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Cirò

Provincia di Crotone

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  1. Isabel
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    Cirò

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    - Fonte -

    Cirò è un comune di 3.033 abitanti della provincia di Crotone. Fino al 1952 ha avuto come frazione Cirò Marina.

    Geografia

    Comune della cinta collinare costiera dell'alto Mar Jonio, in Calabria.

    Storia

    - Fonte -
    Comune di Cirò


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    L'indiano Di Santa Venere

    Alcuni rinvenimenti di manufatti in ossidiana e in selce, effettuati nell'area di Sant'Elia e sul Cozzo Leone, fanno pensare che insediamenti umani si stabilirono in questo sito già a partire dal V millennio a.C., occupando le alture che consentivano il controllo visivo del territorio sottostante; tuttavia, non sono da escludere stanziamenti nelle zone più basse (lungo la fascia litoranea ricca d'acque sorgive) in prossimità delle aree utilizzate per la coltivazione. I probabili nuclei costieri di Cirò sono da considerare nel loro stretto rapporto con il mare, con la navigazione e quindi con il commercio marittimo (l'ossidiana, infatti, proveniva con molta probabilità da Lipari). Altri ritrovamenti, inoltre, documentano come questa zona sia stata popolata dall'Età del Bronzo e del Ferro. Quanto è stato scoperto basta a dimostrare che Cirò superiore fu popolato, fin dal IX secolo a.C., da un gruppo d'indigeni affini a quelli di Locri e Torre Mordillo. Le testimonianze d'Età greca offrono un quadro interessante sull'incontro, a partire dalla seconda metà del VII secolo a.C, fra gli abitanti del luogo e i coloni greci (quasi certamente crotonesi). Tale incontro ebbe un carattere non violento, anzi la componente indigena pare avere assorbito presto costumi, rituali e oggettistica di derivazione greca. In questo senso molto interessante è l'area funeraria di Sant'Elia che insieme ai siti di Taverna (Cirò Marina), Cozzo Leone, Serra Sanguigna e soprattutto il santuario d'Apollo Aleo a Punta Alice, appaiono come avamposti della grecità crotoniate.

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    Porta Cacovia
    A partire dalla metà del IV secolo a.C. sui rilievi collinari si nota la forte presenza di una popolazione connotabile come brettia (gruppo italico che le fonti letterarie fanno discendere dal ceppo sannitico) disposta in tanti piccoli villaggi, tipica organizzazione, questa, della società agreste e pastorale dei Brettii. In anni passati sono stati individuati in località Malocutrazzo, nel territorio di Cirò, alcuni siti funerari riferibili a questo popolo. In Età romana, rispetto al periodo brettio, si nota una diminuzione della quantità degli insediamenti; questo fattore viene tradizionalmente interpretato come legato ad un calo demografico, forse a causa di una concentrazione della proprietà fondiaria. Proprio nei pressi del fiume Lipuda, sulle pendici meridionali e orientali della collina denominata Monte Anastasia, sarebbero stati rinvenuti resti d'epoca romano-imperiale relativi a una villa o forse a un piccolo villaggio. L'ubicazione di questa struttura corrisponderebbe alle caratteristiche indicate da Catone nell'acquisto di un fundus. Lo scrittore latino consigliava di scegliere un sito caratterizzato da clima buono e terra fertile, posto possibilmente ai piedi di un'altura e volto verso mezzogiorno, nei pressi di buone vie di comunicazione terrestri, marittime e anche fluviali.

