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Siti archeologici di Reggio

Città di Reggio Calabria

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    Siti archeologici di Reggio Calabria


    Siti archeologici

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    - Fonte -

    ''La ricerca ha messo in evidenza che la città di Reggio Calabria costituisce un caso raro nello scenario dell'archeologia mondiale poiché è testimoniata la presenza umana in modo continuativo sempre nello stesso luogo da oltre 3000 anni.''

    Le attività di scavo condotte sul tessuto urbano sono state però nel tempo modeste e limitate, recentemente è comunque stata presentata la nuova carta archeologica della città di Reggio che, catalogando tutti i ritrovamenti archeologici collegati agli scavi effettuati dal XVI al XXI secolo comprende nell'insieme 10 raggruppamenti, 74 aree, 203 siti, quasi 500 schede. I più antichi ritrovamenti sono tracce di capanne databili all’XI secolo a.C., sulle sponde del Calopinace, e le ceramiche provenienti dagli scavi del porto che ci forniscono notizie sicure sui primi abitatori di Reggio Calabria.

    Carta Archeologica

    La carta archeologica georeferenziata della città di Reggio Calabria è stata redatta dall'associazione regionale Amici del Museo con il sostegno dell'Amministazione comunale della città. Per la realizzazione della carta sono stati consultati documenti di cinque archivi pubblici e circa 400 voci bibliografiche che hanno permesso di individuare e catalogare i ritrovamenti archeologici fatti in città dal XVI sec. fino al 2001. La mappa consente di conoscere l'ubicazione dei siti archeologici della città, della Rhegion greca, della Rhegium latina, fino alla città bizantina. La ricerca ha messo in evidenza che la città costituisce un caso raro nello scenario dell'archeologia mondiale poiché è testimoniata la presenza umana in modo continuativo sempre nello stesso luogo da oltre 3000 anni.

    Territorio oggetto di studio

    La zona urbana interessata si estende in direzione Nord-Sud, dal quartiere di Pentimele a quello di Modena, e in direzione Est-Ovest, dalla collina del Trabocchetto fino alla spiaggia di Calamizzi dove recentemente sono stati ritrovati in mare importanti reperti archeologici. Il Corso Garibaldi costituisce il confine per le numerose traverse che, in direzione mare-monti, caratterizzano l'impianto urbano cittadino.

    Metodo di ricerca

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    Mappa archeologica del centro storico di Reggio

    Ogni ritrovamento archeologico è stato associato all'area urbana di provenienza, le aree sono state accorpate per raggruppamenti stradali e diversificate per siti archeologici, il tutto è completato dal numero delle schede relative al singolo sito. Così procedendo si sono ottenuti 10 raggruppamenti, 74 aree, 203 siti e circa 500 schede.

    Di seguito vengono riportati i 10 raggruppamenti in cui è suddiviso il territorio urbano:
    1. Antica linea costiera,
    2. Antico letto del Calopinace,
    3. Città greca (IV secolo a.C.)
    4. Città medioevale (fino al terremoto del 1783),
    5. Castello,
    6. Odeon-teatro greco (ruderi di via XXIV Maggio),
    7. Templi (Area Griso-Laboccetta),
    8. Necropoli,
    9. Necropoli di Santa Caterina,
    10. Punta Calamizzi (affondata nel XVI sec.).

    La carta archeologica della città è disponibile sia in formato cartaceo che digitale. Le postazioni digitali (totem), prossime ai siti interessati, possono essere interrogate in modalità touch screen per avere informazioni sia sui periodi storici della città che sulle tipologie dei ritrovamenti archeologici.

    L'evoluzione storica della città letta dalle fonti archeologiche e documentali

    I ritrovamenti di tracce di capanne risalenti all'XI secolo a.C. in prossimità del fiume Calopinace e di resti di ceramiche rinvenute negli scavi archeologici del porto testimoniano che i primi insediamenti umani in città sono antichissimi e di epoca anteriore alla sua fondazione. La fondazione della città, l'antica Rhegion, si fa risalire alla seconda metà dell'VIII secolo a.C. ad opera di un gruppo di coloni calcidesi e messeni. I coloni scelsero questo tratto di costa per la posizione strategica che occupava. Da questo tratto di costa, caratterizzato dal promontorio "Acroterion Rhegion" che facilitava l'approdo, era possibile controllare il traffico marittimo sullo stretto. Le testimonianze archeologiche, consistenti nel ritrovamento di un gran numero di monete, di un grande acquedotto, dello stibile di un tempio, di grandi quantità di nobili figuria, compresi i vasi calcidesi e, principalmente delle imponenti mura a difesa della città, edificate dopo l'occupazione dei siracusani, testimoniano che l'antica "Rhegion" si sviluppò rapidamente sia economicamente e sia socialmente, raggiungendo notevoli livelli di civiltà. La città mantenne intensi rapporti commerciali e culturali con l'intera Grecia. Il ritrovamento di decine di cisterne di forma conica e di pozzi in ogni parte del territorio, di monete, della scoperta di necropoli, non solo nel centro urbano ma anche nelle zone ad esso limitrofe, testimoniano che in età ellenistica la città era dinamica e densamente popolata anche da agricoltori e contadini. La difesa della città dagli attacchi dei Bruzi e di Annibale è testimoniata dalla sua monetazione. Successivamente la città chiede la protezione di Roma e diventa municipium nella Repubblica Romana. Con il nome di Regium Iuli, Ottaviano, la cui presenza è evidenziata dalle ghiande missili plumbee della sua X Legione Fretense, la annette all'Impero. Il rapporto leale con Roma le garantisce un lungo periodo di pace, durante il quale diventerà una città urbanisticamente progredita per la presenza di palazzi decorati da grandi mosaici, di templi dove si praticano culti anche forestieri, delle sue terme pubbliche e private rivestite di marmi e adornate da lapidi dedicate agli imperatori, del suo Foro arricchito da statue e cippi onorari. I ritrovamenti archeologici, inoltre, dimostrano anche una precoce Cristianità. Il declino in epoca barbarica la colpirà relativamente e tornerà all'antico splendore nella seconda metà del VI secolo con la venuta degli eserciti bizantini di Belisario e di Narsete, che la includeranno nell'Impero Romano d'Oriente. Durante l'età bizantinità sarà centro del potere imperiale per l'intera Calabria e avrà un importante ruolo nella lotta contro gli Arabi della Sicilia e dell'Africa. Ciò è provato dal ritrovamento nel suo territorio di numerosi oggetti d'uso comune, di tombe, anche di bambini musulmani, e, principalmente, di monete dell'epoca. Nel 1060, con la venuta dei Normanni, la città vivrà un nuovo periodo di prosperità e progresso. I ritrovamenti ci parlano delle tante chiese, e degli annessi sepolcreti, che costellano il territorio. Successivamente gli Angioini e gli Aragonesi se la contesero e le relative monetazioni segnano il loro passaggio; unitamente ai ritrovamenti di muri di grandi palazzi medievali con la corte, o di umili case con il pozzo e il piccolo orto urbano. Per una passata, erronea sottovalutazione dell'importanza delle testimonianze risalenti all'età moderna e contemporanea, pochissimo i reperti ci dicono sulla realtà della città in quei periodi storici. Resta, comunque, la constatazione che Reggio Calabria è una delle poche città italiane che dispone di una stratigrafia, documentata in maniera continuativa, dall'XI secolo a.C. al XIV secolo d.C.

