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Sardegna

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  1. AdriBY91
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    Sardegna

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    - Fonte -

    La Sardegna (Sardigna in sardo, sassarese e gallurese, Sardenya in algherese, Sardegna in tabarchino) è la seconda isola più estesa del mar Mediterraneo e una regione italiana a statuto speciale la cui denominazione ufficiale è Regione Autonoma della Sardegna. Lo Statuto Speciale, sancito nella Costituzione del 1948, garantisce l'autonomia amministrativa delle istituzioni locali a tutela delle peculiarità linguistiche e geografiche. Con 1.639.942 abitanti distribuiti in 8 province e 377 comuni, si posiziona terza in Italia per superficie. Nonostante l'insularità attenuata solo dalla vicinanza con la Corsica, da cui è separata dalle Bocche di Bonifacio, la posizione strategica al centro del mar Mediterraneo occidentale ha favorito sin dall'antichità i rapporti commerciali e culturali, come gli interessi economici, militari e strategici. In epoca moderna molti viaggiatori e scrittori hanno esaltato la bellezza della Sardegna, immersa in un ambiente ancora incontaminato con diversi endemismi e in un paesaggio che ospita le vestigia della civiltà nuragica.

    Toponimo

    Ben conosciuta nell'antichità sia dai Fenici che dai Greci, fu da questi ultimi chiamata Hyknusa o Ichnussa (in greco Ιχνούσσα), o ancora Sandalyon (Σανδάλιον) per la somiglianza dell'intera conformazione costiera all'impronta di un piede (sandalo). Sempre i Greci la chiamarono anche Argyróphleps Nèsos (Αργυρόφλεψ Νήσος) ossia l'isola dalle vene d'argento per l'abbondanza nelle sue miniere di quel metallo Per loro la Sardegna era l'isola più grande di tutto il mar Mediterraneo e tale rimase nella conoscenza degli antichi navigatori per lungo tempo in quanto la lunghezza delle coste sarde (1385 km escluse le isole) è effettivamente maggiore di quelle siciliane o cretesi (1039 km). Secondo recenti studi linguistici, l'appellativo latino Sardinia deriverebbe da un'altra denominazione greca conosciuta come Sardò, Σαρδώ (con l'accento sulla ω - òmega - ossia la o, come i nomi in lingua sardiana di Buddusò e Gonnosnò), nome di una leggendaria donna della quale si ha notizia nel Timeo di Platone e le cui origini venivano da Sàrdeis, Σάρδεις, capitale della Lidia, luogo dal quale Erodoto farà provenire sia le genti etrusche, ma anche quelle sarde. Sallustio nel I secolo d.C. sosteneva che: «Sardus, generato da Ercole, insieme ad una grande moltitudine di uomini partito dalla Lidia occupò la Sardegna e dal suo nome denominò l'isola», e Pausania nel II secolo d.C. confermava quanto detto da Sallustio aggiungendo che: «Sardo venne dalla Libia con un gruppo di coloni ed occupò l'Isola il cui antico nome, Ichnusa, mutò in Sardò.(...)». In una stele in pietra risalente all'VIII / IX secolo a.C. ritrovata nell'odierna Pula, centro comunale comprendente l'antica città di Nora, appare scritto in fenicio la parola b-šrdn che significa in Sardegna, a testimonianza che tale toponimo era già presente sull'Isola all'arrivo dei mercanti fenici.

    Geografia

    La Sardegna ha una superficie complessiva di 24.090 km² ed è per estensione la seconda isola del Mediterraneo, dopo la Sicilia, e la terza regione italiana, sempre dopo la Sicilia e il Piemonte. La lunghezza tra i suoi punti più estremi (Punta Falcone a nord e Capo Teulada a sud) è di 270 km, mentre 145 sono i km di larghezza (da Capo dell'Argentiera a ovest, a Capo Comino ad est). Gli abitanti sono 1,68 milioni per una densità demografica di 69 abitanti per km². Dista 189 km (Capo Ferro - Monte Argentario) dalle coste della penisola italiana, dalla quale è separata dal mar Tirreno, mentre il Canale di Sardegna la divide dalle coste tunisine del continente africano che si trovano 184 km più a sud (Capo Spartivento - Cap Serrat). A nord, per 11 km, le Bocche di Bonifacio la separano dalla Corsica e il Mar di Sardegna, a ovest, dalla penisola iberica e dalle isole Baleari. Si situa tra il 41º ed il 39º parallelo, mentre il 40º la divide quasi a metà.

    Montagne e colline


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    Monti di Oliena visti
    dalle campagne nuoresi

    Più dell'80% del territorio è montuoso o collinare per un'estensione complessiva di 16.352 km², dei quali il 67,9% è formato da colline e da altopiani rocciosi. Alcuni di questi sono assai caratteristici e vengono chiamati giare o gollei se granitici o basaltici, tacchi o tonneri se in arenaria o calcarei. L'altimetria media è di 334 m s.l.m. Le montagne sono il 13,6% del territorio per un'estensione complessiva di 4.451 km² e sono formate da rocce molto antiche e livellate dal lento e continuo processo di erosione. Culminano nel centro dell'isola i monti di Punta La Marmora, a 1.834 m, Bruncu Spina (1829 m), Punta Paulinu (1792 m), Punta Erba Irdes (1676 m) e Monte Spada (1595 m), situati nel Massiccio del Gennargentu, il quale digrada verso sud (interrotto dal percorso del Flumendosa) col monte Perdedu di Seulo (1334 m) e il Monte Santa Vittoria di Esterzili (1212 m). Da nord, si distinguono i Monti di Limbara (1.362 m), i Monti di Alà (1.090 m), il Monte Rasu (1.259 m), il Monte Albo, Monti dei 7 fratelli, (1.127 m) e il Supramonte con il Monte Corràsi di Oliena (1.463 m). Sotto il Gennargentu ci sono i tacchi d'Ogliastra con Punta Seccu alta 1000 m in territorio di Ulassai. A sud il Monte Linas (1.236 m) e i Monti dell'Iglesiente che digradano verso il mare con minori altitudini.

    Pianure, fiumi e laghi


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    Il fiume Coghinas

    Le zone pianeggianti occupano il 18,5% del territorio (per 3.287 km²); la pianura più estesa è il Campidano che separa i rilievi centro settentrionali dai monti dell'Iglesiente, mentre la piana della Nurra si trova nella parte nord-occidentale tra le città di Sassari, Alghero e Porto Torres. I fiumi hanno prevalentemente carattere torrentizio. I più importanti sono il Tirso, il Flumendosa, il Coghinas, il Cedrino, il Temo, il Flumini Mannu. I maggiori sono sbarrati da imponenti dighe che formano ampi laghi artificiali utilizzati principalmente per irrigare i campi, tra questi il bacino del lago Omodeo, il più vasto d'Italia. Seguono poi il bacino del Flumendosa, del Coghinas, del Posada. L'unico lago naturale è il lago di Baratz situato a nord di Alghero.


    Coste e isole


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    Mare sotto Pedra Longa

    Le coste si articolano nei golfi dell'Asinara a settentrione, di Orosei a oriente, di Cagliari a meridione e di Alghero e Oristano a occidente. Per complessivi 1.897 km, sono alte, rocciose e con piccole insenature che a nord-est diventano profonde e s'incuneano nelle valli (rias). Litorali bassi e sabbiosi, talvolta paludosi si trovano nelle zone meridionali e occidentali: sono gli stagni costieri, zone umide importanti dal punto di vista ecologico. Molte isole ed isolette la circondano e tra queste la più grande è l'isola di Sant'Antioco (109 km²), seguono poi l'Asinara (52 km²), l'isola di San Pietro (50 km²), la Maddalena (20 km²) e Caprera (15 km²). I quattro punti estremi sono: Capo Falcone (a nord), Capo Teulada (a sud), Capo comino (ad est), Capo dell'Argentiera (ad ovest).


    Geologia


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    Mare sotto Pedra Longa

    La storia geologica e della Sardegna iniziò con la cosiddetta fase sarda dell'orogenesi caledoniana all'inizio del Paleozoico, in cui si formò il primo nucleo dell'attuale Sulcis, per poi emergere completamente, insieme alla Corsica, durante l'orogenesi ercinica (Carbonifero). Attraverso gli spostamenti e gli scontri tra la grande placca africana, quella eurasiatica e quella nord-atlantica tra 35 e 13 milioni di anni fa, lungo la costa che attualmente va dalla Catalogna alla Liguria, si originò una profonda frattura i cui relativi lati rocciosi sono ancora visibili tra i graniti cristallini che affiorano oggi in Provenza, nel massiccio dell'Esterel, tra Cannes e Fréjus, e poi oltre il Mare di Sardegna, sulla costa sud-occidentale corsa e su quella nord e nord-occidentale sarda. Lungo questa spaccatura, circa 30 milioni di anni fa, si originò il distacco di una micro-placca che comprendeva a nord-est le attuali Sardegna e Corsica, e più a sud-ovest il complesso delle isole Baleari.

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    Isola di Spargi
    Conseguentemente, la rotazione della placca sardo-corsa in senso antiorario, nel suo progredire determinò il sollevamento dal mare della catena degli Appennini e delle Alpi Apuane. Furono queste le cause che portarono la Sardegna e la Corsica a migrare dalla parte continentale. Esse raggiunsero la loro posizione attuale circa 6-7 milioni di anni fa e al fenomeno della migrazione si aggiunse più tardi la tensione di apertura del mar Tirreno, che creò conseguentemente la conformazione orientale tra le due isole e la penisola italiana. Benché nel passato siano stati documentati dei terremoti, la Sardegna è ritenuta una zona non sismica, e tutti i 377 comuni che la compongono sono classificati in zona sismica 4. Sul suo territorio infatti non passano faglie che possano generare terremoti di rilievo. Gli unici risentimenti macrosismici appartengono a scosse che sono avvenute e potranno avvenire nel Tirreno centrale e meridionale.


    Storia

    - Fonte -


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    Necropoli di Pranu Mutteddu

    La Storia della Sardegna riguarda le vicende storiche relative all'isola della Sardegna. In posizione centrale nel mar Mediterraneo, la Sardegna è stata sin dagli albori della civiltà un attracco frequentato da quanti navigavano da una sponda all'altra del Mediterraneo in cerca di materie prime e di nuovi sbocchi commerciali. Il suo territorio, ricco di boschi, di acque e di minerali, ha favorito il popolamento e l'impianto di insediamenti considerevoli. Fu così che nella sua storia millenaria ha saputo trarre vantaggio sia dalla propria insularità - che ha consentito lo svilupparsi della civiltà nuragica - sia dalla propria posizione strategica, in quanto luogo imprescindibile nella rete degli antichi percorsi. Nel suo patrimonio storico e culturale sono abbondanti le testimonianze delle culture indigene ma anche gli influssi e le presenze delle maggiori potenze coloniali antiche. Alcuni studiosi, come l'archeologo Giovanni Lilliu, sostengono la tesi che la storia sarda sia stata caratterizzata da ciò che egli definiva come costante resistenziale sarda, ossia la lotta millenaria condotta dagli abitanti dell'isola contro i nuovi invasori: nei periodi in cui subirono l'influenza delle maggiori potenze coloniali, secondo lo studioso, il tessuto di sardità e le antiche tradizioni sarebbero state custodite dalle popolazioni barbaricine che, attraverso i secoli, le hanno tramandate fino ai nostri giorni. Questa tesi contrasta con alcune evidenze, come il fatto che le stesse non abbiano preservato la lingua antecedente alla latinizzazione a differenza, ad esempio, di quelle basche il cui idioma è rimasto inalterato da tale processo.

    Preistoria


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    Cùccuru s'Arrìu (Cabras)
    Statuina di Dea Madre

    Le prime tracce di presenza umana (Homo erectus) in Sardegna risalgono al Paleolitico inferiore e consistono in rudimentali selci scheggiate, ritrovate nel sassarese, risalenti a un periodo compreso tra i 500.000 e i 100.000 anni fa. Le prime tracce di Homo sapiens sapiens risalgono invece a circa 14.000 anni a.C. Gli scavi effettuati nella Grotta Corbeddu, presso Oliena, hanno restituito pietre sbozzate e fossili umani.

    Neolitico
    Numerose sono le testimonianze del Neolitico, gli antichi abitanti di quest'epoca incidevano le ceramiche con il bordo di una conchiglia, il cardium edulis. La civiltà cardiale si sviluppò sino al 4500 a.C. La successiva civiltà di Bonu-Ighinu durò fino al 3500 a.C. circa e ad essa seguì la civiltà di San Michele che si protrasse fino al 2700 a.C. I Sardi neolitici vivevano sia all'aperto che in grotte, allevavano bestiame, utilizzavano strumenti in selce e in ossidiana di cui l'Isola abbonda, coltivavano cereali, conoscevano la caccia, la pesca e la tessitura. Scolpivano statuine stilizzate raffiguranti la Dea Madre accentuandone le forme del seno e del bacino (raffigurazioni steatopigie). Costruivano ciotole e vasi decorati in vario modo. Si svilupparono in quel periodo due forme di architettura funeraria. Da una parte si trovano strutture di tipo megalitico affini ai dolmen e ai menhir (in sardo pedras fittas, ossia pietre infisse nel terreno); dall'altra le cosiddette domus de janas (case delle fate o delle streghe), tombe scavate nella roccia che riproducevano l'intera struttura abitativa. Il pavimento e le pareti della tomba, ma anche il corpo del defunto, venivano rivestiti di ocra rossa. Nella fase finale del periodo neolitico si susseguirono due civiltà ceramiche: quella di Monte Claro e quella del Vaso campaniforme, ed ebbe inizio la lavorazione dei metalli, prima del rame e in seguito del bronzo.


    Civiltà nuragica


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    Bronzetto sardo. I bronzetti testimoniano
    l'alta capacità raggiunta dai nuragici
    nell'arte di lavorare i metalli

    La Civiltà nuragica ebbe origine durante la fase culturale detta di Bonnanaro (1800-1600 a.C. circa). Più di 7000 nuraghi, in media uno ogni 4 km², centinaia di villaggi e tombe megalitiche sono la testimonianza di questa singolare civiltà mediterranea. Dalle testimonianze delle genti antiche con cui interagivano, i Nuragici furono sicuramente un popolo di guerrieri e di naviganti, di pastori e di contadini, suddivisi in piccoli nuclei tribali (clan). Andavano per mare, commerciavano coi Micenei, i Fenici, gli Etruschi. Furono gli abitatori della Sardegna per oltre un millennio su un territorio allora ricchissimo di boschi, acque, fertili valli. Il nuraghe era il centro della vita sociale delle comunità, ma oltre alle torri, altre strutture megalitiche caratterizzavano la civiltà nuragica: le tombe dei giganti (luoghi di sepoltura) e i pozzi sacri (luoghi di culto). Le grandi stele centrali delle tombe dei giganti (molte superano i 4 m di altezza) e la precisione costruttiva dei pozzi sacri dimostrano la complessità e la raffinatezza raggiunte da questa civiltà. Anche la produzione di bronzetti, statuette tipiche di quel periodo, con raffigurazioni a volte realistiche, a volte immaginarie, aggiunge fascino al mistero di quel popolo, mistero destinato sicuramente a durare ancora per la mancanza - secondo gli studiosi - di un fondamentale elemento di decifrazione delle civiltà antiche: la scrittura, anche se in questo campo sono state fatte nuove scoperte. Con l'arrivo in Sardegna dei Cartaginesi prima e dei Romani poi, i Nuragici si ritirarono nelle regioni interne dell'Isola opponendo una fiera resistenza agli invasori. Secondo le ipotesi degli studiosi, l'isola in quel periodo era molto popolata: alcune ipotesi indicano che su una media di 5000 nuraghi semplici, di 3000 fra nuraghi complessi e villaggi, con una media di 10 abitanti per ogni torre isolata e di 100 abitanti per ogni borgo, si poteva contare una popolazione di circa 245.000 unità (la Sardegna raggiungerà nuovamente una simile densità abitativa solo nel XV secolo); altre ipotesi fanno supporre ad un numero maggiore, tra i 400.000 e i 600.000 abitanti.





    Dibattito sulle origini

    Secondo le ricerche degli studiosi, la Civiltà nuragica fu il frutto dell'evoluzione di preesistenti culture megalitiche. I monumenti che più la rappresentano sono le cosiddette torri nuragiche, ma sulla effettiva funzione di queste si discute da almeno cinque secoli. Tra le varie interpretazioni sono state proposte quelle di tombe, fortezze, forni per la fusione dei metalli, prigioni, templi di culto, abitazioni di giganti, magazzini per granaglie. Ma nonostante gli studi e i ritrovamenti archeologici, sui Nuragici, i cosiddetti costruttori di torri o Tyrsenoi (Τυρσηνοί in greco da dove viene il nome Tirreno) come li chiamavano i Greci di allora (stesso nome che davano agli Etruschi) rimangono ancora molti punti da chiarire. Negli ultimi decenni sono state divulgate nuove teorie e nuove scoperte hanno ampliato gli orizzonti.