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    Mura Medievali
    Per avere un'idea dell'attuale insediamento di Cirò, detta anche Ypsicron, Ipsicrò, Psigrò, Zirò, Cerre e Cire, occorre giungere fino al XII secolo. Il passaggio dal dominio bizantino a quello normanno fu reso difficile e complicato dalla forte rivalità tra Roberto e Ruggero, i due fratelli d'Altavilla (protagonisti della disfatta delle milizie bizantine), e dopo di loro, tra i successori, anche quando venne fondato il potere monarchico del Regno di Sicilia. La popolazione calabrese, approfittando dei conflitti intervenuti all'interno della classe dominante normanna, si oppose al versamento di tributi ed all'obbligo del servizio militare imposto dai conquistatori. Ma gli Altavilla seppero anche fondere le proprie ambizioni con le esigenze della popolazione indigena. Così, ad esempio il proposito di concorrere alla conquista di luoghi santi coinvolse la società calabrese. L'attenzione dei Normanni per questi eventi non può essere messa in dubbio. Lo dimostra la donazione di alcuni beni che Riccardo Senescallo, figlio del conte Drogone e nipote di Roberto il Guiscardo, fece, nel 1115, a Raimondo abate del monastero di San Salvatore di Monte Tabor. Costui aveva espresso il desiderio di aprire lungo il litorale ionico, in diocesi di Umbriatico, una "mansio" da servire a crociati e pellegrini. Senescallo, dunque, dispose del territorio di Cirò come dominus loci, nell'ambito di una giurisdizione frastagliata e discontinua quale fu quella che connotò il potere della seconda generazione normanna. Presto, il nuovo ceto feudale acquisì in tutto il regno solide posizioni; non diversamente avvenne nel territorio cirotano, per il quale le fonti documentano una signoria feudale autonoma affidata a Roberto dominus de Ypsigro, padre di Giovanni, che nel 1205 sottoscrisse un atto a favore del monastero florense di Fontelaurato. Secondo fonti fiscali, nel 1276, quando il villaggio era sotto il dominio di Rinaldo di Cirò (un feudatario che oltre ad essere il dominus della cittadina, possedeva il casale di Crepacore nei pressi di Corigliano), il paese aveva una popolazione di 3.616 abitanti, ai quali bisogna aggiungere i 1.216 residenti nel citato casale, in gran parte dediti alla pastorizia e all'agricoltura. Dagli insediamenti costieri salpavano esperti pescatori ed abili marinai-mercanti che creavano uno stretto rapporto con i porti pugliesi e con quelli della costa tirrenica, in cui portavano i frutti, già allora preziosi, delle colture cirotane. Con il passare del tempo avvenne una fusione fra i membri della popolazione normanna e quelli della popolazione indigena, si andava così delineando un nuovo volto della Calabria, sulla quale la chiesa romana era tornata a esercitare il dominio patriarcale e giurisdizionale.

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    Chiesa S.Nicodemo
    A partire dalla fine del Trecento, la cittadina entrò a far parte del grosso aggregato feudale denominato marchesato di Crotone ed intestato a Nicolò Ruffo (uno dei protagonisti coevi della storia del Regno di Napoli in Età angioina). Cirò (come è dimostrato anche dalla presenza di una numerosa comunità ebraica), occupava nell'ambito del marchesato, una posizione produttiva e commerciale di rilievo. La cittadina, infatti, svolgeva il ruolo di importante scalo marittimo nella direttrice Reggio Calabria, Crotone, Taranto. Tale ruolo, nel contesto del grande aggregato feudale, venne meno con la crisi del potere dei Ruffo a metà Quattrocento, per cui Cirò venne dapprima assegnata al demanio regio, poi (nel 1496) fu acquistata per novemila ducati da Andrea Carafa, conte di Santa Severina. Nella nuova situazione, e per tutto il Cinquecento, la cittadina espresse una discreta vitalità. La sua popolazione aumentò, passando da circa 2.000 abitanti a 2.500, crescita questa che può essere considerata poco adeguata rispetto alle potenzialità produttive del territorio. Tra i fattori che in Età moderna contribuirono in parte ad impedirne la mancata crescita, bisogna annoverare le incursioni dei turchi, e soprattutto l'oppressione feudale che, nella prima metà del secolo, ne controllò e sfruttò la vita civile, impedendo all'economia locale di svilupparsi a pieno. In particolare, i Carafa, sia per l'esigenza di difendere la costa ionica dalle possibili invasioni turche, sia per la necessità di rafforzare il dispositivo di controllo militare del feudo di cui erano titolari, intervennero a Cirò completando, e in parte probabilmente innovando un solido sistema difensivo, con il massiccio castello (di cui vi è già traccia in un'antica documentazione quattrocentesca), attorno al quale sorge oggi la cittadina. L'azione di trasformazione urbana, voluta dai Carafa, proseguì con la creazione di una cinta muraria difensiva (che aveva nelle quattro porte d'ingresso al centro urbano il suo punto nevralgico), e con altre strutture militari alla Marina.

