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Area archeologica di Capo Colonna

Comune di Isola Capo Rizzuto

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    Area archeologica di Capo Colonna

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    L'area archeologica di Capo Colonna

    - Fonte -

    L'area archeologica di Capo Colonna è un sito archeologico statale situato in località Capo Colonna, vicino Crotone, raggiungibile tramite una strada costiera dal capoluogo.

    Storia del Tempio di Hera Lacinia


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    Il Tempio di Hera Lacinia in una
    stampa francese del Settecento

    Il santuario di Hera Lacinia di Capo Colonna, dipendente dalla città di Crotone antica, fu uno dei santuari più importanti della Magna Graecia dall'età arcaica fino al IV secolo a.C., finché cioè fu sede della lega Italiota prima che si trasferisse a Taranto. Il sito del santuario era in una posizione strategica lungo le rotte costiere che univano Taranto allo stretto di Messina, su un promontorio chiamato anticamente Lacinion, che diede anche l'epiteto alla dea venerata, Hera Lacinia. Il nome odierno invece ricorda le rovine del tempio (con l'ultima "colonna" in piedi), mentre il nome usato fino all'epoca moderna, "Capo Nao", altro non è che una contrazione del greco naos, che significa appunto tempio. Il santuario era stato edificato alla fine del VI secolo a.C. ed era anche chiamato di Hera Eleytheria, come resta testimoniato da un'iscrizione sul cippo del Lacinion, al Museo archeologico nazionale di Crotone. Nel XVI secolo fu quasi completamente saccheggiato per riutilizzare i materiali da costruzione.

    Descrizione



    Reperti vista mare

    Il complesso era composto da più edifici, dei quali sono oggi visibili alcuni resti. Il tempio vero e proprio era proteso verso il mare, di ordine dorico, con sei colonne sulla facciata (esastilo). Il tempio vero e proprio aveva la classica forma dei templi greci: un imponente complesso di 48 colonne in stile dorico alte oltre 8 metri e costituite da 8 rocchi scanalati. Il tetto era di lastre di marmo e tegole in marmo pario. Nulla si sa delle decorazioni che, però, erano certo presenti, come si può dedurre dal ritrovamento di una testa femminile in marmo della Grecia e pochi altri frammenti. La colonna, in stile dorico, fino al 1638 era affiancata da un'altra caduta per un terremoto e poggia sui pochi resti del possente stilobate. Nelle adiacenze è tracciata una "Via Sacra" di una sessantina di metri e larga oltre 8 metri.

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    Altri reperti visibili all'interno
    dell'area archeologica
    Al complesso del tempio appartengono anche almeno tre altri edifici chiamati "Edificio B", "Edificio H", "Edificio K":
    • l'Edificio B, che presenta una pianta rettangolare, è ritenuto poter essere il tempio originario. Questa tesi è sostenuta dal ritrovamento di reperti che sarebbero datati già dall'VIII secolo a.C.;
    • l'Edificio H, di pianta quadrata, chiamato anche Hestiatorion, è suddiviso in vari locali. Il ritrovamento di suppellettili tipiche dei locali dedicati ai pasti può far dedurre che si trattasse dell'edificio-mensa e ristoro dei viaggiatori oltre che dei sacerdoti. In ogni caso la datazione di questo "Edificio H" viene posta al IV secolo a.C. quando il tempio già aveva assunto grande celebrità.
    • l'Edificio K, o Katagogion, risale anch'esso al IV secolo a.C., presenta una pianta a "elle" e ne rimangono solo i basamenti. Si presume trattarsi di un loggiato di colonne, sempre in stile dorico, che univa una serie di locali e un cortile. Probabilmente era la foresteria dove potevano trovare alloggio importanti visitatori, mentre i loro accompagnatori si dovevano accontentare di costruzioni molto meno raffinate e resistenti. Gli scavi hanno riscoperto una parte delle decorazioni architettoniche originali, in marmo greco e databili a una fase di costruzione del V secolo a.C., che oggi si trovano a Crotone. Nel capoluogo si trovano anche i resti della copertura in marmo pario, successiva alla vittoria di Crotone su Sibari, e delle offerte votive, spesso con iscrizioni.


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    Edited by Isabel - 1/11/2014, 19:26
     
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  2. Isabel
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    Storia e fama del santuario nell'antichità

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    Capo Colonna è uno dei luoghi simbolo della grecità d'Occidente; è uno dei siti archeologici più famosi della Calabria, ed anche uno dei santuari più importanti
    e meglio conosciuti della Magna Grecia.

    - Fonte -

    La storia del santuario di Capo Colonna è legata alla storia della colonia greca di Kroton, l'odierna Crotone, fondata alla fine dell'VIII secolo a.C. (708 a.C.) da un gruppo di Achei guidati da Miscello, il quale ricevette l'ordine dall'oracolo di Delfi di fondare una colonia presso il fiume Esaro, tra il Capo Lacinio e la sacra Crimisa. E al Capo Lacinio fu posto il santuario più importante della città, dedicato ad Hera. Il Capo era noto nell'antichità come Capo Lacinio, la stessa dea ne prese l'appellativo di Lacinia. In età moderna veniva chiamato Capo Nao, da naòs = tempio. Oggi è detto Capo Colonna, da ciò che rimane dell'antico edificio sacro. L'immagine della colonna isolata, che si staglia sull'azzurro del mare che si confonde col cielo, unica supertiste di una costruzione possente, evocatrice di un passato glorioso, suscitava, e suscita, nel visitatore emozioni irripetibili…

    Tradizioni mitiche

    Il promontorio è stato teatro di numerosi avvenimenti mitici. Qui si era fermato Eracle di ritorno dalla Spagna con i buoi sottratti a Gerione che, nel subire un tentativo di furto delle mandrie da parte di Lakinios, lo uccise, ed assieme a questi, per errore, ferì a morte anche il figlio Kroton, eponimo della città che lì sarebbe stata fondata. Secondo un altro mito, questo territorio era stato donato ad Hera da Teti, madre di Achille. Era un sito particolare, dove tutto cresceva rigoglioso e spontaneo come una sorta di giardino delle delizie. E ancora la tradizione racconta che Menelao, costeggiando questi luoghi, aveva assistito alla celebrazione di un culto eroico con riti che ricordavano la morte di Achille, proprio sul promontorio del Lacinio, dove donne abbigliate a lutto piangevano il celebre eroe.