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    Navicella nuragica
    Grazie a nuovi reperti archeologici si fa sempre più certa l'ipotesi che le popolazioni nuragiche fossero molto abili nell'arte della navigazione, arte che permetteva loro di spostarsi facilmente in tutto il bacino del Mediterraneo e di mantenere contatti con le popolazioni micenee, cretesi, etrusche e iberiche. Ceramiche nuragiche sono state scoperte sia lungo le coste iberiche che in quelle tirreniche, nelle isole egee, a Creta, nelle coste libanesi e del nord Africa. Tali ceramiche per la maggior parte non costituivano prodotti da esportare e commerciare, ma erano prevalentemente vasi comuni, anforete, olle utilizzate dai marinai nuragici come ceramica di bordo, mentre le brochette askoidi, considerate tra i contenitori nuragici più raffinati, dal collo sottile e dal corpo globulare, finemente decorate e rinvenute in tombe etrusche, secondo gli studiosi, contenevano vino sardo commerciato con gli Etruschi che nel IX - VIII secolo non coltivavano la vite. Alcuni studiosi, sulla base di ipotesi totalmente arbitrarie, per via di presunte similitudini fra i reperti nuragici e quanto descritto nelle fonti antiche, hanno ipotizzato che le popolazioni sardo-nuragiche siano da accomunare agli Shardana, un popolo di navigatori-guerrieri (da riferirsi ai Popoli del Mare) che assieme a una coalizione di altri genti, sul finire del II millennio a.C., portò guerra e distruzione nel bacino del Mediterraneo, tentando a più riprese di invadere l'Egitto dei faraoni, riducendo alla rovina la Civiltà micenea e quella ittita. Il giornalista e studioso Sergio Frau ha ipotizzato che la Civiltà nuragica sia legata al mito di Atlantide. Secondo la sua tesi, il centro della presunta Atlantide sarebbe stata la reggia nuragica di Barumini, la più imponente dell'isola. Frau riporta studi recenti condotti presso il C.N.R. dal geologo Mario Tozzi secondo cui un cataclisma naturale, forse uno Tsunami, potrebbe aver causato la distruzione di una fiorente e avanzata civiltà localizzata nel Mediterraneo occidentale. Secondo Frau, le antiche Colonne d'Ercole descritte da Platone, generalmente indentificate nello Stretto di Gibilterra, andrebbero ri-posizionate nel Canale di Sicilia. Recentemente lo studioso Mauro Peppino Zedda ha ipotizzato che i nuraghi siano stati osservatori astronomici. Le torri sarebbero state disposte secondo precise regole astronomiche e sarebbero state utilizzate per la misura del tempo e per l'osservazione della volta celeste. Lo studioso avvalora l'ipotesi della funzione sacra di questi edifici i quali sarebbero viste come templi custoditi da sacerdoti astronomi, rigettando la tesi del nuraghe-fortezza ampiamente sostenuta dal padre dell'archeologia sarda Giovanni Lilliu e dai suoi allievi. Lo studioso sostiene di aver scoperto che le torri del nuraghe trilobato Santu Antine siano state degli osservatori astronomici per mezzo dei quali era possibile osservare il sorgere del sole sia al solstizio invernale sia al solstizio estivo, e dalle stesse si poteva osservare - sempre ai solstizi - il tramonto del sole. Secondo lo studioso il nuraghe Santu Antine è « l'apparecchio realizzato a secco tecnicamente più sofisticato di tutta la superficie terrestre».. Grazie alla loro posizione - sostiene lo studioso - «gli antichi Sardi erano in grado di stabilire la scansione temporale delle stagioni e avevano riferimenti spaziali sulla terra». Al riguardo dei pozzi sacri, secondo le recenti ricerche dello studioso Arnold Lebeuf, il pozzo sacro di Santa Cristina risulta essere un elaborato osservatorio astronomico tale da suggerire che i popoli nuragici possedevano conoscenze molto avanzate per un'epoca così lontana. Solo una perfetta conoscenza delle complicate teorie lunari poteva rendere possibile il disegno e la costruzione dell'osservatorio il cui progetto è stato pianificato punto per punto prima di scavare sulla roccia.




    Sardegna fenicia e cartaginese


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    Maschera di Sileno

    I Fenici giunsero in Sardegna tra il X e l'VIII secolo a.C., periodo nel quale la civiltà nuragica era nel massimo splendore. Giunti come mercanti e non come invasori, si insediarono in alcuni punti di approdo lungo l'arco sud-occidentale della costa, approdi già abitati dai Nuragici con i quali si integrarono pacificamente, apportando in Sardegna nuove tecnologie e nuovi stili di vita, dando impulso ai commerci e favorendo la creazione di empori. I Cartaginesi giunsero nell'isola nel VI secolo a.C. con la deliberata intenzione di conquistare tutta l'isola per assoggettarla al loro dominio. Un primo tentativo di conquista fu sventato dalla vittoriosa resistenza nuragica intorno al 535 a.C. Tuttavia, a partire dalla fine del VI secolo l'isola entrò nell'orbita di Cartagine. Intorno agli originari empori commerciali gradualmente si svilupparono dei fiorenti centri urbani. Ancora oggi sono visibili i resti di antichi insediamenti, fra questi i maggiori centri di insediamento cartaginese furono Karalis, l'attuale Cagliari, Nora, Tharros e Sulki nell'isola di Sant'Antioco. Nel colle di Tuvixeddu, nell'antica Karalis, si trova la più grande necropoli fenicio-punica esistente al mondo. A Sulki si trova il tophet più grande ritrovato finora. Tra gli altri insediamenti cartaginesi ricordiamo Bithia, Neapolis, Othoca, Cornus, Sulki Tirrenica vicino Tortolie un insediamento presso l'odierna Bosa.




    Sardegna romana


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    Resti delle terme romane

    I Romani ottennero la Sardegna nel 238 a.C. al termine della Prima Guerra Punica. Nel 215 a.C., il sardo-punico Amsicora, alleato coi popoli nuragici come gli Iliensi, guidò la resistenza anti-romana, ma fu sconfitto nella battaglia di Cornus. Per lungo tempo la dominazione romana fu segnata dalla difficile convivenza con i nuragici e i fenicio-punici. Gradualmente si raggiunse una certa integrazione, anche se non furono rare le rivolte. I centri punici si romanizzarono e Karalis divenne la capitale della nuova provincia. La città crebbe e fu arricchita di monumenti, tra i quali l'esempio più notevole è probabilmente l'anfiteatro, che fino al 2011 era ancora sede di spettacoli. Nel nord dell'isola, i Romani fondarono il porto di Turris Libisonis, l'odierna Porto Torres, e fecero della cittadina cartaginese di Olbia un centro importante dotata di piazze, acquedotti e complessi termali. Nel 1999, nelle acque dell'attuale porto vecchio furono recuperati 18 relitti di navi romane, di cui due probabilmente dell'età di Nerone, testimonianza dell'importanza dello scalo portuale della città. Ancora oggi le aree urbane situate in queste località, ovvero Cagliari, Sassari e Olbia, sono le principali città dell'isola. I Romani dotarono l'isola di una rete stradale utilizzata soprattutto per mettere in comunicazione i centri della parte meridionale con il settentrione. A metà di una di queste strade, i Romani fondarono Forum Traiani (presso l'attuale Fordongianus), che divenne il principale centro militare isolano e che nel I secolo d.C. fu dotato di un complesso termale. Svilupparono la coltivazione dei cereali e la Sardegna entrò a far parte delle province granaio, insieme alla Sicilia e all'Egitto. Probabilmente, l'eredità culturale più importante del periodo romano è la lingua sarda, neolatina, composta da numerosi dialetti raggruppabili nelle varietà del logudorese e del campidanese.

    Epoca medievale - Sardegna vandala e bizantina


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    Resti di una effigie di Costantino I
    conservata nei Musei Capitolini a Roma

    Dopo la caduta dell'Impero Romano, la Sardegna fu occupata dai Vandali, che mantennero nell'isola un presidio militare per circa ottant'anni, fino alla presa di potere dei Bizantini nel 534 d.C. La dominazione bizantina consentì importanti trasformazioni sociali e culturali. Durante questo periodo, il papa Gregorio Magno portò avanti l'opera di evangelizzazione della Barbagia dove erano ancora adorate le antiche divinità nuragiche. I Barbaricini rimasero comunque sempre assai riluttanti verso i nuovi arrivati tanto che un numero assai importante di soldati limitanei vennero dislocati lungo il limes, l'antica frontiera che divideva la Romània dalla Barbària. Secondo gli storici, ci fu da parte imperiale il riconoscimento di una Sardegna barbaricina indomita e libera e secondo lo storico del medioevo sardo F.C. Casùla, in qualche modo anche statualmente conformata, forse in ducato autonomo o addirittura in regno, dove continuava ad esistere una cultura d'origine nuragica. Secondo lo storico, neanche la Romània fu comunque del tutto pacificamente acquisita. Nonostante tutto, il legame tra l'isola e Bisanzio si fece più forte col passare del tempo e la Sardegna rimase bizantina durante l'invasione della penisola italica da parte dei Longobardi. L'influenza bizantina si fece sentire in maniera particolare in ambito religioso. La Chiesa sarda dipendeva dal Patriarcato di Costantinopoli che praticava il rito greco, diverso da quello latino per alcune forme liturgiche. Tale rito venne introdotto nelle cerimonie di culto, insieme a tradizioni e feste di cui rimangono tracce ancora oggi come il culto dell'imperatore-santo Costantino I, che per i Sardi divenne Santu Antine, in onore del quale a Sedilo si tiene ancora oggi la cavalcata detta s'Ardia. La presenza dei monaci cenobiti greco-bizantini, seguaci della Regola di San Basilio, si estese fino all'interno, oltre il limes, introducendo le nuove consuetudini e diffondendo l'uso degli inni, l'usanza nelle campagne di seppellire i defunti accanto alle chiese, il costume di battezzare i figli con nomi bizantini, nonché il culto di molti santi del menologio orientale.

    Sardegna giudicale


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    Affresco di Domenico Bruschi

    Col declino dell'impero di Bisanzio, a partire dall'VIII secolo, i Sardi sull'impianto organizzativo bizantino si dettero un nuovo assetto politico. L'isola fu così divisa in quattro Giudicati indipendenti sia dall'esterno che tra loro. I giudicati erano quelli di Torres-Logudoro, di Calari, di Gallura e di Arborea ed erano retti da un giudice (judike o zuighe in sardo, judex in latino), dotato di potere di sovrano. Amministravano un territorio, chiamato logu, suddiviso in curatorie formate da più villaggi, retti da capi chiamati majores. Parte dello sfruttamento del territorio, come anche l'agricoltura, veniva gestito in modo collettivo, un'organizzazione assai moderna per l'epoca. L'aiuto portato alla Sardegna contro gli Arabi da parte delle flotte di Genova e Pisa, specie dopo il fallito tentativo di conquista dell'isola nel 1015-16 da parte di Mujāhid al-Āmirī di Denia (il Mugetto o Musetto delle cronache cristiane italiche), signore delle Baleari dopo il crollo del Califfato omayyade di al-Andalus - ebbe come conseguenza un crescente influsso delle due Repubbliche marinare. Nel 1395 la giudicessa-reggente Eleonora d'Arborea emanò la Carta de Logu, simbolo e sintesi di una concezione essenzialmente sarda del diritto, con apporti romano-bizantini e particolarmente innovativa in quei tempi in Europa. La Carta comprendeva un codice civile ed uno rurale, per complessivi 198 capitoli, e segnava una tappa fondamentale verso i diritti d'uguaglianza. Questo insieme di leggi rimase in vigore fino al 1827.

    Sardegna signorile e comunale


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    Incipit degli Statuti Sassaresi
    XIII secolo

    Nell'ambito cronologico dell'epoca giudicale è necessario menzionare a parte le vicende delle città sarde che si diedero statuti propri, sulla scia dell'esperienza dei comuni italiani. In particolare due, quella di Sassari e quella di Villa di Chiesa, appaiono rilevanti per l'importanza storica, istituzionale ed economica dei due centri. Dell'esperienza comunale sassarese (1272 circa - 1323) restano gli Statuti della città, redatti in latino e in sardo logudorese. Della vicenda di Villa di Chiesa (1258 circa - 1323), fondata da Ugolino della Gherardesca e votata all'industria mineraria argentiera, rimane testimonianza nelle leggi cittadine raccolte nel Breve di Villa di Chiesa (di cui nell'archivio storico della città è custodito un bellissimo originale in pergamena, databile presumibilmente al 1327). In generale, delle autonomie e dei privilegi cittadini sardi (benché si trattasse di comuni pazionati, ossia il cui podestà proveniva da una città egemone, in questo prima Pisa e poi Genova, anche per evitare lotte interne) rimarrà traccia successivamente nella storia del Regno di Sardegna, allorché alle città emerse dal periodo precedente (alle due sopra citate, bisogna aggiungere: Castel di Calari, Oristano, Bosa, Alghero, Castelaragonese), verranno riconosciuti particolari status giuridici che ne faranno delle città regie, ossia sottratte al dominio feudale e dipendenti direttamente dalla Corona, con propri rappresentanti specifici nel parlamento degli Stamenti. Le città in Sardegna rimarranno a lungo entità socio-politiche alquanto estranee, per non dire ostili, al territorio circostante.


    Il Regno di Sardegna aragonese


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    La Battaglia di Sanluri di G. Marghinotti

    Il Regnum Sardiniae et Corsicae ebbe inizio nominalmente nel 1297, quando papa Bonifacio VIII lo istituì per dirimere le contesa tra Angioini e Aragonesi circa il Regno di Sicilia (che aveva scatenato i moti popolari passati poi alla storia come Vespri siciliani). I regno fu realizzato territorialmente 26 anni dopo, nel 1324 quando il re Giacomo II sconfisse i Pisani nella battaglia di Lucocisterna, incamerandone i territori appartenuti alla Repubblica di Pisa. Ne seguì una guerra lunga e sanguinosa della durata di oltre novant'anni combattuta contro il Regno di Arborea i cui giudici non rinunciarono mai al sogno di unificare l'Isola sotto la loro bandiera. Dopo la sconfitta subita nella Battaglia di Sanluri il 30 giugno 1409, gli Arborensi difesero i loro territori storici, ma dopo altre sanguinose battaglie, la loro capitale Oristano si arrese nel marzo 1410. Dieci anni dopo quanto restava dell'ultimo giudicato sardo venne veduto per 100.000 fiorini d'oro - 17 agosto 1420 - ad Alfonso V d'Aragona il Magnanimo da Guglielmo III di Narbona, ultimo giudice arborense della storia. Attraverso varie fasi, la storia del Regno sardo percorre l'ultimo periodo del Medioevo sotto la Corona d'Aragona, e di Spagna poi, passando dopo la Guerra di successione spagnola, il Trattato di Utrecht, quello di Londra, e dell'Aia, alla dinastia dei Savoia nel 1720, per poi giungere alla sua conclusione tra il 1847 (Unione Perfetta con gli stati di terraferma) e il 1861, con la proclamazione del Regno d'Italia, suo erede. Il periodo che va dagli inizi del XIV secolo a circa la metà del secolo successivo rappresentò per la civiltà occidentale un periodo di transizione dal Medioevo all'età moderna. La società si svincolò dai miti e dalle tradizioni medievali avviandosi verso il Rinascimento. Ma questi cambiamenti non si riscontrarono in Sardegna: questo periodo, che ebbe inizio nel 1323/1324, corrisponde infatti all'occupazione aragonese ed è considerato da molti come il peggiore di tutta la storia dell'isola. Il cammino verso l'età moderna venne bruscamente interrotto e tutta la società isolana regredì verso un nuovo e più buio Medioevo. Le maggiori cause furono viste nelle continue guerre contro il Regno di Arborea e nel regime di privilegio, di angherie e di monopolio esclusivo di ogni potere, instaurato a proprio favore dai Catalano-aragonesi e poi dagli spagnoli.
    Una testimonianza evidente della situazione creatasi è fornita dagli stessi catalani che ancora nel 1481 e nel 1511 chiedevano al Re - nel loro Parlamento - la conferma in blocco degli antichi privilegi, ricordando che erano stati concessi «per tenir appretada e sotmesa la naciò sarda» (mantenere bisognosa e sottomessa la nazione sarda). Con il dispotismo e la confisca di tutte le ricchezze si arrestò bruscamente il processo di rinnovamento economico, culturale e sociale che i giudicati e repubbliche marinare, avevano suscitato tra il IX secolo e il XIV secolo. Gli Aragonesi esitarono a lungo prima di invadere e conquistare l'isola, e riuscirono solo dopo un secolo di guerre ad unificare il Regno di Sardegna e Corsica: inizialmente grazie alla Battaglia di Lucocisterna, dove intervennero su richiesta di Arborensi, in alleanza con Genovesi e Sassaresi, in funzione anti-pisana, successivamente dopo decenni di guerre, epidemie e trattati di pace, grazie all'acquisto per 100.000 fiorini d'oro dei territori superstiti ceduti dall'ultimo Giudice di Arborea Guglielmo III di Narbona. Durante la lotta per il predominio dell'isola il Regno di Sardegna fu composto infatti per diversi periodi unicamente dalle città di Cagliari e di Alghero. Gli alti costi umani e materiali della guerra recarono un grave danno all'economia e alla situazione sociale dell'isola, che non si riprenderà se non in tempi recenti con l'unificazione italiana, mentre la Corona d'Aragona divenne parte poco dopo dell'Impero spagnolo, entrambi processi travagliati, da farli percepire secondo alcuni studiosi come estranei o distanti dalle popolazioni. Nel periodo aragonese Leonardo Alagon, discendente dei giudici d'Arborea, per difendere la sua successione al Marchesato di Oristano scatenò una guerra di successione nobiliare, ribellandosi infine al governo aragonese. La sua vicenda ebbe inizio intorno al 1477, quando entrò in conflitto con il viceré Nicolò Carros. Quest'ultimo si adoperò affinché Giovanni II d'Aragona il senza fede condannasse Leonardo de Alagon per lesa maestà e fellonia. Questi diede così il via ad una vera e propria rivolta contro il Regno di Sardegna che dapprima vide i regnicoli subire una sconfitta nella Battaglia di Uras, e la rivolta si concluse nella battaglia di Macomer con la sconfitta dei ribelli, la morte del figlio Artale, la fuga dello stesso Alagòn e la successiva sua cattura. Morì il 3 novembre 1494 nella prigione valenziana di Xàtiva.

    La Sardegna spagnola

    Con la riconquista di Granada, avvenuta il 2 gennaio 1492, si realizzò pienamente la riunificazione dei regni iberici, assiduamente perseguita da Ferdinando II di Aragona e da Isabella di Castiglia. Dopo il loro matrimonio celebrato a Valladolid il 17 ottobre 1469 con un accordo conosciuto anche come la concordia di Segovia, nel 1475, i due sovrani fecero giuramento di non fondere le due corone in un unico Stato e ciascuna entità conservò le sue istituzioni e le sue leggi. Entrambi infatti si chiamarono: re di Castiglia, di Aragona, di León, di Sicilia, di Sardegna, di Cordova, di Murcia, di Jahen, di Algarve, di Algeciras di Gibilterra, di Napoli, conti di Barcellona, signori di Vizcaya e di Molina, duchi di Atene e di Neopatria, conti di Rossiglione e di Serdagna, marchesi di Oristano e conti del Goceano.

