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Appennino calabro

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    Appennino calabro

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    - Fonte -

    L'Appennino calabro è il tratto della catena montuosa degli Appennini che si trova in Calabria. Appartenente all'Appennino meridionale, si estende dal Massiccio del Pollino allo Stretto di Messina.



    Massicci principali
    • Massiccio del Pollino
    • Catena Costiera
    • Altopiano della Sila
    • Serre calabresi
    • Aspromonte

    Montagne principali
    • Serra Dolcedorme - 2.267 m
    • Monte Pollino - 2.248 m
    • Montalto - 1.956 m
    • Monte Botte Donato - 1.928 m
    • Monte Gariglione - 1.765 m
    • Monte Reventino - 1.417 m

    Descrizione

    - Fonte -

    Per quanto bordata lungo il suo estenuante perimetro da zone ora esigue e ora meglio pronunziate di pianura, che di rado si internano più decisamente, la Calabria è paese a cui la montagna dà lo stile della configurazione topografica: e quando scrivo montagna escludo in modo reciso la antiquata e pedestre - e in realtà irragionevole - distinzione che chiama montagna la zona di una data elevazione (ma si può precisare che il 44% della superfice della Calabria si eleva al di sopra di 500 m. di altitudine e il 22% al di sopra di 1000 m.). io mi riferisco invece alla frantumazione delle superfici, all'asperità delle forme, alla chiusura degli orizzonti continentali, e di conseguenza al predominare di profili vivacemente inclinati: a volte abrupti e vicini a verticalità. Quella della Calabria, specie sul fianco ovest della penisola, è una montagna che s’alza dal mare improvvisa e solo per una metà dei suoi bordi lascia interporsi fra sè e il mare una fascia di basse e morbide - ma nei dettagli molto lacerate - ondulazioni (e ciò solamente sul lato ionico) o qualche discreta zona di pianura: ma più di frequente solo una breve, esigua cimosa pianeggiante.

    Il Pollino


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    Lo schema e il plastico di tali montagne è però diverso fra i confini settentrionali della regione e il resto, perchè la Calabria nella sua ovunque forte montagnosità ha però una dualità di forme: a nord un rilievo a lineature alquanto verticali, a spigolature taglienti, nudo di vegetazione in alto e verde ai margini; e per il resto della penisola invece una sequenza di continuate dorsali tondeggianti, dominate da cupole non rilevate o sagomate da altopiani. A nord, dove la Calabria si congiunge con la maggior penisola, la catena da cui questa è impalcata avanza con la sua estremità meridionale. E qui si leva l'ultimo gruppo calcare dell'Appennino meridionale, quello del Pollino (il suo nome pare derivato da un aulico Apollineus, riferito a una certa virtù medicale di molte sue piante) che si schiera a guisa di poderosa muraglia, nella parte mediana, per una trentina di km. da levante a ponente, e culmina con una cresta la cui sagoma da lungi e di faccia pare acuminata, ma che in realtà è arrotondata e cariata da vari campi di doline (in dialetto bruzio "vacanti" ), specialmente nel pianalto di Toscano a nord del monte Pollino e nel pianalto di Ruggio a est della Cupola di Paola: una cresta dominata da una sequenza di cime sfioranti o superanti ì 2000 m.: nel centro la cima omonima di 2248, da cui avanza verso oriente a guisa di prua rialzata la Serra Dolcedorme, estrema altitudine del gruppo a 2271 metri.
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    E precisamente questa notevole elevazione consente qui al Pollino di avere - ultimo e cioè più meridionale fra i rilievi della penisola italica - minuscole impronte glaciali a circo e qualche deposito morenico. A ovest il baluardo mediano ha prosecuzione con la Serra del Prete (2186 m.) e la Cupola di Paola (1908 m.) e a levante - di poco declinando - con la Falconara (1655 m.) e lo Sparviero (1714 m.): da cui dirama a sud il singolare sprone di Pizzo delle Armi 1492 m,) che chiude molto pittorescamente col suo profilo acuto la breve quinta. Diversamente dal versante settentrionale lucano, che si adagia più tranquillo con grandi groppe ondulate, scolpite in una zona di argilla, il versante meridionale del gruppo cala abrupto e spoglio (i fianchi di Falconara e di Sparviero sono appicchi di 800 m.) con la sua dura e nuda quinta calcare e ha bordi ricoperti da vasti coni di deiezione che sventagliano verso le conche di Morano, di Castrovillari ecc. Ma ad oriente il monte Pollino è fasciato da rilievi uniformi e un po' caotici che adimano fino al mare ionico e sono formati da disordinate argille - ove l'azione erosiva della piovosità è molto marcata - fra cui spuntano ed emergono più solidi nuclei e sono in buona parte coronati da paesi: Alessandria del Carretto, Albidona, Castroregio, Montegiordano, Nocara ecc.). Dal gruppo del Pollino irradia poi verso il Tirreno, al dì là della soglia di Campo Tenese - minuscola area pianeggiante intorno a 1000 m., ma chiusa e fortemente carsificata - una robusta diramazione sud occidentale di rilievi per lo più calcari, sfioranti di nuovo in diversi punti i 2000 m. (Caramolo 1826 m., Pellegrino 1986 m., Mula 1931 m., Montea 1784 m ) e le cui zone culminali in ogni modo restano ovunque sopra i 1000 m.
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    E sul solco del Lao questa arroccata e accidentata sequenza di rilievi (che fra il Pellegrino e la Mula è cariata pure da fenomeni carsici) si incontra con le estremità della quinta, di pari natura e di poco minore elevazione (Ciagola 1461 m., Serra Mala 1287 m, Serra Russia 1237 m.) proveniente dal Sirino. Di guisa che la cortina da tali monti disegnata in direzione della costa marina, provocò nel cuore della regione circondata dal Sirino e dal Pollino la costituzione di un vasto bacino pliocenico - quello a cui si dirigono i rivi raccolti dal Mèrcure - rimasto coperto da un invaso lacustre fino a epoca neolitica. E questo bacino, il cui fondo si adagia fra 320 e 280 m., ha la sua via di uscita nel fiume Lao che intaglia aspramente con notevoli gole (fra Laino e Papasidero) la quinta calcare. A occidente poi, avanzando fino al mare, la catena vi strapiomba con capi rupestri (ad es. quello di Scalea e quello di Cirella) e solo ove un'esile spiaggia la fronteggia ha conservato (vedi fra Praia e il fiume Noce e fra Scalea e il fiume Lao, intorno a 100-125 m. e in modo più frantumato a 200-250 m.) qualche resto di terrazzi marini: segno di una emersione pleistocenica. Più a sud infine, configurandosi a prua, scende con improvviso clivo nella fenditura dello Scalone (745 m.).

