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Assemini

Provincia di Cagliari

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    Assemini

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    - Fonte -

    Assemini (IPA: [as'sεmini]; Assèmini in sardo) è un comune di 26.999 abitanti in provincia di Cagliari. È classificato secondo gli standard turistici come "Paese di antica tradizione della ceramica". Ospita gli stabilimenti di produzione della celebre birra Ichnusa.

    Origine del nome

    - Fonte -

    Oggetto di indagini storico linguistiche fin dal secolo scorso, già lo Spano coglieva nel termine SHEMEN, cioè PINGUE, sonorità puniche; tuttavia nelle antiche carte geografiche si trova ARXEMINI. Il Pais sosteneva un’origine araba del toponimo ASHEMEN ossia “ottavo” sottinteso miglio, che traduceva il Latino “AD OCTAVUM “ la distanza tra il nostro centro e Karalis. Anche l’Alziator deduce un’origine araba da ARSEMINE. Contrariamente il Miglior sostiene che l’origine del nome dovrebbe derivare dalla particolare ricchezza faunistica del territorio, perciò dal greco ARTEMIS ovvero ARTEMIDE, Dea della caccia. Invece la tesi del Cherchi Paba punta su motivazioni di carattere politico-militare, sostenendo che il nome deriverebbe dal latino ARX MUNI o MUNITA cioè ACCAMPAMENTO FORTIFICATO. Queste teorie nella loro diversità mettono in rilievo il ruolo non certo marginale che Assemini ha esercitato e sono il segno di una storia di reciproca dipendenza e interesse, soprattutto con Cagliari principale centro politico, economico e militare dell’isola.

    Storia

    Il territorio, forse perché occupa un terreno ricco di falde acquifere, fu oggetto di interesse per molte dominazioni straniere quali i Punici, i Fenici, i Romani, gli Arabi, i Pisani, gli Spagnoli e i Piemotesi. E’ stato sicuramente un centro fenicio punico, e divenne un importante centro romano; vi passava l’acquedotto che riforniva Cagliari da Domusnovas e la strada che dal Capoluogo raggiungeva Sulci. Nel medioevo il nucleo urbano si sviluppò attorno alla chiesa di S.GIOVANNI. Nel periodo GIUDICALE appartenne al GIUDICATO DI CALARI e fece parte della CURATORIA del CAMPIDANO o CIVITA di CALARI e poi di quella di DECIMO dal secolo 14. In epoca ARAGONESE ottenne alcuni privilegi, passò poi alla CONTEA di QUIRRA, feudo dei CARROZ e poi alla BARONIA di S. MICHELE.

    Territorio e ambiente

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    Vista del Monte Lattias dalla gola di Gutturu Mannu.

    Il paese sorge nella pianura del rio Cixerri, del Flumini Mannu e del rio Sa Nuxedda appena a nord dello stagno di Santa Gilla. Il territorio comunale è abbastanza vasto in confronto alla dimensione del centro abitato in quanto comprende un'isola amministrativa distaccata. L'isola è principalmente costituita da boschi incontaminati immersi nella suggestiva vallata di Gutturu Mannu (termine sardo per "grande gola") a sua volta facente parte del Parco del Sulcis: la zona è oggetto di interesse naturalistico in quanto habitat naturale di specie quali il cervo sardo e l'aquila reale e archeologico per il ritrovamento di numerosi reperti di epoca romana che fanno supporre l'esistenza di un oppidum. In seguito all'individuazione di una strada che costeggia il Flumini Mannu tuttora visibile, si ipotizza inoltre che l'antico centro abbia intrattenuto rapporti con il porto punico di Nora.