    Una tappa del Grand Tour

    Numerosi furono i viaggiatori stranieri che visitarono il sito nel XVIII e XIX secolo, tra cui il Riedesel ed il Saint-Non. Ad essi e al Tommasini si devono le notizie più precise e le prime misurazioni. Alla fine dell'800 anche François Lenormand visita questi luoghi; e poi gli inglesi Edward Hutton e George Gissins di cui restano i resoconti di viaggio.

    Caratteristiche del culto


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    Attraverso le fonti antiche ed i rinvenimenti archeologici delle offerte votive è stato possibile identificare le connotazioni della dea del Lacinio. Nella mitologia greca Hera è la più importante tra le dee, moglie di Zeus e madre di dei ed eroi, essa è la protettrice principale della donna e di tutti gli aspetti della vita femminile: dal matrimonio alla procreazione, al parto, alla nutrizione della prole. Nel santuario di Capo Colonna essa è anche signora della natura e protettrice degli animali (potnia theron). La tradizione antica riteneva il Lacinio una sorta di Eden, dove mandrie di animali sacri di ogni specie pascolavano senza pastore in un rigoglioso bosco-giardino, ritirandosi la sera nelle stalle, senza temere offesa da alcuno. Hera protegge la navigazione, che nel promontorio trovava un riferimento essenziale per il cabotaggio nel golfo di Taranto.

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    Si pensi alle varie testimonianze che vanno dal Periplo dello Pseudo Scilace, all'Eneide di Virgilio, fino ad un portolano greco del XVI secolo. Ma è soprattutto liberatrice (eleuthèria), come indicano un cippo in calcare ed un frammento di sostegno in marmo. Questo santuario infatti, era luogo di riparo e di asilo come lo erano i santuari di Hera a Samo e ad Argo, famosissimi nell'antichità. Al Lacinio sono stati trovati frammenti di tabelle di bronzo, dedicate alla dea, che attestano la ritrovata libertà di prigionieri e schiavi. Secondo un'altra fonte, la dea del Lacinio è anche “colei che porta le armi” (hoplosmia), quindi avrebbe anche un aspetto guerriero. Dai rinvenimenti di figurine femminili di terracotta con le mani portate ai seni, ( immagine ) si ricava la dimensione di Hera “nutrice dei bambini” (kourotrophos) e più in generale di colei che controlla i riti di passaggio dallo stato di fanciulla a quello di donna. Infine assai famose erano le feste annuali in onore della dea, che radunavano sul promontorio tutti gli italioti venuti dalle varie città della Magna Grecia.



    Offerte straordinarie, personaggi famosi e prodigi

    Molti personaggi del mito e della storia offrirono nel tempio di Hera Lacinia i propri doni. Tra i più famosi ricordiamo: Enea, che vi dedicò una coppa di bronzo (phiale) recante il proprio nome nell'iscrizione dedicatoria, ed Alcistene di Sibari, il cui manto, intessuto con fregi d'oro e raffigurazioni di divinità olimpiche, ed offerto ad Hera alla fine del VI secolo a.C., fu preso da Dioniso I nel 378 a.C. per poi essere da lui rivenduto ai Cartaginesi nel 374 a.C per l'esorbitante cifra di 120 talenti. Nei versi della poetessa Nosside di Locri si ricorda il dono fatto alla dea dalla giovane crotoniate Theophilìs, che le offrì una veste di bisso, un lino finissimo, come era in uso fare tra le nobildonne della città. Lo stesso Pitagora consigliava di offrire alla dea le vesti più belle e lussuose. Zeusi, pittore famosissimo e richiestissimo, che girava nell'Atene del V secolo a.C con il proprio nome intessuto in oro sulla veste, dipinse nel santuario del Lacinio le storie di Elena di Troia, prendendo come modelle le più belle fanciulle di Crotone. Tra il VI e il V secolo a.C. gli atleti di Crotone ricevettero grandi riconoscimenti durante le gare che si svolgevano ad Olimpia a partire dal 776 a.C., tra questi ricordiamo Milone e Astilo, le cui statue si trovavano ad Olimpia e al Lacinio. Milone fu anche sacerdote di Hera e stratego durante la battaglia del 510 presso il fiume Traente contro i Sibariti, in cui, vestito con la leonté ed armato con la clava, come Eracle, condusse i Crotoniati alla vittoria. Dal santuario di Hera Lacinia passò anche Annibale, nell'estate del 205 a.C., prima di fare ritorno in Africa per fronteggiare Scipione. Qui egli commise due atti empi: fece uccidere gli Italici che non volevano seguirlo in Africa e che si erano rifugiati supplici nel tempio e tentò di impossessarsi di una colonna del tempio fatta completamente di oro massiccio, frutto dei ricavi dell'allevamento del bestiame. Ma dopo averne verificato la consistenza, prelevandone un pezzo, fu dissuaso dalla stessa Hera che in sogno lo minacciò di fargli perdere l'unico occhio rimastogli. Cosicchè Annibale rinunciò all'impresa e con l'oro trapanato fece fabbricare una piccola vacca (bucula) che pose sulla colonna come offerta alla dea. Prima di ripartire, il cartaginese fece incidere nel bronzo le proprie imprese (res gestae) in lingua punica e greca. Il santuario era noto anche per altri prodigi. Lo storico Tito Livio narra che la cenere dell'altare del tempio non si sollevava né si disperdeva nonostante i forti venti a cui essa era esposta; riporta inoltre che se una persona scriveva il proprio nome con il ferro su una tegola del tempio, questo scompariva alla morte dello stesso.