    Singolarità di costituzione e di forme dei monti bruzi


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    Termina così l'Appennino centro-meridionale e a sud del valico ora nominato, che corrisponde ad una linea di frattura nella crosta sialica, inizia - con radicale cangiamento di forme e di natura- l'Appennino bruzio, il cui scheletro è cristallino e di remota costituzione, e risale a un rilievo di ripiegamento ercinico che una sequenza di spinte verticali ha poi frantumato in isole e - sicuramente dopo il miocene - portato a quote diverse. Graniti e qua e là - abbastanza largamente - roccie eruttive di poco diversa costituzione (gneis, micaschisti ecc.) formano i rilievi principali a mo’ di vaste cupole o qualche volta di esili dorsali: e tali rilievi sono propriamente le primitive isole fra cui penetrava in epoca mesozoica il mare, disegnando insenature che restano anche ora bene distinguibili. La configurazione odierna del rilievo della Calabria è una conseguenza della emersione che si manifestò ovunque in epoca terziaria e dell'azione erosiva che quella emersione riattizzò vivamente. Su le spalle di alcune cupole cristalline, diverse fascie di sedimenti (ad es. i calcari giuresi della media val Trionto, del monte di Tiriolo, della zona di Stilo ecc.) indicano brevi ritorni del mare mesozoico. Ma ai loro margini si dispone - ricoprendoli - una, a volte continuata ma più di frequente esigua o frazionata, zona di sedimenti lasciati dal mare via via ritiratosi in età miocenica (le sue deposizioni sono specialmente di indurite arene e marne sormontate da conglomerati di breccie cristalline) e nella seguente fase solfatifera (ben documentata nei bacini alti del Lipuda, del Vitravo e del Fiumenicà) e infine in età pliocenica (in tale caso i sedimenti sono in genere costituiti da argille o sabbie o ghiaie). E fra le formazioni terziarie e le moli granitiche si interpone nell'estrema zona orientale fra lo Stretto di Messina e la punta di Stilo (ma qualche apparizione vi è pure più a nord, nel bacino del Lipuda) una caotica e sterile cintura di argille a scaglia, i cui elementi si stemperano, nel mesi di concentrazione delle piogge, in vera melma. Questa un po' frantumata e confusa fascia terziaria che in buona parte si limita al fianco ionico e manca per lo più sul lato del Tirreno, ha un'amplezza di 25 km. solo sul fianchi orientali della Sila - ove è accidentata da salti e fratture per notevoli dislocazioni - ma si contrae altrove a una frangiatura da 8 a 10 km. - come sul fianco orientale di Aspromonte - e con più frequenza a una cimosa litorale, insinuandosi però tra i blocchi cristallini per riempire qualche rilevante doccia aperta fra essi, come quella del Crati a nord e quella del Mèsima a sud, o le depressioni che di traverso, a guisa di bracci marini, divisero nel mare terziario le vecchissime isole: cioè in special modo la zona della sella di Marcellinara (250 m. di altitudine minima). E le insenature rimaste nel profilo della costa dopo che - per conseguenza dell'emersione terziaria - le fascie di sedimenti ora ricordate congiunsero i vari e dianzi isolati nuclei cristallini, furono poi a poco a poco colmate con alluvioni fluviali o depositi di litorale fra il pleistocene e l'olocene, e formano oggi le sole pianure degne di nota della regione. Però l'individualità dell'Appennino bruzio non è solo di costituzione: ma è di forme, cioè orografica.
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    Si potrebbe già dire che la disparità fra la costituzione cristallina dei principali massicci e quella sedimentale dei rilievi costeggianti, più bassi, crea una diversità di linee e di plastica fra le due zone: cioè una configurazione più uniforme e austera nelle parti elevate o cacuminali e più rupestre sui fianchi dei monti da cima a fondo cristallini che formano muraglia sul Tirreno; e di contro sagome più agitate e disordinate nei rilievi bassi e fiancali. La singolarità dei monti bruzi è però da riguardare specialmente nei rapporti con quelli della penisola italica: non più infatti, come là, i fasci di catene di egual direzione o orientazione; ma uno scaglionarsi di rilievi bene individuabili a uno a uno, in genere a placca, e mal raccordati fra di loro, e in parte - cioè nelle aree più elevate - con il profilo e la forma più o meno di altopiano. Per la gran durata dell'azione erosiva da cui furono plasmati (intorno a 2 milioni di secoli) ignorano ora questi monti le linee puntute e frastagliate dei massicci alpini di simile costituzione. La configurazione loro è invece dominata in alto o da groppe dolci e arrotondate, di altitudine più o meno uniforme in ciascun gruppo di rilievi, o da veri e propri piani, che specialmente nella parte meridionale della regione non si limitano al cacumine dei massicci ma ne plasmano pure i fianchi: in quanto che si profilano su diversa altitudine, a mo’di gradoni. Ma ripidi sono i perimetri di quel rilievi e selvaggiamente incavate le valli: fonde incisioni e veri squarci dai pendii rovinosi, perchè non di rado le roccie cristalline risultano superficialmente alterate e disfatte. E i torrenti - le cosiddette fiumare - a ogni piena trascinano nel fondo delle valli lo sfasciume di quei disfacimenti, cioè le ghiaie e i fanghi, e lo scaricano e depositano nel loro lunghissimi letti che questi materiali sedimentari colmano e rialzano via via.