    Le ceramiche calcidesi di Reggio

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    In epoca greca Reggio fu il maggiore centro di produzione della "ceramica calcidese", affermandosi come la concorrente più prestigiosa e agguerrita della "ceramica ateniese" nel bacino del Mediterraneo. Tra i tanti, alcuni esemplari sono oggi custoditi al Museo del Louvre di Parigi ed al British Museum di Londra.

    Aree sacre

    Una serie di rinvenimenti, venuti alla luce fin dal XIX secolo, hanno permesso di identificare diverse zone di culto dislocate in più punti della città, tra le quali un Persephoneion, un Apollonion, un Artemision e un Atheneion.

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    Uno dei Pinakes raffiguranti la vita della dea Persefone, dalla numerosissima collezione conservata presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria

    Area sacra del Parco archeologico Griso-LaBoccetta

    L'area sacra al momento più rilevante è quella nel fondo Griso-Laboccetta, situata al centro della città attuale tra via del Torrione, via Tripepi, via 2 settembre e via Palamolla, che presumibilmente si estendeva fino alla via Aschenez.

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    Lastra Griso LaBoccetta (VI secolo a.C.) in terracotta policroma. Due figure femminili in atto di danzare in movimento verso destra, le figure sono modellate senza uso di matrice, i panneggi conservano raffinate decorazioni dipinte che riproducono i ricami sulle stoffe

    Scavata dalla fine del XIX secolo, l'area Griso-Laboccetta ha restituito tra i pezzi archeologici più celebri esposti al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio. Già nel VI secolo a.C. è accertata la presenza di un santuario molto importante dedicato a Demetra in questo sito fuori dalle mura. Verso la metà del IV secolo a.C. l'area viene integrata entro il nuovo circuito allargato delle mura cittadine. Da questo momento l'area è occupata da edilizia privata fino al periodo romano.

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    Uno scorcio degli scavi nell'area Griso-Laboccetta

    L'area monumentale costituisce un settore di una più vasta area urbana, raffigurata sotto nella planimetria catastale di fine ottocento, che fu oggetto di scavi a partire da quell'epoca ed ha restituito n umerevoli resti fittili che hanno portato all'identificazione della stessa come santuario dedicato alle divinità ctonie. Furono rinvenute numerose terrecotte architettoniche che rivestivano le strutture degli edifici di culto, nonché grandi quantità di coroplastica e vasi frammentari che costituivano gli ex-voto, dedicati alle dee Demetra e Persefone, il cui culto era molto praticato in età greca arcaica e classica. I resti murari individuano le fondazioni di strutture murarie in ciottoli il cui alzato in mattone crudo è ormai perduto. le strutture corrispondono ad edifici sorti nel santuario tra il V ed il IV secolo a.C. e agli edifici di carattere residenziale che si impiantarono sullo stesso sito dopo l'abbandono del santuario in età ellenistica e romana (III - II secolo a.C.)

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    Antefissa a testa femminile


    Agli inizi dello scavo iniziato alla fine del XIX secolo è stato rinvenuto un tratto del temenos, il muro di cinta dell'area sacra. Le numerose decorazioni architettoniche rinvenute nello scavo hanno dunque permesso di ipotizzare la presenza, oltre che di un tempio di notevoli dimensioni, anche di una serie di strutture annesse e di un tempietto con cella e pronao databile alla metà del VI secolo a.C.

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    Divinità femminile in trono


    Alla fase di maggiore splendore del santuario segue una fase di ricostruzione, datata nel secondo quarto del V secolo, come può essere dedotto dal rinvenimento di materiale architettonico relativo a quel periodo. Durante le varie campagne di scavo è stato recuperato molto materiale tra cui è molto interessante un frammento di fregio architettonico in terracotta policroma, detta "lastra Griso-Laboccetta" databile all'ultimo quarto del VI secolo a.C. Non è stato ancora possibile stabilire la destinazione del pezzo in cui sono ritratte due figure femminili danzanti, modellate senza l'uso di matrice.

    Santuario del palazzo della Prefettura

    Un'area sacra scoperta nel 1913 da Paolo Orsi, durante i lavori per la costruzione del palazzo della Prefettura, ha portato alla luce le fondazioni (stereobate) di un tempio, databile alla prima metà del V secolo a.C. grazie alla identificazione di due tegole riutilizzate nella costruzione di un edificio termale romano. In base agli elementi noti si è ipotizzato che potesse trattarsi del tempio ad Apollo.

    Area sacra della marina


    Una terza area sacra è stata rinvenuta a circa 80 m a Sud-Ovest dal Museo Nazionale, dunque al di fuori dalla cinta muraria. I primi scavi del 1886 hanno poetato alla luce un tempio monumentale, di cui oggi non resta che qualche blocco in calcare. Il rinvenimento di terrecotte arcaiche del tipo recuperate nel fondo Griso-Laboccetta indica una fase d'uso arcaica, così come il materiale di età classica fa risalire a questa epoca successiva pure una fase di ricostruzione. Per questo santuario è piuttosto controversa l'attribuzione ma la divinità più probabile a cui è dedicato il tmepio sembra essere Artemide Phacelitis.

    L'Athenaion sul lungomare

    I resti di un Athenaion (tempio dedicato alla dea Atena) sorgono sotto un Bar del lungomare, nell'isolato compreso tra via XXIV Maggio, corso Vittorio Emanuele III, corso Garibaldi e via San Paolo. Si possono vedere due colonne entrando nelle caverne sotto il bar.

    Necropoli

    Tutt'intorno all'area dell'antica città greco-romana sono state trovate numerose necropoli che hanno portato alla luce una gran quantità di reperti custoditi al Museo Nazionale. Tra queste le più importanti sono quella di Santa Caterina, quella ritrovata durante i lavori per l'edificazione del Museo stesso, quella in via Demetrio Tripepi, e quella recentemente scoperta di San Giorgio Extra che sta portando alla luce tombe sia ellenistiche e sia romane. Le tombe, essendo poste in una zona alluvionale, sono state ritrovate sotto un grande strato di interro che rende la profondità di giacitura a circa sei metri. Questa scoperta è destinata a cambiare la topografia dell'antica necropoli poiché i suoi confini meridionali arriverebbero fino al torrente Calopinace, zona molto più a sud rispetto al confine precedente che è fissato con il luogo dove attualmente insiste la villa comunale.