    Storia della ricerca - La riscoperta del santuario

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    I primi scavi regolari nell'area del santuario si ebbero tra il dicembre del 1887 e il gennaio del 1888 ad opera di due americani Clarke e Emerson, per conto dell'American Institute of Archeology. Ma una vertenza sulla legittimità delle autorizzazioni in loro possesso provocò l'improvvisa sospensione dello scavo ed il reinterro dei sondaggi e dei reperti, tra cui una testa e vari frammenti di marmo. Ritrovamenti occasionali, facenti parte di collezioni private locali, oggi confluiti nel museo di Crotone, furono pubblicati nel 1897 dallo studioso tedesco Friedrich Von Duhn, il quale riportava la notizia che gli archeologi americani avessero occultato gli oggetti trovati in una non precisabile cava di pietra. A tutt'oggi quest'informazione non è mai stata comprovata. I primi rilievi accurati dei resti del tempio furono fatti da Robert Koldewey e Otto Puchstein nel 1899.Nel 1901 la colonna fu ulteriormente rilevata dall'Abatino per predisporre un rinforzo delle fondazioni che venne effettuato nel 1909. Le ricerche ripresero con Paolo Orsi che condusse un'importante campagna di scavi tra il 1910 e il 1911. Il grande archeologo trentino procedette innanzi tutto all'esplorazione dei resti del tempio, con saggi alle fondazioni dell'opistodomo, proseguì poi allo studio del recinto del temenos, identificando le varie fasi costruttive di età greca e romana, e allo scavo dell'accesso monumentale. Infine con diverse trincee esplorò gli spazi interni al temenos. Si rinvennero frammenti marmorei della decorazione del tempio, tegole, acroteri, terrecotte architettoniche. I risultati di questa prima campagna di scavo sistematica furono pubblicati nelle Notizie degli Scavi di Antichità.

    Dal dopoguerra ad oggi

    Si dovrà attendere il dopoguerra per vedere riprese le indagini archeologiche nel promontorio del Lacinio, con l'allora soprintendente Alfonzo De Franciscis venne rimesso in luce l'ingresso monumentale, che nel frattempo era stato reinterrato, si iniziò lo scavo degli edifici che lo fiancheggiavano e si restaurò il muro del temenos. Tra gli anni '60 e '70 Giuseppe Foti, nuovo soprintendente archeologo della Calabria, prosegue gli scavi e la sistemazione del peribolo e degli edifici ai lati dell'ingresso articolati attorno a cortili porticati. Agli inizi degli anni '70, in seguito a casuali affioramenti di strutture, vennero messe in luce una casa e due fornaci di età romana. Nel 1972 lavori per l'illuminazione della colonna provocarono il rinvenimento fortuito di una testa di marmo del V secolo a.C. e di altri frammenti della decorazione del tempio. Si è pensato, anche se non se ne può avere certezza, che questi fossero i reperti scoperti e reinterrati da Clarke e Emerson. In seguito a questi importanti rinvenimenti, la Soprintendenza Archeologica della Calabria fece eseguire alcuni saggi intorno al tempio, rinvenendo un interessante deposito di materiali ceramici del VI secolo a.C. A ciò seguirono inoltre fondamentali studi sull'architettura del santuario, da parte di noti studiosi (D. Mertens e F. Seiler). Ma le scoperte più spettacolari si sono avute dalla fine degli anni '80 agli inizi degli anni '90 con scavi sistematici, condotti da R. Spadea, che hanno messo in luce gli articolati edifici del santuario e gli eccezionali depositi votivi in cui sono stati trovati oggetti d'oro e di bronzo di ogni sorta. Da allora le ricerche e gli scavi non si sono mai interrotti.

    Il Santuario

    Al sito si accede attraverso la monumentale porta antica, del tipo cosiddetto “a tenaglia”, che fu costruita in età romana. La visita ha inizio col santuario greco di Hera Lacinia e termina con il castrum romano della colonia di Croto.

    Le fasi più antiche

    Il grande tempio dorico è la costruzione più importante del santuario e risale al V secolo a.C. Esso probabilmente si impianta su un precedente edificio del VI secolo a.C., di cui restano poche tracce. Alla prima fase arcaica appartengono i blocchi di arenaria utilizzati nelle fondazioni ed i frammenti di colonna dorica, tagliati a disco e sparsi all'interno dell'edificio B, che si trova a fianco ad esso in direzione Nord. Alla fase più antica appartiene sicuramente l'edificio B.

    L' Edificio B


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    L'edificio B si trova a Nord, allineato alla via sacra, poco distante da quello A, da cui diverge leggermente. E' il più antico edificio di culto del santuario, ed è precedente alla costruzione del tempio dorico. Si tratta di un semplice oikos (casa) arcaico a una pianta rettangolare (m 19,70 x 9,50) con accesso a Est, che in seguito alla realizzazione del grande tempio A finisce col divenire il luogo dove vennero deposti alcuni tra i più preziosi doni votivi alla dea (thesauros). L'edificio non ha un'articolazione canonica e mostra almeno tre grandi fasi, che vanno dal primo quarto del VI secolo a.C. fino al secondo venticinquennio del V. Il materiale da costruzione usato è costituito da scaglie o da blocchi di calcarenite locale, di colore giallo chiaro, disuguali e legate a secco. Il muro settentrionale attesta la fase più antica dell'edificio. All'interno dell'edificio B è stato rinvenuto un basamento quadrato in posizione decentrata rispetto all'asse mediano, interpretato come una sorta di “area riservata”, probabilmene traccia del primo luogo di culto, usato forse come base per il simulacro della dea Hera o come supporto per una tavola per le offerte. Esempi simili si conoscono in Grecia a Kalapodi. Il ritrovamento di un horos , cioè un limite sacro, in calcarenite e di oggetti di bronzo databili alla prima metà dell'VIII secolo, hanno fatto pensare alla possibilità di una frequentazione indigena anteriore alla venuta dei Greci.