    Luoghi di interesse

    La casa campidanese

    Assemini, come altri centri del Campidano, ha conservato numerosi esemplari di case tipiche campidanesi frutto di una architettura che alcuni specialisti definiscono minore. Si tratta di ampie abitazioni, di cui si ha notizia già nel periodo giudicale le cui tecniche di costruzione e caratteristiche architettoniche hanno subito vari cambiamenti in seguito alle lunghe e diverse dominazioni della Sardegna, risentendo soprattutto di un'ancor evidente influenza spagnola i cui effetti saltano subito all'occhio, per via delle analogie estetiche (e non solo) tra le case campidanesi e le hacienda diffuse nelle ex colonie ispaniche dell'America Latina. Queste abitazioni sono costruite con l'impiego di particolari mattoni crudi (in sardo làdiri dal latino later, argilla), e sono riconoscibili per i caratteristici cortili centrali in cui erano presenti pozzi, forni e mulini necessari alla lavorazione del grano; in particolare nelle case campidanesi di Assemini i cortili erano attrezzati ed utilizzati, già dal periodo della dominazione spagnola, per la lavorazione della ceramica: questa testimonianza fornisce un'ulteriore elemento in comune con le haciendas, anch'esse non semplici abitazioni di residenza, ma attrezzati luoghi di lavoro e punti d'incontro di artigiani.Sui cortili si affacciano (come anche nelle haciendas) grandi loggiati archeggiati o architravati (in sardo lollas, singolare lolla) in cui venivano anticamente svolte numerose attività quotidiane tipiche della cultura agro-pastorale e, cosa ancor più importante fungeva da corridoio d'accesso a tutte le camere della casa; questo particolare elemento aveva un ruolo fondamentale all'interno del contesto architettonico e veniva considerato essenziale in un'abitazione tanto da identificare con lo stesso termine lolla questa categoria di costruzioni abitative in sardo. La maggior parte di queste costruzioni è a due piani: il piano terra era (o è ancora) destinato ad uso abitativo; il primo piano invece era originariamente utilizzato per la conservazione dei raccolti e delle provviste che dovevano essere preservate dall'umidità; vi si accede tramite una botola dall'interno dell'abitazione principale. All'esterno di ogni casa campidanese si trova un particolare grande portale ad arco a tutto sesto, che ha funzione di ingresso principale al cortile centrale e alla lolla. Le case campidanesi sono considerate un patrimonio di grande valore storico e per questo tutelate dalle autorità competenti.

    Chiese
    • Chiesa San Pietro
    • Chiesa e l'oratorio di San Giovanni Battista
    • Chiesa Sant'Andrea
    • Chiesa Santa Lucia
    • Chiesa San Cristoforo
    • Chiesa Beata Vergine del Carmine
    • Chiesa del Carmine

    Cultura - Tradizione della ceramica


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    Una brocca, opera di un
    ceramista asseminese