    La Sardegna sabauda


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    Il Regno di Sardegna

    Agli aggiustamenti territoriali seguiti alla Guerra di successione spagnola, finita nel 1713, per un brevissimo periodo, tra il 1713 ed il 1718, il regno di Sardegna passò agli Asburgo austriaci, dopo il trattato di Utrecht del 1713 che sancì la separazione della Spagna dal suo impero. Filippo V di Spagna nel 1717 occupò Sardegna e Sicilia. Il trattato di Londra del 2 agosto 1718 assegnò il Regno al duca di Savoia, Vittorio Amedeo II. Nonostante diverse iniziative di ammodernamento, non avvenne però un sostaziale cambiamento della situazione economica della popolazione del regno di Sardegna, soprattutto per la opprimente presenza feudale, sulla quale non si effettuò alcun intervento in quanto i Savoia, nel trattato di cessione del regno, si impegnarono di mantenere gli antichi privilegi feudali. La situazione di povertà non si ridusse ed il malcontento accrebbe i movimenti di rivolta. Iniziarono ribellioni e sommosse che sconvolsero tutta la Sardegna e si accentuarono soprattutto con i grandi moti antifeudali e antipiemontesi del 1783. Nel 1789 numerosi villaggi si rifiutarono di pagare i tributi feudali, provocando un nuovo intervento repressivo, in difesa degli interessi feudali, per riportare con la forza l'ordine. Il movimento di protesta della popolazione iniziò ad avere anche l'appoggio di intellettuali e uomini di cultura, soprattutto dopo il 1789, anche per l'effetto della Rivoluzione Francese. Dopo la rivoluzione, la Francia repubblicana diffuse i principi di libertà, fratellanza e uguaglianza in tutta Europa. Nel 1793 la flotta francese agli ordini dell'amiraglio Truguet occupò Carloforte e Sant'Antioco, sbarcò in territorio di Quartu e attaccò il porto di Cagliari. Con un'abile propaganda, aristocrazia e clero convinsero la popolazione della pericolosità dei francesi, che indicarono come nemici della religione, violenti e schiavisti. La propaganda ottenne il risultato voluto e i volontari sardi respinsero le truppe francesi. Questi episodi di resistenza all'attacco francese, proprio mentre le truppe piemontesi incontravano serie difficoltà sulla terraferma, crearono l'illusione che il governo sabaudo potesse concedere alle classi dirigenti sarde una gestione più indipendente della Sardegna. Vennero mandati dei delegati a Torino per avanzare a Vittorio Amedeo III delle richieste precise, sintetizzate nelle cosiddette cinque domande, un vero programma costituzionale. Queste consistevano nella convocazione del Parlamento mai più convocato dall'arrivo dei Piemontesi, la riconferma degli antichi privilegi dei quali aveva sempre goduto il Popolo Sardo, la nomina negli impieghi civili e militari e nelle cariche ecclesiastiche esclusivamente di sardi, l'istituzione a Torino di un Ministero per la Sardegna e a Cagliari di un Consiglio di Stato per i controlli di legittimità. I delegati vennero tenuti a Torino per mesi, senza ottenere risposte, mentre in Sardegna cresceva la tensione. Il rifiuto regio delle richieste dei sei rappresentanti degli Stamenti Sardi, provocò il 28 aprile 1794 una ribellione fra i notabili ed il popolo di Cagliari che catturarono il viceré e tutti i funzionari piemontesi, cacciandoli dopo due giorni dalla città per mare: la data viene oggi commemorata come Sa die de sa Sardigna. La ribellione ebbe seguito in altre città e paesi dell'isola, come Oristano, Bosa, Milis e Bauladu. Approfittando dei sommovimenti locali e dei sentimenti generati dalla Rivoluzione francese, la nobilità ed i feudatari sassaresi sfruttarono l'occasione per chiedere al Re l'autonomia da Cagliari. Questo provocò la reazione dei cagliaritani, che cercarono l'appoggio dei vassalli locali, e degli abitanti di tutto il Logudoro per manifestare a Sassari il 28 dicembre 1795 cantando il famoso inno Su patriottu sardu a sos feudatarios. In questa situazione emerse la personalità di Giovanni Maria Angioy, giudice della Reale Udienza, già distintosi nell'azione di difesa della Sardegna nel 1793 con le operazioni che portarono alla cacciata dall'isola delle squadre navali francesi. Il viceré Filippo Vivalda, preoccupato di una possibile degenerazione in rivolta della protesta, inviò Giommaria Angioy a Sassari con la carica di alternòs, ovvero il rappresentante del governo sardo con gli stessi poteri viceregi, dove fu accolto come un liberatore. Angioy cercò per tre mesi di riconciliare feudatari e vassalli, ma quando si rese conto del diminuito interesse e del diminuito sostegno governativo e cagliaritano, lavorò ad un piano eversivo con emissari francesi, mentre Napoleone Bonaparte invadeva la penisola italiana. Tuttavia con l'armistizio di Cherasco e la successiva Pace di Parigi del 1796 venne meno ogni possibile sostegno esterno, decise di effettuare una marcia antifeudale su Cagliari. A questo punto dal viceré gli vennero revocati i poteri di alternòs e dovette arrestare la sua marcia a Oristano l'8 giugno, dopo esser stato abbandonato dai suoi sostenitori dopo che il Re ebbe accettato lo stesso giorno le citate cinque richieste degli Stamenti Sardi; in seguito dovette abbandonare la Sardegna e si rifugiò a Parigi, dove cercò consensi per invadere militarmente l'isola e metterla sotto la protezione della Francia. Qui morì in povertà nel 1808. Sull'isola l'ordine veniva ripristinato con le armi. Furono assediati e presi d'assalto i villaggi che resistevano e furono condannati a morte tutti i capi e i maggiori esponenti del moto rivoluzionario che si riuscì a catturare. Nel 1799 le truppe francesi occuparono il Piemonte costringendo i Savoia a riparare in Sardegna dove rimasero fino al 1814 dopo la sconfitta di Napoleone Bonaparte. Diversi funzionari, borghesi e popolani continuarono anche in seguito al 1796 e alla sconfitta dell'Angioy a perseguire piani di rivolta: nell'isola si verificarono diversi tentativi di insurrezione, fra cui quelli di Vincenzo Sulis, Gerolamo Podda, Francesco Cilocco, il parroco di Terralba Francesco Corda, ed altri di ispirazione rivoluzionaria e giacobina che tentarono di proclamare una repubblica sarda, ma vennero uccisi come rivoltosi in conflitto a fuoco o condannati a morte. La presenza del Sovrano nell'isola non attenuò il malcontento generale che sfociò nel 1812, durante un anno di terribile carestia, nel tentativo di insurrezione noto come Congiura di Palabanda, guidato dall'avvocato Salvatore Cadeddu, che venne stroncato con durezza e si concluse con le esecuzioni di Giovanni Putzolu, Raimondo Sorgia e dello stesso Cadeddu. I Savoia intrapresero una politica di gestione del territorio e di sfruttamento delle risorse, ad esempio col disboscamento per la produzione di carbone, creazione di pascoli e legname per traversine. Per stimolare la produzione agricola come in altre parti d'Europa, nel 1820 Vittorio Emanuele I promulgò l'Editto delle chiudende, con il quale autorizzò la chiusura, con siepi o muri, delle terre comuni. Si consentì quindi, spesso a vantaggio dei latifondisti, la creazione della proprietà privata cancellando la proprietà collettiva dei terreni, tipica dell'isola. Nel 1833 venne giustiziato a Torino il patriota sassarese Efisio Tola, primo martire della causa di unificazione repubblicana propugnata da Giuseppe Mazzini con la Giovine Italia.

    La Sardegna contemporanea

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    Vista di alcune zone di Cagliari e parte dell'area metropolitana

    Nel 1847 venne sancita la Fusione perfetta della Sardegna con tutti i possedimenti della Casa Savoia, producendo come effetto l'estensione anche all'isola dello Statuto Albertino. L'atto, richiesto dai ceti dirigenti di Cagliari e Sassari per ottenere parità di diritti, comportò la rinuncia delle ultime vestigia statuali acquisite in periodo iberico (carica vicereale, parlamento degli Stamenti, suprema corte della Reale Udienza), e l'unione amministrativa e politica con gli Stati di Terraferma. Lo Stato unitario evolverà poi, quattordici anni dopo nel 1861, nel Regno d'Italia, considerato una prosecuzione ideale e giuridica del Regno di Sardegna, il cui inno ufficiale resterà (unitamente alla Marcia Reale) S'hymnu sardu nationale. A seguito della cessione della città natale di Nizza alla Francia, Giuseppe Garibaldi si trasferì nell'isola di Caprera (avendone acquistato la metà settentrionale prima, quella meridionale poi), dove morirà nel 1882 dopo avervi trascorso gli ultimi vent'anni della propria vita, e la cui Casa bianca è oggi un museo fra i più conosciuti e visitati in tutta Italia. La Sardegna a cavallo fra ottocento e novecento non risulta una regione economicamente strategica dell'Italia unita, risentendo delle generali problematiche del mezzogiorno e della priorità di sviluppo del triangolo industriale. La debole modernizzazione e i conflitti commerciali con altri paesi europei, specie con la Francia, ne danneggiarono l'assetto produttivo e sociale. A ciò si accompagnò il fenomeno del banditismo. Contemporaneamente però emersero anche pulsioni e espressioni culturali di grande attualità e livello assoluto, fra tutti rappresentate da Antonio Gramsci e Grazia Deledda. Nella grande guerra i soldati sardi si distinsero in particolar modo fra le fila della Brigata Sassari. Alla fine del conflitto per la delusione sui risultati ottenuti e per la loro nuova condizione di ex-combattenti nacquero nuovi fermenti politici, che con Emilio Lussu portarono alla nascita del Partito Sardo d'Azione. Durante il fascismo, al fine di incentivare la politica dell'autarchia, vennero incrementate le attività estrattive e realizzate una serie di infrastrutture e bonifiche di numerose paludi; vennero poi fondate alcune città come quella mineraria di Carbonia e quelle agricole di Arborea (al tempo chiamata Mussolinia) e di Fertilia, popolate anche da oltre Tirreno, in particolar modo da veneti, friulani, dalmati e istriani.

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    Veduta del piccolo golfo di
    Pischina Salida, Alghero
    Durante la guerra subì pesanti bombardamenti a danno degli Alleati, ma dopo l'8 settembre 1943 riuscì a sottrarsi alla guerra civile tra repubblicani e partigiani; i soldati tedeschi vennero evacuati attraverso la Corsica, e la Sardegna col resto del mezzogiorno diventò parte del Regno del Sud e restò sotto il controllo dell'esercito americano fino alla fine delle ostilità. Con la conclusione della seconda guerra mondiale, insieme alla Costituzione repubblicana, viene promulgato lo Statuto Speciale di Autonomia, il secondo dopo la Sicilia e oggi esteso in totale a cinque regioni. Il dopoguerra, caratterizzato dalla sconfitta della malaria grazie alla Fondazione Rockefeller, e dalle richieste e rivendicazioni economiche, vede l'affermarsi della politica dei Piani di Rinascita, misure legislative speciali per il finanziamento dell'industrializzazione della Sardegna (a Porto Torres, Ottana, Portovesme e Sarroch), insieme alle politiche di infrastrutturazione e abitative, ma anche l'installazione di diverse servitù militari per un totale di migliaia di ettari occupati in parte legate alle vicende della guerra fredda e all'alleanza con la NATO. Persistono le piaghe degli incendi, della siccità, ora molto attenuata, e dei sequestri di persona, scomparsi solo negli anni novanta. Col miracolo economico italiano si verifica a uno storico movimento migratorio interno verso le coste e le aree urbane di Cagliari, Sassari-Alghero-Porto Torres e Olbia, che raccolgono oggi gran parte della popolazione sarda. Cresce e si afferma il settore turistico, fino a fare dell'isola una delle mete più conosciute a livello italiano e internazionale, in particolare grazie alla Costa Smeralda. Rimangono inoltre sempre vivi i fermenti culturali e le tradizioni popolari, come la nascita di talenti artistici e letterari e di figure politiche ai massimi livelli, fra cui Antonio Segni, Enrico Berlinguer e Francesco Cossiga. Alla fine del XX secolo la Sardegna si attesta economicamente a metà fra strada fra centro e sud Italia, con un reddito medio pro capite simile a quello dell'Abruzzo, poco inferiore alla media europea. Altri indicatori ne sanzionano gli innegabili progressi sia economici, sia sociali, ma non annullano le oggettive difficoltà di crescita e sviluppo organico ancora presenti. Negli anni recenti, le nuove tecnologie informatiche, e il miglioramento dei trasporti, specie quelli aerei con le compagnie aeree a basso costo, hanno attenuato la condizione di insularità e contribuito a innovare e diversificare l'economia locale.

    Ambiente naturale


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    Lecci e graniti (Nuoro)

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    Punta pala 'e casteddu (Nuoro)

    Per estensione, la Sardegna è la terza regione italiana e la seconda isola del Mediterraneo. Il suo paesaggio naturale alterna profili montuosi dalla morfologia suggestiva a macchie e foreste, stagni e lagune a torrenti tumultuosi che formano gole e cascate, lunghe spiagge sabbiose a scogliere frastagliate e falesie a strapiombo. Le formazioni calcaree costituiscono il 10% della sua superficie e sono frequenti i fenomeni carsici nei settori centro-orientale e sud-occidentale, con la formazione di grotte, voragini, doline, laghi sotterranei, sorgenti carsiche, come quelle di Su Gologone di Oliena e di Su Marmuri di Ulassai. Suggestive sono le formazioni rocciose granitiche, caratterizzate da guglie frastagliate che la continua erosione degli agenti atmosferici ha spesso modellato, creando delle singolari sculture sparse su tutta l'isola, come l'Orso di Palau, l'Elefante di Castelsardo, il Fungo di Arzachena, sa Conca a Nuoro nel Monte Ortobene per citarne alcuni. Anche se il varo di alcuni parchi procede con qualche difficoltà, sono sotto tutela alcuni dei più importanti tratti della costa e ampi territori dell'interno. Questo patrimonio naturale si integra con quello storico e culturale, rappresentato dagli antichi siti d'interesse archeologico e dai resti dei più recenti complessi dell'attività mineraria. La Regione Autonoma per conservare e valorizzare questo patrimonio unico, con la legge n. 31 del 7 giugno 1989 ha definito le aree protette sottoposte a tutela. Complessivamente si contano: 2 parchi nazionali, 2 parchi regionali, 60 riserve naturali, 19 monumenti naturali, 16 aree di rilevante interesse naturalistico, 5 oasi del WWF. Dal 1985 la Sardegna è dotata di un corpo forestale proprio, denominato Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale della Regione Sardegna.


    Fauna terrestre


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    Muflone

    Il patrimonio faunistico annovera diversi esempi di specie di grande interesse. La fauna dei Vertebrati superiori mostra analogie e differenziazioni rispetto a quella del continente europeo. Le analogie si devono alla migrazione nel corso delle glaciazioni oppure all'introduzione da parte dell'uomo nel Neolitico o in epoche più recenti. Le differenziazioni si devono invece al lungo isolamento geografico che ha originato neo-endemismi a livello di sottospecie o, più raramente, di specie. Le popolazioni dei grandi mammiferi erbivori (Cervidi e Muflone) hanno subito una drastica contrazione, arrivando a vere e proprie emergenze fino agli settanta, ma negli ultimi decenni hanno ripreso una sensibile crescita grazie alle azioni di tutela. Il Cinghiale sardo invece è ampiamente diffuso e così pure diverse specie di Roditori e Lagomorfi. I predatori più grandi sono la comune volpe sarda e il raro gatto selvatico sardo, ai quali si affiancano i piccoli carnivori come i Mustelidi. Tra i mammiferi, particolare curiosità desta una variante dell'asino domestico, ossia l'asinello bianco, presente solo in Sardegna e più precisamente sull'isola dell'Asinara (se ne contano circa 90 esemplari), ma anche il caratteristico Cavallino della Giara (Equus caballus Giarae), una specie di cavallo endemica, di origine incerta, o molto probabilmente importati dai naviganti Fenici o Greci nel V-IV secolo a.C.

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    Asinelli bianchi sull'isola dell'Asinara
    L'interesse per l'avifauna si articola in tre contesti: i rapaci, l'avifauna delle aree umide e quella delle scogliere. I rapaci sono rappresentati da quasi tutte le specie europee, fra le quali ci sono alcune sottospecie endemiche. Si sono purtroppo estinte due specie di avvoltoi e sopravvivono solo nei territori di Bosa e Alghero alcune colonie di grifoni. L'avifauna delle zone umide vanta un lungo elenco di specie, molte minacciate dalla forte contrazione dell'habitat. L'elevato numero di stagni costieri e lagune (circa 12.000 ettari, pari al 10% del patrimonio italiano) fa sì che questa regione, annoveri ben otto siti di Ramsar (secondo posto in Italia, dopo l'Emilia-Romagna). Il simbolo di questa fauna è il fenicottero maggiore, che in alcuni stagni forma colonie di migliaia di esemplari. Questa specie, storicamente svernante negli stagni sardi, da diversi anni è anche nidificante. Dei 1.897 km di coste, il 76% è costituito da scogliere e da un grande numero di isole e scogli. È questo il regno degli uccelli marini, che possono formare colonie di migliaia di individui. Fra le specie di maggiore interesse c'è il rarissimo gabbiano corso. Ci sono infine 4 sottospecie endemiche di uccelli che sono il fringuello (f.c. sarda), il Picchio rosso maggiore (d. m. ssp. harterti), la cinciallegra (P. m. ssp. ecki) e la ghiandaia (g.g. ssp ichnusae).I vertebrati terrestri minori comprendono Rettili e Anfibi fra i quali si annoverano molti importanti endemismi tirrenici, sardo-corsi o sardi. Di questi, alcuni hanno una marcata ed esclusiva localizzazione geografica.


    Flora terrestre


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    Urospermum dalechampii

    La vegetazione spontanea è tipicamente mediterranea. Le zone fitoclimatiche presenti in Sardegna si limitano al Lauretum e alla sottozona calda del Castanetum, quest'ultima limitata alle aree interne e montuose più fredde. La vegetazione boschiva è perciò rappresentata in gran parte da macchia mediterranea e foresta sempreverde e solo oltre i 1.000 metri è significativa la frequenza delle specie caducifoglie del Castanetum. L'essenza prevalente è il leccio, accompagnato e in parte sostituito dalla roverella nelle stazioni più fredde, e dalla sughera in quelle più calde. Nelle stazioni fredde persistono inoltre relitti di un'antica flora del Cenozoico (tasso, agrifoglio, acero trilobo). Sulla sommità dei rilievi metamorfici del Paleozoico, a 1.000-1900 metri, si sviluppano steppe e garighe assimilabili alla flora alpina che, nelle altre regioni, occupa quote di 2.500-3.500 metri. La copertura boschiva è ciò che resta di intensi disboscamenti che hanno raggiunto il suo culmine nella seconda metà del XIX secolo. Il passaggio di vasti territori dalla Cassa Ademprivile al Demanio dello Stato e, in seguito, all'ex A.F.D.R.S. ha permesso la salvaguardia e la lenta ricostituzione del patrimonio boschivo residuo, nonostante la minaccia annuale degli incendi. Il grave degrado di vaste aree espone l'isola alla desertificazione, ma il patrimonio boschivo vanta alcune peculiarità, come la macchia-foresta del Sulcis, ritenuta la più vasta d'Europa, la Foresta demaniale di Montes, una delle ultime leccete primarie del Mediterraneo. L'opera di tutela e recupero del patrimonio residuo, oggi pone la Sardegna come la regione italiana con maggiore superficie forestale, con 1.213.250 ettari di boschi (secondo i dati dell'Inventario nazionale foreste e carbonio del Corpo forestale dello Stato, pubblicati nel maggio 2007)[34]. Di grande interesse botanico, per gli endemismi e le rarità, sono anche le associazioni floristiche minori che popolano gli stagni costieri, i litorali sabbiosi e le scogliere.