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    Il momento più ricco ed importante dell'edificio è la seconda metà del VI secolo a.C., a questo periodo corrispondono le offerte votive (anathemata) più preziose e spettacolari trovate proprio nei pressi dell' horos. L'elevato dell'edificio B, nella sua prima fase, doveva essere in mattoni crudi, paglia e legno, tutti materiali deperibili, di cui quindi non è rimasta traccia. In connessione col rinnovamento del santuario, nei primi anni del V secolo a.C, che vede la costruzione del grande tempio A, si procede ad una ricostruzione dell'edificio sacro, forse a causa di un incendio. Vengono quindi riedificati tre lati: occidentale, meridionale, e orientale ed in quest'ultimo viene aperto l'ingresso con ampio utilizzo di calcarenite in blocchi. Si costruisce ora il basamento quadrato (m 3,10x2,60), per il simulacro, forse ligneo, della dea, in prossimità del muro di fondo occidentale, che rispettando un precedente spazio di grande importanza, risulta essere eccentrico rispetto all'asse mediano dell'edificio. In età classica si procede al raddoppio del muro meridionale, ceduto, sembrerebbe, dopo poco tempo dalla precedente ricostruzione, forse a causa di un terremoto oppure per un problema al cantiere del tempio. Il tetto viene ricoperto con tegole quadrate, la decorazione della parte superiore era a cassette e ad antefisse policrome, il pavimento era un solido battuto in calcarenite. Le proporzioni del nuovo tempio A, in cui abbiamo visto un grande reimpiego di pietra, sovrastano quelle dell'edificio B che conserva le forme povere e semplici dell' oikos . La conservazione dei suoi caratteri originari, dalla forma ai volumi, è la conferma, ancora in età classica, dell'arcaicità dell'edificio. Un crollo, che è possibile datare intorno alla metà del V secolo a.C., chiude la vita dell'edificio B, seppellendolo con i suoi ricchi doni votivi.


    La strada sacra

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    Alla fine degli anni '80 è stata scoperta sul margine settentrionale dell'edificio B la strada sacra (hiera odos ) del tempio. Ne è stato scavato un tratto lungo 58 metri e largo circa 8,50. Questa via che attraversava longitudinalmente il santuario, lo collegava al bosco sacro, ai punti di approdo e all'area sacra delle Quote Cimino che si trova a ovest del temenos (zona sacra). La strada è stata individuata in prossimità del propileo monumentale di accesso realizzato in età romana, dove si presenta con i margini delimitati da un cordolo di blocchi squadrati. Essa dopo aver costeggiato il portico a forma di L dell'edificio K (katagogion), giunge nell'area degli edifici di culto. Il primo, l'edificio B, si presenta direttamente affacciato su di essa, mentre il grande tempio dorico A, sebbene col fianco settentrionale si allinei alla via, ne risulta divergere leggermente, dimostrando probabilmente l'adeguamento ad un differente progetto urbanistico. Quella che vediamo oggi sul sito è la strada nella fase di abbandono del III secolo a.C, ma il suo tracciato risale al V secolo a.C. Ciò sembra essere confermato dal fatto che essa è in relazione con l'edificio di culto più antico dell'area, l'edificio B di cui riprende l'orientamento. E con esso doveva funzionare almeno nell'ultima fase di vita di quest'edificio, cioè il primo venticinquennio del V secolo, periodo in cui la cità di Crotone è caratterizzata da un grande vigore urbanistico. Nonostante il percorso non ci sia attestato dalle fonti, le processioni dei fedeli dovevano entrare nel temenos attraverso la via sacra, per giungere poi nel cuore del santuario vicino all'edificio B ed al tempio di Hera. A Est, in corrispondenza della linea di costa, gli smottamenti del terreno impediscono di capire se la strada continuava o terminava con uno slargo meta dei pellegrini. E' certo comunque che dovesse esservi una zona di accoglienza per la conclusione delle processioni legate alle grandi feste per il culto di Hera.