    Assemini è considerato "paese di antica tradizione della ceramica". I primi reperti, venuti alla luce nella zona di Sant'Andrea, che testimoniano questo tipo di pratica artigianale risalgono al periodo della dominazione punica della Sardegna. I reperti di maggiore importanza e in numero più consistente possono essere datati tra la fine del V e l'inizio del III secolo a.C. È molto probabile che la cospicua produzione di ceramiche (prevalentemente casseruole, scodelle, tegami e brocche nonché manufatti ornamentali) avvenisse in particolari cortili detti (in sardo) "strexiaius" (strexiu è un pluralia tantum che significa appunto stoviglie) in cui si trovavano pozzi per l'estrazione dell'argilla alcalina di cui il territorio è particolarmente ricco, vasche per la decantazione e la levigazione, il tornio, tettoie per essiccare i manufatti e forni a legna in mattoni crudi di forma cilindrica (probabilmente di derivazione orientale). Durante il Medioevo corporazioni apposite, dette Gremii, disciplinarono le attività creativa e commerciale degli strexiaius con statuti e regolamenti, onde imporre l'obbligo di non variare le forme e di non modificare i canoni fissati. Con l'avvento della dominazione spagnola che durò sino al XVIII secolo, gli strexiaius furono compresi negli ampi cortili delle case campidanesi di cui ancora oggi rimangono ben conservate numerose testimonianze. La tradizione della ceramica, così profondamente radicata nel territorio e negli asseminesi, trova la sua espressione anche nello stemma comunale che rappresenta, tra l'altro, un'antica anfora. Attualmente ad Assemini si producono stoviglie ornamentali, arricchite di motivi naturalistici (spesso ispirati a modelli molto antichi) o geometrici, in rilievo o a graffito. La destinazione d'uso di questi prodotti artistici è diversificata in quanto una parte di questi, per quanto raffinati, è destinata all'uso quotidiano (soprattutto stoviglie). Sebbene la foggia delle opere sia estremamente varia a seconda degli artisti, è possibile riscontrare nell'intera produzione numerosi elementi in comune che coinvolgono tanto i motivi decorativi quanto le tecniche di realizzazione: ciò conferisce alla produzione di ceramiche artistiche asseminesi uniformità e originalità in rapporto ad altre tradizioni, rendendola unica per i suoi tratti distintivi. Nel 1995 l'amministrazione comunale ha dato vita alla Mostra-mercato permanente della Ceramica Asseminese presso il "Centro Pilota per la Ceramica", uno spazio espositivo di circa 500 metri quadrati, nel quale possono essere ammirate molte opere dei più importanti ceramisti asseminesi. Nell'estate 2007 l'amministrazione comunale, tramite il lavoro dell'Assessorato alle Attività Produttive, ha inaugurato la “Mostra permanente della ceramica d'arte” negli stabili attigui al sopra citato Centro Pilota.La Mostra, che rappresenta una novità assoluta nel panorama regionale sardo, racchiude oltre 250 pezzi unici di valore inestimabile che, nel corso di oltre 30 anni, il Comune di Assemini ha acquistato al termine delle varie edizioni del Concorso Nazionale della Ceramica tenutesi nella cittadina. Questi pezzi, plasmati da artisti provenienti da tutta Italia, rappresentano la vetta massima dell'espressione artistica dei maestri ceramisti italiani. Iniziative di pari livello sono riscontrabili, in ambito nazionale, in realtà come Faenza e Senigallia.

    Cucina

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    Sa panada, piatto tipico asseminese

    Sa panada

    Nella lunga e varia tradizione culinaria sarda Assemini si distingue per l'unicità e l'originalità di alcuni piatti, primo tra tutti la panada apprezzata e consumata, in alcune varianti, in tutta la Sardegna. Nella maggior parte dei casi la produzione e il consumo avvengono tuttora in ambito familiare e privato e le tecniche di preparazione tradizionali, custodite dalla memoria popolare, sono rimaste quasi invariate per secoli. La panada, chiamata in sardo sa panada (plurale panadas), è un piatto unico costituito da un contenitore di forma circolare di pasta non lievitata ripieno chiuso da ricami a treccia (tradizionalmente realizzati senza l'ausilio di utensili) e successivamente cotto al forno. La tradizione vuole che il ripieno sia di carne (d'agnello o di maiale) e patate condite da zafferano e olio d'oliva o strutto. Un'importante variante prevede il ripieno d'anguilla a testimonianza dell'antica e intensa attività di pesca del comune ormai quasi scomparsa; in tempi più recenti vengono preparate panadas anche con piselli e melanzane.

    Il pane

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    Su coccoi, un pane votivo asseminese

    A differenza di quanto avviene nelle zone settentrionali dell'isola in cui il pane carasau è il tipo di pane più consumato in assoluto, ad Assemini, come nella gran parte della Sardegna meridionale si producono maggiormente altre varietà fra cui su maritzosu e su civraxiu. Nel paese un ruolo di spicco è ricoperto da su coccoi, una varietà di pane a pasta dura che viene preparato per il consumo giornaliero o per particolari occasioni e festività religiose in funzione di pani votivi: in quest'ultimo caso vengono utilizzate speciali tecniche di preparazione tradizionali che hanno raggiunto nel tempo altissimi livelli di estetica e raffinatezza fino a divenire vere e proprie forme d'arte, ammirate ed apprezzate in tutta l'isola.

    Musei

    Ad Assemini opera il Museo dell'Arte Etnica Internazionale, con le seguenti sezioni: maschere e mascheramenti del mondo - l'abito popolare italiano ed internazionale e la sezione gioielli e strumenti musicali popolari.



