del Colera per essere stata portata in processione in tempo di epidemie o varie calamità: la statua è attribuita a Giovanni Conte detto il nano;
    • Beato Franco da Siena: le tele ivi presenti sono opera di Giovanni Sarnelli; affresco del soffitto opera di Francesco Solimena. È la cappella più ricca di marmi pregiati;
    • Madonna delle Grazie: il dipinto su tavola è opera di Fabrizio Santafede; sulla sinistra c'è il monumento funebre al marchese Carlo Danza;
    • Santi Angelo e Pier Tommaso: la tela dell'altare è opera di Francesco De Mura, mentre le tele laterali sono di Paolo de Maio.

    Sul lato sinistro, entrando dalla porta grande, abbiamo le seguenti cappelle:
    • San Gennaro: la tela è opera di Giovanni Sarnelli e nel suo interno c'è il fonte battesimale;
    • Sant'Orsola e Santa Maria Maddalena: la tela dell'altare è opera di Andrea d'Asti;
    • San Gregorio Magno: la tela è attribuita a Giovanni Bernardo della Lama, ma porta la firma del Sarnelli che forse lo restaurò;
    • Santa Teresa d'Avila e Santa Maria Maddalena de'Pazzi: le tele sono opera del cavalier Viola;
    • Sant'Anna: la tela è di Paolo De Matteis;
    • Santi Elia ed Eliseo: le tele sono opera di Francesco Solimena.

    Gli organi


    Organo grande della Basilica
    Sulla porta di ingresso si trova il monumentale organo della Basilica Santuario del Carmine Maggiore, costruito nel 1907 dalla ditta Francesco Mascia e ammodernato nel 1973; è noto per essere stato il primo strumento a diffondere via radio, per l'allora EIAR, dei concerti d'Organo tenuti dal maestro Franco Michele Napolitano. Lo strumento ha 4800 canne.
    Ai due lati della navata invece sorgono due organi costruiti alla veneziana; le casse degli strumenti sono un pregevole intaglio ligneo. Il primo strumento fu realizzato nel 1483 da Lorenzo di Jacopo da Prato, poi nel 1714 furono costruiti i due organi attuali da Felice Cimmino; col crollo del soffitto del 1762, fu lasciato funzionante solo quello che si trova sul lato destro, mentre l'altro ha solo il finto prospetto di canne.


    Crociera

    La sua volta conserva gli avanzi dell'architettura gotica. I due cappelloni laterali furono affrescati da Francesco Solimena; al centro è posto l'altare. La cappella di destra è dedicata all'Assunta; la tela è opera del Solimena, e il vecchio raffigurato sul lato sinistro sembra essere il suo autoritratto. La cappella di sinistra, dove si trovava la tomba di Masaniello, è dedicata al crocifisso che fu portato a Roma durante il giubileo del 1500; la tela posteriore è sempre opera di Solimena.

    Abside

    L'abside risplende per ricchezza e preziosità di marmi lavorati a commesso, opera di Cosimo Fanzago del 1760. Alle pareti si aprono quattro nicchie contenenti quattro anfore di alabastro ornate da festoni in bronzo dorato. L'altare maggiore si presenta come uno dei migliori lavori esistenti a Napoli, per la grande varietà che presenta nei marmi pregiati e pietre preziose, quali agate, onici, lapislazzuli, madreperla, ametiste e altri marmi preziosi. Dietro l'altare maggiore si apre l'arco che rende visibile dalla chiesa la cappella e l'icona della Madonna Bruna.

    Sacrestia


    Altare dei Borbone
    La sacrestia fu eseguita su disegno di Nicola Tagliacozzi Canale. Gli affreschi raffiguranti il Sacrificio di Elia (sul soffitto) e la Fame in Samaria (sulla parete) con i sei medaglioni raffiguranti santi carmelitani, sono opera di Filippo Falciati. L'altare sul fondo è stato voluto da re Carlo III di Borbone, che lo fece dedicare ai santi Carlo e Amalia, oltre che alla Madonna e a San Sebastiano. Il dipinto è di Francesco Solimena. I finti armadi sono di radice di noce e vengono intramezzati da sei mostre di porta di marmo rosso. Sulla destra, una porta conduce alla sala del lavabo, attualmente sala delle offerte, nel suo interno si può ammirare un bel lavabo in marmo a commessi con stemma carmelitano, il bassorilievo che descrive il miracolo del crocifisso, e un bell'altare con una tela raffigurante l'esaltazione della croce. Un'altra porta conduce alla Sala del Capitolo, attualmente vi è la sala delle confessioni nella quale è possibile ammirare due medaglioni di legno lavorati ad intarsio e raffiguranti la parabola del figliuol prodigo e Gesù buon pastore. Sul lato sinistro, una porta conduce all'altare maggiore, l'altra alla Cappella della Madonna e alla sala degli ex voto. Vi è inoltre nell'angolo a sinistra di chi entra, l'ombrello che ricorda la dignità di Basilica minore.

