Semplicemente Passioni forum

Prima guerra mondiale - Fronte italiano

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Isabel
        Mi piace   Non mi piace
     
    .

    User deleted


    Prima guerra mondiale - Fronte italiano

    300pxitalianfront191519
    Fronte italiano tra il 1915 ed il 1917: le undici battaglie dell'Isonzo e l'offensiva sull'altopiano di Asiago

    Info - Scheda Wikipedia


    Fronte italiano (in tedesco Italienfront o Gebirgskrieg, "guerra di montagna") è il nome dato all'insieme di operazioni belliche e di battaglie combattute dal Regio Esercito italiano e i suoi Alleati contro le armate di Austria-Ungheria e Germania durante la prima guerra mondiale. Il teatro degli scontri, aperto con la dichiarazione di guerra italiana all'Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, fu l'Italia nord orientale lungo le frontiere alpine e lungo il fronte del fiume Isonzo. Questo conflitto, conosciuto in Italia anche con il nome di "guerra italo-austriaca", o "quarta guerra di indipendenza", vide l'Italia impegnata a fianco alle forze della Triplice Intesa contro gli Imperi Centrali e in particolare contro l'Austria-Ungheria, dalla quale avrebbe potuto acquisire la provincia del Trentino, Trieste e altri territori quali il Sud Tirolo, l'Istria e la Dalmazia. Nonostante l'Italia intendesse sfruttare l'effetto sorpresa per condurre una veloce offensiva, volta ad occupare le principali città austriache, il conflitto si trasformò ben presto in una sanguinosa guerra di posizione, simile a quella che si stava combattendo sul fronte occidentale.

    Premesse

    Le cause che portarono ai combattimenti sul fronte italiano sono da ricercare nel secolo precedente, a partire dalla definitiva sconfitta di Napoleone nel 1815, e dagli sconvolgimenti territoriali che questa comportò. Con il congresso di Vienna gran parte dell'Italia nord orientale cadde sotto il dominio e l'influenza austriaca, e nonostante le sommosse del 1848, le forze fedeli all'imperatore d'Austria mantennero il controllo sui territori italiani.
    Con la fine della guerra di Crimea combattuta vittoriosamente dall'Impero ottomano, Francia, Gran Bretagna e Regno di Sardegna contro l'Impero russo, si riunì nella capitale francese il congresso di Parigi nel quale il Presidente del consiglio del Regno di Sardegna Cavour ottenne che per la prima volta in una sede internazionale si ponesse la questione italiana. All'unità d'Italia Napoleone III fu sentimentalmente favorevole, come le era - senza sentimento - anche la Gran Bretagna, poiché un'Italia unita avrebbe potuto contrastare la potenza francese. In un tumultuoso precipitare degli eventi, nel 1871 nacque il Regno d'Italia, proprio mentre nasceva la Germania unita sotto l'Impero degli Hohenzollern, ed emergevano nuove potenze quali Stati Uniti d'America e Giappone. Il predominio mondiale della triade anglo-franco-russa nel 1870 poteva dirsi concluso, ma non era concluse le pretese delle potenze europee in Africa. Gran Bretagna, Francia e più timidamente anche la Germania, si assicurano ampie conquiste in Africa, mentre l'Italia in modo incauto cerca anch'essa il suo "spazio vitale" nel corno d'Africa anziché cercare in casa propria dove lo troverebbe nel centro-sud miserabile e arretrato. Partì così la campagna d'Eritrea in un clima di ottimismo che venne stroncato durante la battaglia di Adua dove all'alba del 1º marzo 1896 i 15.000 soldati del generale Oreste Baratieri, vennero travolti dagli oltre 100.000 guerrieri di Menelik II.
    Le politiche aggressive degli stati europei si sfogano in vari conflitti localizzati riguardanti le colonie, ma andava comunque crescendo l'inquietudine di un conflitto generalizzato che avrebbe coinvolto le maggiori potenze in uno scontro all'ultimo sangue. Inizia così la corsa alle alleanze; nel 1882 Otto von Bismarck allarga l'alleanza fra Germania e gli Asburgo, all'Italia, nel tentativo di spegnere nei francesi ogni velleità di rivincita per la sconfitta patita nel 1870. L'alleanza fu pensata anche in senso anti russo, sbarrando allo zar ogni possibilità di aprirsi nel Mediterraneo. Ciò comportò un'alleanza tra Francia e Russia nel 1893 alla quale si aggiunse dodici anni dopo la Gran Bretagna. Una nuova tornata di conflitti locali fu innescata nel 1911 dall'Italia con l'impresa libica che porterà l'Impero Ottomano a lasciare la presa in Libia e nelle terre balcaniche, scoprendo così l'Impero austro-ungarico nei balcani, regione in cui stava sempre più delineando l'irredentismo slavo appoggiato dalla Russia con ambizioni di destabilizzare l'Impero asburgico. Scoppiarono quindi le guerre balcaniche del 1912 e 1913 faticosamente placate dall'intervento austriaco. Fu proprio questo fervore nazionalistico che il 28 giugno 1914 sfociò nell'attentato di Sarajevo, e alla successiva crisi diplomaticache portò allo scoppio del conflitto che insanguinò l'Europa per i quattro anni successivi.