    Personalità legate ad Assemini
    • Fedele Marras (1839 - 1909), ceramista imprenditore - partecipò nel 1862 all' Expo Internazionale di Londra. È vissuto, morto ed è sepolto a Cagliari.
    • Dionigi Scalas (1847 - 1901), Medaglia d'oro al valor civile e cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia - nubifragio dell'ottobre 1892. È vissuto, morto ed è sepolto ad Assemini.
    • Giuseppe Pintus (1890 - 1917), Medaglia d'oro al valor militare - Caporal Maggiore del 151º Reggimento fanteria della Brigata Sassari, Prima guerra mondiale - Monte Zebio, 10 giugno 1917.
    • Fedele Piras (1895 - 1971), Medaglia d'oro al valor militare e cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia - Vice Brigadiere del 46º Reggimento dell'Arma dei Carabinieri, Prima guerra mondiale - Capo Sile (Venezia), 15 - 16 giugno 1918. È vissuto, morto ed è sepolto ad Assemini.


    Edited by Simona s - 15/7/2013, 11:33
     
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    Chiesa di San Pietro

    - Fonte -


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    La parrocchiale di San Pietro di Assemini rientra a pieno titolo nella tipologia architettonica gotico-catalana, in particolare nella sua variante del meridione sardo. La chiesa deriva il suo schema da quello della parrocchiale di San Giacomo nel quartiere di Villanova in Cagliari, la cui attestazione più antica risale al 1346, e la cui ricostruzione in forme tardogotiche è del XV secolo, essendo attestata tra il 1438 e il 1442 la fabbrica del campanile. Di questo schema (caratterizzato dalla presenza di un campanile a canna quadrata su un lato della facciata a terminale piatto merlato e con speroni obliqui, un presbiterio quadrangolare più stretto e basso dell'aula mononavata, sulla quale si innestano le cappelle laterali) la parrocchiale di Assemini riprende tutti gli elementi. La facciata ha terminale piatto merlato e portale a sesto acuto con sopracciglio, al di sopra del quale è un'ampia luce quadrangolare aperta in sostituzione dell'originario oculo. Definiscono ulteriormente il prospetto due contrafforti obliqui, la cui funzione era quella di bilanciare la spinta esercitata dalla volta a crociera della prima campata, e il campanile a canna quadrata sul lato s., che, sviluppato su quattro ordini, è uno tra i più alti dell'isola. L'interno si articola in un'aula a navata unica ritmata da quattro archi a sesto acuto cui corrispondono contrafforti molto profondi. Tra essi sono state aperte, in momenti diversi, le cappelle laterali, tre sul lato s. e quattro su quello d.; il presbiterio, sopraelevato di un gradino rispetto all'aula, si raccorda al corpo dell'edificio tramite un transetto i cui bracci non sono più profondi delle cappelle; la seconda cappella a s. risalta esternamente rispetto alle altre essendo articolata in due campate.

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    Allo stato attuale non esistono documenti o iscrizioni che permettano di stabilire una precisa cronologia delle diverse fasi costruttive, dall'impianto primitivo all'apertura delle cappelle, al rifacimento della zona presbiteriale, fasi comunque desumibili per via stilistica. L'impianto originario, che comprende la facciata, i primi due ordini del campanile (i due superiori sono settecenteschi) e gli archi portanti dell'aula, è databile tra la fine del Quattrocento e gli inizi Cinquecento. Le cappelle, seppure in momenti diversi, sono state edificate tutte nel XVI secolo. Il rifacimento della zona presbiteriale, che ha comportato una totale trasformazione della capilla major (ora della stessa ampiezza e altezza dell'aula) e l'aggiunta del transetto, risale a non prima della fine del Cinquecento; la soluzione della copertura all'incrocio con l'aula è risolta con una grande volta a crociera costolonata con gemma pendula, mentre i bracci e il presbiterio hanno volta a botte.