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    Torre Della Mura Medevali
    Questi apparecchiamenti trovavano, come già sottolineato poc'anzi, giustificazione nella necessità di difendere la città dalle scorrerie turche. Le mura difensive, come si dimostrò ripetutamente nel corso dell'Età moderna, non furono in grado di contrastare le incursioni ottomane. Esse, invece, ebbero l'effetto di esercitare un ferreo controllo sulla popolazione. Non mancarono, tuttavia, episodi che testimoniarono buoni rapporti tra esponenti del ceto intellettuale cittadino, quali Gian Teseo Casoppero, e gli stessi Carafa. Si deve inoltre a questi ultimi, la costruzione di una nuova cinta muraria, con quattro porte d'ingresso al centro urbano. La crisi finanziaria della dinastia portò i Carafa a disfarsi del feudo che verme acquistato da Pietro Antonio Abenante, il quale giunse in città per esercitarvi direttamente il ruolo feudale. I pessimi rapporti che si stabilirono con i cirotani rimasero inalterati per decenni e alla fine 1'Abenante, sospettato di eresia (anche sulla base di denunzie provenienti dai suoi vassalli), dovette abbandonare la signoria feudale. Cirò nel 1571 venne così acquistata per 35.000 ducati da Giovan Vincenzo Spinelli, appartenente a una delle maggiori famiglie feudali del regno, la cui stirpe ebbe un ruolo rilevante nella storia del Mezzogiorno moderno. Ovviamente il feudo cirotano si avvantaggiò e non poco della nuova condizione all'interno dell'aggregato dei principi di Tarsia (titolo che gli Spinelli, nel 1606, avevano aggiunto a quello di marchesi in seguito all'acquisto di quella terra). Poiché questi signori risiedevano a Napoli, a partire dalla fine del Cinquecento la città di Cirò poté stabilire rapporti sempre più intensi con la capitale medesima. La sua popolazione, infatti, incrementò le attività produttive. Il vino, i formaggi e l'olio trovarono un mercato assai cospicuo nella capitale, grazie anche ad un sistema di trasporto via mare che si potenziò proprio per merito degli Spinelli. Il nuovo fervore ebbe effetti positivi all'interno dell'intera comunità, che ne fu favorevolmente stimolata. Se per un lungo periodo la vita municipale risultò governata dai soli esponenti del ceto nobiliare locale, a metà del Seicento (in corrispondenza con le sommosse degli anni di Masaniello) anche a Cirò la classe meno abbiente si rivoltò contro la gestione municipale.