    La necropoli sotto il Museo

    Una tomba della necropoli presente nei sotterranei del Museo, è stata spostata sul lungomare, accanto al chiosco di un rinomato gelataio, è una tomba a camera del periodo greco, il manufatto, trovato durante gli scavi per le fondazioni di Palazzo Piacentini, fu spostato dal sito originario e posto come ornamento tra il Lungomare Italo Falcomatà e il Corso Vittorio Emanuele III, usato fino a pochi anni fa come basamento per il monumento a Ibico reggino, adesso spostato in altra sede.

    Le necropoli di Santa Caterina

    La necropoli romana-greca di Santa Caterina fu scoperta nel marzo del 1883 durante gli scavi condotti dal locale Museo Civico. La vasta necropoli si estendeva per oltre quattrocento metri e le sue tombe si trovavano a diversa profondità, anche oltre i sette metri dell'antico piano di campagna. Esse erano di diverso tipo: a cappuccina, a cassa, a fossa. Il corredo funerario rinvenuto fu scarso. Fu trovata anche un'urna fittile con cremato. Da questa necropoli proviene anche il titolo sepolcrale di Cresimene, vissuto nel III-IV sec.d.C., che si conserva nel Museo Nazionale di Reggio Calabria. Nel 1886 fu ritrovata un'altra urna cineraria contenente ossa combuste e vasetti fittili.

    Tomba ellenistica di via Demetrio Tripepi

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    La tomba, di epoca ellenistica e databile al III-II secolo a.C., fu trovata nel 1957 durante i lavori di prolungamento della via Demetrio Tripepi. La struttura della tomba, simile a tante altre necropoli trovate a nord della città, faceva parte delle necropoli di S. Lucia-Terrazza che si prolungava a forma di E verso la zona di Borrace. La tomba, del tipo a camera voltata, è realizzata con mattoni legati con calce e rivestita in origine da intonaco bianco, ormai degradato. Lo scheletro poggiava sopra un battuto di malta ed il suo corredo funerario era costituito da sei unguentari fusiformi, una pisside con coperchio, una ciotola con orlo dipinto con vernice nera e frammenti di uno strigile bronzeo appesi ad un anello. All'esterno di essa furono ritrovati sei piccoli capitelli in terracotta policromi, utilizzati per decorare i letti funebri in legno, appartenuti, probabilmente, ad altre tombe già distrutte

    Gli scavi di Piazza Italia

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    Scavi a ridosso del monumento a Vittorio Emanuele II


    Con gli interventi di restauro e ristrutturazione eseguiti all'inizio del nuovo millennio in Piazza Vittorio Emanuele II (nota come Piazza Italia) è venuto alla luce un importante sito archeologico. In particolare le ripetute campagne di scavo effettuate tra il 2000 ed il 2004, che hanno interessato l'area sud orientale della piazza, hanno portato alla luce un sito di notevole interesse storico a testimonianza che la zona è da sempre al centro delle attività commerciali della città, riconoscibile attraverso la sovrapposizione in sei metri di ben undici fasi di edificazione, dal VII secolo a.C. fino ai primi del XIX secolo d.C. Alcuni ipotizzano si tratti dell'Agorà in epoca greca e poi del Foro in epoca romana ma lo stato attuale degli scavi non consente ancora di esserne certi. Nello strato più basso, quello più antico di epoca greca arcaica, sono stati rinvenuti alcuni frammenti di ceramica e murature di ciottoli, organizzate secondo un impianto ortogonale, che coincide col soprastante tracciato di epoca romana. A questa seconda fase, si fanno risalire quattro vani rettangolari, i cui muri sono caratterizzati da una doppia fase costruttiva, coincidente con la sovrapposizione di materiali diversi, e forse legata ai dissesti subiti a causa del terremoto che devastò la città intorno alla metà del IV secolo d.C. La terza fase di bizantina risale ai secoli VI-X, ed è riconoscibile nella presenza di alcuni vani adibiti ad attività commerciali, con pozzi e cisterne, all'interno dei quali sono state ritrovate monete che testimoniano l'importanza di Reggio nell'ambito del commercio marittimo dell'Impero Romano d'Oriente. Al XII secolo, in epoca normanna, appartiene probabilmente un muro lungo circa 12 metri che delimita un edificio, suddiviso in ambienti più piccoli, sede di attività artigianali, legate alla lavorazione del bronzo. A conferma della vitalità economica e commerciale dell'area nell'Alto Medioevo, sono stati ritrovati numerosi reperti: monete bronzee (alcune con indicazioni arabe), ceramiche invetriate di provenienza siculo-magrebina, vetri, metalli e perfino un tarì d'oro (moneta araba diffusa in Sicilia).

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    Il XIV secolo, in epoca angioina, è identificabile in una serie di edifici articolati nell'ambito di uno stesso isolato, che mantengono per lo più lo stesso andamento del sottostante impianto di epoca greca. Anche in questo caso, sono presenti molti vani adibiti a magazzino, delimitati da murature realizzate in materiale povero di provenienza locale. La destinazione del sito come luogo pubblico, e quindi piazza, risale al XIX secolo: delimitata da canali di scolo delle acque, probabilmente ospitava delle vasche con fontane. È stata inoltre ritrovata l'originaria fondazione del basamento che dal 1828 ospitava la statua di Ferdinando I di Borbone, poi sostituita con l'attuale monumento che rappresenta l'Italia, dedicato a Vittorio Emanuele II, e dal quale la piazza prende il nome. Durante la campagna di scavi preliminare è stato trovato, nella stratificazione più profonda, un grosso muro posto di traverso che si pensa possa appartenere ad un grande tempio. Al momento non si hanno molte altre informazioni poiché tale muro si estende ben oltre l'area degli scavi. Inoltre lo scandaglio ha rivelato che a circa 4 metri di profondità vi è una massa metallica di circa 2 metri di lunghezza che molto probabilmente è una statua, il che concorderebbe con l'ipotesi del tempio.