    Chiesa di San Giovanni

    - Fonte -

    La Chiesa bizantina od Oratorio di San Giovanni, sorge nel Comune di Assèmini, nel mezzo del centro storico, poco distante dalla Chiesa parrocchiale di San Pietro. Antico borgo di origine agricola, Assèmini si è recentemente convertito all'industria, stante anche l'ottimo collegamento con la città di Cagliari, dalla quale dista meno di 15 Km; nonostante la recente urbanizzazione abbia in gran parte compromesso l'immagine storica del borgo, il centro di Assèmini conserva ancora le caratteristiche case in mattoni crudi (ladiri) con portale ad arco aperto su una corte interna.

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    Foto di Lorenzo Bellu
    Le prime notizie relative al borgo ed alla Chiesa di San Giovanni, in allora il più importante edificio religioso, datano al 1107 ed al 1108: la prima riferisce che Torchitorio II, Giudice di Cagliari, dona alla Cattedrale di San Lorenzo di Genova cinque domicilias, tra cui Assèmini, in segno di ringraziamento per aver pattugliato le coste cagliaritane insediate dai musulmani; dalla seconda, confermata anche da altri documenti di poco posteriori, si apprende che la Chiesa di San Giovanni viene donata al Capitolo della citata Cattedrale "con molte terre, boschi, pascoli, servi e bestie" e che agli stessi Genovesi ivi residenti sono riconosciuti privilegi fiscali. Con la fine del Giudicato di Cagliari nel 1257, Assèmini e la curatoria di Decimomannu passano ai Della Gherardesca, conti di Donoratico; con l'arrivo degli Aragonesi e la conseguente disfatta pisana del 1326 il territorio viene spartito tra gli stessi Donoratico, la chiesa e Pietro de Atzeni, per poi restare saldamente nelle mani della Corona d'Aragona. A partire dalla metà dell'Ottocento, la Chiesa di San Giovanni fu al centro dell'interesse degli studiosi, per l'eccezionalità dell'impianto planimetrico che la contraddistingue, ovvero una pianta a croce inscritta in un quadrato, l'unica presente nel sud della regione. Tanto il canonico Spano nel 1861, quanto lo Scano nel 1907, suggerirono da subito un'altra ipolesi, ossia che l'impianto originario non fosse a croce greca inscritta ma libera su tutti i lati e che le quattro cappelle ai lati dei bracci della croce fossero in realtà un'aggiunta di epoca successiva all'edificio originario, nato forse come moschea: proprio in base a questa insistente teoria. nel 1908, fu redatto un progetto che prevedeva la demolizione delle quattro cappelle, progetto che fortunatamente non fu portato a termine. Una campagna di scavi della Soprintendenza, condotta nel 1919 dal prof. Taramelli, al fine di esplorare l'area circostante e sottostante la chiesa e confermare un'altra ipotesi in voga all'epoca, ossia che l'edificio sorgesse al di sopra di una "cella cimiteriale romana" trasformata in cripta, non diede i risultati sperati a coloro i quali sostenevano questa seconda suggestiva ipotesi.

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    Foto tratte da sardegnacultura.it