    Il Tempio


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    Eretto probabilmente sopra un precedente edificio di epoca arcaica, il tempio cui appartenne la colonna che vediamo ancora oggi, convenzionalmente denominato edificio A o tempio A, era certamente quello dedicato alla dea Hera Lacinia in quanto si tratta dell'edificio di dimensioni maggiori di tutto il santuario. A causa dei ripetuti saccheggi, del tempio di età classica, oggi non rimane che una sola colonna, parte del basamento e delle fondazioni. La colonna è alta m 8,35 ed è composta da otto rocchi a venti scanalature piatte. L'edificio presentava sei colonne sui lati corti, era quindi esastilo, di cui la colonna superstite, divenuta il simbolo della grecità d'Occidente, era la penultima verso Nord, e 15 sui lati lunghi. Le dimensioni generali dovevano essere di circa 57 metri di lunghezza e 22 metri di larghezza. L'accesso era ad Est, secondo l'uso tradizionale greco.I materiali impiegati per la sua costruzione erano il calcare e la calcarenite locali ed il marmo greco e delle isole Egee. La prime descrizioni delle rovine del tempio di Hera Lacinia risalgono al XVI e sono quelle contenute nalla “Descrittione di tutta Italia” di Leandro Alberti che vide in piedi ancora molte colonne. Fino al terremoto del 1638 le colonne erano due, mentre una buona parte del basamento venne adoperata nel corso del XVII secolo per la costruzione dei moli del porto di Crotone. Era un tempio di ordine dorico, il profilo del capitello, con l'echino rigidamente profilato e di insolite proporzioni, permette di inquadrarlo nel filone dell'architettura templare siceliota della prima metà del V secolo e confrontarlo col tempio di Athena a Siracusa. Con caratteristiche simili si presentano altri due templi importanti dell'inizio dell'età classica: il tempio della Vittoria di Himera ed il tempio di Nettuno a Paestum. Tuttavia, alcuni elementi architettonici rinvenuti in occasione della campagna di scavo del 2003 farebbero emergere una maggiore vicinanza ai modelli canonici di edifici di ordine dorico della Grecia propria, come il tempio di Zeus ad Olimpia, spingendo a collocarne la datazione in anni più centrali del V secolo a.C.
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    Ricca e fastosa doveva essere la sua decorazione marmorea. La testa femminile di marmo, rinvenuta negli anni'70, apparteneva probabilmente al frontone, come pure altri frammenti ritrovati fortuitanente nell'area del tempio. Era uno dei pochissimi templi della Magna Grecia che presentava sculture di marmo, materiale importato e molto costoso. Le numerose terrecotte architettoniche, hanno permesso di ricostruire almeno dieci coperture dell'edificio sacro, (dalla metà del VI al IV secolo a.C.), che attestano la grande attenzione dedicata dai cittadini della polis di Crotone a questo tempio. Ogni tegola del complicato sistema di copertura del tetto doveva essere stata lavorata pezzo per pezzo, contrariamente a quanto avveniva per le tegole di terracotta, realizzate in serie con matrici prefabbricate. Dalle fonti sappiamo che esse furono prelevate in antico dal censore Q. Fulvius Flaccus, nel II secolo a.C., e che pur essendo state restituite successivamente, non fu più possibile ricollocarle al loro posto, proprio a causa della complessità del sistema tecnico che i Romani non riuscirono a capire, al punto che poi vennero abbandonate nell'area limitrofa. Tutte le tegole ed i coppi erano di marmo greco e insulare.

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    Non conosciamo con certezza la posizione dell'altare, che, come è noto, nei templi greci, si trovava sempre all'esterno. A riguardo le fonti sono contrastanti: da un lato Livio lo colloca con precisione nel vestibolo del tempio, dall'altro Plinio lo ricorda all'aperto, col vento che inspiegabilmente non ne disperdeva le ceneri. Si potrebbe immaginare l'altare posto in un'area aperta alla fine della strada sacra, termine naturale delle processioni dei fedeli. E' da escludersi l'ipotesi che lo voleva davanti al tempio in un'area che sarebbe sprofondata nel mare. In età romana il grande santuario con il tempio risulta compreso all'interno del più ampio impianto abitativo che si insedia sul promontorio e che è delimitato dalla poderosa cinta muraria in opera reticolata. Tale rimarrà fino al suo abbandono in epoca post-bizantina.


    La Colonna


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    La colonna dorica di Capo Colonna è l'unica superstite del grande tempio di Hera Lacinia (il cosiddetto edificio A), che si era conservato quasi integro fino al Cinquecento, periodo in cui cominciarono i primi saccheggi. Ma fu soprattutto con il vicerè di Spagna don Pedro di Toledo, nel 1543, che venne effettuato un massiccio prelievo di materiali da costruzione per attuare il poderoso piano di fortificazione che vide erigere il castello e le mura di Crotone e, successivamente, anche il porto della città. La colonna è alta complessivamente m 8,35 e presenta un fusto con venti scanalature piatte composto da otto rocchi sovrapposti (diametro inferiore m 1,68 e diametro superiore m 1,29). E' scolpita, come i blocchi del basamento, nella locale calcarenite conchiglifera ed era la penultima verso Nord delle sei colonne della fronte orientale, che nei templi greci era la facciata principale. Il piano di appoggio (stilobate) presenta indizi di una intenzionale pendenza rispetto all'asse verticale della colonna (cm 2,55 rispetto al piano orizzontale) e di una leggera inclinazione (cm 11,1) verso la retrostante cella del tempio. Tali accorgimenti segnalano una grande raffinatezza architettonica e servivano a correggere le divergenze che si sarebbero verificate a livello ottico se le sagome delle colonne fossero state effettivamente verticali. Il prospetto esastilo del tempio si offriva alla vista dei naviganti ed era volutamente enfatizzato da una poderosa piattaforma protesa verso il mare a formare una grande scalinata composta da dieci livelli di blocchi sovrapposti, ai piedi della quale doveva probabilmente trovarsi la zona più importante del santuario, meta dei pellegrini e punto di arrivo delle processioni sacre.

    Gli edifici annessi al santuario e le trasformazioni dall'età classica all'età romana

    A Sud e a Nord della strada sacra sono disposti l'edificio H e quello K, cioè: l' hestiatorion ed il katagogion. Si tratta di edifici caratterizzati da un cortile interno porticato su cui si aprivano una serie di ambienti, destinati a ricevere e ad alloggiare i pellegrini che giungevano al sartuario con incarichi ufficiali. Il primo era destinato ai banchetti, il secondo all'ospitalità. L'impianto dei due edifici risale al IV secolo a.C. in un periodo di generale rinnovamento dell'area sacra, legato ad una riorganizzazione che coinvolse la stessa città di Crotone.