    Flora e fauna acquatiche

    I paesaggi sommersi sono molto complessi e ricchi di colori per la varietà di pesci, spugne e coralli e sono caratterizzati dalla straordinaria limpidezza dell'acqua. La maggior quantità di luce che raggiunge il fondale consente alla posidonia di crescere ben più profonda rispetto al suo limite naturale. Questo enorme polmone verde produce ossigeno e ospita una grande varietà di forme di vita che crescono e si riproducono, cercando riparo nella vegetazione marina. Il segno inequivocabile della presenza delle praterie di posidonia, sono i caratteristici mucchi di alghe che talvolta si trovano abbondanti sulle spiagge. Un cenno particolare va fatto alla foca monaca. A lungo perseguitata dai pescatori e disturbata dai vacanzieri, si ritiene ormai estinta. L'ultima riproduzione documentata risale al 1978, mentre in seguito sono stati documentati avvistamenti attribuibili a giovani in deriva.

    Gli endemismi

    L'ambiente naturale sardo è caratterizzato da un elevato numero di endemismi. Alcuni di questi sono paleoendemismi ossia relitti della fauna e della flora ancestrale risalente al Cenozoico prima del distacco della placca sardo-corsa dal continente europeo; queste specie, veri e propri fossili viventi, si sono anticamente estinte nelle terre continentali mentre sono sopravvissute in condizioni particolari in Sardegna. La maggior parte delle specie endemiche sono invece neoendemismi, prodotti da un'evoluzione differenziale a partire dal Neozoico o da epoche più recenti, grazie all'isolamento geografico. Gli endemismi botanici accertati sono oltre 220 e rappresentano circa il 10% di tutta la flora sarda. Alcuni di questi sono delle vere rarità anche per il basso numero di esemplari e per la limitatissima estensione dell'areale, in alcuni casi ridotto a pochi ettari. Nel 2002 nelle grotte del Gennargentu è stato scoperto il Plecotus sardus, una specie endemica di pipistrello.

    Grotte naturali


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    Grotte di Nettuno ad Alghero

    Le rocce della Sardegna sono ritenute tra le più antiche d'Italia. Le formazioni carsiche coprono un'area abbastanza ristretta in rapporto a quelle granitiche o metallifere e costituiscono il 6% della superficie totale, ossia 1500 km². Le formazioni geologiche più antiche risalgono al periodo Paleozoico, ma altre formazioni sono apparse in periodi successivi, nel Mesozoico, nel Terziario e nel Quaternario, contribuendo alla creazione di una rimarchevole varietà di formazioni rocciose. Molte grotte sono state scoperte per azzardo da archeologi alla ricerca di manufatti appartenuti alle antiche civiltà, o da geologi alla ricerca di falde acquifere per migliorare l'approvvigionamento idrico, o da minatori durante lavori in miniera. Il patrimonio speleologico sardo comprende attualmente più di 1500 grotte. L'area del Supramonte è sicuramente quella più ricca insieme alla zona del Sulcis-Iglesiente e al promontorio di Capo Caccia. Tra quelle sommerse, la Grotta di Nereo è ritenuta la più vasta in tutto il Mediterraneo. Le grotte litoranee più conosciute sono le Grotte di Nettuno ad Alghero e la grotta del Bue Marino a Cala Gonone. Fra quelle terrestri, sono particolarmente suggestive quelle di Sa Oche-Su Bentu a Oliena, Is Zuddas a Santadi, Su Mannau a Fluminimaggiore, la grotta di Su Marmuri ad Ulassai, quella di Ispinigoli presso Dorgali, di San Giovanni presso Domusnovas, e la grotta di santa maria nel Sulcis per citarne alcune.


    Parchi e riserve naturali

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    Parco nazionale dell'Asinara

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    Area naturale marina protetta
    Capo Caccia - Isola Piana

    • Parco nazionale Arcipelago di La Maddalena
    • Parco nazionale dell'Asinara
    • Parco nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu
    • Parco naturale regionale di Porto Conte
    • Parco naturale regionale Molentargius - Saline
    • Parco naturale regionale del Limbara (non ancora istituito)
    • Parco naturale regionale dei Sette Fratelli - Monte Genis (non ancora istituito)
    • Parco naturale regionale del Sulcis (non ancora istituito)
    • Parco naturale regionale del Marghine - Goceano (non ancora istituito)
    • Parco naturale regionale del Sinis - Montiferru (non ancora istituito)
    • Parco naturale regionale del Monte Arci (non ancora istituito)
    • Parco naturale regionale della Giara di Gesturi (non ancora istituito)
    • Parco naturale regionale del Monte Linas - Marganai (non ancora istituito)
    • Area naturale marina protetta Capo Caccia - Isola Piana
    • Area naturale marina protetta Capo Carbonara
    • Area naturale marina protetta Penisola del Sinis - Isola Mal di Ventre
    • Area naturale marina protetta Tavolara - Punta Coda Cavallo

    All'elenco si aggiunge inoltre il Santuario per i mammiferi marini, che si estende in una porzione del Mediterraneo che coinvolge tre regioni italiane (Liguria, Toscana e Sardegna), la Francia e il Principato di Monaco.


    Edited by Isabel - 15/7/2013, 10:16
     
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    Cultura

    Varie ipotesi si sono fatte sull'origine dei primi abitanti dell'Isola. L'interpretazione della variabilità genetica li fa derivare in larga parte da gruppi di genti giunte in Sardegna dal continente europeo attraverso varie migrazioni nel paleolitico e nel neolitico. Secondo alcune interpretazioni linguistiche gli antichi Sardi erano eredi, come i baschi, dell'antica cultura pre-indoeuropea della cosiddetta vecchia Europa; secondo altre, corroborate anche da recenti ritrovamenti archeologici, nell'Isola erano presenti popolazioni contraddistinte sia da parlate indoeuropee che pre-indoeuropee fra cui la lingua sardiana che alcune teorie descrivono come una lingua affine a quella etrusca; Queste popolazioni, benché differenti fra loro per usi e costumi, col passare dei secoli svilupparono una certa uniformità, alterata di volta in volta dall'arrivo di genti fenicio-puniche, romane e vandaliche.

    Archeologia


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    Colonne romane a Tharros

    I primi insediamenti preistorici della Sardegna risalgono al Paleolitico Inferiore (500.000-350.000 anni fa) secondo gli archeologi che nel 1979-1980 scoprirono un'industria litica presso il rio Altana a Perfugas in Anglona. Nel IV millennio a.C. si sviluppò la prima espressione culturale, di cui si trovano tracce in tutta l'isola, la Cultura di Ozieri. I ritrovamenti archeologici conservati nei più importanti musei isolani, hanno messo in risalto quale notevole progresso sociale e culturale conseguirono le popolazioni preistoriche sarde. Nel II millennio a.C. le testimonianze archeologiche della civiltà nuragica sono innumerevoli e lo sviluppo di una civiltà frammentata in cantoni hanno lasciato sull'isola importanti e numerose vestigia. I Fenici frequentarono assiduamente la Sardegna introducendovi urbanesimo e scrittura. Cartagine e Roma se la contesero lasciandovi tracce indelebili. Sin dalla nascita dell'archeologia il territorio sardo fu ritenuto di grande interesse per i primi ricercatori. Nell'Ottocento, il canonico Giovanni Spano diede inizio all'esplorazione dei maggiori siti, descrivendo poi le sue scoperte nel Bullettino archeologico sardo. Nei primi del Novecento, l'archeologo Antonio Taramelli intraprese una serie di scavi nel sud dell'isola, e la sua attività di recupero ed individuazione di nuovi siti continuò per circa trent'anni. Nel dopoguerra Giovanni Lilliu con diverse campagne di scavo aveva portato alla luce il villaggio nuragico Su Nuraxi, concorrendo ad aprire nuovie prospettive e conoscenze sulla storia degli antichi Sardi. Attualmente sono in corso su tutto il territorio numerose campagne di scavi, ma la carenza di finanziamenti e la mole enorme dei siti ancora da riportare alla luce scontentano non poco gli isolani, desiderosi di conoscere meglio la loro antichissima storia, in parte ancora avvolta nel mistero.


    Architettura


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    Architettura gotico-catalana
    campanile della cattedrale di
    Santa Maria ad Alghero

    Dell'architettura preistorica in Sardegna sono presenti numerose testimonianze come le Domus de janas (tombe ipogeiche), le tombe dei giganti, i circoli megalitici, e poi menhir, dolmen, templi a pozzo. Tuttavia l'elemento che più di ogni altro caratterizza il paesaggio preistorico sardo sono i nuraghi che si trovano numerosi e in varie tipologie. Si stima che vi siano all'incirca 500 villaggi nuragici, in genere fortificati, di cui l'esempio prominente è Su Nuraxi di Barumini. Numerose sono anche le tracce lasciate dai fenici che introdussero sulle coste nuove forme urbane. I Romani diedero un assetto organizzativo all'intera isola con la realizzazione di una rete stradale, la strutturazione di diverse città e la realizzazione di numerose infrastrutture di cui rimangono i resti di teatri, terme, templi religiosi, ponti, ecc. Anche dell'epoca protocristiana e bizantina rimangono diverse testimonianze in tutto il territorio sia sulle coste che all'interno. Una particolare attenzione merita il periodo giudicale durante il quale, grazie alla sicurezza del Mediterraneo garantita dalle flotte delle Repubbliche Marinare, a seguito del prosperare delle attività commerciali, si sviluppò il romanico. Il primo edificio romanico dell'isola fu la basilica di San Gavino a Porto Torres nel Giudicato di Torres.
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    Particolare della facciata della
    Chiesa di Nostra Signora di Tergu (SS)
    La costruzione voluta dal giudice Gonnario Comita de Lacon-Gunale ebbe inizio prima del 1038, e nell'occasione furono impiegate maestranze provenienti da Pisa. La basilica fu completata durante il regno del figlio Torchitorio Barisone I de Lacon-Gunale intorno al 1065. I sovrani dei regni giudicali, dal 1063 in poi, attraverso cospicue donazioni, favorirono l'arrivo nell'isola di monaci di diversi ordini da varie regioni della penisola italiana e della Francia. Queste circostanze portarono in breve tempo ad operare nell'isola maestranze di diversa provenienza: pisani, lombardi e provenzali, ma anche di cultura araba, provenienti dalla penisola iberica, dando luogo al manifestarsi di espressioni artistiche inedite, caratterizzate dalla fusione di queste esperienze. Dopo la metà del XII secolo, l'architettura romanica sarda sarà contrassegnata sempre più dallo stretto legame con Pisa, tendente a farsi più esclusivo a causa della maggiore ingerenza dei mercanti pisani nell'economia sarda e nelle politiche interne dei sovrani giudicali. Successivamente gli Aragonesi introdurranno forme di architettura gotico-catalane, di cui il Santuario di Nostra Signora di Bonaria ne costituì il primo esempio. L'architettura rinascimentale è scarsamente rappresentata in Sardegna, al contrario quella barocca ha trovato ampio risalto, esempi interessanti sono la Collegiata di Sant'Anna a Cagliari e la facciata della cattedrale di San Nicola a Sassari. A partire dal XIX secolo, grazie alle nuove idee ed esperienze importate da alcuni architetti sardi formatisi a Torino, si diffondono nell'isola nuove forme architettoniche di ispirazione neoclassica.
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    Affreschi all'interno della
    Basilica della Santissima Trinità
    di Saccargia (SS)
    Tra le figure più importanti di questa fase architettonica e urbanistica è da citare quella dell'architetto cagliaritano Gaetano Cima, le cui opere sono disseminate in tutto il territorio sardo. Nella seconda metà dell'800 a Sassari fu realizzato il neogotico palazzo Giordano (1878) che rappresenta uno dei primi esempi di revivalismo nell'isola, mentre risale al 1933 la facciata neoromanica della cattedrale di Cagliari. Un interessante realizzazione di gusto eclettico, derivato dal connubio fra ispirazioni a modelli revivalisti e liberty, risulta essere il palazzo Civico di Cagliari, completato nei primi del novecento. Il liberty e il Decò troveranno spazio soprattutto nei nuovi palazzi delle famiglie alto-borghesi oltreché negli edifici pubblici. L'avvento del fascismo influenzerà fortemente negli anni venti e trenta l'architettura italiana; anche in Sardegna, in particolar modo nelle città di nuova fondazione, verranno realizzate diverse costruzioni di stile razionalista e monumentale. Esistono inoltre diverse tipologie abitative tradizionali come la casa alta delle zone collinari e montane, costruite in pietra e legno, e le case a corte in ladiri (mattone in terra cruda) del Campidano. E diverse tipologie insediative come per esempio gli stazzi in Gallura, i furriadroxius e i medaus nel Sulcis Iglesiente.


    Arte


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    Sculture di Costantino Nivola
    in Piazza Sebastiano Satta a Nuoro

    Il Neolitico fu il periodo in cui si rilevano le prime manifestazioni artistiche. Numerosi ritrovamenti delle tipiche statuine della Dea Madre e di ceramiche incise con disegni geometrici testimoniano le espressioni artistiche della preistoria sarda. Successivamente la Cultura nuragica produrrà le innumerevoli statuine in bronzo e l'enigmatica statuaria in pietra dei Giganti di Monti Prama. Il connubio tra le popolazioni nuragiche e i mercanti fenici portò ad una raffinata produzione di gioielli in oro, anelli, orecchini e monili di ogni genere, ma anche ceramiche, stele votive e decorazioni parietali. Oltre all'architettura legata alle opere pubbliche, i Romani introdussero i mosaici e ornarono con sculture e pitture le ricche ville dei patrizi. Nel Medioevo, durante il periodo giudicale, le architetture delle chiese romaniche furono arricchite di capitelli, di sarcofagi, di affreschi, di altari in marmo impreziositi successivamente da retabli, dipinti da importanti pittori come il Maestro di Castelsardo e il Maestro di Ozieri. Nel XIX secolo, per poi proseguire nel Novecento, si affermano nell'immaginario collettivo i miti della genuinità del popolo sardo, di un'isola incontaminata e fuori dal tempo, raccontata dai tanti viaggiatori che visitarono la Sardegna in quel periodo, tali miti verranno celebrati prevalentemente da molti artisti sardi, quali Giuseppe Biasi, Francesco Ciusa, Filippo Figari, Mario Delitala. Nelle loro opere racconteranno i valori autoctoni del mondo agro pastorale, non ancora omologati alla modernità che premeva dall'esterno. Altri artisti importanti della seconda metà del Novecento sardo sono Costantino Nivola e Pinuccio Sciola.

    Letteratura

    Non esiste una letteratura in sardo risalente al medioevo. Dell'epoca giudicale infatti esistono diversi documenti in lingua sarda costituita da atti e documenti giuridici. Fra questi un cospicuo patrimonio è costituito dai condaghes. La prima opera letteraria in sardo risale alla seconda metà del Quattrocento, si tratta di un poemetto ispirato alla vita dei santi martiri turritani ad opera dall'arcivescovo di Sassari Antonio Cano. Il religioso parlava e scriveva anche altre lingue e questo plurilinguismo era comune anche ad Antonio Lo Frasso, Sigismondo Arquer, Giovanni Francesco Fara, Pietro Delitala. Così mentre Lo Frasso scrive i suoi poemi in spagnolo, Delitala sceglie di scrivere in lingua italiana, o per meglio dire, toscana e Gerolamo Araolla scrive nelle tre lingue. Nel Seicento si ha una maggiore integrazione nel mondo iberico come dimostrato dalle opere in spagnolo del poeta Giuseppe Delitala y Castelvì e Josè Zatrilla, mentre quelle di Francesco Vidal mostrano interesse verso la lingua sarda. Nel Settecento la crisi dell'Impero spagnolo riporta la Sardegna nell'orbita italiana. La corona del regno passa ai Savoia che diventano re, mentre le idee dell'Illuminismo, insieme all'aumento dell'istruzione e della cultura, grazie anche a strutture pubbliche, formano una generazione che darà vita successivamente ai moti rivoluzionari sardi. Nell'Ottocento i sardi riscoprono la Sardegna. Giovanni Spano intraprende i primi scavi archeologici, Giuseppe Manno scrive la prima grande storia generale dell'isola, Pasquale Tola pubblica importanti documenti del passato, Pietro Martini scrive biografie di sardi illustri. Alberto La Marmora percorre l'isola in lungo in largo, studiandola nei particolari e scrivendo un'imponente opera in quattro parti intitolata Voyage en Sardaigne, pubblicata a Parigi e poi introdotta negli ambienti colti europei. È questo il periodo in cui numerosi viaggiatori visitano le città e le contrade isolane. Nel corso del secolo giungono in Sardegna Alphonse de Lamartine, Honoré de Balzac, Antonio Bresciani, Emanuel Domenech, Paolo Mantegazza, Gustave Jourdan per citarne alcuni. Nei primi del Novecento la società sarda viene mirabilmente raccontata da Enrico Costa, dal poeta Sebastiano Satta e da Grazia Deledda, quest'ultima insignita del Nobel per la letteratura nel 1926. In questo secolo accanto alla cultura letteraria va ricordata l'esperienza politica di personaggi di grande valore come Antonio Gramsci ed Emilio Lussu. Nel secondo dopoguerra emersero figure come Giuseppe Dessì con il suo Paese d'ombre. In anni più recenti vasta eco ebbero i romanzi autobiografici di Gavino Ledda Padre padrone e di Salvatore Satta Il giorno del giudizio, oltre alle opere di Sergio Atzeni, Salvatore Mannuzzu, Maria Giacobbe, Salvatore Niffoi per citarne alcuni.