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    Vista Da Cirò
    Dopo la repressione della sommossa, il principe di Tarsia volle modificare il sistema di governo cittadino aprendo la gestione alla partecipazione degli esponenti del popolo. Tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento la vita cittadina vide il rafforzamento notevole del clero secolare e regolare. Il numero dei conventi passò da 1 a 4; nel 1696 nella sola parrocchia di S. Maria de Plateis ben 30 sacerdoti esercitavano il servizio religioso. La presa del clero sulle risorse del territorio divenne assai forte, per cui non mancarono gli episodi di scontro con gli abitanti del centro urbano su problemi che la popolazione riteneva di vitale importanza, come il pagamento delle decime. Nel corso del XVIII secolo, tutti i fermenti in atto nella vita cittadina produssero novità importanti. La rinnovata partecipazione popolare alla vita municipale, sulla quale la giurisdizione feudale cercò sempre di intervenire per limitarne i margini di autonomia, prese coscienza di quelli che considerava i due fattori limitativi della crescita civile: da una parte, la presenza di un clero pletorico che ne assorbiva energie economiche vitali; dall'altra, lo sfruttamento delle risorse produttive del paese da parte degli Spinelli. Nacque perciò, nell'ambito del ceto dirigente cittadino, un partito demanialista, che sostenne lotte molto dure, sia per rivendicare la cessazione della presa fiscale del clero sull'economia, sia per contestare le pretese dei principi di Tarsia sul piano politico e civile. I capi di questo partito erano uomini come Giuseppe Balsami, Mattia Chiaramonti, Giovanni e Francesco Franza, Giuseppe Vergi, Paolo Vitetti. A partire dalla metà del secolo, il riformismo del governo borbonico ebbe effetti positivi. Venne ridotto, infatti, il ruolo degli ecclesiastici secolari e regolari e tutti i conventi cittadini vennero soppressi. I feudatari invece, sulla spinta di suggestioni del pensiero riformatore meridionale (verso il quale gli Spinelli dimostrarono aperture), avviarono una politica di modernizzazione produttiva nelle campagne e verso la marina. In questa direzione si spostò risolutamente il baricentro degli interessi produttivi sia del feudatario che delle maggiori famiglie proprietarie. La città partecipò, perciò, in maniera inaspettata alle vicende del 1799 (in paese operarono infatti gruppi di rivoluzionari, intenzionati a mutare con violenza, sull'esempio della coeva rivoluzione francese, la forma dello stato borbonico in cui non si riconoscevano più), aderendo alla repubblica giacobina anche in virtù delle pressioni esercitate dalla stessa principessa di Tarsia, concorde con il nuovo indirizzo politico. Con la restaurazione borbonica del 1815, la città entrò a far parte della provincia di Catanzaro. A1 suo interno maturarono importanti trasformazioni sociali. Da una parte, con l'abolizione del feudalesimo, si rafforzò un ceto di proprietari borghesi che divenne sempre più il protagonista della vita municipale. Esclusa (dal regno borbonico) dalla partecipazione alla vita politica nazionale napoletana, in seguito ai due tentativi falliti del 1821 e 1848 di dare una svolta costituzionale alla gestione del Regno delle Due Sicilie, la borghesia si orientò sempre più radicalmente verso l'adesione ai nuovi valori risorgimentali, di lotta per una Italia unita.