    L'edificio H


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    L'edificio H o hestiatorion, presenta una pianta quasi quadrata (m 26,30 x 29) con cortile porticato al centro su cui si aprivano 14 vani, anch'essi quadrati e tutti della stessa misura (m 4,74 x 4,75), disposti simmetricamente in due file di cinque e due file di due ambienti. I muri costruiti in opera quadrata con blocchi di calcarenite sono conservati solo alla base. La struttura aveva probabilmente due accessi sul lato settentrionale che conducevano al peristilio interno con colonne di legno. All'interno del peristilio è stato rinvenuto un articolato sistema di scolo e drenaggio delle acque con quattro vasche circolari in opera cementizia che raccoglievano l'acqua piovana dei tetti a grondaie negli angoli del peristilio, da cui partivano tubi in terracotta o canalette rivestite di tegole che la convogliavano nel centro di esso. I quattordici vani uguali servivano per i banchetti e facevano parte del rituale e delle feste religiose di Hera. Essi potevano contenere sette letti (klinai) per banchetto secondo un preciso calcolo. Queste klinai erano disposte tutt'intorno, cominciando da destra della porta con una sola kline , il posto d'onore, e poi su ogni lato due klinai . Su di esse venivano consumati i pasti, alla maniera greca, in posizione distesa, con il torso leggermente sollevato appoggiato sul braccio sinistro. I 14 vani potevano accogliere quindi 98 klinai, era un edificio di grande capacità, corrispondente ad un tipo di hestiatorion noto che era l' oikos hekatontaklinos , un oikos (casa) con 100 klinai. Durante lo scavo numerosi sono stati i rinvenimenti di ceramica da mensa e da cucina, che confermano la destinazione d'uso dell'edificio.

    L'edificio K

    L'edificio K o katagogion ( immagine ) si affaccia a Nord della via sacra. E' un po' più grande dell'edificio precedente (m 34 x 38) e presenta una pianta rettangolare di cui si conservano solo le basi dei muri. Mostra un portico esterno di ordine dorico che si sviluppava a forma di L sui lati Sud, verso la via sacra, ed Est, verso il tempio A, che doveva conferirgli un aspetto ricco e decorativo. L'accesso all'edificio era dalla via sacra. Agli ambienti interni, scanditi da un raffinato alternarsi di ambienti quadrati (m 5,10 x 5,10) e rettangolari, e al cortile, caratterizzato da un secondo peristilio con colonne doriche, si accedeva tramite il portico. Le colonne erano rivestite di finissimo stucco bianco ancora ben conservato. Nella concezione generale della pianta l'edificio mostra strette somiglianze con il Leonidaion di Olimpia, una struttura fatta costruire da Leonida di Nasso, che ne fu l'architetto ed il finanziatore dei lavori, per l'accoglienza di ospiti di riguardo, che, come una sorta di albergo di lusso, ospitava degnamente le delegazioni giunte per i giochi e le feste. Nel corso degli scavi, l'area del peristilio è stata trovata ingombra di parti di colonne e di porzioni di capitelli, il cui crollo deve essere avvenuto in seguito ad un terremoto, probabilmente nel III secolo d.C.

    L'età romana e la fine del santuario

    In età romana con la deduzione della colonia di Croto nel 194 a.C., ad opera dei triumviri Cn. Octavius, L. Aemilius Paulus e C. Laetorius , con 300 cittadini romani, il santuario, come la città, attraversa un periodo di crisi in cui le risorse diminuiscono sensibilmente. Il nuovo clima politico ed un certo ridimensionamento economico permisero nel 173 a.C. al censore romano Q. Fulvio Flacco di prelevare parte della copertura di marmo del tempio, il quale, per adempiere ad un voto, dopo la vittoria contro i Celtiberi (180 a.C.), voleva far costruire a Roma un tempio alla Fortuna Equestre. L'iniziativa non riscosse successo tra i senatori romani, forse invidiosi dell'eccessivo prestigio che il magistrato avrebbe potuto raggiungere, e dopo pochi mesi egli fu costretto a riportare indietro quanto preso. Ma ancora più tremenda fu a riguardo la vendetta di Hera…. Pare che l'anno successivo due dei suoi figli morirono durante il servizio militare in Illiria e per il dolore egli si impiccò. Intorno al 72 a.C. il sito subì un saccheggio dai pirati cretesi e cilici, che rubarono il famoso ritratto di Elena, opera di Zeusi e numerose offerte d'oro. In età tardo repubblicana venne costruita una terma, ad opera di due magistrati (duoviri quinquennali) nell'area del santuario, che comunque mantiene ancora la sua funzione. Di età augustea è un rifacimento del peribolo da parte di un potente latifondista di Vibo Valentia, Q. Laronius. Le ultime attestazioni di un'attività cultuale si datano alla fine del I-inizi II secolo d.C. grazie ad un altare funerario dedicato da un liberto (procurator augusti ), a Marciana, sorella dell'imperatore Traiano, in cui si invoca Hera Lacinia. Dopo pochi anni il santuario sarà soppiantato da impianti di produzione con annesse fornaci e da una serie di ville rustiche che sorgeranno su tutto il promontorio.

    Le mura


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    Le mura che si vedono oggi sul sito sono state costruite in età romana, intorno al 30-20 a.C. per difendere il centro urbano e sostituivano probabilmente un impianto difensivo più antico costituito da un terrapieno (aggere) e da palizzate. Esse presentano poderosi paramenti in opera quadrata (opus quadratum) e in opera reticolata (opus reticulatum) con un nucleo in opera cementizia (opus caementicium) . Il circuito murario racchiudeva un ampio spazio rettangolare di circa m 300 x 250 e presentava un'imponente porta di accesso del tipo “a tenaglia” con copertura voltata a tutto sesto, difesa da una torre quadrata di rinfianco protesa in avanti. Sempre lungo il tratto occidentale delle mura si trova un'altra torre quadrangolare che presenta vistose tracce di restauri. Non è possibile precisare se anche i lati lungo la costa fossero chiusi o meno da un muro continuo e se fosse presente una porta più piccola (postierla).