    Musica

    La musica tradizionale sarda sia cantata che strumentale è molto antica. In un vaso risalente alla cultura di Ozieri, circa 3.000 anni a.C., sono raffigurante scene di danza. La caratteristica danza sarda chiamata su ballu tundu viene accompagnata dal suono delle launeddas, un antico strumento formato essenzialmente da tre canne palustri e suonato con la tecnica del fiato continuo. L'origine delle launeddas, in base al ritrovamento nelle campagne di Ittiri di un bronzetto raffigurante un suonatore, viene fatta risalire ad un'epoca antecedente all'VIII secolo a.C. Su questo strumento sono stati fatti diversi studi negli anni 1957-58 e 1962 dal musicologo danese Andreas F. Weis Bentzon, il quale ha registrato e filmato diverse esecuzioni musicali che poi ha catalogato e trascritto su pentagramma. Le launeddas sono tradizionalmente diffuse soprattutto nel Sarrabus, nel Campidano, e in Ogliastra. Il Canto a tenore è tipico delle zone interne della Barbagia ed è ritenuto un'espressione artistica peculiare e unica al mondo. La prima testimonianza potrebbe risalire ad un bronzetto del VII secolo a.C. dove è raffigurato un cantore nella tipica posa dei tenores. Questo tipo di canto nel 2005 è stato riconosciuto dall'Unesco come Patrimonio orale e immateriale dell'Umanità. Il canto sardo a chitarra (cantu a chiterra) è una tipica espressione artistica nata in Logudoro (probabilmente a Ozieri) e sviluppatosi successivamente anche in Gallura e Planargia, dove ha avuto grande diffusione. Il canto nella forma attuale è il risultato dell'incontro con le tradizioni melodie locali con la chitarra portata in Sardegna dagli spagnoli. Questo canto ha avuto una gran diffusione a partire dal XX secolo grazie alle numerose feste paesane durante le quali si svolgevano (e si svolgono attualmente delle vere e proprie competizioni tra cantadores), in genere maschi, accompagnati da un chitarrista e spesso anche da un fisarmonicista. Questo canto ha avuto notevole diffusione a livello internazionale grazie all'attività di Maria Carta.

    Costumi


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    Donna in costume
    tradizionale

    Dai colori vivaci e dalle forme più svariate e originali, i costumi tradizionali rappresentano un chiaro simbolo di appartenenza a specifiche identità collettive. Sono considerati uno scrigno di tradizioni etnografiche e culturali dalle caratteristiche molto peculiari, frutto di secolari stratificazioni storiche. Sebbene il modello base sia omogeneo e comune in tutta l'isola, ogni paese ha un proprio abbigliamento tradizionale, maschile e femminile, che lo differenzia dagli altri paesi. Nel passato gli abiti si diversificavano anche all'interno delle comunità, svolgendo una precisa funzione di comunicazione in quanto rendevano immediatamente palese lo stato anagrafico e il ruolo di ciascun membro in ambito sociale, la regione storica o il paese di appartenenza, un particolare stato civile (baghiàna/u, gathìa/u). Ancora oggi a Desulo e Atzara, in Barbagia, si possono incontrare persone anziane vestite in costumene, ma fino a circa sessant'anni fa in buona parte dell'isola il costume rappresentava il vestiario quotidiano. I materiali usati per la loro confezione sono tra i più vari: si va dall'orbace alla seta, al lino, dal bisso al cuoio. I vari componenti dell'abito femminile sono: il copricapo (mucadore), la camicia (camisa), il corpetto (palas, cossu), il giubbetto (coritu, gipone), la gonna (unnedda, sauciu), il grembiule (farda, antalena, defentale), in Ogliastra le donne di alcuni paesi hanno dei particolari ganci angancerias de prata sul copricapo. Quelli dell'abito maschile sono: il copricapo (berritta), la camicia (bentone o camisa), il giubbetto (gipone), i calzoni (cartzones o bragas), il gonnellino (bragas o bragotis), il soprabito (gabbanu, colletu), la mastruca, una sorta di giacca in pelle di agnello o di pecora priva di maniche (mastrucati latrones ovvero briganti coperti di pelli era l'appellativo con il quale Cicerone denigrava i Sardi ribelli al potere romano).


    Enogastronomia

    La cucina sarda è molto varia ed è basata su ingredienti semplici e originali, derivati sia dalla tradizione pastorale e contadina, che da quella marinara. Cambia da regione a regione non solo nel nome delle pietanze ma anche nei componenti utilizzati. Come antipasti sono diffusi i prosciutti di cinghiale e di maiale, le salsicce, accompagnati da olive e funghi, mentre per i piatti a base di pesce sono svariati gli antipasti di mare. Primi piatti tipici sono i Malloreddus, i Culurgiones ogliastrini, i cui ingredienti cambiano da paese a paese, il Pane frattau, la Fregula, la Suppa cuatta e Lorighittas. Come secondi piatti, gli arrosti costituiscono una peculiare caratteristica, tanto che quello del maialetto (su porcheddu) è considerato l'emblema della cucina sarda.

    Il pane


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    Pane di Villaurbana (Oristano)

    Diverse tecniche, trasmesse di generazione in generazione per lavorare la pasta, insieme ai molteplici procedimenti per farla lievitare, contribuiscono ad offrire una vasta scelta di originali forme di pane in ogni regione dell'isola. Alcuni tipi di pane più diffusi sono: il Pane carasau tipico pane della Barbagia, composto da una sfoglia croccante, rotonda e piatta, il nome deriva da carasare che in sardo significa tostare, cosparso d'olio, salato e scaldato al forno viene chiamato Pane gutiau; il Pistoccu (tipico ogliastrino), di spessore maggiore della sfoglia di Pane carasau; la Spianada, conosciuta anche come Cogones o Cogoneddas, pagnotta di semola di grano duro, dalla forma rotonda e non molto spessa; in Ogliastra è tipico il Pani pintau, i prodotti più significativi provengono da Tertenia e Ulassai, in quest'ultimo paese si realizza anche un pane unico nel suo genere il Pani de binu cotu, per le feste. Il Civraxu, tipico del Campidano, è una grande pagnotta che si consuma a fette; il Coccoi a pitzus, pagnotta decorata di semola di grano duro; il Pane de poddine, tipico del Logudoro e dell'Anglona, dal diametro di circa 40 cm, e noto anche con il nome di Pane di Ozieri o anche Pane ladu, è molto simile al pane che i greci, gli arabi e gli ebrei chiamano pita.


    Dolci e pani votivi


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    Torta nuziale (Quartucciu)

    Legata a particolari ricorrenze, la lavorazione dei pani votivi e la preparazione dei dolci — in certe regioni dell'isola — può diventare un'arte. Gli ingredienti sono semplici e vanno dalla farina di grano duro alle mandorle, al miele. In alcuni dolci si usa come ingrediente anche il formaggio o la ricotta[65]. A gennaio in alcune regioni, per i falò di Sant'Antonio, vengono preparati come dolci le Cotzuleddas, i Pirichitos e il Pistiddu. Per Carnevale si preparano le Frisolas, le Catas, le Orilletas, e le Tzìpulas. Per la festa di San Marco sono tipici i pani votivi artistici, gialli per la presenza dello zafferano, decorati con delle particolari fantasie floreali viste come delle vere e proprie effimere opere d'arte. Per la Pasqua si preparano le Pitzinnas de ou, le Casadinas e la Pischedda. Per Ognissanti dolci caratteristici sono il Pane de saba e i vari Pabassinos. Per i matrimoni si preparano dolci molto variegati e ricchi di decorazioni come i singolari Gatò, sos Coros, s'Arantzada. In altre occasioni sono comunemente diffusi il torrone, le Seadas, i Rujolos, i Mostaccioli, sos Sospiros.


    I formaggi


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    Forme di Pecorino sardo

    La Sardegna ha una antica tradizione pastorale e offre una vasta produzione di formaggi pecorini esportati ed apprezzati ovunque, soprattutto in Nord America. Attualmente sono tre i formaggi D.O.P.: il Fiore Sardo, il Pecorino Sardo ed il pecorino romano che nonostante il nome è prodotto per il 90% nell'isola. Altri formaggi noti sono: il Casizolu (o Casu conzeddu), una peretta fatta con latte vaccino prodotta nel Nord Sardegna; la Frue (o Casu agedu), simile alla Feta greca; l'Arrescotu sicau (una ricotta secca), l'Arrescotu friscu (la ricotta fresca ovina) chiamato anche Brotzu o Brociu nella Gallura, il Gioddu è invece un tipico yogurt di pecora. Un prodotto molto singolare è il Casu martzu o Casu frazigu, ottenuto dalle forme di pecorino contaminate dalle larve della mosca casearia (nonostante sia prodotto per uso familiare, in base alle leggi vigenti questo formaggio non è commerciabile). Tradizionalmente nell'Ogliastra meridionale (ma oggi l'area di produzione si è estesa) si produce il Cagliu, formaggio caprino dal sapore molto intenso, piccante e particolare ottenuto dal rumine di un capretto pieno di latte materno, essiccato dopo la macellazione e solitamente affumicato.


    Vini e liquori

    Come evidenziato da alcune ricerche archeologiche, la coltura della vite in Sardegna risale all'epoca della civiltà nuragica. Tale tradizione è continuata con i Romani e poi attraverso le varie occupazioni straniere si è ancora arricchita. Tra i vini rossi si annoverano il Cannonau, il Monica, il Carignano del Sulcis, il Girò, mentre tra i bianchi vi sono il Vermentino di Gallura (DOCG), la Malvasia di Bosa, il Nasco, il Torbato di Alghero, il Nuragus di Cagliari, il Moscato, la Vernaccia di Oristano. Negli ultimi anni diversi vitigni minori sono stati riscoperti ed al momento sono oggetto di un'importante valorizzazione da parte di diversi produttori sardi. È il caso di vitigni come il Cagnulari (che era in via di estinzione), del Caddiu (valle del Tirso), del Semidano e altri. Vista la lunga tradizione, molti vini sono D.O.C., come il Cannonau e variano di gusto e di gradazione a secondo delle regioni in cui vengono prodotti: quello di Jerzu è uno dei più conosciuti insieme al Nepente di Oliena. Si produce l'acquavite che è nota con il nome di Filu 'e ferru o Abbardente. Tra i liquori il Mirto (sia bianco che rosso) ed il Villacidro sono tra i più diffusi; negli ultimi anni nella zona di Siniscola ha fatto la sua comparsa il liquore di Pompia (distillato dalle bucce dell'omonimo agrume).

    Economia

    Il decollo industriale della Sardegna si ebbe a partire dal 1951 quando una particolare commissione di studi, lungamente attesa e prevista negli accordi inerenti allo Statuto speciale (art.13), fu incaricata di elaborare un piano di sviluppo economico nei vari settori produttivi dell'economia sarda. Molto lentamente tale commissione si mise in moto e solo nel 1958 presentò il rapporto finale, o meglio un'ipotesi di sviluppo. Le conclusioni di tale organismo però apparvero inadeguate alle necessità di sviluppo dell'isola e nel 1959 fu costituita un'altra Commissione, con lo scopo di elaborare un piano più preciso che fu poi presentato l'anno successivo. Questa relazione finale evidenziava 18 settori economici prioritari ed in particolare quello industriale, con un investimento per lo Stato minore di quello previsto dalla precedente Commissione. Finalmente il 17 gennaio 1961 il Governo italiano presentò in Parlamento un progetto di legge che dopo varie modifiche e dibattiti, fu approvato e successivamente, il 2 giugno 1962 fu promulgata la legge chiamata Progetto straordinario per promuovere lo sviluppo economico e sociale della Sardegna in esecuzione dell'Articolo 13 dello Statuto costituzionale n.3 del 26 febbraio 1948. Dopo sedici anni dall'apertura delle negoziazioni tra Stato e Regione, nasceva il Piano di Rinascita. Nel periodo posteriore al 1945, l'evolversi dell'economia sarda si divide in tre momenti distinti: tra il 1945 ed il 1955, l'isola si adatta progressivamente alle condizioni ed al modo di vivere del resto del Paese; nel corso della seconda fase, tra il 1956 ed il 1966, la situazione economica cambia molto rapidamente modificando considerevolmente il tessuto sociale; la terza fase (fino ai nostri giorni) si caratterizza, nonostante gli errori e i ritardi nell'attuazione del Piano di Rinascita, in un rimarchevole progresso economico e sociale con un incremento considerevole della popolazione. Progressivamente l'analfabetismo diminuisce e l'educazione scolastica migliora notevolmente. Le linee telefoniche, gli elettrodomestici, le automobili, si diffondono in maniera considerevole e i quotidiani hanno grande diffusione mentre aumentano le linee marittime e i trasporti aerei. Negli ultimi decenni hanno avuto ampia diffusione le nuove tecnologie informatiche e digitali e la Sardegna è stata la prima regione italiana ed europea ad avere la copertura televisiva con l'utilizzo esclusivo della tecnologia del digitale terrestre, mentre il quotidiano L'Unione sarda è stato il primo quotidiano europeo a dotarsi di un sito Internet, sin dal 1994.

    Industria


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    Polo petrolchimico
    di Porto Torres

    La nascita del settore industriale sardo contemporaneo (escludendo quindi il settore minerario) è principalmente dovuta all'apporto dei finanziamenti statali al Piano di Rinascita, concentrati soprattutto negli anni '60-'70. La politica economica finalizzata all'accrescimento industriale si è caratterizzata in quel periodo con la formazione dei cosiddetti poli di sviluppo industriali, a Cagliari (Macchiareddu e Sarroch), Porto Torres e in un secondo momento a Ottana. Sono sorti così i complessi petrolchimici e le grandi raffinerie per la lavorazione del greggio, che si collocano attualmente tra le maggiori d'Europa, inoltre, sull'isola, si producono piattaforme petrolifere, per conto della Saipem ed è in via di costruzione il gasdotto GALSI, che fornirà gas metano all'Europa dall'Algeria, passando in Sardegna. Altri settori industriali sono quello alimentare, legato alla lavorazione dei prodotti dell'allevamento (formaggi, latte, carni) e della pesca (lavorazione del tonno), manifatturiere, tessili, lavorazione del sughero, meccaniche (produzione di mezzi agricoli, cantieristica navale, ferroviaria, componentistica per aeromobili), edìle e metallurgico. L'energia viene prodotta, in misura anche superiore al fabbisogno, da centrali idroelettriche alimentate dai bacini che raccolgono le acque dei fiumi, da centrali termoelettriche alimentate a carbone di importazione estera e da numerosissime centrali eoliche sparse sull'intero territorio isolano. In particolare si menziona il gruppo di centrali elettriche nell'area di Fiume Santo, che sorge su un'area di circa 150 ettari sul golfo dell'Asinara, con una potenza installata di 1.044 MW. L'area circostante, fortemente inquinata e adiacente a zone di indubbio interesse ambientale, non é stata ancora sottoposta alle bonifiche necessarie richieste dalla popolazione e dagli organi competenti.

    Miniere


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    La miniera di Montevecchio

    La Sardegna è la regione italiana con il sottosuolo più ricco di minerali. Prima l'ossidiana, poi l'argento, lo zinco e il rame sono stati fin dall'antichità una vera ricchezza per l'isola, posizionandola al centro di intensi traffici commerciali. Molti centri minerari erano sfruttati per l'estrazione di piombo, zinco, rame e argento (la galena argentifera conteneva fino a 10 kg d'argento per tonnellata di minerale). Dopo il secolare sfruttamento, attualmente, le prospettive per le miniere sarde sono molto limitate e le zone minerarie (tra le quali spicca il Sulcis-Iglesiente) si stanno convertendo sempre di più al turismo. A partire dal 1800, furono aperte miniere di carbone, antimonio e bauxite: i giacimenti più importanti si trovano nell'Iglesiente, nel Sulcis, nel Guspinese - Arburese, nel Sarrabus, nella Nurra e nella zona dell'Argentiera. Attualmente l'attività estrattiva sta attraversando un periodo di grave crisi e molte miniere sono state chiuse perché poco competitive: l'economia dell'Iglesiente si sta legando non più alle miniere ma al turismo e allo sviluppo del Parco Archeologico Minerario, sotto il patrocinio dell'Unesco, con la salvaguardia del patrimonio storico e architettonico delle miniere e utilizzando la bellezza incontaminata delle sue coste come sua altra grande risorsa. Da una quindicina d'anni la Sardegna è stata caratterizzata da una corsa alla ricerca di giacimenti auriferi, grazie soprattutto all'intervento di società minerarie australiane, attualmente è l'unica regione italiana in cui l'estrazione dell'oro avviene con metodi industriali. La principale miniera è localizzata a Furtei, la quale è destinata alla chiusura per l'esaurimento del filone superficiale, altre zone ricche di questo minerale sono ubicate nel Sarrabus e nel Sassarese, ma le attività di estrazione sono bloccate per ragioni di sicurezza e preservazione dell'ambiente.

    Agricoltura e Allevamento


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    Querce da sughero

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    Gregge nelle campagne di Lula

    L'agricoltura sarda è oggi legata a produzioni specializzate come quelle vinicole e olivicoltura quelle del carciofo, unico prodotto agricolo di esportazione. Le bonifiche hanno aiutato ad estendere le colture e di introdurre alcune coltivazioni specializzate quali ortaggi e frutta, accanto a quelle storiche dell'ulivo e della vite che sono presenti nelle zone collinose. La piana del Campidano, la più grande pianura sarda produce avena, orzo e frumento, della quale è una delle più importanti produttrici italiane. Tra gli ortaggi, oltre ai rinnovati carciofi, sono di un certo peso la produzione di arance e di barbabietole. Il patrimonio boschivo è presente la quercia da sughero, che cresce spontanea favorita dall'aridità del terreno, che viene esportata, della quale è una delle principali produttrici italiane. Nell'ortofrutta, oltre ai carciofi, sono di un certo peso la produzione di pomodori (tra cui i camoni) e di agrumi. Per secolare tradizione, la percentuale degli addetti alle attività primarie è alta e l'allevamento rappresenta una fonte di reddito molto importante. Attualmente nell'isola si trova circa un terzo dell'intero patrimonio ovino e caprino italiano. Oltre alla carne, dal latte ricavato si produce una grande varietà di formaggi, basti pensare che la metà del latte ovino prodotto in Italia viene dalla Sardegna, e viene in gran parte lavorato dalle cooperative dei pastori e da piccole industrie. La Sardegna vanta una tradizione secolare nell'allevamento dei cavalli sin dalla dominazione aragonese, la cui cavalleria attingeva dal patrimonio equino dell'isola per rimpinguare il proprio esercito o per farne ambito dono ai sovrani d'Europa.