    L'Italia entra in guerra

    Dopo l’attentato di Sarajevo, Austria-Ungheria e Germania decisero di tenere all'oscuro delle loro decisioni l'Italia. Ciò in considerazione del fatto che l'articolo 7 della Triplice alleanza avrebbe previsto, in caso di attacco dell'Austria-Ungheria alla Serbia, compensi per l'Italia. Il 24 luglio, Antonino di San Giuliano, ministro degli esteri italiano, prese visione dei particolari dell'ultimatum e protestò violentemente con l'ambasciatore tedesco a Roma, dichiarando che se fosse scoppiata la guerra austro-serba sarebbe derivata da un premeditato atto aggressivo di Vienna. L'Italia pertanto secondo il ministro non aveva l'obbligo, dato il carattere difensivo della Triplice alleanza, di aiutare l'Austria, anche nel caso in cui la Serbia fosse stata soccorsa dalla Russia. La decisione ufficiale e definitiva della neutralità italiana fu presa nel Consiglio dei ministri del 2 agosto 1914 e fu diramata il 3 mattina. Diceva:

    « Trovandosi alcune potenze d'Europa in istato di guerra ed essendo l'Italia in istato di pace con tutte le parti belligeranti, il governo del Re, i cittadini e le autorità del Regno hanno l'obbligo di osservare i doveri della neutralità secondo le leggi vigenti e secondo i princìpi del diritto internazionale. »


    La neutralità ottenne inizialmente consenso unanime, tuttavia, il brusco arresto dell'offensiva tedesca sulla Marna inserì i primi dubbi sulla invincibilità tedesca. Macule interventiste andarono formandosi nell'autunno 1914 fino a raggiungere una una consistenza non trascurabile appena un'anno dopo. Gli interventisti additavano la diminuzione della statura politica incombente sull'Italia se fosse rimasta spettatrice passiva. I vincitori non avrebbero dimenticato nè perdontato, e se i vincitori fossero stati gli Imperi Centrali, si sarebbero anche vendicati della nazione che accusavano traditrice di un'alleanza trentennale. Secondo gli interventisti, questa guerra avrebbe vendicato tutte le sconfitte e le umiliazioni del passato, da Adua, da Custoza e Lissa fino a Federico Barbarossa, Alarico e Brenno; e avrebbe permesso di completare l'unità d'Italia con l'annessione delle terre irridente; terre che tra l'altro, l'Intesa avrebbe assicurato all'Italia se si fosse schierata al suo fianco. Alla fine del 1914 il ministro degli Esteri Sidney Sonnino iniziò le trattative con entrambe le parti per scucire i maggiori compensi possibili, e il 26 aprile 1915 concluse le trattative segrete con l'Intesa mediante la firma del patto di Londra con il quale l'Italia si impegnava ad entrare in guerra entro un mese. Il 3 maggio successivo fu denunciata la Triplice Alleanza e fu avviata la mobilitazione, e il 23 maggio fu dichiarata guerra all'Austria-Ungheria, ma non alla Germania con cui Salandra sperava di non guastarsi del tutto.