    L'Acropoli

    Secondo i resti della più antica cinta muraria che si trova a monte del centro città, la collina del Salvatore costituiva molto probabilmente l'acropoli di Reggio. Allora come oggi infatti la zona sopraelevata comprendente la colline degli Angeli del Trabocchetto rappresentava il primo nucleo della città durante la fase arcaica. Molto probabilmente la cinta della palaiapolis (la palèpoli che era l'arcaica città fondata nell'VIII secolo a.C. dai calcidesi) aveva, come angolo inferiore delle mura che discendevano dall'acropoli, proprio l'area dell'attuale castello. Nel periodo ellenistico, con l'allargamento della città verso il mare, le mura che nella polis d'epoca classica piegavano verso nord, scendevano ora fino al porto; il sito archeologico delle "Mura greche" sul lungomare mostra infatti l'angolo della cinta.

    L'Odeon o il Bouleterion

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    Uno scorcio del rudere dell'Odeion/Boluleuterion


    Degli scavi effettuati nel 1922 da Paolo Orsi tra via del Torrione, via Tripepi, via XXIV Maggio e via San Paolo, sono venuti alla luce i resti di una struttura pubblica situata all'interno delle mura di cinta, ad un centinaio di metri dall'area sacra del fondo Griso-Laboccetta. Essa fu inizialmente identificata dall'archeologo come l'Odéon della città - edificio simile ad un teatro di modeste dimensioni dedicato a esercizi di canto, rappresentazioni musicali e concorsi di poesia e musica - mentre oggi va consolidandosi la teoria che si tratti dei resti del Bouleuterion o l'Ekklesiasterion, l'edificio per le riunioni dell'assemblea popolare, dunque non è improbabile che proprio qui sia avvenuta l'assemblea voluta da Timoleonte e dagli strateghi rhegini nel 344 a.C. una ricostruzione dell'Odèon/Ekklesiasterion di Reggio, nell'immagine è evidenziato il rudere oggi superstite.

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    una ricostruzione dell'Odèon/Ekklesiasterion di Reggio, nell'immagine è evidenziato il rudere oggi superstite


    Paolo Orsi rinvenne a poca distanza dall'edificio tre capitelli ionici decorati da volute, palmette e ovoli, probabilmente sorretti da fusti lignei che secondo l'archeologo dovevano servire per la scenografia della tribuna. I resti risultano databili tra il IV e il III secolo a.C., e dell'edificio rimane molto poco in vista. Da quanto rimane in base alle notizie, si può supporre che la struttura, a pianta circolare, costruita con blocchi di calcare squadrati, presentasse una gradinata di una quindicina di ordini che poteva contenere all'incirca 1.500-1.600 posti a sedere. Non se ne può ipotizzare la copertura ed è probabile che sia esistito un muro perimetrale di recinzione dell'area.

    Il Theatron

    Secondo le testimonianze storiche (non ultima quella riportata dal poeta reggino Diego Vitrioli), l'area oggi occupata dal Parco della Rotonda (sito che combacia perfettamente con la tipologia architettonica) sotto il Santuario di San Paolo, era il Teatro di Reggio in epoca greca (e romana).

    Terme Romane

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    uno scorcio degli scavi delle Terme Romane sul Lungomare Falcomatà

    Da scavi effettuati durante la sistemazione del lungomare successiva al terremoto del 1908, sono venuti alla luce i ruderi di uno degli otto impianti termali presenti probabilmente nei primi secoli d.C., periodo in cui Regium prosperava come municipium romano. Data la dimensione delle vasche e degli ambienti, le terme potrebbero essere state piuttosto dei "bagni", stabilimenti gestiti da privati, anche se una parte del perimetro appare continuare al di sotto della strada esistente e potrebbe avere contenuto altri ambienti di servizio, quali biblioteche o palestre come spesso si rinviene in altri siti in Europa. La stanza-ambiente centrale, che è decorata con un suggestivo mosaico ad elementi geometrici in tessere bianche e nere, funge da collegamento tra gli altri ambienti. A questo ambiente centrale si perviene da diversi ingressi, che fanno ipotizzare come l'ingresso principale delle terme potesse essere dal lato mare, come dal lato superiore, in direzione della vicina attività commerciale del porto o dell'area del foro localizzata nelle vicinanze di palazzo S.Giorgio.

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    Particolare di un pavimento dei bagni d'epoca romana. Mosaico a motivi geometrici dell'ambiente centrale


    Da notare, come sempre mantenuta nella ingegnosità della progettazione termale romana, la perfetta orientazione degli ambienti: la vasca per le immersioni fredde (frigidarium) a nord, la vasca per le immersioni calde (calidarium) a ovest, per sfruttare tutta la durata del calore solare. Il frigidarium si riconosce, oltre che per la posizione, per il rivestimento della vasca in opus signinum (intonaco impermeabile usato come rivestimento per le opere contenenti acqua, costituito da una miscela di calce e tegole frantumate che conferiscono il colore rosato) e per l'assenza del fondo riscaldato e dei tubuli per il riscaldamento della vasca. Al contrario il calidarium, visibile dalla strada (l'accesso all'interno del sito non risulta attualmente possibile), mostra in maniera evidente tutto intorno la disposizione dei tubuli di terracotta, gli elementi verticali addossati alla parete per la circolazione dell'aria calda proveniente dalla fornace. Tutto attorno alla vasca, come in altri siti in Europa (ad esempio le terme di Welwyn, UK) è posto un muretto dove gli ospiti dei bagni potevano sedersi, visto che il bagno consisteva in una semplice immersione, piuttosto che una natatio, come in una moderna piscina. Molto interessante è lo scarico della vasca sul fondo, che consentiva di drenarla per la pulizia e manutenzione, comunicante con un canale generale di scarico, e reso possibile dal pavimento sopraelevato sulle "pilae", di cui una è visibile dal foro quadrato dello scarico stesso. Una altra pila ben visibile è posta ad un angolo (nord) dell'ambiente contiguo, probabilmente il tepidarium, destinato a riscaldare il corpo, ma senza una vasca per immersione. Le pilae nel sito di Reggio sono costituite da dischi sovrapposti di terracotta, mentre in altri luoghi in Europa vari altri materiali vengono usati, secondo le disponibilità del posto.

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    Particolare di un pavimento dei bagni d'epoca romana. Vista del Calidarium con sedile e scarico al fondo

    La fornace, una galleria in mattoni in cui veniva bruciato il combustibile, dovrebbe essere quella visibile dalla strada superiore, anche se la volta in mattoni è per lo più mancante. Il sistema di riscaldamento, denominato hypocaustum, tipicamente usato nei bagni dell'epoca romana dei primi secoli, è costituito dalla fornace, dove il materiale bruciato continuamente riscaldava l'acqua in un bacino metallico collocato al di sopra, e poi comunicante con la vasca del calidarium.