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    Vista Di Ciro Dalle Colline Sottostanti
    Dall'altra, il ceto dei contadini e degli artigiani pose con forza il problema delle terre demaniali che, per buona parte, venivano gestite dal ceto proprietario attraverso il controllo del municipio. L'avvio di soluzione del problema avrebbe comportato, con il trasferimento alla Marina di molti nuclei familiari di contadini assegnatari, il punto di svolta della nascita di una nuova comunità a valle di Cirò. Non casualmente, appena all'indomani dell'Unità, l'inizio di una fase più distesa nei rapporti sociali fu favorita dalla decisione di quotizzare alcuni terreni demaniali, assegnandoli ai contadini indigenti. Questa partecipazione dei ceti popolari alla trasformazione produttiva del territorio cirotano venne testimoniata altresì dalla nascita, nel 1859, di una Cassa popolare di prestanze agrarie a favore degli agricoltori in difficoltà. Ma il problema dell'ampliamento delle strutture produttive, che indubbiamente venne realizzato dopo l'Unità, non era l'unico a caratterizzare la vita cirotana. Legato a questo c'era quello relativo alla scarsità di risorse finanziarie pre senti sul territorio (d'altra parte, non sempre le maggiori quantità di prodotto potevano trasferirsi sul mercato). Da qui la povertà diffusa tra i contadini cirotani, la scarsezza della base imponibile delle finanze comunali, l'insufficiente modernizzazione sul piano dei servizi civili (acquedotto, fognature, illuminazione pubblica, ecc.) che caratterizzava il paese alla fine dell'Ottocento. Questo vero e proprio circolo chiuso dell'arretratezza iniziò ad attenuarsi grazie al fenomeno dell'emigrazione all'estero. Questa a sua volta si tradusse in un importante trasferimento a Cirò di risorse finanziarie provenienti dalle rimesse. All'inizio del Novecento, inoltre, il paese partecipò a quel vasto movimento di protesta antigovernativa nota come la lotta per la "Pro Calabria". Il movimento, infatti, mirava a ottenere risorse aggiuntive dello stato da investire in opere pubbliche (strade, ferrovie, acquedotti, ecc.). In effetti, anche a causa di importanti eventi sismici che afflissero la regione, la legge venne approvata e cospicui fondi furono messi a disposizione dei comuni della regione. Così Cirò fu in grado di realizzare importanti progetti. Tra le più attese dalla popolazione vi fu sicuramente la nascita degli acquedotti per il centro storico e per la Marina. Lo scoppio della Prima guerra mondiale, però, ne rinviò al decennio successivo la realizzazione. Nel frattempo la partecipazione dei cirotani al conflitto mondiale si trasformò, nell'immediato dopoguerra, in un nuovo vigoroso movimento per l'occupazione delle terre demaniali e di quelle incolte. Era emerso nell'ambito del paese un gruppo di ex combattenti, che trovò in Luigi Siciliani (un intellettuale nazionalista molto noto sul piano nazionale) un importante punto di riferimento.
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    Tramonto a Cirò
    Nacquero delle cooperative, sulla base di una decretazione nazionale, che ottennero in concessione una certa quantità di terre distribuite e messe a coltura dai soci. In questo periodo emerse la figura del sindaco Francesco Fortunato, che operò per migliorare le condizioni igieniche dell'abitato e il tenore di vita dei ceti meno abbienti. Il nuovo orientamento di Siciliani sul piano nazionale e il suo avvicinamento al fascismo, portò a nuove fratture politiche all'interno di Cirò. Nacque, infatti, un'opposizione al sindaco Fortunato guidata da esponenti della famiglia Siciliani, che facilitò non poco l'adesione al nuovo regime da parte del ceto dirigente locale. Durante il ventennio, furono eseguite buona parte di quelle opere pubbliche progettate in Età giolittiana (tra di esse il completamento della strada Cirò-Umbriatico che ruppe definitivamente l'isolamento del vecchio centro urbano). La questione sociale venne naturalmente rimossa dal dibattito politico locale, ma si ripresentò con forza all'indomani della caduta del fascismo, quando i contadini di Cirò furono tra i primi a riprendere la lotta per la terra. Questa volta il movimento fu guidato dai nuovi quadri del partito comunista, che espressero una forte capacità di mobilitazione per almeno un quinquennio (1943-1948). I risultati politici si videro nel referendum del 2 giugno 1946, quando a Cirò la repubblica (in controtendenza rispetto al Mezzogiorno) vinse con 2.618 voti sui 2.251 espressi per la monarchia. La nascita del nuovo sistema politico risentì del diverso clima sociale e, oltre al Pci assai forte localmente, anche il partito della Dc ebbe un suo radicamento nel mondo contadino. Nel frattempo maturarono le condizioni perché la Marina, che aveva una popolazione più numerosa di Cirò, venisse staccata dal centro antico; separazione consensuale che si verificò con delibera del 31 dicembre 1951 da parte del Consiglio comunale di Cirò. Intanto la legge di Riforma agraria aveva coinvolto un paio di centinaia di famiglie contadine del Cirotano nell'assegnazione dei poderi. La riforma creò organi di assistenza e di finanziamento sia per i contadini assegnatari, sia per le aziende agricole presenti sul mercato, e poiché esse erano gestite da esponenti democristiani, la Dc riuscì a creare a Cirò una struttura associati va altrettanto massiccia di quella creata nel corso delle lotte contadine dal Pci. Da qui la singolarità del sistema politico cittadino, che nel secondo dopoguerra, in controtendenza rispetto al paese, operò in regime di bipartitismo con una dialettica politica che consentiva all'opposizione di diventare maggioranza e viceversa. Una eccezione, temporalmente limitata, si ebbe invece nel decennio1982-1992, quando il sistema politico locale sembrò omologarsi a quello assai disgregato del resto d'Italia.