    La situazione del Regio Esercito

    Nel periodo tra l'estate del 1910 e l'agosto del 1914, l'ordinamento Spingardi, che prevedeva l'ampliamento dei reggimenti alpini, delle unità di artiglieria e cavalleria, non ebbe però i risultati di rilievo sperati a causa delle spese della guerra di Libia e degli avvenimenti del 1914. Allo scoppio del conflitto rimanevano da costituire ancora una quindicina di reggimenti di fanteria, cinque reggimenti di artiglieria dei trentasei previsti, e due reggimenti di artiglieria pesante. E se queste carenze non erano particolarmente gravi, la situazione si faceva preoccupante esaminando la disponibilità di uomini e mezzi in prospettiva di una guerra europea. Gli uomini disponibili nel biennio 1914-1915 erano circa 275.000 con 14.000 ufficiali, e a questa carenza seguirono delle misure per risolvere il problema quantitativo, andando necessariamente a scapito della qualità.
    Altra fonte di preoccupazione era la consistenza delle dotazioni di armi e materiali, intaccate in maniera considerevole per far fronte alle esigenze in Libia. Se i fucili e i moschetti Carcano-Mannlincher mod. 1891 erano sufficienti per armare l'esercito regolare, lasciando i vecchi fucili Vetterli mod. 70/87 alla Milizia Territoriale, più critica era la situazione delle artiglierie, in particolare di quelle di medio e grosso calibro, in relazione non solo al numero di bocche da fuoco, ma anche delle scorte di munizioni e ai quadrupedi necessari alle batterie. Infine si era ben lontani dal numero di mitragliatrici richiesto per poter assegnare una sezione di due armi a ciascun battaglione di fanteria di linea, di granatieri, di bersaglieri e di alpini.
    Con una circolare del 14 dicembre 1914, il Comando del Corpo di Stato Maggiore ordinò la creazione di 51 reggimenti di fanteria, ma se per quanto riguarda gli uomini sarebbe stato possibile raggiungere in tempi relativamente brevi gli organici previsti, ben più difficile sarebbe stato rimediare alla mancanza di mitragliatrici. Con le 618 armi tipo Maxim-Vickers mod. 1911 disponibili al momento dell'entrata in guerra, fu possibile allestire solo 309 sezioni delle 612 previste, e solo nel 1916 con l'acquisto di mitragliatrici dalla Francia e con la produzione su larga scala della Fiat-Revelli mod. 1914, la fanteria ebbe in dotazione armi automatiche a sufficienza. Parallelamente anche la critica situazione delle artiglierie, in attesa che la mobilitazione industriale desse i suoi frutti, sarebbe stata migliorata con l'utilizzo temporaneo di tutti i materiali disponibili anche se antiquati e con provvedimenti atti a requisire i pezzi dalle batterie costiere e dalle opere fortificate lontane dalla zona delle operazioni.
    A fine agosto 1914, l'evoluzione politica suggerì di anticipare i tempi, avvicinando le truppe ai confini mettendo in movimento unità di fanteria ancora in fase di approntamento. Il 4 maggio 1915 furono completati i provvedimenti necessari per portare l'esercito in ordine di battaglia a quattro armate, quattordici corpi d'armata e trentacinque divisioni, portando la forza in armi a 1.339.000 uomini.

    Il piano strategico italiano

    Il piano strategico dell'esercito italiano, sotto il comando del generale Luigi Cadorna, prevedeva di intraprendere un'azione offensiva/difensiva per contenere gli austro-ungarici nel loro saliente incentrato sulla città di Trento e sul fiume Adige, che si incuneava nell'Italia settentrionale lungo il lago di Garda, nella regione di Brescia e Verona; concentrando invece lo sforzo offensivo verso est, dove gli italiani potevano contare a loro volta su un saliente che si proiettava verso l'Austria-Ungheria, poco a ovest del fiume Isonzo. L'obiettivo a breve termine dell'Alto Comando italiano era costituito dalla conquista della città di Gorizia, situata poco più a nord di Trieste, mentre quello a lungo termine, ben più ambizioso e di difficile attuazione, se non addirittura "visionario" prevedeva di avanzare verso Vienna passando per Trieste. Nei disegni del generale Cadorna, la guerra contro un nemico già indebolito dalle carneficine del fronte orientale si sarebbe dovuta concludere in breve con l'esercito italiano vittorioso in marcia su Vienna. Sul fronte italiano furono ammassati circa mezzo milione di uomini, a cui in un primo tempo gli austriaci seppero contrapporre soltanto 80.000 soldati, in parte inquadrati in milizie territoriali male armate e poco addestrate.

    Le contromisure austriache

    Gli austriaci predisposero fin da fine '800 diverse postazioni difensive al confine con l'Italia nell'eventualità di una guerra. Il fronte del Tirolo era suddiviso in cinque sezioni dette "Rayon", due delle quali comprendevano le Dolomiti, ma fin dall'inizio delle ostilità, la linea del fronte non corrispose a quella del confine politico, giudicato indifendibile dal comando supremo austriaco con le scarse forze disponibili in quel momento. Per contenere l'avanzata italiana, che si riteneva sarebbe stata rapida e decisiva, fu necessario accorciare il fronte eliminandone per quanto possibile la sinuosità, attestandosi in difesa di zone più favorevoli e attorno alle fortificazioni già esistenti nei passaggi obbligati. Questo significava lasciare agli avversari ampie porzioni di territorio. Gli italiani conquistarono così, senza combattimenti, la conca d'Ampezzo, il comune di colle Santa Lucia e il Basso Livinallongo, terre ladine i cui uomini erano arruolati nell'esercito imperiale austro-ungarico. Gli austriaci iniziarono la guerra sulla difensiva, e lo furono per tutta la durata del conflitto; le uniche azioni offensive non ebbero lo scopo di sfondamento, ma la conquista di posizioni più favorevoli.