    La catena paolana e la Valle del Crati


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    Le forze che scomposero la remota unità della regione cristallina di Calabria - a cui era congiunta pure l'estrema cuspide nord orientale siciliana dei monti Peloritani - furono in tale grado complesse e appaiono ora così poco agevolmente ricostruibili da conferire le più diverse sagome topografiche ai principali rilievi di Calabria: perciò nella parte settentrionale della regione vediamo a oriente il grande, imponente blocco della Sila, di perimetro rotondeggiante o meglio ellittico, con una cinquantina di km. di diametro in direzione latitudinale e 70 in quella longitudinale; e a occidente un rilievo a guisa di catena dritta ed esile: la catena costiera, o come è meglio dire, la catena paolana. Questa fronteggia per un po' meno di 70 km. il Tirreno e vi soprincombe da presso (le sue creste distano a volte 5 e in media 8 km. dal mare) come una solida uniforme muraglia dai ripidi fianchi e priva di intacchi notevoli, che porta cime tondeggianti, a elevazione media di 1300-1500 m., ma sormontate qua e là da salienti scogli calcari: come è l'isolato aggetto del monte Cocuzzo, con cui culmina a 1541 metri. Però la catena conserva nelle aree più elevate dei versanti, cioè intorno ai 1100 m. (ad es. nei pianori Fratta e Potame ove la supera la strada da Amantea a Cosenza, e nei piani disabitati di Silo fra Falconara e Cerisano) delle superfici di erosione spianate della topografia senile premiocenica. E sugli estremi sproni rivolti al mare è bordata da diversi piani di terrazzi marini quaternari, chiaramente visibili da Guardia a San Lucido (il più vecchio a 300-360 m., i seguenti a 140-200 e a 70-90 m., e l'ultimo a 30-50 m.) e a cui si incastrano bene delineate seriazioni di conoidi.
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    Tra i due, così diversi, rilievi paolano e silano si incava, in direzione meridiana, una fossa che in età terziaria era una pronunziata ingolfatura marina e ora è la Valle o - come qui si chiama - il Vallo del Crati, che nel suo fondo misura in genere 3 o 4 km. di ampiezza, ma in qualche punto fino a più di 6, dove i sedimenti da cui nel pliocene fu riempito il suo fondo, una volta rialzati da un minimo di 250 fino a 6oo m., sono stati poi plasmati in vari ripiani o un po' accidentati per erosione dei confluenti nel bacino del Crati. I ripiani sono chiari, ben sagomati e discretamente larghi: il più alto da 630 m verso gli estremi meridionali della valle, si adima intorno ai 500, nelle parti mediane; il seguente (meglio e per più notevole area conservato) da 480-450 m. declina a 420-350 verso i termini della valle, e continuandosi più a nord è pure chiaramente individuabile, a una media fra 330 e 440 m., nei rilievi che chiudono da sud ovest a nord est - fra Spezzano e Castrovillari - la piana di Crati; nel tronco basso della valle infine se ne profila un ultimo da 250 a 180 metri. Su quegli aperti ripiani o in posizioni più arroccate, lungo le linee di adesione fra le formazioni cristalline e quelle terziarie - e cioè ove termina o si modera fortemente l'asperità dei fianchi dei grandi rilievi e sgorgano, per sfioramento fra le roccie remote e i depositi giovani, copiose vene idriche - si scagliona una numerosa sequenza di villaggi (intorno a 6o) che forma una cintura ai due lati del Vallo e specialmente sul lato paolano ha continuazione più a nord, nel bacino del Coscile. Ma la naturale apertura del Vallo in questa direzione è accidentata da una zona di sedimenti arenari più tenaci e da qualche intrusione di schisti: e questi materiali costrinsero il fiume a cercarsi faticosamente una via verso la piana di Sibari con un solco di erosione alquanto selvaggio (la forra di Tarsia, di 6 km.) che è sfuggito da ogni via di comunicazione (…)