    Pesca

    Resa insicura in passato dalle frequenti scorrerie saracene, la pesca è un'attività affermatasi negli ultimi secoli, grazie alla pescosità dei mari circostanti e alla notevole estensione costiera dell'isola. È molto sviluppata a Cagliari, ad Alghero e nelle coste del Sulcis e da queste zone proviene la maggior parte del pescato sardo. Tale attività ha rilevanza anche in Gallura e soprattutto nell'Oristanese dove i pescatori lavorano nei vasti stagni e nelle peschiere, dove si pescano in grandi quantità anguille e muggini. Ottima è la produzione di mitili, specialmente a Olbia. Nelle zone di Alghero, Bosa e Santa Teresa è molto attiva la pesca alle aragoste insieme alla raccolta del corallo. Di antica tradizione e mai abbandonata è la pesca del tonno, già nel XVI secolo esistevano diverse tonnare, di queste quelle più antiche sono la Tonnara delle Saline di Stintino, quella di Flumentorgiu di Arbus, quella di Porto Paglia a Gonnesa ed infine quella di Calavinagra a Carloforte, che è l'unica ancora in attività nel Mediterraneo. Gran parte dei tonni vengono esportati direttamente in Giappone dove sono consumati entro 72 ore dalla pesca. Queste attività costituiscono un pezzo di storia e di tradizione dei pescatori sardi e certi riti, insieme a particolari tecniche di pesca, sono rimasti immutati nel tempo, così come la lavorazione stessa delle bottarghe e delle frattaglie.

    Artigianato

    L'artigianato tradizionale sardo è un insieme di arti popolari estremamente vario, sviluppato in campi molto diversi, ricco di gusto e originalità. Alcune di queste forme artistiche sono di origine antica ed hanno subito l'influenza delle diverse culture che hanno segnato la storia dell'isola. Per preservare, tramandare e promuovere questa ricchezza culturale ed economica, nel 1957 la Regione Autonoma della Sardegna ha istituito l'I.S.O.L.A. (Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigianale), diretto all'inizio dai promotori Eugenio Tavolara e Ubaldo Badas. Per una maggior tutela delle lavorazioni artigianali, tramite la legge regionale n. 14 del 1984, è stato istituito il marchio di origine e qualità dei prodotti dell'artigianato tipico sardo. La tessitura in lana, cotone e lino di tappeti, arazzi, cuscini e tende è in larga parte ancora praticata a mano con telai di concezione molto antica, ma molte delle produzioni meccanizzate mantengono le caratteristiche della tradizione come, ad esempio, la lavorazione a pibiones, diffusa a Ulassai e Samugheo. I gioielli rappresentano una delle testimonianze artigianali più autentiche e costituiscono parte integrante dei costumi tradizionali, ricchi di spille e bottoni in filigrana, di collane arricchite con corallo, pietre dure e perle. I lavori tradizionali di oreficeria, dal gusto raffinato, sono in filigrana. La lavorazione del legno è caratterizzata da prodotti originali come le cassapanche intagliate, le sedie impagliate di Assemini, le bisere dei Mamuthones, ossia le maschere tradizionali mamoiadine, e le produzioni in sughero di Calangianus. L'artigianato della cestineria è molto diffuso, ma è l'area oristanese la zona dove maggiormente si lavorano le materie prime, come il giunco, la palma nana e l'asfodelo, ideali per la confezione di cesti, corbule e canestri. Le ceramiche hanno una forma semplice e lineare. Una tradizione millenaria ispira varie scuole che tramandano le tecniche della lavorazione al tornio, della cottura al forno e delle decorazioni smaltate con colori naturali. Altra antica tradizione artigianale sarda è quella della arresoja, resolza o resorza (dal termine latino rasoria che indicava un genere di coltello con la lama pieghevole). Quelle da collezione non sempre sono a serramanico, ma anche a manico fisso, generalmente in corno di montone o di muflone e intarsiate a mano. Dalla classica lama a folla 'e murta (a foglia di mirto), sono chiamate anche lepa e sono considerate dagli appassionati delle vere e proprie opere d'arte

    Turismo


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    Il litorale di Stintino

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    Super Yachts ancorati
    a Porto Cervo

    Grazie al clima mite, ai paesaggi incontaminati, alla purezza della acque marine, la Sardegna attira ogni anno un gran numero di vacanzieri (nel 2007 le presenze turistiche per la prima volta hanno superato i 10 milioni di visitatori; gli arrivi sono stati di 1.490.648 italiani e 789.525 stranieri). I primi investimenti ed i primi piani di sviluppo risalgono al 1948 in concomitanza con la sconfitta definitiva della malaria e con la l'acquisizione dello status di regione autonoma. Le prime promozioni e realizzazioni infrastrutturali furono attuate attraverso l'Ente Regionale ESIT (Ente Sardo Industrie Turistiche) ed il primo boom turistico si sviluppò a cavallo tra gli anni '50 e '60, soprattutto ad Alghero e nella sua Riviera del Corallo. Ma il boom turistico di maggiori dimensioni si realizzò a partire dai primi anni sessanta allorché fu fondata dal principe ismailita Aga Khan la Costa Smeralda con il luogo di elezione Porto Cervo, nel comune di Arzachena. Sin dagli inizi il turismo in quest'area si caratterizzò principalmente come di élite, basato sulla qualità delle strutture ricettive e delle infrastrutture oltre che sulle bellezze naturali soprattutto per la vicinanza dell'arcipelago della Maddalena con l'offerta di numerose rotte per i diportisti. I suoi centri principali divennero ben presto luoghi di elezione del Jet set internazionale e tra le mete più ambite nel Mediterraneo. A questa iniziativa seguirono una miriade di altri insediamenti, sempre nella zona, come Cala di Volpe e Capriccioli ma anche nel resto della Sardegna. In pochi anni il settore si sviluppò in maniera esponenziale fino a divenire uno dei settori trainanti delle attività economiche. Negli anni Settanta, a seguito dell'incremento del valore delle aree, si è avuto un forte sfruttamento delle coste con nuove costruzioni, principalmente seconde case. Successivamente i vari governi regionali per circa 20 anni hanno cercato di predisporre un Piano Paesaggistico il quale a tutt'oggi è ancora oggetto di polemiche e di conflitti. In questi ultimi anni l'offerta turistica si è in parte modificata, orientandosi verso la diversificazione e la destagionalizzazione cercando di interessare anche le zone interne e di valorizzare la cultura, l'arte e l'archeologia, il turismo equestre, l'escursionismo, il birdwatching, la vela, il free climbing. Un supporto importante per la destagionalizzazione in questi ultimi anni è stato garantito dai numerosi voli low cost che collegano l'isola a diverse città europee.

    Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO
    • Nuraghi e le espressioni della civiltà nuragica, rappresentati da Su Nuraxi di Barumini, dal 1997;
    • Parco Geominerario Storico ed Ambientale della Sardegna, il primo al mondo a ricevere questo riconoscimento per via del rilevante carattere storico-ambientale che le aree minerarie hanno rivestito e tuttora rivestono nella storia millenaria dell'isola, dal 1998;
    • Canto a tenore, patrimonio orale e immateriale dal 2005;
    • Dieta mediterranea, patrimonio orale e immateriale dal 2010;
    • Canto della Sibilla (Cant de la Sibil·la), canto gregoriano in catalano eseguito la notte di Natale solo nella Cattedrale di Alghero e di Palma di Maiorca, patrimonio orale e immateriale dal 2010.

    Personalità illustri

    Nel corso della storia la Sardegna ha dato i natali a personalità versate in ogni genere di arte e disciplina. Durante il Novecento ha espresso figure di rilevanza internazionale come Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer, segretario del più grande partito comunista dell'occidente, la scrittrice premio Nobel Grazia Deledda e diversi Presidenti della Repubblica, fra cui Antonio Segni e Francesco Cossiga, oltre a Giuseppe Saragat nato a Torino da genitori sardi.


    Edited by Isabel - 15/7/2013, 10:17
     
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  3. SAMARA_MORGAN
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    Interessante il tuo articolo Adri.
    La cartina è però obsoleta, dato che abbiamo incorporato altre province, Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia Iglesias, otto in tutto. :)
    Una prova del passaggio dei fenici nella nostra isola è data ad esempio dalla cittadina di Arbatax, il cui nome corrisponde al numero 14 arabo ARBATASH (ho studiato arabo per un anno e 1/2). Inoltre se si va nell'entroterra sardo, le donne sono palesemente simili alle donne arabe, basta ad esempio guardare le giornaliste di Al Jazeera e le donne nuoresi per capirlo. Per non parlare poi dei costumi antichi della Sardegna.

    La frase di Fabrizio De Andrè l'ho usata anche io nell' articolo dedicato alla Sardegna che ho inserito nel mio sito. Andrè amava molto la Sardegna.

    E ora, per farvi gli occhi, un po' di fotografie, scattate da un amico fotografo:



    * Ho rimosso le foto perchè si erano annullate

    Isabel


    Edited by Isabel - 11/5/2011, 15:32
     
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  4. elyna71
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    Bene bene tutte sarde doc...anche io sono sarda....cagliari provincia ragazze..
     
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  5. Isabel
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    Civiltà nuragica

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    Lo ziqqurath di Monte d'Accoddi presso Sassari

    - Fonte -

    Nata e sviluppatasi in Sardegna, la civiltà nuragica abbraccia un periodo di tempo che va dalla piena età del Bronzo (dal 1700 a.C.) al II secolo a.C., ormai in piena epoca romana. Deve il suo nome ai Nuraghi che costituiscono le sue vestigia più eloquenti e fu il frutto dell'evoluzione di preesistenti civiltà le cui tracce più evidenti sono dolmen, menhir e Domus de Janas. I nuraghi sono considerati come i monumenti megalitici più grandi d'Europa; sulla loro effettiva funzione si discute da almeno cinque secoli e tanti restano ancora gli interrogativi da chiarire: c'è chi li ha visti come tombe monumentali e chi come case di giganti, chi fortezze, forni per la fusione di metalli, prigioni e chi templi di culto del sole. Oltre alle caratteristiche costruzioni nuragiche, la civiltà degli antichi Sardi ha prodotto anche gli enigmatici templi dell'acqua sacra, le tombe dei giganti e delle particolari statuine in bronzo. Hanno convissuto a lungo con le successive civiltà arrivate nell'Isola, come quelle fenicio-punica e romana, senza mai però essere assorbiti completamente da queste.

    Gli antichi Sardi prima dei nuraghi


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    Scultura prenuragica

    In epoche remote l'Isola fu abitata stabilmente da genti arrivate nel Paleolitico e nel Neolitico da varie parti del continente europeo e del bacino del Mediterraneo. I primi insediamenti sono stati rinvenuti sia in Gallura che nella Sardegna centrale, ma in tutta l'Isola progressivamente si svilupparono diverse culture, alcune diffuse solo in certe zone, altre, come quella di Ozieri, si estesero sino a coprire tutto il territorio isolano. Le antiche popolazioni erano dedite principalmente alla coltivazione delle terre e alla pastorizia, lungo le coste alla pesca e alla navigazione che le portava a tessere contatti di natura commerciale e culturale con altri popoli. Di loro si possono ancora ammirare più di 2.400 tombe ipogeiche, conosciute con il nome sardo di Domus de Janas. Queste singolari vestigia si trovano disseminate in tutta l'Isola e sono state scavate con grande maestria nel granito e nella pietra lavica. Alcune sono decorate con sculture e pitture simboliche e si presume siano appartenute a capi politici e forse anche religiosi. Sono state datate dagli archeologi intorno al IV millennio a.C., a questa fase storica risalgono anche le statue stele (o statue menhir) rappresentanti guerrieri o figure femminili. I numerosi menhir e i dolmen, semplici o allungati, pongono la più antica realtà isolana in relazione con la vasta preistoria dell'Europa atlantica e settentrionale, con l'Africa marocchina e le Canarie, specialmente a seguito dei recentissimi rinvenimenti di menhir istoriati, ritenuti pietre sacre e legate ai culti della fertilità. Il monumento più enigmatico di questo periodo è sicuramente la piramide a gradoni, ossia lo ziqqurath di Monte d'Accoddi, presso Sassari che presenta parallelismi con il complesso monumentale di Los Millares (Andalusia) e con i successivi Talaiots delle Baleari, edificati seguendo una tecnica costruttiva che trova collegamenti anche con le tombe a tumulo ritrovate in Francia. Secondo alcuni studiosi ciò sarebbe la spia di influenze ideologico-architettoniche provenienti da oriente , dall'area egiziano-mesopotamica. Ai piedi della piramide a gradoni sono stati ritrovati dagli archeologi consistenti accumuli composti da resti di antichi pasti sacri ed anche oggetti utilizzati durante i riti. In questo periodo in Sardegna appaiono per la prima volta oggetti e armi in rame. L'altare di Monte d'Accoddi non fu più utilizzato a partire dal 2000 a.C. quando in Sardegna apparve la cultura del vaso campaniforme diffusa all'epoca in quasi tutta l'Europa occidentale.

    Nascita della civiltà nuragica - il protonuraghe

    La cultura di Bonnanaro si sviluppa come evoluzione finale del Campaniforme (1800 a.C. circa) e nella sua fase più tarda (Bonnanaro III), presenta varie similitudini con la cultura di Polada diffusa durante l'Età del bronzo nell'Italia settentrionale. Queste analogie sono forse da ricondurre ad infiltrazioni provenienti dalla penisola italiana attraverso la Corsica. Nuove genti arrivarono sull'Isola in quel periodo, portando con sé nuovi culti, nuove tecnologie e nuovi modelli di vita, rendendo obsoleti i precedenti o reinterpretandoli alla luce della cultura dominante:

    « ....Si tratterebbe di gruppi etnici immigrati forse dall’Occidente mediterraneo (dalla Catalogna o dal Midi), che si integrano nella precedente grande tradizione della cultura neolitica di Ozieri, con costumi e produzioni proprie convenienti alla civiltà agropastorale [...] Dal carattere in genere severo e pratico nell’essenzialità delle attrezzature materiali (in particolare nelle ceramiche prive di qualsiasi decorazione), si capiscono la natura e l’abito guerrieri dei nuovi venuti e la spinta conflittuale che essi danno alla vita nell’isola. Lo conferma la presenza di armi di pietra e metallo (rame e bronzo). Il metallo si divulga anche negli oggetti d’uso (punteruoli di rame e bronzo), e ornamentali (anellini di bronzo e lamine d’argento) [...] Pare avvertirsi una caduta di ideologie del vecchio mondo pre-nuragico corrispondente a una nuova svolta storica. »
    (Giovanni Lilliu, La civiltà nuragica. Carlo Delfino editore Pagg 25,26,27.)

    L'introduzione del bronzo portò notevoli miglioramenti in ogni campo. Con la nuova lega di rame e stagno si otteneva infatti un metallo più duro e resistente, adatto a fabbricare attrezzi agricoli, ma soprattutto si prestava alla forgia di armi assai migliori, da utilizzare sia per la caccia che per la guerra. Ben presto in Sardegna, terra ricca di miniere, si costruirono fornaci per la fusione delle leghe che da esperti artigiani venivano lavorate in maniera molto abile, dando vita ad un fiorente commercio verso tutta l'area mediterranea, in particolare verso quelle regioni povere di metalli, e dando anche una spiegazione alla chiara analogia culturale dei Nuragici con le civiltà presenti nell'area egea (Micene, Creta e Cipro) e con l'area iberica. In questo periodo inizia la costruzione dei proto-nuraghi e quindi la prima fase della Civiltà nuragica (Nuragico antico). Queste costruzioni sono assai diverse dai nuraghe classici avendo una planimetria irregolare e l'aspetto assai tozzo. Sono costituiti da uno o più corridoi e mancano della camera circolare tipica dei nuraghi a tholos. Rispetto a questi sono di dimensioni minori come altezza (mediamente 10 metri rispetto ai 20 e più metri di quelli classici), ma anche la loro superficie è più del doppio (250 m² rispetto ai 100 delle torri nuragiche). Risulta inoltre imponente la massa muraria rispetto agli spazi interni sfruttabili.

    Il nuraghe


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    Intorno alla metà del II millennio a.C., durante la media Età del Bronzo, i protonuraghi si evolvono in torri megalitiche di forma tronco conica, e si diffusero ampiamente in tutto il territorio della Sardegna (1 nuraghe ogni 3 km² circa). Furono il centro della vita sociale degli antichi Sardi e diedero il nome alla loro civiltà, sebbene la loro funzione e destinazione sia ancora altamente controversa tra storici ed archeologi che, di volta in volta, hanno elaborato teorie sul loro uso militare, civile, religioso o per la sepoltura dei defunti. Il dibattito tra i ricercatori e assai intenso e le nuove tesi cercano di andare oltre gli studi del padre dell'archeologia sarda Giovanni Lilliu che ha sempre difeso l'idea del nuraghe fortezza. Una nuova tesi che si sta imponendo all'attenzione di molti studiosi è quella che vede nei nuraghi una funzione prevalentemente astronomica descrivendoli come dei veri e propri osservatori fissi della volta celeste, disposti sul territorio secondo precisi allineamenti con gli astri, e abitati da sacerdoti astronomi devoti ad unico dio. Intorno al 1500 a.C., dai rilievi archeologici, si possono notare aggregazioni sempre più consistenti di villaggi costruiti in prossimità di queste poderose costruzioni, edificate spesso sulla sommità di un'altura, ma sempre con tecnica megalitica (grossi blocchi di pietra sovrapposti) e con ampie camere aventi i soffitti voltati a tholos (falsa cupola). Probabilmente per un maggior bisogno di protezione, si nota nel tempo il costante aggiungersi progressivo di più torri a quella più antica - addossandole o collegandole tra loro con cortine murarie. Da semplici, i nuraghi divennero in questo modo complessi, trilobati ed anche quadrilobati, in modo da essere caratterizzati da sistemi articolati di torri, con sistemi murari muniti di feritoie. Tuttavia alcuni hanno una posizione meno strategica. Secondo alcune teorie avrebbero avuto una funzione sacra per marcare l'orizzonte visto dai principali nuraghi rispetto ai solstizi. Quelli giunti fino a noi - a parte le torri isolate - sono costruzioni imponenti e complesse, con annessi villaggi a formare costruzioni simili a castelli, a volte denominati dagli studiosi anche regge nuragiche. Nonostante siano trascorsi millenni, questi villaggi nuragici non sono scomparsi completamente ma si ritiene che le popolazioni nuragiche abbiano abitato costantemente i siti, mantenendoli in vita e originando alcuni paesi della Sardegna odierna, forse a quelli che hanno come prefisso la parola Nur come Nurachi, Nuraminis, Nurri, Nurallao, Noragugume. Fra i nuraghi esistenti quelli più considerati sono Su Nuraxi a Barumini (che è stato eletto a simbolo della civiltà nuragica dalla commissione dell'UNESCO che l'ha inserita fra i Patrimoni dell'umanità), Santu Antine a Torralba, Nuraghe Losa ad Abbasanta, Palmavera (Alghero), Genna Maria a Villanovaforru, Santa Cristina a Paulilatino.