    Si aprono le ostilità

    Nonostante l'esistenza della Triplice Alleanza, negli anni precedenti lo scoppio del conflitto, l'Austria-Ungheria aveva creato un'estesa rete di fortificazioni lungo l'intera estensione della frontiera alpina con l'Italia. Il comando supremo delle forze asburgiche schierate contro gli italiani era nelle mani dell'arciduca Eugenio, mentre a est il settore dell'Isonzo ricadeva sotto la responsabilità del generale Svetozar Boroevic von Bojna, che aveva ai suoi ordini una forza di circa 100.000 uomini. All'alba del 24 maggio 1915 le prime avanguardie del Regio Esercito avanzarono verso il confine occupando le prime postazioni al fronte. Vennero sparate le prime salve di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di Manfredonia; alle 23:56, bombardò Ancona. Lo stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, Riccardo di Giusto.

    I primi scontri sull'Isonzo

    La prima mossa dell'Italia fu un'offensiva mirata a conquistare la città di Gorizia, di là del fiume Isonzo. L'esercito italiano era però scarsamente dotato di artiglieria, mezzi e munizioni. All'inizio della guerra, l'esercito disponeva solamente di 600 veicoli per il trasporto truppe. I cavalli erano ancora il principale mezzo di trasporto e avevano serie difficoltà a spostare i rifornimenti nell'aspro terreno alpino. Inoltre, il nuovo comandante in capo italiano, Luigi Cadorna, non aveva esperienza sul campo ed era poco popolare tra le truppe.
    Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale Luigi Cadorna. Il nuovo fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro l'arco alpino dallo Stelvio al mare Adriatico e lo sforzo principale tendente allo sfondamento del fronte fu attuato nella regione della valli isontine, in direzione di Lubiana. Anche qui, dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra di trincea simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi, fino ed oltre i 3.000 metri di altitudine.

    Nei primi mesi di guerra l'Italia sferrò quattro offensive contro gli austro-ungarici ad est. Queste furono:
    • Prima battaglia dell'Isonzo: 23 giugno - 7 luglio 1915
    • Seconda battaglia dell'Isonzo: 18 luglio - 3 agosto 1915
    • Terza battaglia dell'Isonzo: 18 ottobre - 3 novembre 1915
    • Quarta battaglia dell'Isonzo: 10 novembre - 2 dicembre 1915

    In quest'ultime le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, il che equivaleva a circa un quarto delle forze mobilitate. Degna di menzione è l'offensiva nell'alto Cadore sul Col di Lana tendente a tagliare una delle principali vie di rifornimento al settore Trentino attraverso la Val Pusteria. Questo teatro di operazioni fu secondario rispetto alla spinta ad est, tuttavia ebbe il merito di bloccare, in seguito, contingenti austro-ungarici: la zona di operazioni si avvicinava infatti più di ogni altro settore del fronte a vie di comunicazione strategiche per l'approvvigionamento del fronte tirolese e trentino.
    All'inizio delle offensive, l'Italia aveva una superiorità numerica sugli austriaci di 2 a 1, ma non riuscì a sfondare le potenti linee difensive sulle Alpi, poiché gli austriaci potevano difendersi da postazioni più elevate, e gli attacchi dovevano essere condotti arrampicandosi sulle pareti rocciose. Due settimane più tardi, gli italiani tentarono un altro assalto, sostenuti stavolta da un numero maggiore di pezzi d'artiglieria, ma furono respinti ancora. Fu effettuato un altro attacco, dal 18 ottobre al 4 novembre con 1.200 pezzi d'artiglieria, ma non vi furono risultati apprezzabili.