    Incendio del campanile

    Ogni anno, il 15 luglio, in occasione dei festeggiamenti in onore della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, ha luogo il tradizionale simulacro di incendio del campanile. Quando sia iniziata questa tradizione non è conosciuto, ma sappiamo che già ai tempi di Masaniello, c'era l'usanza di fingere un attacco ad un fortino in legno costruito in piazza del Mercato per poi chiudere la rappresentazione con l'incendio dello stesso. Masaniello, era uno dei capi dei lazzari che assalivano il fortino,e la sua rivolta iniziò proprio durante i preparativi della festa del Carmine. Durante il regno dei Borbone, i sovrani di Napoli omaggiavano la Vergine, regalando ogni anno due barili di polvere pirica per gli spettacoli esterni. Nel secolo scorso, la festa richiamava folle da ogni parte della città e della provincia, caratteristiche erano le bancarelle dei venditori di impepate di cozze, di cocomeri, e soprattutto le tradizione casalinga del tarallo e della birra al balcone di casa propria mentre si ascoltavano le canzoni radiodiffuse per le vie del quartiere. Alle ore 22.00 del 15 luglio si spengono le luci della piazza, e ha inizio lo spettacolo: girandole colorate richiamano l'attenzione dei presenti, poi dei bengala colorati con la scritta Napoli devota alla Madonna Bruna ricordano allo spettatore che quello spettacolo appartiene al popolo, e così, ha inizio l'incendio del Campanile. Un razzo chiamato dai tecnici 'o sorece(il topo) parte dall'attiguo terrazzo per colpire il piano delle campane e in un turbinio di esplosioni ha inizio l'incendio: delle piogge colorate rivestono l'intera mole del Campanile e illuminano a giorno la piazza, poi tra sbuffi di fuoco e scoppi si accende la croce in cima al campanile (posta a 75 metri di altezza da abili tecnici e con non pochi pericoli) e così, mentre infuria l'incendio, una stella luminosa va a prendere l'immagine della Madonna, che, salendo verso il campanile, doma e spegne le fiamme.

    Curiosità

    • In questa basilica vennero celebrati i funerali di Totò (1967); furono celebrati anche i funerali di Mario Merola (2006).
    • Esiste un proverbio che si riferisce al campanile del Carmine: " 'e scagnat'o Campanario d'o Carmene pe 'nu cuopp 'e auliv" (hai scambiato il campanile del Carmine per un coppo -cono di carta- di olive) per indicare la svista presa nel fare determinate osservazioni.
    • Tutti i napoletani hanno usato, almeno una volta nella vita, l'esclamazione "Mamma d'o Carmene".



    Tempio della Gaiola

    - Fonte -

    Il Tempio della Gaiola è una chiesa di Napoli; è sita nel quartiere di Posillipo, precisamente sulla discesa della Gaiola. La struttura in questione era un tempietto di epoca epoca romana che nel corso dei secoli è stato sottoposto a rimaneggiamenti e convertito al Cristianesimo. Questo luogo di culto, non è altro che l'ara votiva di epoca augustea inglobata nella Villa Imperiale di Posillipo di cui si conservano ancora varie tracce: marcature decorative, il timpano triangolare. Come già accennato, venne convertito al Cristianesimo e verso l'anno mille fu affidato ai monaci basiliani. L'interno, di 25 metri quadrati, è da tempo inaccessibile. Già nel 1949 il parroco locale lo descriveva come un luogo disadorno e poco curato. La facciata verte sulla strada, mentre il suo interno, composto da una nicchia alla parete dirimpettaia all'entrata, altare tufaceo e lesene decorative, sfiora un terreno privato. Questo luogo, nonostante faccia parte a pieno titolo del patrimonio archeologico e monumentale di Napoli, è dimenticato dalle istituzioni, necessitando di un urgente restauro.

    Edited by PatriziaTeresa - 26/4/2015, 11:26
     
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  15. AntonellaF73
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    che belle!
     
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36 replies since 31/5/2009, 03:17   3428 views
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