    La Sila


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    La Sila è un altopiano ondulato, anzi fortemente ondulato, la cui configurazione ha dato origine a problemi di morfologia che restano aperti,(…). Il rilievo in complesso declina da sud, ove si trovano le principali altitudini, verso nord: e l'altopiano forma una magnifica e matura superfice di erosione (secondo qualcuno miocenica) scolpita in una poderosa cupola di graniti, solcati di frequente da filoni di porfido (fra San Giovanni in Fiore e le pendici di monte Nero) o da lenti di diorite (fra le pendici di monte Nero e Taverna). A sud - leggermente intagliata da qualche valle più giovanile - tale area ha un'altitudine da 1600 a 1700 m., nella zona mediana fra 1100 e 1300 e a nord si deprime da iioo verso gli 800 metri. L'altopiano però non dà, cioè non guarda verso i fianchi del rilievo ma risulta fiancheggiato da ogni lato, e specialmente a ponente e a meridione, da dorsi costituiti da gneis o da calcari liasici e rivestiti in buona parte da magnifici boschi, che s'elevano fino a 1600 m. nella zona settentrionale e sfiorano più volte 1 1800 m. nella zona meridionale. Ma qui le groppe - che dai margini si dirigono verso l'interno - si levano di non più di 200 0 300 m. sopra la superfice matura: e pure i rilievi più salienti, come ad esempio quello di Botte Donato con cui la regione culmina a 1930 m. e quelli poco minori di monte Nero (1881 m.), nella zona mediana, di monte Stella (1812 m.) e di monte Paganella (1526 m.) sui fianchi occidentali e di monte Femmina Morta 1740 m.) agli estremi meridionali, non sfuggono al morbido plastico di insieme.
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    Per le numerose e ben poco marcate valli dell'altopiano, i fiumi scendono adagio, tranquillamente, in genere verso levante - come il Tàcina, l'Ampollino, l'Arvo, il Neto, il Lese e il Trionto - perchè solo agli estremi di nord ovest e di sud ovest l'erosione del Mucone e del Savuto ha aperto un varco nella rialzata cintura occidentale: e data la matura configurazione delle valli è stato facile, con chiusure non grandi, mutare più d'una loro sezione in bacini artificiali. Ma perifericamente la Sila è tagliata da ripide scarpate: cioè cade bruscamente verso il colatoio del Crati a occidente e verso la riviera ionica in ogni altra direzione: perciò in rispondenza dei perimetri del rilievo quel fiumi intagliano i loro alvei fortemente nelle superfici mature, fino a incassarli, per scoscendere poi ripidi sulla fascia di ondulazioni di formazione mio-pliocenica. Le linee plastiche mutano quindi, a oriente della Sila, ove il rilievo si deprime e spezzetta in mediocri e disordinate ondulazioni di marne e conglomerati calcari, dominate da torreggianti scogli di conglomerati granitici (es.: quelli del monte Rose a 624 m. presso Terravecchia, o i rilievi ove posano Umbriatico e Melissa) e solcate o meglio si potrebbe dire lacerate - specialmente in quelle zone ove fluirono le argille a scaglie - da una densa maglia di torrenti, in loco chiamati «valloni». Superfici di conseguenza aspre o tormentate nei dettagli e malinconicamente uniformi nel quadro di insieme.