    Krimisa, Ciro' Superiore

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    L'identificazione di Krimisa ancora non completamente risolta è attualmente a favore della zona attorno a Cirò Superiore, dove gli studiosi hanno evidenziato delle continuità abitative dall'età del ferro fino a quella romana; indiscussa è invece la collocazione del tempio di Apollo Aleo nei pressi di Cirò Marina ed il fiume omonimo è stato riconosciuto nel Lipuda Numerosi sono i ritrovamenti nell'area di Krimisa, nel 1914 Paolo Orsi ritrovò una necropoli dell'età del Ferro (VIII a.C.), con vasi e bronzi, in località Cozzo a Cirò Superiore. Sempre da Cirò Superiore provengono sei asce bronzee. All'età successiva (V-IV a.C.) rimandano alcuni reperti del santuario di Cozzo Leone, dedicato forse a una divinità femminile. Ritrovamenti del IV e III a.C. si susseguono con: mura, antefisse, ceramica, depositi votivi relativi al culto di Persefone, fornaci e necropoli. Piuttosto isolata, in contrada Oliveto si segnala una tomba a camera. In età romana, resti di ville sulla sponda sinistra del Lipuda. II santuario di Apollo, edificio, scavato da Paolo Orsi nel 1924, presenta due fasi costruttive: una tardo-arcaica (della fine VI a.C., con pianta di 46 x 19 m, e una di III a.C., quando, venne aggiunta una peristasi in pietra (8 x 19 colonne). Al Museo Nazionale di Reggio Calabria, oltre a sei asce in bronzo da località S. Elia, si conservano i materiali provenienti dallo scavo che Paolo Orsi fece nel 1924 al tempio di Punta Alice: la testa e i piedi in marmo di un acrolito raffigurante Apollo (480 a.C.), una parrucca bronzea (480-460 a.C.) di un acrolito. Al Museo di Crotone sono custoditi, i materiali della necropoli di Cozzo del Salterello (VIII a.C.), la ceramica greca di Taverna (VII-VI a.C.) e i materiali della stipe votiva di Cozzo Leone (V-IV a.C.). Dal santuario di Apollo provengono capitelli dorici del tempio, rocchi di colonne, frammenti di architrave, terrecotte architettoniche e un'antefissa a disco.

    Monumenti e luoghi di interesse
    • Castello Carafa - La città si avvolge attorno a un manufatto militare, il castello dei Carafa (oggi di proprietà privata), che ne condiziona l'assetto abitativo. Fu quasi certamente fatto costruire dai suddetti feudatari, spinti sia da esigenze di difesa verso assalti nemici, sia dalla volontà di controllare gli abitanti della cittadina. Il castello ha una forma trapezoidale, i cui vertici sono occupati da quattro torri circolari, ed è diviso in tre parti: i sotterranei, che per l'alone leggendario che li circonda, hanno sempre suscitato curiosità; il piano magazzini con il lastricato del cortile in pietra locale (particolare la stella centrale a nove punte ripetute, in modo concentrico, all'interno di un cerchio); il piano superiore che comprendeva due appartamenti e altre stanze per la servitù. con l'atrio principale dove si può ammirare la 'Meridiana' un pavimento a mosaico. È composto da ben 365 stanze (molto probabilmente legate ai 365 giorni dell'anno). Il Castello Carafa è uno dei più grandi d'Italia.
    • Chiesa S.Nicodemo, sistuata nel primo quartiere nato a Cirò, il Portello (A ruga dù Porteddù).
    • Monumento ai caduti - È un monumento composito addossato alla facciata principale della chiesa madre. Circondato da una ringhiera in ferro battuto, è formato da una lapide in bronzo (inaugurata nel 1921) sulla quale sono incisi i nomi dei 96 cirotani caduti nella Prima guerra mondiale e da una lapide in marmo (inaugurata nel 1949) che riporta, invece, i nomi dei 41 soldati morti nella Seconda guerra mondiale e di un caduto della guerra d'Africa. Tra le due lapidi c'è lo stemma di Cirò e in alto una statua (ideata da Salvatore Ianni) che raffigura un soldato ferito.