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    Allo stesso tempo l'aria calda veniva convogliata al di sotto dei pavimenti sopraelevati ed entrava nei tubuli di terracotta al di sotto degli intonaci delle pareti del caldarium e tepidarium per riscaldare gli ambienti, venendo poi espulsa da camini all'esterno. Le terme dovevano essere alimentate o da un pozzo locale, ma anche verosimilmente da un acquedotto, vista la vicinanza con il porto antico e con l'area del foro, anche se non risulta evidente la presenza di un canale o di una cisterna di raccolta. Riferimento per informazioni sulla tecnica costruttiva dei bagni romani ed esempi visibili nel Regno Unito: Tony Rook (2002) Roman Baths in Britain, Shire Publications, Haverfordwest, Pembrokeshire, Uk.

    Mura della città greca

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    Un tratto delle mura greche sul Lungomare Falcomatà


    A testimonianza della vastità della città greca rimangono oggi alcuni tratti della cinta muraria sopravvissuti agli eventi storici. Ne esiste ancora un tratto sul lungomare, uno sulla Collina degli Angeli, ed uno sulla collina del Trabocchetto. La Soprintendenza archeologica della Calabria ha ipotizzato che le mura in mattoni crudi siano di epoca del tiranno Anassila (V secolo a.C.), mentre quelle in mattoni cotti siano da attribuirsi al tiranno Dionisio II (a Reggio dal 356 a.C., e scacciato poi nel 351 a.C.), altri studiosi pensano invece che i tratti di mura giunti fino ad oggi siano tutti della parte finale del IV secolo a.C.

    Mura del parco archeologico sul lungomare

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    Il sito più noto riguardo alle mura reggine è quello denominato "Mura Greche" che sorge sul Lungomare Falcomatà nei pressi di Palazzo Zani. Questo tratto di mura risalirebbe al IV secolo a.C. e farebbe parte della rifortificazione operata da Dionisio II, la città infatti era stata conquistata dal padre Dionisio I, che vi si stabilì facendo costruire una grande villa collocata tra la cinta più interna a monte e la nuova più esterna a mare. Il sito è costituito da due file parallele di grossi blocchi di arenaria tenera, ed è di particolare interesse poiché si tratta del punto in cui le mura occidentali deviano verso oriente e chiudendo dunque a sud la cinta reggina.

    Mura della collina degli Angeli

    Le mura sulla collina degli Angeli, costruite in mattoni crudi - cioè con del fango misto a paglia lasciato seccare al sole - sono conservate per un tratto lungo una decina di metri. Dal lato Est, al di fuori della città antica, la parte visibile non supera i 3 metri, mentre dal lato interno il muro si presenta in realtà molto più imponente.

    Nel tratto conservato sono stati titrovati:
    • una inscrizione in caratteri greci, ma probabilmente in lingua osca;
    • una edicola votiva rappresentante una Vittoria alata, con legenda TRIS NIKA, tre volte vittoria. Si ipotizza che l'edicola votiva ricordi un assalto alle mura da parte di Pirro o più probabilmente di Annibale, respinto dai Reggini.

    Mura del parco archeologico Trabocchetto

    Le mura furono rinvenute casualmente nel 1980 mentre si stavano eseguendo alcuni lavori edilizi. Il tratto ritrovato corrisponde al punto più alto raggiunto dalla cinta muraria, circa 114 m. sl.m., dominando l'intero centro cittadino, e risulta perfettamente allineato con i resti murari ritrovati in località "Collina degli Angeli".

    In questo tratto è evidente la sovrapposizione di due fasi successive di costruzione della cinta muraria:
    • la prima, edificata a mattoni crudi, risale alla fine del V secolo a.C.
    • la seconda, costruita medeiante la divisione della cortina muraria precedente, che viene riusata come riempimento di una doppia cortina di blocchi isodomi in arenaria, risale alla metà del IV secolo a.C.

    Sono visibili anche i fori di palo dell'impalcatura utilizzata per la costruzione del muro in blocchi e la fondazione di una torre a sezione quadrata di arenaria.
    Gli scavi archeologici, inoltre, documentano la presenza di fosse di spoglio della cortina in blocchi, scavate in epoca romana per recuperare materiale da costruzione; viene così spiegata la totale assenza del rivestimento in blocchi dall'estremità del muro sul lato nord-est. Come sulle mura presenti sul lungomare, molti dei blocchi in arenaria mostrano contrassegni di clava, successivamente levigati dal passare del tempo.

    Siti fuori dalle Mura

    Pare che il sito dell'antica Colonna Reggina, monumento/faro a guardia dello Stretto si trovi nei pressi di Cannitello, 15 km a nord del centro di Reggio, così come il Tempio di Nettuno/Poseidone o Poseidonion, di cui gli studiosi attestano la reale esistenza.



    Edited by Isabel - 18/10/2014, 09:53
     
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    Tempio di Poseidone - Colonna Reggina

    - Fonte -

    Il Tempio di Poseidone, noto come Poseidonio, talvolta anche Possidonio, (dal greco Poseidònion), era uno dei templi eretti fuori dalle mura della polis di Rhegion, ed era dedicato al dio del mare Poseidone. Secondo gli studi e i ritrovamenti, l'edificio sarebbe sorto nei pressi dell'antica Colonna Reggina (presso l'attuale borgo di Cannitello, frazione di Villa San Giovanni, circa 15 km chilometri a nord dal centro di Reggio Calabria).

    Storia

    Dedicato al dio del mare Poseidone, il tempio, edificato dai reggini per la protezione dei naviganti dalle insidiose acque dello Stretto, si trovava nei pressi della Colonna Reggina, luogo in cui vi era un'alta torre a forma di colonna con sopra una statua di Poseidone, che costituiva in epoca greca il vero e proprio simbolo dello Stretto, famosa per possedere il fuoco (un faro) e l'acqua (una fonte per il rifornimento delle navi).Nel 36 a.C. nelle antistanti acque del canale ebbe luogo la decisiva battaglia navale fra Ottaviano e Sesto Pompeo, che garantì al futuro imperatore Augusto il dominio sul mare.Risale a questo periodo l'esistenza nell'area di Porticello di un tempio dedicato al dio Poseidone, detto Poseidonio, la cui esistenza sarebbe dimostrata dal rinvenimento di un ex-voto al dio, che si pensa sia stato fatto realizzare da Ottaviano stesso. Ciò induce a pensare che Ottaviano avesse timore di affrontare le insidiose acque dello Stretto, desiderando di costruire navi abbastanza forti per superare tali insidie.