    L'abitato romano

    Grazie all'intensificarsi delle ricerche tra il 1987 e i 2003 è stato possibile definire la fisionomia dell'abitato fortificato (castrum), sorto nel santuario di Hera Lacinia a partire dal primo quarto del II secolo a.C. per controllare meglio le rotte navali da e per l'Adriatico. L'abitato aveva una maglia urbanistica regolare con tre grandi strade Est-Ovest larghe m 8,50 alle quali si intersecavano perpendicolarmente vie minori larghe m 2,40 ed una sola larga poco più di 4 metri, formando isolati rettangolari, che risparmiavano il settore del tempio di Hera e le sue immediate pertinenze. Gli isolati vennero occupati gradualmente dal II secolo a.C. fino al I d.C. da edifici diversi, sia privati, come case (domus) e botteghe, che pubblici, come per esempio le terme. La domus più antica è della fine del II secolo a.C., ma rimaneggiata successivamente, ed è una casa ad atrio di circa 15 x 34 m. Conserva nel tablino un pavimento di cocciopesto decorato da un motivo a losanghe con l'inserto di una fascia musiva con anatre, delfini e pesci.

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    La domus più recente, costruita nell'ultimo trentennio del I secolo a.C., è eccezionale sia per la varietà delle tecniche edilizie impiegate, che per la superficie originaria superiore a 2000 mq. Erano presenti anche case più modeste, destinate a ceti sociali medio-bassi, organizzate attorno ad ampi cortili di cui possiamo osservare i resti di strutture costruite con scaglie di pietra e terra. Gli scavi hanno restituito numerosi oggetti di uso comune come vasellame da mensa a pasta grigia, ceramica campana, ceramica sigillata, anfore da trasporto locali e di importazione per il vino, per l'olio e per la pece bruttia ; lucerne per l'illuminazione degli ambienti domestici; manufatti in vetro ed in metallo, che attestano la vitalità dell'abitato.

    La fornace

    Tra la fine del II e l'inizio del III secolo d.C. in uno degli ambienti della grande domus situata lungo il margine settentrionale del promontorio viene costruita una fornace per laterizi. Essa presenta una pianta rettangolare (m 3,65 x 2,42) con apertura sul lato occidentale in corrispondenza del praefurnium . La camera di combustione è divisa longitudinalmente da un muro intermedio in asse con il breve corridoio del praefurnium ; nel senso della larghezza sono visibili quattro muretti paralleli disposti ad intervalli regolari a sostegno di quattro coppie di archetti a tutto sesto, di cui solo due sono conservati. Al di sopra dei setti trasversali poggiava il piano forato, che si non è conservato e che fungeva contemporaneamente da soffitto della camera di combustione e da pavimento della soprastante camera di cottura, che probabilmente presentava una copertura a cupola.Una vasca per l'argilla completa questo complesso artigianale individuato negli anni '50, ma che solo in tempi più recenti è stato oggetto di indagini approfondite e sottoposto a tre interventi di restauro conservativo.

    L'edificio termale (balneum)


    Scoperto da Paolo Orsi nel 1910 che lo indagò solo parzialmente, l'edificio termale è stato rimesso in luce nel 2003. Esso mostra una struttura che ha subito diversi rimaneggiamenti. Presenta almeno due fasi iniziali con ambienti in opera quadrata ed opus implectum di cui non è chiara la funzione. Successivamente la struttura fu ripresa ed ampliata in opera incerta per ricavarne un balneum, ricordato da un'iscrizione musiva recante i nomi dei magistrati che l'avevano fatto costruire, Lucilius Macer e Annaeus Thraso.

    Il complesso è costituito da un insieme di ambienti con una pracisa destinazione d'uso:
    il laconicum per i bagni di sudore, il praefurnium dove veniva riscaldata l'acqua della vasca per il bagno caldo (solium), che avveniva nel calidarium . Sono visibili i resti del pavimento in opus spicatum poggiato sul sottostante hypocaustum che permetteva il riscaldamento dell'ambiente. Per quanto riguarda la decorazione del balneum , in uno degli ambienti principali è conservato un bel pavimento in cocciopesto con emblema centrale. Mosaici a motivo geometrico (fasce bianche e nere alternate a decorazioni a meandro prospettico e onda corrente) incorniciano la decorazione centrale di forma romboidale recante una scacchiera nera e verde con quattro delfini agli angoli.

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    Mosaico

    Sulla fascia bianca più ampia è riportata l'iscrizione a lettere nere dei duoviri quinquennali, i magistrati che ne avevano curato l'opera. Ad un certo momento l'edificio cambiò completamente funzione in quanto vennero rialzati tutti i livelli pavimentali con terra battuta, seppellendo le vasche per i bagni.

    Lo smantellamento del santuario

    Tra l'XI e il XVII secolo d.C. le diverse fornaci tardo-romane istallatesi nell'area di Capo Colonna vennero utilizzate come calcare per ricavare calce dalla cottura del marmo del tempio. Durante la dominazione spagnola, diversi edifici di nuova costruzione come i moli della città ed il castello videro il reimpiego di materiale prelevato dal santuario.