    Palazzi

    - Fonte -

    • Palazzo Adorisio - Edificio su tre livelli in via S. Giuseppe. Il portale con arco a tutto sesto è provvisto di lucernario.
    • Palazzo Quattromani - Si trova in piazza San Giovanni, per anni ha ospitato gli uffici della Pretura. Sulla facciata posteriore, che affaccia su vico San Cataldo, si nota un'ampia apertura a doppio arco con pilastro centrale.
    • Palazzo Siciliani - Costruito nel 1919 in via Marconi, oggi ospita il liceo scientifico "Ilio Adorisio". Particolare il portale d'ingresso a doppio arco con piccola rampa di scale e balconcino balaustrato sovrastante. Sulle finestre del piano superiore spiccano una serie di maschere in pietra. L'imponente edificio della seconda metà dell'800 ha la caratteristica di essere stato costruito sopra uno dei torrioni della cinta muraria del borgo. Nel 1950 fu venduto dal conte Umberto Siciliani alle famiglie Arcuri, Conci e De Franco.
    • Palazzo Susanna - La costruzione si trova in via Lilio ed è caratterizzata da un portale ad arco con mascherone apotropaico alla chiave di volta e lucernario in ferro battuto finemente lavorato. In alto si apre un delizioso terrazzino.
    • Palazzo Terranova - L'edificio in via Casoppero fu abitato dalla famiglia Terranova, una delle più illustri del paese, che ne rimase in possesso fino al 1947. Degno di nota è l'imponente portale d'ingresso con piedritti modanati su cui poggia un arco a tutto sesto con decoro alla chiave di volta. Bello anche il lucernario a raggiera in ferro battuto.
    • Palazzo Teti - L'antico edificio di via Pugliese pare sia stato abitato nel '700 dalla famiglia Mauro e nell'800 da quella dei Cristiani per poi passare, infine, nelle proprietà di Oreste Teti. Degno di nota il portale d'ingresso ad arco con cancello in ferro battuto.
    • Palazzo Vergi (oggi Baffa) - Edificio in via Marconi. Costruito in pietra facciavista, si presenta su due livelli più un corpo rialzato. Il portale è arricchito da un portale ad archi concentrici. In alto un piccolo balcone con mensole in pietra e ringhiera in ferro battuto. Gli angoli sono evidenziati da pietre squadrate.
    • Ex-Palazzo Vescovile - Questo edificio era utilizzato in passato come residenza estiva del vescovo di Umbriatico. Si caratterizza per un corpo avanzato nel quale si apre un arco poggiante su colonne modanate che introduce nella corte interna.
    • Palazzo Pignatari - Si trova lungo via Casoppero ed è noto per il balcone "della Madonna delle Lacrime", così chiamato per via della presenza di un quadro della Vergine che pare abbia lacrimato. La loggia con angioletti e targa centrale è abbellita da colonne monolitiche dotate di semplici capitelli reggenti una copertura in muratura finemente decorata.
    • Palazzo Vitetti - In piazza Bandiera. In passato appartenne al marchese Susanna che pare vi abbia ospitato re Ferdinando d'Aragona.
    • Palazzo Vito - È molto particolare questo palazzo che ha ospitato in passato vari uffici comunali e scuole. L'ingresso, più basso rispetto all'assetto stradale, si raggiunge per mezzo di una scalinata che scende fino a una piccola corte esterna. Composto da corpi irregolari, ha un portale con arco a tutto sesto sovrastato da due finestre ad arco.