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    Tali ondulazioni - che formano una notevole parte del Marchesato - da 300 m. in giù sono fortemente rivestite da sabbione pliocenico bene cementato, i cui margini verso il mare (in modo particolare fra il Trionto e il Lipuda) si configurano a terrazzi quaternari, gradinati fra i 120 e i 150 m.: poi finiscono in una cimosa di pianura marina che penetra e risale qua e là nelle principali valli: specialmente quelle del Trionto e del Neto. E che nella zona di Cirò, dove è bordata da discrete linee di dune, avanza in mare decisamente con la curiosa punta Alice, la cui formazione (dovuta a un'alluvione di arene minute) si può giustificare con l'azione delle correnti marine fiancheggianti la costa e con il basamento di uno scoglio di roccie dure in rispondenza della punta. Ma nell'estremità sud orientale (cioè fra il Neto e il Tàcina, o meglio nell'area comunale di Cutro e di Isola) l'accidentazione minuta delle superfici terziarie si fa meno viva e il rilievo va spianandosi in una vasta, squallidamente eguale terrazza marina (altitudine media di 150-220 m.) rasata in una breccia conchigliare, che termina a ponente con una scarpata rovinosa e a levante e a sud declina con lieve ondulazione verso il mare. La cui azione l'ha ora intagliata ai bordi a mo' di ripa di più di 20 m.: e in questa ripa si incurvano, fra il capo Nao e il capo le Castella, minuscole insenature. Sul lato meridionale, la configurazione del rilievo silano non cangia molto: una aperta soglia fra Cosenza e Rogliano che si profila ad altitudini di 630-700 m. e inclina a poco a poco verso il bacino del Crati per una quindicina di km. - ma cala abrupta in direzione opposta: cioè sul fiume Savuto - salda a sud ovest le pendici silane con la catena paolana. E a sud, costeggiando con ripidi fianchi il solco del fiume Savuto - che limita in questa direzione la catena paolana - il rilievo silano si spande in una estrema diramazione, e con la groppa di Soveria, che rimane ad altitudini di 900-960 m., si innesta a una breve robusta e aspra quinta, che nel monte Reventino (1416 m.) ha la sua cima.
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    Dai suoi bastioni meridionali, che su un orizzonte di una cinquantina di km. formano - visti da sud - una unita muraglia, di profilo alquanto eguale e i cui culmini si stagliano fra 1400 m. a ponente e 1700 m. a levante, l'altopiano silano scende di colpo, sagomato unicamente da brevi gradini (di cui discretamente individuabili uno, nella parte mediana di questa fronte, a 1000-1200 m., ma meglio delineati i seguenti fra 63o e 700 m. - specialmente nella zona di Pentone, Taverna, Albi, ecc. - e fra 350 e 420 m. sul notevole fronte da Amato a Cropani): scende su due ben pronunziate ingolfature dei due opposti mari - quella ionica di Squillace e quella di Santa Eufemia sul Tirreno - che penetrando congiuntamente, cioè a egual latitudine, nel corpo della penisola, vi creano una strozza di poco più di 30 chilometri. In tale strettoia che il baluardo selvoso della Síla domina da nord, pare che l'Appennino bruzio risolva la sua continuità: e in realtà le formazioni cristalline scompaiono per una decina di km. sotto le deposizioni del pliocene. L'istmo - a cui si può dare propriamente il nome di istmo di Catanzaro - fu braccio di mare in età pliocenica e le formazioni sedimentate a quei tempi vi appaiono ora plasmate in terrazze - per lo più di conglomerati arenari - che oscillano intorno a 330-380 m., e (dove l'erosione ha portato via quei conglomerati) in deboli ondulazioni - per lo più marnose - che nella soglia di Marcellinara si deprimono a 250. E ai margini di tali ondulazioni, specialmente sul lato delle brusche pendici silane, si sono costituiti dei vasti coni di deiezione quaternari - i più riguardevoli sventagliano nella zona di Nicastro -. che si congiungono su ciascuno dei lati del rilievo a ben conservate cornici di terrazzi, delineate fra 70 e 100 e fra 180 e 220 metri. Per di qua quindi, i transiti fra i due mari sono - e già furono dai tempi greci - fortemente favoriti.