    La campagna di scavi, attraverso l'analisi delle fondazioni dell'edificio, permise tuttavia di stabilire definitivamente che la Chiesa attuale, unitamente ai sottostanti archi di sostegno, doveva essere datata al X secolo, datazione sulla quale, come detto, gli storici ancora non concordavano. La relazione del prof. Giarrizzo, che partecipò aeh scavi, pubblicata nel 1919 sul Bollettino d'Arte dell'allora Ministero della Pubblica Istruzione, costituisce indubbiamente un documento fondamentale per ricostruire le vicende costruttive dell'edifìcio e stabilire le analogie con i modelli bizantini cui esso si ispira. A questo proposito, occorre rammentare che Cagliari e la Sardegna furono, tra l'VIII ed il IX secolo. dipendenti da Bisanzio, con legami che andarono poi progressivamente allentandosi nel X secolo; anche se nell'isola mancano altri esempi di edifici con pianta a croce greca inscritta, questi sono diffusi in altre zone dell'Italia Meridionale (Calabria, Campania) e nell'Africa Settentrionale e vanno ricondotti al filone delle cosiddette "chiese bizantine del terzo periodo". Oltre a fissare la datazione dell'edificio ed il suo modello, lo studio dimostra con chiarezza che le quattro celle ai lati dei bracci principali dell'edificio nacquero insieme alla chiesa e che non furono un'aggiunta successiva, come ad alcuni ancora sembrava; ciò era motivato con l'assenza, al di sotto degli archi, di qualsiasi opera di fondazione, a dimostrazione che il progettista aveva già ben chiara la struttura che sarebbe andato a realizzare. La evidente differenza nella tessitura muraria delle pareti delle celle, costituite da elementi di varia pezzatura, collocati In maniera più disordinata rispetto ai bracci della croce, dimostra solamente che i quattro ambienti furono ricostruiti successivamente, forse alla metà dell'Ottocento; il Giarrizzo riferisce inoltre che all'epoca dei lavori di scavo si tramandava oralmente l'esistenza. in aderenza alla chiesa, di un portico o di un loggiato, una sorta di cumbessias, la struttura tipica dell'isola, costruita per dare riparo ai fedeli provenienti dagli altri paesi, ma della presenza dì questa struttura non si è trovata, ad oggi, alcuna conferma. In buone condizioni di conservazione dopo un recente restauro, la chiesa non è perfettamente orientata secondo gli usi liturgici, in quanto l'absidiola è rivolta a sud-est; quest'ultima, profonda quasi quanto la sua larghezza, esternamente è semicircolare con tetto a falda conica assai schiacciata. I bracci della croce, che secondo il Giarrizzo erano in origine coperti da voltine a crociera, sono oggi conclusi da voltine a botte, chiaramente denunciate all'esterno, mentre la crociera all'intersezione dei bracci è coperta da un tiburio quadrato, sormontato da una cupoletta sferica, il cui estradosso emerge per circa un terzo della sua altezza verticale. E a proposito della cupoletta, assai interessante risulta la soluzione per il passaggio dalla forma quadrata alla forma circolare dell'imposta: è ottenuta restringendo successivamente i diametri dei corsi di pietre, ma in quantità maggiore in corrispondenza delle diagonali del quadrato d'imposta. In questo modo sarebbe stata inutile la presenza dei pennacchi d'angolo o altre forme di raccordo, ma ciononostante, al termine dei lavori, furono scolpiti in rilievo i contorni di quattro scuffie angolari, con uno sviluppo appositamente esagerato, quasi a voler indicare che il progettista era comunque a conoscenza della soluzione del problema costruttivo delle cupole nascenti da tamburi quadrati. I quattro vani d'angolo, collegati internamente ai due bracci della croce tramite poderose arcate, sono conclusi all'esterno da tetto a due spioventi piuttosto pronunciati.

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    Lo spazio interno, molto raccolto, colpisce per la sua semplicità e per la sua severità, accentuata dalla pressoché totale assenza di elementi decorativi, eccezion fatta per un pregevole capitello di rimpiego, all'ingresso, riadattato ad acquasantiera, murato nella parete sinistra, del tipo composito a foglia d'acqua, a sei foglie lisce e ricurve verso l'esterno, presenta analogie con quello ritrovato nell'isola di San Macario, ora al Museo Archeologico di Cagliari, databile tra il IV ed il V secolo. Più difficile è spiegare la presenza e la funzione originaria di otto pilastrini marmorei, recuperati durante gli scavi del 1919, alcuni dei quali dalla facciata, altri dall'altare all'epoca demolito; secondo alcuni studiosi potrebbero far parte di un cancello della chiesa oggi scomparso, oppure, più probabilmente, provenire dalla vicina Chiesa parrocchiale di San Pietro, ricostruita in epoca aragonese. Anche dal punto di vista stilistico l'attribuzione non è concorde: alcuni propendono per modelli locali, altri assimilano i pilastrini sardi a quelli analoghi e più frequenti in area campana. Molto importante per la chiesa è la presenza, inoltre, di un'iscrizione giudicale greca che cosi recita "Signore soccorri il tuo servo Torchitorio arconte di Sardegna e la tua serva Getite" (cioè la moglie), il titolo di arconte era la carica affidata dalle autorità bizantine al governatore, un vassallo della corte di Bisanzio, al quale erano conferiti poteri supremi e grande autonomia. Per quanto riguarda l'esterno, anch'esso di schietta semplicità ed eleganza, si rileva come il tiburio costituisca uno degli elementi maggiormente caratterizzanti l'elevato, essendo piuttosto pronunciato in altezza, se confrontato con le piccole dimensioni complessive dell'edificio; un campaniletto a vela, che il Giarrizzo sostiene coevo all'erezione della chiesa anche se non tutti gli studiosi sono concordi, sormonta l'unico accesso alla chiesa.