    Cucina
    • Il Cirò Rosso DOC e il Rosato DOC sono prodotti con uve "gaglioppo", il Cirò Bianco con uve "greco bianco". Uvaggi di trebbiano toscano sono consentiti in misura massima del 5% per i rossi e del 10% per i bianchi.
    • Sardella ("Sardedda") - Pasta a base di neonato di sarda ("bianchetto"), sale, peperoncino e semi di finocchio selvatico. Originaria di queste zone (tra Crucoli e Cirò Marina), molto prelibata e facilmente conservabile grazie al peperoncino, la "sardella" ha garantito alle popolazioni locali un importante apporto nutritivo in termini di antiossidanti e proteine. Si consuma spalmandola su pane, in tal caso è servita in piattino da portata guarnita con pezzettoni di cipolla, oppure usandola come condimento (crudo o saltato lievemente, a volte con mollica di pane tostato) per gli spaghetti.
    • Pitte con Sarde ("Pitt cù Sard") - Ricetta a base di Sardine del Mar Jonio,con l'aggiunta della Sardella per un contrasto di sapori eccezionale,le pitte (che sono delle girelle salate) vengono cotte al forno (possibilmente a legna)
    • Peperoni e patate ("Pip'e patat'") - Ricetta a base di peperoni di specie locale e patate fatte cuocere in padella con abbondante olio d'oliva e in alcune varianti con aggiunta di cipolla e pomodori freschi tagliati a pezzettini e aggiunti a fine cottura.
    • Savuza - Bucce di fava sbollentate in acqua e aceto e successivamente saltate con fave e cipolle.
    • Salsiccia di Maiale piccante ("U Sozizz'") - La carne di maiale viene trattata con più spezie (origano,limone) poi viene messa nell'intestino del Maiale che costituirà la buccia (prima l'intestino subisce una lunga disifezione, a base di erbe naturali e metodi che la lasciano pulita e priva di parassiti).

    Personalità legate a Cirò
    • Luigi Lilio, ideatore assieme al fratello Antonio della riforma del calendario gregoriano.
    • Gian Teseo Casoppero, scrittore, latinista, filosofo, autore di opere tra il 1527 ed il 1535, ispiratore di Luigi e Antonio Lilio
    • Elia Astorini (1651 - ?), frate carmelitano, medico
    • Giovan Francesco Pugliese (Cirò, 18xx), Giurista, scrittore, autore di "Descrizione e istorica narrazione di Cirò", testo di rilievo per la dettagliata descrizione socio-economica della realtà di un comune del sud Italia nel IXX secolo.
    • Domenico Siciliani (1879 - 1938), Generale di corpo d'Armata, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Regio, Governatore della Cirenaica. Autore materiale del Bollettino della Vittoria della I guerra mondiale, firmato dal generale Armando Diaz (..."I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza".)
    • Luigi Siciliani (1881 - 1925), poeta e scrittore. Fratello del generale Domenico Siciliani. Potrebbe essere l'ispiratore del Bollettino della Vittoria della guerra contro l'Austria del '15-'18, firmato dal generale Armando Diaz.
    • Vittorio Pugliese (1905 - 1965), politico
    • Stefano Pugliese (1901 - 1978), Medaglia d'oro al valor militare
    • Ilio Adorisio (Cirò, 1925 - 6 settembre 1991), ordinario di Economia dei trasporti e di Economia matematica nelle università di Cagliari, L'Aquila e Roma, consulente della Banca Mondiale e di svariati governi per la pianificazione dei trasporti.
    • Alessandro Vitetti, presbitero, venerato come servo di Dio dalla Chiesa cattolica.
    • Francesco De Franco, generale regio dell'esercito militare, condottiero durante la guerra coloniale.

    Tutti i castelli

    Tutte le torri

    Tutte le spiagge



    Edited by Isabel - 4/11/2014, 11:19
     
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