    L'iscrizione recita:

    « NEPTVNO SACRVM. VOTVM IN SICVLO FRETO SVSCEPTVM SOLVIT »

    « Sacro a Nettuno. Sciolse il voto preso nello Stretto Siculo. »
    (Giorgio Gualtieri, Siciliae obiacentium insularum et Bruttiorum antiquae tabulae, pg. 64)

    Afferma inoltre lo storico villese Luigi Nostro:
    « Un bibliotecario di Messina mi diceva d'aver letto in una storia di quella città che metà delle colonne granitiche, tutte d'un pezzo, le quali ornavano quell'insigne monumento nazionale, qual era la Cattedrale, ridotta nel modo che tutti sappiamo dall'ultimo terremoto, erano state tratte appunto dal tempio di Nettuno in Colonna Reggina, e l'altra metà da quello che sorgeva sul Peloro. Difatti erano di due dimensioni, cioè alcune più corte, altre più lunghe. »

    Secondo lo storico greco di età imperiale Appiano di Alessandria, durante la guerra tra Ottaviano e Sesto Pompeo combattuta nelle acque adiacenti allo Stretto, Ottaviano, scampato ad un naufragio, si fermò presso la Colonna Reggina per farsi curare. Da ciò si deduce l'esistenza del Poseidonio presso Colonna Reggina e l'importanza e le misure dell'abitato, che doveva essere luogo di incontro di eserciti, popoli e mercanzie di ogni genere (soprattutto grano) che dalla Sicilia muovevano al continente e viceversa.

    Edited by Isabel - 18/10/2014, 09:54
     
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    Scavi archeologici di Piazza Italia a Reggio Calabria

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    Foto di di PeoL7

    - Fonte -

    Gli scavi hanno portato alla luce un sito di notevole interesse storico a testimonianza che la zona è da sempre al centro delle attività commerciali della città, riconoscibile attraverso la sovrapposizione in sei metri di ben undici fasi di edificazione, dal VII secolo a.C. fino ai primi del XIX secolo d.C. 20 secoli di storia in una piazza.

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    Inaugurata il 6 Aprile 2012, ultimati i lavori di scavo archeologico, la piazza presenta quattro lucernai composti in acciaio e spesso vetro posti poco al di sopra del manto calpestabile oltre a teche e pannelli descrittivi utili ad illustrare gli scavi, ai quali si accede attraverso una struttura anch'essa in acciaio e vetro. La scala che conduce alle testimonianze del passato ha forma elicoidale ed è appesa alla struttura di copertura: il piano d’arrivo della scala è costituito da una passerella caratterizzata da una griglia per far intravedere le mura. La stessa griglia è realizzata, nei punti di maggior rilievo, in vetro stratificato.

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    La pavimentazione lapidea della piazza, nel lato orientale non ancora ristabilita, verrà ultimata a partire dalla fine del 2012. Con gli interventi di restauro e ristrutturazione eseguiti all'inizio del nuovo millennio è venuto alla luce un importante sito archeologico. In particolare le ripetute campagne di scavo effettuate tra il 2000 ed il 2004, che hanno interessato l'area sud orientale della piazza, hanno portato alla luce un sito di notevole interesse storico a testimonianza che la zona è da sempre al centro delle attività commerciali della città, riconoscibile attraverso la sovrapposizione in sei metri di ben undici fasi di edificazione, dal VII secolo a.C. fino ai primi del XIX secolo d.C.

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    Nello strato più basso, quello più antico di epoca greca arcaica, sono stati rinvenuti alcuni frammenti di ceramica e murature di ciottoli, organizzate secondo un impianto ortogonale, che coincide col soprastante tracciato di epoca romana. A questa seconda fase, si fanno risalire quattro vani rettangolari, i cui muri sono caratterizzati da una doppia fase costruttiva, coincidente con la sovrapposizione di materiali diversi, e forse legata ai dissesti subiti a causa del terremoto che devastò la città intorno alla metà del IV secolo d.C. La terza fase bizantina risale ai secoli VI-X, ed è riconoscibile nella presenza di alcuni vani adibiti ad attività commerciali, con pozzi e cisterne, all'interno dei quali sono state ritrovate monete che testimoniano l'importanza di Reggio nell'ambito del commercio marittimo dell'Impero Romano d'Oriente.

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    Al XII secolo, in epoca normanna, appartiene probabilmente un muro lungo circa 12 metri che delimita un edificio, suddiviso in ambienti più piccoli, sede di attività artigianali, legate alla lavorazione del bronzo. A conferma della vitalità economica e commerciale dell'area nell'Alto Medioevo, sono stati ritrovati numerosi reperti: monete bronzee (alcune con indicazioni arabe), ceramiche invetriate di provenienza siculo-magrebina, vetri, metalli e perfino un tarì d'oro (moneta araba diffusa in Sicilia). Il XIV secolo, in epoca angioina, è identificabile in una serie di edifici articolati nell'ambito di uno stesso isolato, che mantengono per lo più lo stesso andamento del sottostante impianto di epoca greca. Anche in questo caso, sono presenti molti vani adibiti a magazzino, delimitati da murature realizzate in materiale povero di provenienza locale.

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    La destinazione del sito come luogo pubblico, e quindi piazza, risale al XIX secolo: delimitata da canali di scolo delle acque, probabilmente ospitava delle vasche con fontane. È stata inoltre ritrovata l'originaria fondazione del basamento che dal 1828 ospitava la statua di Ferdinando I di Borbone, poi sostituita con l'attuale monumento che rappresenta l'Italia, dedicato a Vittorio Emanuele II, e dal quale la piazza prende il nome.

    Edited by Isabel - 31/10/2014, 19:48
     
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  4. Isabel
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    Le necropoli reggine

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    - Fonte -

    Delle necropoli reggine si ha soltanto una conoscenza frammentaria. Fatta eccezione che per qualche reperto di età arcaica, scoperto nella necropoli di S.Caterina, le tombe arcaiche e classiche della città sono praticamente sconosciute mentre sono abbastanza note quelle di epoca ellenistico-romana.

    Oltre alle necropoli suburbane (e quindi ubicate a ridosso della cinta muraria) meridionale (nella zona di S.Giorgio Extra) e settentrionale (la cosiddetta necropoli di S.Lucia-Museo) della città, si conoscono nuclei di necropoli extraurbane, pertinenti a piccoli sobborghi che ruotavano attorno alla polis di Rhegion. A tali necropoli extraurbane appartengono a nord i ritrovamenti effettuati sulla collina Pentimele e nell'area di S.Caterina-Porto, ad est quelli relativi alla Caserma Borrace e alla zona di Condera e a sud quelli di Modena, Petrillina, S.Francesco e Ravagnese.