    Chiesa Beata Vergine del Carmine

    - Fonte -


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    La vecchia Chiesa

    Il nome della antica chiesetta del Carmine ha le sue origini nella località "Il Carmine" (in sardo "su Cramu") ove si venerava la Madonna. Il Carmine era una frazione del Comune di Assemini, alquanto isolato, separata da Assemini da grandi distese di terreni coltivati ad ortaggi, dagli stessi Asseminesi. Gli abitanti del Carmine, che venivano chiamati "I Carmelitani", negli anni 50, erano un gruppo di circa 60 famiglie che svolgevano diverse attività. Questi, all'inizio del 900 e precisamente nella prima decade, costruirono in questa località un tempio, tutto in pietra, in onore della Beata Vergine, opera totalmente realizzata dalla loro generosità. Il signor Giovanni Stara regalò il terreno e contribuì sia con indicazioni tecniche sia con manodopera, alla realizzazione di tale Chiesa e con la sua famiglia ne fu il custode e il curatore degli arredi. Di questa famiglia il signor Luigi fu anche il Sacrista. In questa Chiesa , tuttora aperta al pubblico, si conserva una lapide che ricorda la data della sua consacrazione e l'elenco di quanti hanno concorso alla sua costruzione. Da detta lapide commemorativa, un tempo collocata all'esterno, si legge che in data 13 luglio 1912, Mons. Giuseppe Miglor, Vicario Capitolare, inaugurava la nuova Chiesa essendo Parroco di Assemini il Sacerdote Francesco Putzu. Da allora la popolazione di Assemini ogni anno ha onorato la Madonna del Carmine. La festa, sia religiosa che profana in onore della Beata Vergine si celebra il 16 luglio e di settembre con la partecipazione totale di tutti gli Asseminesi, che, per tale festività, osservava anche il riposo festivo. Nel mese di maggio veniva, nella vecchia chiesa, recitato il santo rosario: sino agli anni 40 veniva cantato in sardo e susseguentemente recitato in latino. Per il Santo Natale si allestiva un bellissimo presepio, molto particolare per lo scenario e per i personaggi, tanto che gli asseminesi ne facevano loro meta per poterlo ammirare. Il Giovedì Santo si adorava il Santissimo nel Sepolcro ed il Venerdì Santo la Santa Croce. Nel 1958 l'Arcivescovo di Cagliari S.E. Mons. Paolo Botto eresse la Chiesa della Beata Vergine del Carmine a Parrocchia, nominando Parroco il Sacerdote Don Albino Mancosu di Samassi, che fece il suo ingresso il 28 dicembre 1958.