    Edited by Isabel - 1/11/2014, 19:44
     
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  3. Isabel
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    Capocolonna, svelato mistero. Erano 38 colonne e due templi

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    - Fonte foto - Fonte -
    di Marina Vincelli

    Evoluzione di particolare importanza nel sito archeologico crotonese: secondo quanto emerso dagli ultimi scavi che riguardano la base del tempio e la fondazione, con vari strati sovrapposti veramente solidi e robusti, si può affermare con certezza che le colonne erano trentotto. Per l’esattezza quattordici sul lato lungo e sei sul lato corto


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    Finalmente – e non è una scoperta da poco - sappiamo con certezza quante erano le colonne del tempio di Hera, il cui numero è rimasto finora un mistero, con la credenza accreditata dallo storico crotonese del seicento, Giovanbattista Nola Molisi che fossero quarantotto. Allora, secondo quanto emerso dagli ultimi scavi che riguardano appunto la base del tempio e la fondazione, con vari strati sovrapposti veramente solidi e robusti, si può affermare con certezza che le colonne erano trentotto. Per l’esattezza quattordici sul lato lungo e sei sul lato corto. A spiegarlo è stata ieri la direttrice degli scavi e del Parco archeologico di Capocolonna, Maria Grazia Aisa.

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    «Le colonne del tempio di Hera – ha affermato Aisa - erano in tutto 38. Ce n’erano 6 sul lato corto e 14 sul lato lungo». «Ovviamente – ha precisato - non contando le colonne d’angolo, il numero totale è appunto di 38. Di questo ne siamo adesso assolutamente certi». La notizia più eclatante è il ritrovamento di un capitello e di frammenti di colonna di pietra appartenenti ad un tempio arcaico, precedente quello di cui rimane la colonna superstite e che è oggetto degli scavi archeologici. La cui esistenza finora era solo ipotizzata e testimoniata da diverse fonti storiche, ma che adesso viene provata da questi reperti in pietra, scoperti accanto al Tempio. Messi sul terreno per segnalare la presenza di una fossa sacra, di cui diremo in seguito. Il capitello e la parte di colonna scanalata sono datati dagli archeologi che stanno conducendo gli scavi tra la fine 610 ed il 600 avanti cristo. La larghezza della colonna arcaica è quasi uguale alla colonna dorica superstite del tempio posteriore, datato 475-470 avanti cristo. Cioè le dimensioni del tempio arcaico dovevano essere ugualmente maestose. Ma dov’è adesso questo tempio? Per lo meno le fondazioni? Secondo Aisa e Alfredo Ruga primo collaboratore della direzione scientifica non si può più sostenere che tale tempio coincida con il tempietto situato accanto alla via sacra. Cioè che il tempio arcaico coincida con il cosiddetto Tesauros, che invece era un tempietto dove venivano deposte le offerte votive e dove è stata trovata la corona d’oro di Hera. Secondo Ruga ed Aisa, il tempio arcaico sarebbe situato all’interno dell’attuale villa Albani, il cui muro è adiacente alla via sacra, ed all’area oggetto di scavi, delimitata dal muro di cinta della Villa. E’ entusiasmante assistere alle operazioni di scavo, che riguardano diversi punti dell’area. Quelli ritenuti più interessanti e con più alta probabilità di trovare reperti di grandissimo interesse. Diciamo subito che ieri è stata trovata addirittura una statuina di 20 centimetri, una figura femminile del periodo arcaico, con il peplo, i piedi e priva di capo. E’ stata trovata nella fossa segnalata dal capitello arcaico adiacente la parte est del tempio. Una “favissa”, cioè una buca dove periodicamente venivano scaricate le offerte donate alla dea, che potevano essere sostituite con altre ancora più belle e preziose. Una specie di discarica del tempio, insomma, contenente oggetti sacri e per questo collocata nell’area sacra. Dalla piccola buca sta uscendo di tutto, piccoli oggetti votivi di una delicatezza incredibile. Sono stati trovati finora moltissimi Kotiliskòi, piccoli vasi simili per forma alle trottole e tantissimi krateriskòi, minuscole coppe per le libagioni da offrire agli dei. Si tratta di oggetti di uso quotidiano in miniatura, degli ex-voto che si donavano per ingraziarsi la dea. Finora ne sono stati trovati nella fossa un centinaio, moltissimi completamente integri ed è un’emozione forte vederli affiorare mentre si scava a mano, togliendo delicatamente il terriccio dalle pareti in terracotta.

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    - Fonte foto -

    La prima fossa sacra è stata quasi tutta scavata e non si pensa che si troverà più nulla di rilievo. Ma è venuto già fuori un vero tesoro. Questi oggetti sono bellissimi leggerissimi e delicati. Tra i frammenti che sono al lavaggio c’era un braccio femminile di qualche centimetro che teneva stretta una cornucopia ed un’altra mano che stringeva il pugno, un oggetto in questo caso mancante. La cornucopia simbolo di abbondanza , e rappresenta quindi la devozione alla dea della fertilità Hera. Poi tantissimi frammenti in marmo di Paros, parti di bassorilievi o di tegole o di altre parti architettoniche del tempio. Purtroppo finora i frammenti trovati sono incompleti, poiché il marmo di Paros veniva bruciato per ricavarne la calce. Ora si stanno scavando anche altre buche profonde circa un metro, dalla parte posteriore del tempio, scavate nella roccia affiorante, alcune di diametro maggiore, altre minore, che servivano per impiantarvi le piante che facevano parte del Bosco sacro. Stanno lavorando agli scavi sedici operai, tre archeologi, due disegnatrici e quattro ditte. L’importo dei lavori è di due milioni e cinquecentomila euro per una campagna di scavi archeologici che dovrebbe concludersi a ottobre, finanziamenti derivati dal gioco del Lotto. Tra gli archeologi c’è anche Margherita Corrado e Maria D’Andrea. Un’altra chicca? Sta per partire un nuovo progetto per valorizzare l’area, trascurata da almeno dieci anni. Per il recupero di Villa Rosa e per proseguire con gli scavi anche della parte romana. Si recupereranno le Terme romane già oggetto di una campagna di scavi nel 2003 e si restituirà alla fruizione del pubblico il bellissimo pavimento in mosaico raffigurante quattro delfini ed onde marine, con iscrizioni in latino.

    Edited by Isabel - 1/11/2014, 19:47
     
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