    Nelle necropoli reggine sono attestate sia la pratica dell'incinerazione che quella dell'inumazione. I sepolcri struttivi presentano tipologie per lo più inusuali, segno della particolare abilità degli artigiani reggini che spazia dalla costruzione di grandi e sontuose tombe a camera con volte di mattoni a quella di semplici cappuccine, dalle sepolture coperte riutilizzando i semicilindri fittili dei pozzi alle tombe a cassa di mattoni o di tegole, dalle singolarissime sepolture a cassa con la cosiddetta copertura "a libro" alle tombe a finta volta ottenuta da tegole disposte a sporgere in parte l'una sull'altra.

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    La maggior parte delle tombe di età ellenistica (IV-II sec.a.C.) ha restituito corredi di scarso pregio, composti per lo più da coppette acrome e piccoli balsamari di produzione locale.

    Le sepolture maschili sono spesso caratterizzate dalla presenza dello strigile mentre quelle femminili sono talora accompagnate da specchi in bronzo, da vasi come la pisside o la lekane (utilizzati come porta trucchi o porta gioielli), da piccole pissidi con coperchio in piombo e, in casi molto rari, da gioielli (in particolare orecchini ed anelli).

    Molto frequenti gli alabastra fittili, sostituti più poveri degli analoghi contenitori per unguenti in alabastro di origine orientale e spesso con un caratteristico piede a dischi sovrapposti intagliati con solchi radiali per ricavarne tre sostegni. Caratteristici delle tombe reggine sono anche dei sottilissimi dischetti d'oro (bractea), recanti sull'orlo un motivo perlinato e figure impresse al centro, rinvenuti fra i denti dei defunti, che si possono considerare come i tradizionali "oboli di Caronte" che accompagnavano i greci nel loro ultimo viaggio.

    Edited by Isabel - 18/10/2014, 10:06
     
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    La cinta muraria dell'antica Rhegion

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    Vista la scarsità e la frammentarietà dei rinvenimenti riguardanti la cinta muraria ellenica della città di Reggio, gli studiosi che si sono cimentati nella sua opera di ricostruzione hanno abbozzato tracciati molto differenti tra loro, soprattutto per quanto riguarda il lato meridionale ed orientale.

    Il fianco occidentale delle mura urbiche, cioè quello che fronteggiava il mare, era rettilineo e con andamento nord-sud; esso si intersecava col fianco settentrionale all'estremità nord del Corso Garibaldi mentre a sud, secondo la Barbaro Tropea, continuava fino all'incrocio con via Tommasini, piegando verso est nei pressi dell'antico forte Lemos. Tale ipotesi, però, non è stata confermata da alcun dato archeologico.

    Per quanto riguarda il lato settentrionale delle mura, esso era tutto in salita e dall'estremità nord del Corso Garibaldi arrivava fino alla collina del Trabocchetto. Esso è abbastanza documentato: un tratto di una decina di metri fu individuato nel 1956 durante la costruzione di una palazzina che confinava con la via Vollaro e con la via Tripepi; all'incrocio tra via Vollaro e via Veneto fu rinvenuto, poi, un altro tratto di muraglione in parallelepipedi di arenaria. Nel 1915 nell'area compresa tra gli sbocchi di via Verona e via Vicenza furono rinvenute "mura a blocchi squadrati di arenaria con direzione est-ovest". Nella stessa zona, un pò più a sud di via Verona, furono rinvenuti due tratti di muro in blocchi di arenaria che formavano tra loro angolo retto e seguivano uno la direzione NW/SE verso la collina e l'altro quella NE/SW verso via Aschenez. Tale tratto si unisce idealmente ai due scoperti negli anni successivi sulla Collina degli Angeli e sulla sommità della collina del Trabocchetto.

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    Il tratto meridionale della cinta meridionale, secondo Arillotta, all'altezza del palazzo del Genio Civile cambiava direzione, dirigendosi verso est, attraversando l'ex Piazza Camagna e giungendo in via Campanella; dal pianoro del Castello, poi, si dirigeva verso l'alto fino a congiungersi col tratto orientale sulla collina del Trabocchetto. La cinta in blocchi di arenaria è stata datata alla metà del IV sec.a.C. mentre i tratti in mattoni crudi sono stati datati tra la metà del VI e la fine del V sec.a.C.

    Edited by Isabel - 31/10/2014, 19:47
     
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    Scavi archeologici ex stazione Lido di Reggio
    [Dall'età arcaica all'età bizantina]

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    - Fonte -

    Il complesso archeologico si divideva in due aree distanti tra loro 100 m circa e separate dal torrente Santa Lucia, in seguito canalizzato e coperto. Gli scavi realizzati nell'area dell'ex stazione Lido sono stati realizzati in occasione dell'interramento della ferrovia. Il sito, distrutto per far posto alla stada ferrata, interessava 1500 mq ed era caratterizzato da emergenze monumentali che coprivano un arco cronologico di circa 1000 anni. Nell'area sud di Santa Lucia era stato individuato un muro datato tra V e IV sec a.c. a ridosso del quale furono realizzati ambienti con probabile funzione artigianale. Si trattava di vasche per la tintura dei tessuti obliterate da una colmata artificiale finalizzata alla realizzazione di un nuovo progetto monumentale che interessava l'intera area e avviato nel I sec d.c. Il progetto prevedeva la realizzazione di un complesso scenografico per la sistemazione del prospetto della città lato mare. Vennero realizzati un grande ninfeo ed una serie di esedre che si snodavano lungo due ale simmetriche, la più monumentale collegata ad una cisterna d'acqua. La sistemazione architettonica aveva comportato, sul lato settentrionale, la canalizzazione del tratto finale del torrente Santa Lucia, con grandi argini in mattoni intervallati da muretti bassi disposti obliquamente per rallentare la potenza dell'acqua. Intorno al IV e V secolo l'area fu interessata da una serie di interventi e poi nuovamente danneggiata dal maremoto e inondazioni del torrente. Fu nell'età Bizantina, all'inizio del VI secolo che venne avviata la costruzione di un complesso artigianale per la lavorazione del pesce, creando una serie di vani, edificati con muri a secco, messi in comunicazione da un corridoio. Questi ambienti si aprivano su un cortile porticato ed erano caratterizzati da una serie di vasche circolari collegate a lunghi canali di deflusso delle acque. Alla fine del VI secolo l'area viene nuovamente distrutta e ricostruita pur mantenendo la destinazione artigianale: un complesso per la produzione della salsa di pesce dovuta probabilmente alla difficoltà di importazione del prodotto ed all'esigenza di essere autosufficiente in tale produzione. L'area viene definitivamente abbandonata tra la fine del VII e l'inizio dell'VIII secolo a seguito delle frequenti incursioni arabe.
     