    Ingresso e Possesso della Parrocchia


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    La chiesa nuova

    Il pomeriggio del 28 dicembre 1958 la frazione del Carmine si era vestita a festa con bandiere, stendardi, mentre le campagne suonavano a distesa. Tutti i "Carmelitani" si riunirono nel piazzale della Chiesa per ricevere il loro Parroco. Erano presenti anche il Reverendo Parroco D. Callisto Pili ed il Vice Parroco Don Mario Isola, le rappresentanze con i vari gruppi e con i rispettivi vessilli della Parrocchia di San Pietro. Sua Eccellenza Mons. Paolo Botto, Arcivescovo di Cagliari presentò il Parroco. L'entusiasmo de "I Carmelitani" era grande. Il Parroco Don Albino Mancosu cominciò a visitare le famiglie con molta semplicità, adattamento e disponibilità. Gli abitanti del Carmine vennero, poco per volta, a conoscenza che la vera Sede della Parrocchia non sarebbe rimasta nel luogo dove era stata costruita la Chiesetta, essendo piccola come edificio. Si sarebbe provveduto alla costruzione di una struttura più grande. Nel 1959 sorse il Gruppo di Azione Cattolica. Si allestì un piccolo ambiente, di circa 20 mq, attiguo alla Chiesetta, che fungeva come punto di incontro per le diverse necessità dei gruppi. Si comprò un piccolo televisore che si installò nel saloncino, dando modo alla gente di seguire alcuni programmi televisivi specie la domenica sera. A quei tempi davano "Lascia o Raddoppia?".

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    Campanile
    Cominciarono a sorgere iniziative sia a livello religioso (con i Gruppi Catechisti, Chierichetti, Comitati per le Feste) che profano con molte iniziative lasciate all'inventiva delle singole persone: le più belle venivano dal Gruppo Femminile a livello ricreativo. Si ottennero dei risultati fantastici e delle vere competizioni tra le due Parrocchie: in particolare il Recital organizzato da "I Carmelitani" per il Carnevale del 1960 fu un successo straordinario. Ci sarebbe voluto molto tempo prima di poter avere la Chiesa nuova. La famiglia del signor Silvio Mereu di Assemini regalò un terreno per edificare un locale provvisorio. Mancavano i soldi per realizzare detto locale che, a costruzione realizzata, verrà chiamato "Il Salone". Si fece appello agli abitanti di Assemini a collaborare offrendo con generosità quanto potevano; e così, per quasi un anno, il Parroco Don Albino Mancosu e il signor Vincenzo Farci bussarono a tutte le porte, avendo un'unica risposta: tanta generosità da parte di tutti, come del resto gli asseminesi hanno sempre fatto. Nell'arco di due anni si riuscì ad edificare il locale detto "Il Salone" e così avvenne il trasferimento al nuovo locale. Solo nel 1965 asfaltarono il pezzo di strada antistante il Salone. Anche l'intonaco esterno del Salone venne realizzato dopo diversi anni. Il Salone era adibito a Chiesa e lì si svolgevano tutte le attività, compreso il catechismo. Per le Riunioni di Gruppo invece si utilizzava la piccola Sacrestia (sino agli anni 70). Alla fine degli anni 60 la signora Anna Lai di Assemini fece dono del terreno per edificare la Chiesa della Beata Vergine del Carmine e la Casa Parrocchiale. Si fece fare il progetto da un'Ingegnere e il plastico, che i parrocchiani potevano ammirare in attesa della realizzazione.

    • Cappella del Sacro Cuore di Gesù - Una devozione molto sentita dagli abitanti di Assemini è quella al Sacro Cuore di Gesù. Molti ricordano con nostalgia, quando tra Assemini e il Rione del Carmine c'erano campi e orti, la Cappella del Sacro Cuore, meta di devozione e di soste oranti. Sorgeva dove oggi è stata costruita la chiesa Parrocchiale della Madonna del Carmine, alla confluenza di Via Sardegna e Corso America (ex via Siotto Pintor). Venne costruita agli inizi degli anni 30 da Francesco Girau, proprietario allora del terreno, che alla sua morte, avvenuta nel 1935, fu acquistato da Francesco Lai, padre di Anna Lai - Merenu, benefattrice della Parrocchia. Quando nel 1973 si iniziarono i lavori per la erigenda Chiesa Parrocchiale del Carmine, venne smantellata la vecchia Cappella e per non perderne la memoria, l'amministrazione Comunale ha voluto, in modo lodevole, dedicare una strada adiacente, tra i giardinetti di Piazza del Carmine e la Scuola Media.


    Edited by Simona s - 15/7/2013, 11:35
     
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