    I legami con la Civiltà Micenea e con la Civiltà Minoica - i Tholoi


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    Corridoio con volta nel nuraghe Santu Antine

    I Tholoi sono caratteristici oltre che della Civiltà nuragica anche della civiltà micenea, di quella minoica e, più tardi, di quella etrusca. Tuttavia questa copertura ogivale a falsa cupola la si ritrova a partire dal Neolitico anche in Siria, Oman, Turchia, Spagna. I Micenei, detti Achei o Danai furono la terza popolazione ellenica che invase la Grecia nel II millennio a.C., riuscendo a egemonizzare definitivamente le genti preelleniche, da alcuni dette greche, o pelasgi. Essi diedero luogo a costruzioni imponenti come il Tesoro di Atreo caratterizzato da una tholos alta 13 metri. Questa tipologia edilizia, con connotati e tecniche costruttive ben precise, oltre ai corridoi megalitici quasi a sesto acuto presenti nella fortezza di Tirinto ed in diversi nuraghi, lasciano ipotizzare un forte legame culturale tra queste civiltà. Ciò è testimoniato, oltre che dalla citazione degli edifici modellati secondo l'antica tradizione ellenica ad opera dello Pseudo Aristotele, dai reciproci scambi commerciali il cui filo conduttore, anche culturale, sembra essere legato alla metallurgia. Nel testo De mirabilibus auscultationibus, scritto di tradizione beotico-euboica, cioè di regioni interessate dalla colonizzazione micenea, vengono istituite correlazioni strutturali e storiche tra le tholoi achee e quelle nuragiche spiegandole dalla loro ottica attraverso la venuta di Dedalo in Sardegna: i Greci moderni riconobbero nella Sardegna la forte impronta comune ai Micenei in queste lontane terre d'occidente. Dedalo, Iolao, Aristeo, potrebbero inoltre essere considerati un riflesso dell'attivissimo commercio minoico-miceneo, così come la leggenda su Dedalo che, esule da Creta e rifugiatosi nella Sicilia occidentale, a Camico, viene poi fatto approdare in Sardegna da Iolao o Aristeo, mettendo in risalto il cambiamento della rotta commerciale verso l'Occidente avvenuto durante il Miceneo III b. La Civiltà Minoica, similmente a quella micenea, presenta forti analogie con quella nuragica. Ad esempio è assai simile nella tipologia costruttiva il complesso del villaggio di Stylos a Sternaki che include una tomba del tardo minoico con tholos ed una lunga dromos. Ma sono tanti i siti archeologici in cui si respira una certa somiglianza e familiarità: Phylaki, Yerokambos, Platanos, Odigitria, Nea Roumata, Koumasa, Kamilari, Apesokari, Chamaizi, Phourni. Da un punto di vista culturale la Civiltà Nuragica e quella Minoica avevano in comune il culto per la Grande Madre, una figura tipica del resto in quasi tutte le civiltà che si affacciavano sul Mar Mediterraneo, con l'attributo della colomba quale richiamo alla fertilità spesso riportata a coronamento delle navicelle nuragiche in bronzo. Altro forte punto di contatto era la venerazione e l'importanza del Toro, protagonista della tauromachia e della leggenda minoica del Minotauro che, probabilmente, in Sardegna aveva un qualche richiamo essendo stati ritrovati bronzetti aventi corpo di toro e testa umana. Altra similitudine era di tipo sportivo, essendo praticato nelle due isole il pugilato con mani dotate di guantoni.

    Le fonti greche e romane


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    Modello di nuraghe di bronzo
    del X secolo a.C.

    Anticamente, i geografi e gli storici greci tentarono di risolvere l'enigma dei misteriosi popoli costruttori di nuraghi. Per loro la Sardegna era la più grande isola del Mediterraneo (in realtà è la seconda) e la descrivevano come una terra felice e libera, dove fioriva una civiltà ricca e raffinata e dall'agricoltura fiorentissima. Nei loro resoconti dunque i greci parlarono di edifici favolosi, che battezzarono daidaleia, dal nome del loro leggendario architetto Dedalo. Secondo una loro leggenda fu lui a concepire il famoso labirinto del re Minosse a Creta, prima di sbarcare in Sicilia e trasferirsi successivamente in Sardegna, accompagnato da un gruppo di coloni.

    • Pseudo Aristotele racconta: «Si dice che nell'isola di Sardegna si trovano edifici modellati secondo l'antica tradizione ellenica, e molti altri splendidi edifici, e delle costruzioni con volta a cupola con straordinario rapporto delle proporzioni. Si ritiene che queste opere siano state innalzate da Iolao figlio di Ificle nel tempo in cui, portando con sé i Tespiadi figli di Eracle, trasferì la colonia per condurla via dai loro luoghi di origine verso quelle contrade, poiché procurava queste per il parentado di Eracle, al quale qualunque terra fosse situata verso Occidente riteneva gli appartenesse [...] ». Racconta poi che la Sardegna sia stata, in tempi lontani, prospera e dispensatrice di ogni prodotto e che Aristeo: «...ai suoi tempi era stato il più esperto fra gli uomini nell'arte di coltivare i campi, fosse il signore in questi luoghi; prima di Aristeo questi luoghi erano occupati da molti e grandi uccelli...».
    • Diodoro Siculo riporta le origini al mito di Eracle e dice: «Quando ebbe portato a termine le imprese, poiché secondo l'oracolo del dio era opportuno che prima di passare fra gli dei inviasse una colonia in Sardegna e ne mettesse a capo i figli che aveva avuto dalle Tespiadi, Eracle decise di spedire, con i fanciulli, suo nipote Iolao, poiché erano tutti molto giovani». Inoltre sugli Ilienses racconta che: «..prima i Cartaginesi e poi i Romani li combatterono spesso, ma fallirono il loro obiettivo». Fonti romane ci tramandarono invece che le due isole furono abitate da tante etnie che si erano progressivamente uniformate culturalmente, rimanendo però divise politicamente in tante tribù, sovente confederate ma anche in contesa tra loro per il possesso dei territori più ricchi e fertili. Le stesse fonti fanno sapere quali erano le più consistenti concentrazioni etniche, e tra queste vengono indicate chiaramente quelle degli Iolei o Ilienses, dei Bàlari, dei Corsi e le Civitates Barbariae, ossia le etnie che stanziavano nelle attuali Barbagie e che rifiutavano il processo di romanizzazione.
    • Marco Giuniano Giustino, Epitoma Historiarum Philippicarum, XIII, 7, dopo il resoconto della facile conquista della vicina Sicilia, racconta della spedizione cartaginese del generale Malco nel 540 a.C., in una Sardegna ancora fortemente nuragica: «...portata la guerra in Sardegna, furono gravemente sconfitti in una grande battaglia dove persero la maggior parte dell'esercito. Per questo furono esiliati il loro comandante, Malco, e i sopravvissuti...». La sconfitta determinò una sanguinosa rivoluzione interna a Cartagine, con la presa di potere inizialmente da parte di Malco e la sua definitiva sconfitta ad opera di Magone. La Sardegna - sempre secondo Giustino (XIX,1, 3-6) - divenne oggetto di una seconda spedizione navale sotto il comando di Asdrubale e Amilcare, figli di Magone: «...In Sardegna Asdrubale fu gravemente ferito e vi morì lasciando il comando al fratello Amilcare; e non solo il lutto che percorse la cittadinanza ma il fatto di essere stato undici volte dittatore e aver riportato quattro trionfi lo resero grande...» Dunque Asdrubale, ferito nel corso della guerra sarda, morì nell'Isola dopo aver passato il comando al fratello Amilcare. Fu questi che entro il 510 a.C. ebbe la meglio sulla resistenza anti-cartaginese ottenendo il dominio della Sardegna costiera e di altri territori come l'Iglesiente minerario e le pianure dalla Sardegna meridionale. La Civiltà Nuragica sopravvisse nelle zone interne.
    • Pausania (X, 17, 5) ricorda che «i Cartaginesi nel periodo in cui erano potenti per la loro flotta, sottomisero tutti coloro che si trovavano in Sardegna ad eccezione degli Iliesi (localizzati nel Marghine e nel Goceano) e dei Corsi (in Gallura), per i quali fu sufficiente la protezione delle montagne per non essere asserviti...».
    • Strabone conferma la sopravvivenza della cultura nuragica anche in epoca fenicio-punica e romana: racconta infatti che alcuni capi militari romani, disperando di domare i Sardi in campo aperto, preferivano tendere loro degli agguati, profittando del costume di quei barbari di raccogliersi, dopo grandi razzie, a celebrare feste tutti insieme. Riferisce inoltre di «Sardi montanari che pirateggiavano presso i lidi di Pisa» , testimonianza che confermerebbe l'attitudine marinara dei sardi nuragici anche in epoca tarda. Lo studioso Giovanni Lilliu ha definito la sopravvivenza della cultura Nuragica attraverso i secoli tra le popolazioni barbaricine come costante resistenziale sarda.

    Le etnie nuragiche

    « In essa (la Sardegna), i più celebri (sono): tra i popoli, gli Iliei, i Balari e i Corsi ... Plinio, Naturalis Historia, III, 7, 85. »

    Lo studioso della civiltà nuragica Giovanni Lilliu, alle entità etniche più rilevanti (che negli ultimi tempi della loro storia si ritirarono nei territori montani - fondendosi ulteriormente tra loro - e creando il tessuto di sardità costituito oggigiorno dalle popolazioni barbaricine), fa corrispondere entità culturali abbastanza evidenti:
    • i Bàlari costituirono l'etnico che produsse la cultura di Bonnanaro. Derivavano dai portatori della cultura del vaso campaniforme che si diffuse in Sardegna dall'Iberia fra il III e il II millennio a.C. ed erano probabilmente di ceppo indoeuropeo. Benché un tempo fossero presenti in gran parte della Sardegna, riuscirono ad imporsi essenzialmente nell'area nord-occidentale dell'isola. Alla stessa etnia dei Bàlari apparteneva probabilmente la popolazione che diede luce alla civiltà talaiotica delle isole Baleari . L'eroe mitico ed ecista dei Bàlari era forse Norace. I Bàlari occuparono i territori della Nurra, dell'alto e basso Coghinas e del Limbara.
    • negli Iolèi (anche Iliesi/Iliensi) viene individuato un ciclo culturale prodotto da etnie provenienti dal Mediterraneo orientale, ossia gli Achèi-Eraclidi, arrivati in Sardegna sulla scia dei Minoici-Cicladi prenuragici (Cultura di Ozieri). L'eroe mitico degli Iolei/Iliensi era Iolao. Gli Iliensi o Iolei occupavano un vasto territorio che andava dalle montagne del Goceano di Bortigali (nuraghe di Aidu Entos con l'incisione di confine ILI-IVR-IN-NVRAC-SESSAR), all'altopiano di Buddusò e di Alà, per arrivare al Campidano attraverso la parte centrale dell'Isola fino alle coste meridionali.
    • nei Corsi (forse Liguri), stabiliti in Gallura sin dai tempi più remoti, viene indicata l'etnia che produsse l'aspetto culturale detto gallurese ossia la cultura di Arzachena che si estese poi anche alla vicina Corsica a cui darà il nome. Durante il II millennio a.C., alla Corsica meridionale si estese la civiltà nuragica con la conseguente costruzione di torri (civiltà torreana). Occupavano la parte nord orientale della Sardegna e la Corsica.

    Queste ed altre etnie progressivamente si accentrarono in villaggi a cui poi corrispose un territorio molto ben definito, fino a formare nel corso del II millennio a.C. - e specie nella prima metà del I Millennio a.C - piccoli staterelli - che raggiunsero, federandosi tra loro, un notevole equilibrio ed un notevole assetto civile

    Gli Shardana


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    Bronzetto sardo -
    guerriero nuragico

    La tarda età del Bronzo (1300-1200 a.C.) fu il periodo in cui nel Mar Mediterraneo si verificò un vasto movimento guerresco, descritto dettagliatamente nelle fonti egiziane e alimentato dai popoli del mare, coalizione di popoli di navigatori-guerrieri che mise a ferro e fuoco il mediterraneo scontrandosi più volte con l'Egitto dei faraoni e causando la scomparsa della civiltà micenea e ittita. Secondo alcuni studiosi, gli Shardana, una delle popolazioni più importanti di questa coalizione, sono identificabili con le genti sardo-nuragiche (in particolare con gli Iolei) ; in alternativa è stato proposto che gli Shardana sarebbero giunti nell'isola intorno al XIII - XII secolo a.C., a seguito alla tentata invasione dell'Egitto. Fonti egizie, databili al periodo del faraone Ramses II, tramandano che: «gli Shardana sono venuti con le loro navi da guerra dal mezzo del Gran Mare (Grande Verde), nessuno può resistergli»; questi guerrieri navigatori vengono anche definiti come: «..gli Shardana del mare, dal cuore ribelle, senza padroni, che nessuno aveva potuto contrastare». Queste considerazioni vengono poi riportate nel resoconto della battaglia di Kadesh, passata alla storia per essere la prima con un racconto preciso ed una descrizione tattica dei combattimenti. L'equipaggiamento militare dei guerrieri Shardana, descritto nei bassorilievi, risulta molto particolare e distinto da quello di altri guerrieri contemporanei. Usavano spade lunghe, pugnali, lance e soprattutto lo scudo tondo (in quel periodo usato probabilmente solo dai sardi), mentre i guerrieri egiziani erano prevalentemente arcieri. Portavano un gonnellino corto, una corazza e un elmo provvisto di corna, e le loro imbarcazioni erano caratterizzate da protomi animali, con l'albero simile a quanto raffigurato in alcune navicelle nuragiche in bronzo rinvenute nei nuraghi. Tra gli antichi scritti, quelli riportati da Zenobio e attribuiti a Simonide di Ceo, parlano di assalti dei Sardi all'isola di Creta, nello stesso periodo in cui i Popoli del mare invadevano l'Egitto. Ciò evidenzierebbe una frequentazione dei Sardi nuragici nel Mediterraneo orientale. Ulteriori conferme di questa frequentazione arrivano poi dalla stessa ceramica nuragica del XIII secolo, ritrovata a Tirinto, a Creta e in Sicilia nell'Agrigentino, lungo la rotta che collegava l'oriente all'occidente del Mediterraneo.

    I cantoni nuragici


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    Cippo delimitante il territorio
    degli Uddadhaddar

    Le comunità nuragiche prosperavano entro i confini del proprio territorio cantonale. Secondo le teorie più diffuse, sulle frontiere politiche o etniche dei cantoni, a difesa e dominio del territorio erano poste le torri. Queste delimitavano zone agricole e pastorali non molto diverse, per grandezza e per forma, da quelle che saranno, nel Medioevo, le curatorie giudicali. Si suppone che solamente una società gerarchicamente molto organizzata, con un numero molto elevato di persone religiosamente assoggettate, poteva esprimere architetture così imponenti come la reggia nuragica de su Nuraxi o altre tipologie architettoniche. A tal proposito l'archeologo Giovanni Lilliu scrive:

    « ....soltanto una società di pastori-guerrieri, organizzati in una struttura oligarchica-gerarchica con una massa religiosamente soggetta (non si può parlare di schiavismo o semi-schiavismo), poteva esprimere il miracolo architettonico di certi castelli nuragici, come il Su Nuraxi di Barumini, il Santu Antine di Torralba, l'Arrubiu di Orroli, il Losa di Abbasanta e tanti altri consimili mirabili edifizi. Questi sono veramente il frutto di un alto sforzo solidale che solo la compattezza del gruppo tribale fondato sulla disciplina d'un ordinamento teocratico e militare era in grado di tradurre in opera. »
    (AA.VV, La società in Sardegna nei secoli, Giovanni Lilliu, Al tempo dei nuraghi, pag 21. ERI, Edizioni Rai, Torino, 1967)


    I villaggi

    I villaggi erano costituiti da capanne di forma circolare aggregate fra loro . Le capanne venivano realizzate a partire da una base a forma di anello in pietra coperto sulla sommità da pali e canne similmente alle più recenti Pinnettas ; più raramente sono stati registrati dei casi dove l'intera struttura della capanna , compresa la copertura , era realizzata in pietra come un nuraghe . I villaggi si trovavano generalmente nelle vicinanze dei nuraghi e dei pozzi sacri. Tra i più significativi esempi di villaggi nuragici si possono citare : Su Romanzesu, Su Nuraxi, Serra Orrios o di epoche più tarde il villaggio di Tiscali.

    Struttura economica


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    Navicella nuragica

    Il commercio
    La navigazione rivestì pertanto un ruolo molto importante. Lo studioso Pierluigi Montalbano menziona ben 156 navicelle di bronzo frutto di scavi archeologici che richiamerebbero la tradizione marinaresca. Il ritrovamento poi di ancore nuragiche lungo la costa orientale (Capo Figari, Capo Comino, Nora), alcune del peso di 100 chili, confermano che le imbarcazioni erano molto robuste e probabilmente gli scafi raggiungevano una lunghezza di oltre i 15 metri. Dopo essere stata per anni descritta come una civiltà chiusa in se stessa, con ipotesi che attribuivano alle navicelle nuragiche in bronzo una funzione votiva o di semplici lucerne, le evidenze archeologiche testimoniano che i nuragici costruivano solide imbarcazioni ed erano abili commercianti, che viaggiavano con i loro scafi sulle rotte dei traffici internazionali, intessendo forti legami con la Civiltà Micenea, con la Spagna, con l'Italia, con Cipro. Sono di grande attualità e interesse alcuni rinvenimenti archeologici nelle coste del Vicino Oriente e della Bulgaria. I frequenti scambi commerciali e l'importanza dell'intenso commercio del rame verso il Mediterraneo orientale, testimoniato dal ritrovamento di importanti quantità di lingotti di rame di tipo probabilmente cipriota, stimolarono la metallurgia ed i commerci e portarono ad un intenso sviluppo economico, contribuendo ad arricchire significativamente le popolazioni nuragiche. Tale sviluppo è considerato da molti studiosi - per quei tempi - il più importante mai prodotto in tutto l'Occidente mediterraneo di allora. I contatti con i popoli orientali divennero sempre più stretti, in particolare quelli con Cipro e con le coste libanesi, ma si è oramai certi dei contatti anche con l'Europa atlantica e con l'Europa centrale. Ceramiche nuragiche di tipo askoide, anfore, tripodi e spade nuragico sono state trovate ad esempio in Spagna (Huelva, Tarragona, Malaga, Teruel e Cadice) oltre lo stretto di Gibilterra. Gli scambi con i centri Etruschi, principalmente con Vetulonia, Vulci e Populonia, avvenuti tra il IX ed il VI secolo a.C., furono molto assidui e ben documentati dai ritrovamenti in tombe etrusche delle singolari e tipiche statuette in bronzo, navicelle votive e vasi nuragici, che testimonierebbero anche legami di tipo dinastico.