    I rilievi delle Serre e del Poro


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    Ma al di là di questa soglia il rilievo riprende la sua maestosità con la doppia sequenza delle Serre che si dilunga per una cinquantina di km. in direzione da nord est a sud ovest e risalta di 300 o 400 m., con forme in genere arrotondate, da un basamento granitico simile in qualche area a un altopiano, ma incavato da conche - tipiche quelle di Cardinale, di Spadola, di Serra, di Mongiana - riempite da materiali lacustri quaternari. Tale basamento si profila intorno a 600-700 m. verso nord e da 8oo a più di 900 m. verso sud - quindi declina leggermente verso l'istmo - e non è largo in media più di 12 o 15 km.: perciò i due dorsi da cui appaiono sormontati i suoi margini, sono alquanto vicini fra di loro e congiunti da groppe minori: ma quello occidentale è più unito e meno saliente (maggior cima a 1276 m.) e quello orientale, più segmentato, ha però i culmini principali (monte Pecoraro, 1420 M., e monte San Nicola, 1258 m.). E perciò i fiumi nascenti da questo lungo rilievo (come il Soverato e l'Ancinale) scendono per buona parte verso la costa ionica, sopra le cui ondulazioni terziarie l'altopiano cade con una forte scarpata. Invece sul lato occidentale l'altopiano declina a grandi terrazzi di cui sono riconoscibili lucidamente due piani divisi da ripidi gradini: quello più elevato si disegna a un'altitudine di 580-680 m. e risulta ricoperto di alluvione continentale, e quello al di sotto - fra i 25o e i 330 m. - è rivestito da sedimenti marini che il reticolo fluviale declinante verso il Tirreno ha alquanto accidentato. Ma questi terrazzi non si limitano a fronteggiare la Serra da questo lato: il più elevato circonda il suo fianco a nord ove, tenendosi (fra 550 e 620 m.) discretamente più in alto della insellatura di Marcellinara, avanza fino in vista del golfo di Squillace; e delineandosi a poco a poco a maggior altitudine (cioè oltre i 700 m.) si inarca per un po’ anche sul lato meridionale del rilievo.
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    Il secondo poi ha una naturale prosecuzione a sud nella piana di Rosarno, di cui forma la zona più interna e rialzata, e a nord - sia pur con qualche soluzione di continuità - si salda con le spianate che configurano l'istmo di Marcellinara. Anche questo ripiano è tagliato ai suoi bordi da una alquanto brusca scarpata, che nella pianura di Rosarno porta a un'area più bassa (in media 60-130 m. di quota) di alluvione postpliocenica, e più a nord termina nel fondo della valle del fiume Mèsima: un dritto e aperto solco di una trentina di km. che divide e isola più a ovest il minore rilievo del monte Poro. Di figura ovoidale e di poca ampiezza (ha un diametro medio di 25 km.) il Poro risalta a mo' di blocco per la sua singolare positura ad aggetto nel Tirreno, e disegna una notevole sporgenza che delimita i golfi di Santa Eufemia e di Gioia: i graniti che lo formano però emergono solo a meridione (ove si trovano i suoi culmini: la cima omonima, a 705 m., e la cresta di Zurigri, intorno a 630 m.) perchè il rilievo inclina a nord dove lo copre una coltre di sedimenti arenaceo-calcari o marnoso-alcari, di età miocenica. Ma la sua superfice terminale è pianeggiante (fra 1 500 e i 580 m.) e le sue scarpate marginali sono verso il mare (meno che a sud) e verso il Mèsima sagomate da terrazzi quaternari a diversi piani: i terrazzi appaiono evidenti specialmente nella zona di Tropea, ove ne è individuabile una ordinata scala (a 420-475 m., a 330-36o m., a 250-280 m. e intorno a So-ioo m.) e in minore numero nella zona di Vibo (con altitudine media di 460-530 m.) e di Mileto (con altitudine media di 280-360 m.). Più a nord, un poco deprimendosi (il pianoScrisi, sopra Pizzo, è a 400-420 m.) tali spianate restano ben profilate e unite fino al fiume Angitola, e a oriente si ricongiungono a quelle occidentali delle Serre.