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    Fortezza Sant'Agata

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    Prese il suo nome da una delle Sante siciliane alla quale era intitolata una delle chiese andate distrutte. L'impiato costruttivo originario è riferibile ad un castron, nei secoli più volte rimodellato, che rappresentò una delle quattro "motte" destinate alla difesa di Reggio dagli assalti di incursori di ogni genere. La sua organizzazione civica e urbanistica si sviluppò in epoca Bizantina: il cuore della città era rappresentato da un complesso in cima ad una rupe difeso da una possente cinta muraria aperta sull'entroterra da una porta a strapiombo la "porta di terra", a cui si accedeva per una ripida e contorta scalinata.Percorrendo le viuzze ancora esistenti risaltano i resti di cisterne, mulini e carrubbi secolari, oltre mura perimetrali, absidi e tombe di alcune delle innumerevoli chiese erette nel luogo, come quella di San Nicola o di San Basilio. Nella zona detta del "Soccorso" circondata ad ovest della cinta muraria, si apriva la seconda porta: " la porta del mare" della quale è visibile una porzione del contrafforte di ancoraggio ed era munita di un ponte levatoio che congiungeva la "terra - castello" ad un secondo fortilizio :il sobborgo di Sant'Andrea. Inespungnabile, la fortezza creò una confederazione stabile tra i sobborghi di Armo, Cardeto,Cataforio,Mosarrofa e San Savatore attraverso una forma di democrazia autonoma che le permise di conservare la propria indipendenza anche in periodo feudale. Fu il terremoto del 1783 a costringere gli abitanti a trasferirsi nell'attuale Gallina ed a renderla disabitata.
     
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    Necropoli meridionale dell'antica Rhegion
    Età ellenistica-romana

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    Tombe con camera a volta a botte

    - Fonte -

    Il quartiere di Modena, che occupa l'area sud-est di Reggio nel territorio incluso tra il corso del torrente Calopinace ed il Sant'Agata, fu interessato dalla presenza di una necropoli di grande estenzione e numerevoli sepolture. Nell'area nei pressi del campo militare sperimentale, nel 1983, ci fu il ritrovamento di una tomba con copertura a "libro", e nel 1888 in una campagna di scavo, si rinvennero altre 5 tombe orientate in senso est-ovest, di cui 4 del tipo detto alla "cappuccina" (tomba con copertura in laterizi disposti a doppio spiovente) dal corredo piuttosto povero, e l' altra con copertura a "libro" destinata ad una donna con condizioni economiche agiate. Nel 1907 furono recuperate altre 11 sepolture databili al IV sec a.c. Tali sepolture,secondo l'uso greco, avevano l'orientamento est-ovest. I loculi erano tutti di forma rettangolare, realizzati con pareti costituite da mattoni, mentre le coperture erano realizzate con differenti tipologie. Presso Piazza d'Armi durante la campagna di scavo del 1912, furono rinvenute altre 12 sepolture con corredi piuttosto poveri che seguivano il rito dell'incinerazione, quattro erano del tipo alla cappuccina, due con copertura a semicilindro fittile e due a doppia copertura cn semicilindro fittile posto su cappuccina. I ritrovamenti più recenti risalgono al 2004. Nel QUARTIERE DI SAN SPERATO, durante lo scavo di una stretta trincea per la posa di una centralina del metanodotto presso la scuola E.Montalberti, si sono individuate due tombe, una in muratura di laterizi con volta a botte e l'altra a cassa, oltre a resti di due inumati: uno di sesso maschile con corredo e uno di sesso femminile.
     
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  9. Isabel
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    Necropoli di San Giorgio Extra
    [V-III secolo a.C.]

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    - Fonte -

    Risale al 2004 la campagna di scavo d'emergenza condotta dalla Soprintendenza Archeologica della Calabria, sotto la direzione della Dott.ssa Andronico ed i volontari del Gruppo Archeologico Pellarese, in un cantiere edile che ha riportato alla luce, ad una profondità media di 8 metri dal piano stradale, un settore della necropoli meridionale ellenistica dell'antica Reghion, contribuendo alla ricostruzione della topografia della citta' di eta' Greca e all'individuazione del limite meridionale estremo, sino ad allora solo ipotizzato. Sono state individuate in tutto 30 tombe a diversa profondità, in parte sovrapposte tra loro, che rappresentano almeno tre fasi cronologiche successive.

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    Esse riprendono la tipologia tipica delle necropoli ellenistiche: 5 tombe con copertura a libro, 7 tombe a cassa con copertura piana formata da tre o quattro ordini di tegoloni formanti una falsa volta, 3 tombe con copertura formata da tre o quattro semianelli fittili, 10 tombe a cappuccina e 4 tombe a cassa con copertura a spiovente in laterizi oltre a 2 semplici sepolture a fossa. Sono venuti alla luce anche due ustrine con resti di ossa e corredo bruciato e due incinerazioni in olle. Si è recuparata una grande varietà di forme di ceramica a vernice nera,oggetti bronzei, tra cui uno specchio, un paio di orecchini aurei con testa di antilope e un anello-sigillo egizio cn scarabeo.All' interno della bocca di alcuni scheletri si sono rinvenuti dei bractea, sottilissimi dischetti in oro di varie dimenzioni decorati con scene.
     
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  10. Isabel
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    Resti del Macellum
    [Età romana]

    - Fonte -

    Nelle città Romane,viene denominato Macellum, una zona a carattere pubblico costituita da un'ampia area centrale intorno alla quale si articolavano vari altri ambienti destinati alla vendita e alla conservazione degli alimenti che oggi potremmo paragonare ai nostri mercati. Intorno al 1917 ed il 1922 furono rinvenuti i resti di un edificio monumentale realizzato con una imponente struttura laterizia,ma non è stato possibile fornire una dettagliata articolazione interna degli spazi a causa di una conduzione poco organica dello scavo nell'area e negli ambienti contigui a questa. Presso la Via Marina alta furono intercettati due grandi ambienti di forma rettangolare che sembrano proseguire in direzione lato monte e che avevano in comune, sul lato del mare,un muro lungo oltre 30 m e spesso circa 1 m.Fu esplorato soltanto uno dei due vani rettangolari ed emerse che questo era suddiviso in due mediante un muro orientato in senso N-NO/S-SE e che non divideva completamente i due vani che rimanevano comunicanti.Ne fu rilevato anche un terzo di forma stretta e lunga. Poco più ad est, in corrispondenza dell'attuale Genio Civile furono rilevati due ambienti di forma rettangolare comunicanti a due a due con muri di 1,20 m. che si affacciavano a nord con una specie di corridoio.Essi erano ricoperti con volta a botte a saldissimo emplecton, lunetta in pieno e ampio arco di scarico con mattoncini a vista.Questi ambienti probabilmente erano destinati alle conserve alimentari.
     
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