    A tal proposito Mario Torelli scrive:

    « ....La grande oscurità di questo periodo è illuminata a tratti da alcuni isolati, folgoranti ritrovamenti. Tra questi il più notevole è quello costituito da tre bronzetti nuragici, una statuetta di capo in atto di saluto (?), uno sgabello ed un cesto, tutti di grande significato ideologico, in quanto simboli del potere (la statuetta e lo sgabello) e dello stato femminile (il cesto), rinvenuti in una tomba villanoviana di Vulci degli inizi dell'VIII secolo a.C.. La tomba certamente femminile, come dimostrano la forma del coperchio del cinerario in forma di ciotola, le fibule ed il cinturone, forse racchiudevano le ceneri di una donna sarda di alto rango, che possiamo immaginare venuta dall'Isola in sposa ad un esponente di rango di quella società villanoviana che proprio in quegli anni si andava espandendo in maniera sensibile. Questo rapporto matrimoniale, secondo il modello arcaico, cela tuttavia altre relazioni di natura più squisitamente economica. Indubbiamente la Sardegna, con le sue risorse di metallo e la sua tradizione bronzistica di aspetto cipriota miceneo, non poteva non costituire un'area di grande interesse per un mondo fortemente qualificato in campo metallurgico come quello tirrenico.[...]. Non meno interessante al riguardo è la presenza di un discreto numero di fibule etrusche in Sardegna, messa bene in luce di recente da F. Lo Schiavo. Le fibule, questo particolare oggetto di abbigliamento ignoto al costume sardo ove imperano le pelli - pelliti sardi sono chiamati insistentemente gli indigeni dalle fonti latine - non sono importate se non con un ben preciso modo di vestire: gli usi dell'abbigliamento, soprattutto in ambiti culturali primitivi, come è noto, non si esportano senza le persone, e il ritrovamento di fibule villanoviane in Sardegna costituisce un indizio prezioso circa possibili spostamenti di persone di origine tirrenica nell'Isola. »
    (Mario Torelli, Storia degli Etruschi, 1981, ed. CDE spa, Milano, su licenza Gius. Laterza & Figli. Pagg 58,60.)


    La metallurgia


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    Spada ad antenne

    La metallurgia realizzava tutto il ciclo di lavorazione sul posto e la maestria dimostrata dai nuragici nella lavorazione del bronzo, fa capire fino a che punto erano divenuti abili nella lavorazione dei metalli e nella costruzione di armi. Nei musei sardi, oltre alle magnifiche collezioni di bronzetti votivi, si possono ammirare anche veri e propri arsenali di armi di ogni specie. Stupisce non solo il notevole livello tecnico raggiunto dagli artigiani, ma anche l'indice elevato di produzione e l'elevato grado di consumo, sono stati rinvenuti - infatti - grandissime quantità di oggetti in bronzo rotti e destinati nuovamente alla fusione. Le attuali ricerche sui bronzi tentano ancora di stabilire con esattezza la loro datazione: se sono stati prodotti prima del VIII secolo a.C. e se i risultati daranno esito positivo, saranno senza ombra di dubbio di molto antecedenti alle più antiche sculture bronzee greche fino ad ora conosciute. Le ultime scoperte archeologiche fanno conoscere nuovi ed interessanti aspetti della civiltà nuragica nella quale i ricchi giacimenti di minerali, soprattutto quelli di rame e piombo, hanno avuto un ruolo primario. Non è infatti considerata una semplice coincidenza se l'età aurea, nel mezzo del II millennio a.C., viene posta in un'epoca in cui l'attività estrattiva e metallurgica conobbe una straordinaria espansione. La metallurgia produsse poi lingotti di rame, chiamati - per la loro particolare forma - a pelle di bue: alcuni di questi lingotti sono stati ritrovati in Spagna e in Francia, ma anche lungo le lontane coste turche ed in Grecia. L'esame delle armi rinvenute offre interessanti riflessioni essendo, queste, utili per capire le connessioni e, forse, le origini ed i flussi commerciali della civiltà nuragica. Nel periodo che va dal 1500 a.C. al 1200 a.C. le armi avevano una foggia ed una fattura di tipo orientale ; nel periodo che va dal 1200 a.C. al 900 a.C., le armi erano invece di tipo egeo. Non è stato invece ancora risolto il mistero legato alla fusione del bronzo: tale lega è infatti il risultato della fusione tra il rame (ampiamente disponibile in Sardegna) e lo stagno, del quale invece non è mai stata segnalata la presenza sull'Isola, salvo un piccolo giacimento di cassiterite in località Perdu Cara presso Fluminimaggiore di cui fu concesso nel dopoguerra il permesso di ricerca alla S.M.M. di Pertusola. Grandi giacimenti di stagno erano presenti in Inghilterra. I nuragici, dunque, si approvvigionavano presumibilmente all'esterno intrattenendo scambi commerciali con paesi molto lontani.

    Le ceramiche

    Nella ceramica, l'abilità ed il gusto degli artigiani sardi si manifestano essenzialmente nel decorare le superfici di vasi ad uso certamente rituale, destinati ad essere utilizzati nel corso di complesse cerimonie, forse in alcuni casi anche ad essere frantumati al termine del rito, come le brocche rinvenute nel fondo dei pozzi sacri. La ceramica sviluppa anche una grafia geometrica nelle lampade, nei vasi piriformi (esclusivi della Sardegna) e negli askoi. Forme importate e locali sono state trovate a Barumini, a Santu Antine, a Cuccuru Nuraxi, Santa Anastasia, Villanovaforru, Furtei e Suelli. Ritrovate anche nella penisola italiana, in Sicilia, in Spagna e a Creta tutto fa pensare ad una Sardegna molto ben inserita nei commerci del Mediterraneo.

    I bronzetti


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    Guerriero con 4 occhi e braccia

    Oltre ad oggetti di uso militare, l'artigianato fabbricava attrezzi agricoli d'uso comune, oggetti per la casa, monili, vasi di bronzo laminato, cofanetti, specchi, spille, fibbie, candelabri, manici per mobili e soprattutto i caratteristici bronzetti votivi. Utilizzati probabilmente come ex voto e/o come riferimento ad un mondo eroico tramandato, legato comunque al culto, i bronzetti rappresentavano figure di uomini, imbarcazioni, nuraghi e animali utili per ricostruire scene di vita quotidiana. In base alla loro produzione, si possono notare diversi stili e gradi di perfezione, tra i quali quello aulico, chiamato di Uta ed uno popolaresco, definito anche Mediterraneo. Tra i bronzetti più noti si possono menzionare i capi tribù (con mantello e daga borchiata), le divinità con 4 occhi e 4 braccia, gli uomini-toro, i guerrieri, i pugilatori, le sacerdotesse e le maternità, due di Serri e una di Urzulei, quest'ultima è nota comunemente come madre dell'ucciso, in analogia ad una celebre scultura novecentesca di Francesco Ciusa.

    Le statue dei Giganti di Monte Prama

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    Statua di guerriero

    Ai luoghi di culto si associava, in genere, l'offerta dei bronzetti votivi che raffiguravano uomini e donne, animali, modellini di imbarcazioni, modellini di nuraghi, esseri fantastici, riproduzioni in miniatura di oggetti e arredi. Questa importante produzione artistico-religiosa ha prodotto un'iconografia ben codificata e tipizzata che, nel 1974, è stata arricchita dai resti di 32 (forse 40) statue in pietra arenaria di dimensioni monumentali (alte da 2 a 2,5 metri) comunemente conosciute come Giganti di Monti Prama dal nome della località del Sinis presso Cabras, in provincia di Oristano nella quale vennero ritrovate. Queste statue richiamano la tipologia dei bronzetti stile Abini-Serri. La scoperta degli enormi frammenti di queste statue giganti che rappresentano guerrieri, arcieri, lottatori, modelli di nuraghe e pugilatori dotati di scudo e guantone armato, che si ritiene siano risalenti al X-VIII secolo a.C., ha sconvolto non poco le attuali certezze degli archeologi sulla civiltà nuragica, proiettando nuova luce sull'arte e la cultura delle popolazioni della Sardegna. La datazione confermerebbe la sopravvivenza e la forza della cultura nuragica nel periodo fenicio. I Giganti hanno occhi come dischi solari, volutamente privi di espressione e di bocca ed acconciature che lasciano cadere sulle spalle 2 trecce per lato, abito di foggia orientale con scollo a V. Sono ben visibili importantissimi dettagli relativi alla foggia delle armature e delle protezioni. Il sito di Monti Prama raffigura un complesso di personaggi che in tutta probabilità rivestivano carattere eroico, in ricordo di imprese andate oggi dimenticate, poste a guardia di un sepolcro. Potrebbe anche trattarsi, con minore probabilità, della rappresentazione di una sorta di olimpo con peculiari divinità nuragiche.

    Religione nuragica


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    Moneta del Sardus Pater con corona
    piumata e giavellotto fatta coniare daM. Azio
    Balbo, pretore della Sardegna nel 59 a.C

    Le grandi effigi in pietra, raffiguranti organi genitali maschili, chiamati bétili, e rappresentazioni di animali come il toro, probabilmente risalgono alle culture pre-nuragiche, ma tuttavia, come tutti gli animali muniti di corna, avevano valenza sacra anche nella civiltà nuragica, essendo frequentemente riprodotto nelle imbarcazioni, nei grandi vasi in bronzo per il culto e negli elmi dei soldati. Sono stati rinvenuti poi bronzetti rappresentanti figure metà toro e metà uomo, personaggi con quattro braccia e quattro occhi, cervi con due teste, e aventi carattere mitologico, simbolico o religioso. Altro animale sacro fortemente raffigurato in modo stilizzato era la colomba, la cui importanza è nota anche nella cultura semitica. Le diverse tribù nuragiche, per ingraziarsi le divinità e poter progredire, praticavano molto probabilmente una religione che collegava la fertilità dei campi, il ciclo delle stagioni, dell'acqua e della vita, con la forza maschile del Toro-Sole e la fertilità femminile dell'Acqua-Luna. Si ritiene che vi fosse probabilmente una dea Madre mediterranea e un dio padre Babai (chiamato in epoca punica Sid Addir Babai e in epoca romana Sardus Pater. Babai nella lingua sarda odierna significa padre). Dagli scavi si evince che in determinate ricorrenze annuali i nuragici si radunavano in luoghi comuni di culto, con alloggi e strutture di tipo aggregativo, a volte gradonate, in cui solitamente si segnala la presenza di un pozzo sacro, talune volte di fattura molto decorata e complessa da un punto di vista idraulico come Sedda 'e sos Carros di Oliena (NU). In alcune aree sacre, come quella di Gremanu a Fonni (NU), di Serra Orrios a Dorgali (NU) o di S'Arcu 'e is Forros a Villagrande Strisaili (Ogliastra), sono presenti templi a base rettangolare detti megaron, strutture con spazio sacro interno che potrebbe essere stato destinato ad un fuoco sacro forse mantenuto acceso da una casta sacerdotale. Nei pozzi sacri e nei megaron vi erano sacerdoti di sesso in prevalenza femminile che officiavano riti ormai ignoti probabilmente collegati all'acqua e forse a ritualità astronomiche di tipo solare, lunare o di osservazione dei solstizi. In particolare è interessante la raffigurazione bronzea di una sacerdotessa che presenta il capo sormontato da un disco che verosimilmente richiama il sole o la luna. Altri copricapi circolari sono allungati verso l'alto. Si ritiene che siano collegati alla religiosità anche alcuni dischi cesellati con figure geometriche, chiamati Pintadera, la cui funzione non è univocamente stabilita. Tantissime statuette in bronzo raffigurano personaggi che alzano la mano (solitamente la destra) in segno di saluto, invocazione o preghiera. Molti ricercatori pensano che in occasione di queste feste e celebrazioni religiose collettive, i santuari abbiano fatto da incubatori per l'idea di nazione o, comunque, di una più stretta confederazione. Alcuni pensano anche che si andava realizzando una sorta di pansardità. In tali occasioni si tenevano probabilmente incontri intercantonali, giochi sportivi simili alla lotta greco romana ed al pugilato e si stringevano alleanze familiari e rapporti commerciali. Secondo l'archeologo Giovanni Lilliu, è esemplare a tal proposito il Santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri, vero e proprio pantheon delle divinità nuragiche, supponendo che nell'edificio principale del villaggio si riunissero in assemblee federali i clan più potenti dei sardi nuragici abitanti la Sardegna centrale, per consacrare alleanze o per decidere guerre. Le strutture comuni erano organizzate in modo da far convivere la festa religiosa e quella civile, il mercato con l'assemblea politica. Era presente il tempio a pozzo della fonte sacra, fornita di atrio e con fossa per i sacrifici, con uno spazio per esporre gli ex voto, scala con soffitto gradonato e la tipica camera - dove si raccoglieva l'acqua - provvista di falsa cupola con foro centrale. Non mancavano le protomi taurine sul prospetto e, intorno, bétili e cippi. Vi era pure un sacello rettangolare con sagrestia per le offerte al o agli dei. I giochi e gli affari si svolgevano in una vasta corte ellittica con porticati e vani rotondi per il soggiorno dei partecipanti e con i posti riservati ai rivenditori di merci, ai pastori e ai contadini. Nelle vicinanze vi era un ambiente circolare con alcune capanne. Il primo serviva per le assemblee, nelle seconde abitavano gli addetti alla custodia, alla manutenzione dei luoghi e gli amministratori dei beni del tempio. Nello stesso modo era organizzato il tempio di Santa Cristina a Paulilatino. Sono noti almeno una ventina di questi templi (molte volte recuperati al culto cristiano come ad esempio la cumbessias di San Salvatore in Sinis presso Cabras).

    Architettura religiosa

    L'architettura religiosa è soprattutto rappresentata dai pozzi sacri e dalle fonti sacre. Questi monumenti, tra i più elaborati che si trovano in Sardegna, sono edifici legati al culto animistico o astronomico dell'acqua e sono edificati con tecnica megalitica. Il cuore del tempio-sorgente è la sala con la volta a tholos - come nei nuraghi - il più delle volte sotterranea e nella quale veniva raccolta l'acqua sorgiva. Una scala collegava la sala all'atrium del tempio, generalmente situato al livello del terreno circostante e attorniato da piccoli altari in pietra sui quali si depositavano le offerte e sui quali si celebravano i riti propri al culto dell'acqua sacra. La perfezione e la precisione con la quale sono stati tagliati i blocchi di pietra calcarea o lavica, è tale che per molto tempo sono stati datati tra l'VIII ed il VI secolo a.C. e furono comparati all'architettura religiosa etrusca. Le più recenti scoperte hanno indotto però gli archeologi a stimare la costruzione di questi templi intorno al periodo in cui esistevano strettissime relazioni tra i Nuragici e i Micenei della Grecia e di Cipro, e cioè di molti secoli anteriori alle prime estimazioni. I pozzi sacri subirono nel tempo delle trasformazioni. Edificati sulle sorgenti d'acqua, erano un luogo di pellegrinaggio ed intorno ad essi si sviluppava generalmente un villaggio-santuario. Le capanne note come sala del Consiglio sono associate a depositi di oggetti di bronzo e lingotti di piombo recanti tacche e marchi, forse indicanti il valore temporale. Si pensa che fossero la riserva della comunità o il tesoro del tempio. Col tempo ebbero un'evoluzione verso strutture molto complesse da un punto di vista idraulico (con canalette piombate, vasche di raccolta e protomi taurine per l'uscita dell'acqua calda verso un bacile centrale, circondato da una seduta rituale) come ad esempio il complesso di Sedda 'e sos Carros ad Oliena (NU). Le funzioni religiose di certi templi si perpetuò fino all'arrivo del cristianesimo: a Perfugas (OT), il pozzo sacro Pedrio Canopoli fu scoperto nei giardini di una chiesa.



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    Resti di tempietto a megaron

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    Tomba dei giganti di Osono

    I tempietti a Megaron
    Altri edifici di culto, meno diffusi dei pozzi e delle fonti e tuttavia presenti in varie parti dell'Isola, sono i cosiddetti tempietti in antis o tempietti a megaron. Il più grande e meglio conservato è Domu de Orghìa presso Esterzili (NU).

    Architettura funeraria
    Le tombe dei giganti segnano nelle loro poco sondate diversità strutturali e tecniche, il complesso evolversi della civiltà nuragica fino agli albori dell'Età del ferro. Queste costruzioni funerarie megalitiche, la cui pianta rappresenta la testa di un toro, sono diffuse uniformemente in tutta l'Isola, anche se si nota una fortissima concentrazione nella sua parte centrale. Si tratta di tombe costituite da una camera sepolcrale allungata, realizzata con lastroni di pietra ritti verticalmente con copertura a lastroni (nel tipo più arcaico, o dolmenico), oppure con filari di pietre disposte e copertura ogivale. Sulla fronte, il corpo tombale si apre in due ampi bracci lunati, a limitare un'area semicircolare cerimoniale: la cosiddetta esedra. In prossimità delle tombe sorgevano spesso degli obelischi simboleggianti senza dubbio gli dei o gli antenati che vegliavano sui morti. Questa sorta di menhir sono chiamati baity-loi (in italiano betili) ed è una parola che sembra derivare da beth-el che in ebraico significa casa del dio.


    Edited by Isabel - 15/7/2013, 10:22
     
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4 replies since 23/10/2010, 23:31   1833 views
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