    L'Aspromonte


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    Ma la zona più tipica per la configurazione a scala di superfici orizzontali (o solo un po' inclinate) che si scaglionano verso il mare, divise fra loro da ripide scarpate e spigolosamente intagliate dal solchi di numerose fiumare, è l'estremità meridionale della Calabria: cioè la zona dell'Aspromonte. Dal terrazzi più elevati che fiancheggiano la Serra, dirama una cortina di graniti (solo in qualche punto sormontati da conglomerati e marne terziarie che vi si inerpicano da entrambi i versanti) in direzione della cupola terminale della penisola: di modo che fra i due grossi massicci s'innesta per poco più di 20 km. una cresta alquanto esile (non è larga più di 7 km.), simile a una muraglia, uniforme, dal fianchi precipiti, ma spianata in cima - o solo qua e là leggermente ondulata da erosione regressiva - ad altitudini fra 850 m. (piano di Umina) e poco meno di 1100 m. (piano di Alati): e la zona di piano di Melia, ove il ciglione tabulare risulta più largo - cioè 1 kim. - ha un'altitudine media di 920-980. Ma poi il rilievo si rialza rapidamente e quel ciglione si salda con i 'Aspromonte, cioè col vasto acrocoro di natura cristallina (gneis e micaschisti specialmente) che si leva a chiusura della penisola italica.
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    Questo acrocoro, che ha un impianto pentagonale con diametri di 40-50 km. e topograficamente s'irradia in numerose costole, balza di colpo a nord sul Tirreno; ma sul versante ionico declina più gradualmente, in quanto che da tale lato, a cui è inclinato per 8/io il rilievo della Calabria - che quindi guarda il Tirreno con i suoi fianchi più ripidi - fra la formazione cristallina e il mare si interpone anche a sud della strettoia istmica, così come si è già visto descrivendo la Sila, una fascia più o meno larga (ma non minore in media di 10 km. e solo agli estremi meridionali, fra Bruzzano e Mèlito, ristretta a meno di 5 km., fino in qualche punto a sparire) di floscie ondulazioni ricavate in sedimenti pliocenici fortemente erosi: argille turchine in basso e arene gialle in alto. Ondulazioni uniformi solo nel digradare verso il mare (a cui qualche volta, e cioè nelle ingolfature e in rispondenza delle foci delle fiumare, si affianca un'esigua spiaggia) e nei frequenti resti di terrazzi marini fra 120 e 180 m., ma sezionate da sbracati impluvi di fiumare (i cui fondi risaltano per colori e piattezza con i grandi letti ghialosi) e poi minutamente lacerate e tormentate da fenomeni di erosione dilavante e rapida, che lungo le balze più vicine al litorale (ad es. fra le fiumare Stilaro e Torbido) somigliano alle biancane di Toscana. Da questo uniforme deprimersi del rilievo spuntano solo i resti di una formazione già ricordata di calcari giuresi e di per lo meno due fascie di conglomerati - una eocenica (con materiali provenienti da rilievi cristallini) verso l'interno, e una terziaria (con materiali più misti e per lo più calcare-arenari) verso la costa - ora frantumate in scogli isolati, e però robusti come fortilizi, sopra cui si raccolsero in epoca bizantina, fuggendo le coste, numerosi aggruppamenti umani che furono poi il nucleo di riguardevoli centri: ad esempio Catanzaro, Squillace, Stilo, quello che si chiamò fino al 1863 Castel Vetere, e poi Gerace, Samo, Pentedattilo ecc.

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    Come è naturale, la contrapposizione in così breve spazio fra gli elevati e poderosi monti cristallini che troneggiano in media a una quindicina di km. dal mare - e fra cui s'appollaiano da una quindicina di secoli più di trenta villaggi - e questi deboli e un po' disordinati rilievi miopliocenici, è decisa e suggestiva: e se lungo il fianco della Serra pare più viva per la forte scarpata che la limita a oriente, lungo l'inarcatura ionica di Aspromonte è invero più affascinante per la disparità e i contrasti di linee e di sagome: dritte e taglienti e potremmo dire rigidamente disciplinate nel nucleo di questa mole, e ondeggianti e mutevoli invece lungo le sue basi. Invero la singolarità di Aspromonte consiste precisamente nella lunga e meravigliosa sequenza di più ordini di grandi spianate sezionate in numerosi brani dalle fiumare irradianti dal nucleo cacuminale, che appaiono evidentissime in ogni parte del rilievo, e specialmente sul fianco nord occidentale. E perciò genericamente il nome assegnato loro in questa zona è quello di « piani », e per gli orizzonti più bassi - coltivati per lo meno dal medioevo - quello di «campi »: ma poi ciascuna spianata ha il suo nome particolare. Gli orizzonti riconoscibili, al di sopra di un più giovane terrazzo che si staglia a 130ds 170 m. e circonda ovunque - da Palmi a Bianco - la riviera dell'estremo sprone della penisola, sono quattro: sul fianco nord occidentale vediamo in basso i pianori di Matiniti fra 3oo e 400 m. e poi quelli di Milea a monte di Scilla e quelli della Chiusa e della Corona a monte di Bagnara, fra 52o e 650 m.; e più in alto i piani di San Domenico a 75o-820 metri. Infine, da 970 m. in su i veri e propri piani di Aspromonte », intorno al maggior culmine del massiccio, cioè il Montalto (1956 m.) che ne è a nord ovest per notevole giro circondato e con poco risentito risalto si eleva sopra le aree loro più interne, che nei pianori di Zervò, di Carmelia, di Camparie, di Sant'Agata ecc. giungono fra 1200 e 1300 metri. Al di sopra di loro la groppa del Montalto (a cui si può salire ora agevolmente per una strada camionabile) ha per un raggio di 5 o 6 km. - specialmente in direzione sud occidentale - forme tondeggianti e qua e là decisamente mature. Non è di mia pertinenza affrontare i problemi dell'origine - pure non remota - di questi terrazzi a cui, come a quelli ricordati più a nord, un buon numero di studi da parte di E. Cortese fra il 1882 e il 1910 e più avanti (cioè negli ultimi cinquant'anni) da parte di M. Gignoux, H. Kanter e H. Lembke ha conferito una notevole notorietà: non compete a me dire di tali origini perchè l'uomo quei terrazzi li vide già configurati quando abitò per la prima volta la regione. Ma sarà utile indicare come le ipotesi più mature portano a ritenere che verso la fine del Terziario culminò per l'isola cristallina di Aspromonte un lungo periodo di abbassamento, che lasciò spuntare dal mare solo le aree che ora sono al di sopra di i 100 - 1300 m. di altitudine.
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    Poi l'isola tornò a elevarsi a poco a poco con continuità: ma il fenomeno fu alternato da brevi fasi di bradisismo: per cui in periodo di emersione si crearono ai margini dell'isola, che era discretamente montagnosa (Fodierna zona di Montalto) delle vaste superfici ove si venivano a sedimentare, in forma di conoidi deiezionali, i materiali ghialosi erosi dal rilievo, e in periodo di bradisismo il mare foggiò quel sedimenti in forma di terrazzi. 1 gradini, cioè le scarpate che dividono quei terrazzi - e a cui la gente locale dà nome di « petti » - coincidono ad una ripresa dell'emersione: ma sul lato nord del rilievo i gradini sono segnati da un sistema di enormi faglie (studiate in modo particolare da Lembke) a cui si deve la configurazione dirupata di buona parte della costa bruzia rivolta al Tirreno. E tali faglie sono il risultato dei poderosi moti di emersione che sono continuati fino ai nostri giorni, e da cui nella regione di Aspromonte i materiali plio e pleistocenici, deposti o rimaneggiati in un ambiente di mediocrissimo fondale marino, sono stati portati a più di 1000 m. sul mare nel corso di un milione di anni: quel medesimi moti che avevano agito pure sulle zone più settentrionali e già descritte della Calabria, ma che via via a nord dell'estremità della penisola furono animati da minore energia. Da così rapido e forte elevamento deriva la morfologia delle valli di Aspromonte, che sono formate da fondi, aspri e in genere dritti solchi simili a canyons, con fianchi rupestri precipiti e con grande inclinazione nel profilo del corso fluviale, accidentato pure qua e là da salti e gole: una forma tipica delle inclsioni molto giovani.


    Edited by Simona s - 2/8/2013, 11:22
     
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