    Offensiva italiana sul Col Basson

    L'offensiva del Basson fu una breve ma intensa battaglia combattuta sul fronte italiano nell'agosto del 1915. Se sull'Isonzo le prime offensive lanciate dall'esercito italiano non ottennero risultati significativi, la prima, e forse l'unica, vera e propria offensiva italiana nel Trentino si rivelò un totale disastro. Nelle settimane precedenti alla battaglia, i comandi militari italiani (visto i deludenti risultati degli attacchi sull'Isonzo) avevano studiato rapidamente una nuova offensiva che avrebbe dovuto sfondare le linee austriache sull'Altopiano di Luserna e spianare così all'esercito italiano la strada per Trento. Ma l'attacco iniziale fu mal progettato e soprattutto mancarono informazioni cruciali sulla consistenza e sul numero dei difensori.
    Nonostante tutto, il 25 agosto alle ore 23.00 il generale Pasquale Oro ordinò l'attacco. Tale attacco si concentrò soprattutto in due parti del fronte: contro le forze austriache dei forti di Cima Vezzena e Busa Verle (per l'appunto denominate difese del Vezzena-Verle) e contro le postazioni sul col Basson. Le prime fasi dell'attacco videro un leggero successo italiano: i fanti della Brigata Ivrea riuscirono ad occupare le prime trincee nemiche e a guadagnare qualche chilometro lungo il fronte. Tuttavia la micidiale difesa del Vezzena-Verle poté ritirarsi senza gravi perdite e a riorganizzarsi nel bosco di Varagna proprio sotto il forte Vezzena. Qui si arrestò la prima ondata di attacco. Nonostante l'operazione non si stesse volgendo come previsto, l'attacco contro le postazioni austriache del col Basson fu ordinato. Fu una decisione cruciale per l'esito dell'offensiva: senza un obbiettivo preciso e una tattica ben studiata, i soldati italiani avanzarono disordinatamente sotto l'incessante fuoco nemico.
    Mano a mano che salivano il colle le difese austriache si facevano sempre più fitte e strenue. Si andò avanti così fino all'alba successiva, quando il tenente col. Riveri ricevette l'ordine di ritirata mentre gli austriaci, compresa la situazione di disordine degli attaccanti, uscivano dalle loro postazioni per una provvisoria controffensiva. Comunque gli italiani anche se avessero superato il colle si sarebbero ritrovati addosso le linee nemiche della malga Millegrobbe prima del forte Luserna.

    La Strafexpedition

    In seguito al fallimento delle offensive italiane, gli austriaci cominciarono a preparare una controffensiva (Strafexpedition, ovvero spedizione punitiva) che, partendo dal Trentino, sarebbe stata diretta verso l'altopiano di Asiago. L'offensiva iniziò l'11 marzo 1916, quando 15 divisioni sfondarono le linee italiane. Il comandante delle forze italiane nel territorio era stato avvertito di un imminente attacco, ma scelse di portare avanti degli attacchi di minore portata piuttosto che preparare le difese. Il risultato fu che gli italiani si trovarono impreparati all'attacco ed il disastro venne evitato solamente spostando nel settore delle operazioni altre truppe, sottratte ad altri fronti.

    Le successive battaglie dell'Isonzo

    A giugno gli austro-ungarici sfondarono in Trentino arrivando ad occupare tutto l'altopiano di Asiago; l'esercito italiano riuscì a fatica a fermare l'offensiva e gli austro-ungarici si ritirarono tornando a rinforzare le loro posizioni sul Carso. L'offensiva fu significativamente chiamata Battaglia degli Altipiani. Il 4 agosto iniziò la Sesta battaglia dell'Isonzo che portò il 9 agosto alla conquista della città di Gorizia che, pur non essendo di importanza strategica, verrà presa ad un prezzo altissimo (20.000 morti e 50.000 feriti). L'anno si concluse con altre tre offensive:
    • Settima battaglia dell'Isonzo: 14 settembre - 16 settembre 1916
    • Ottava battaglia dell'Isonzo: 1º novembre 1916
    • Nona battaglia dell'Isonzo: 4 novembre 1916

    Anche queste tre battaglie, che pure contarono 37.000 morti e 88.000 feriti, non portarono a conquiste significative. Nell'ultima parte dell'anno gli italiani riuscirono ad avanzare di qualche chilometro in Trentino, ma per tutto l'inverno del 1916-1917, sul fronte dell'Isonzo, tra il Carso e Monfalcone, la situazione rimase stazionaria.
    La speranza dell'Intesa era che con l'entrata in guerra degli italiani si indebolisse l'esercito degli Imperi Centrali, che sarebbe stato impegnato su tre fronti, ma questo avvenne solo in parte, anche a causa dell'indebolimento della Russia sul fronte interno. Del resto, proprio l'indebolimento russo rese più rilevante l'intervento italiano, importante, tra l'altro, perché permetteva la chiusura dell'accerchiamento degli Imperi Centrali ed il blocco dei loro rifornimenti: il che portò al finale crollo del loro "fronte interno".

    La primavera del 1917

    L'inizio del 1917 a differenza dell'anno prima, si presentava oscuro per gli Imperi Centrali. Le loro risorse si assottigliavano mentre la Russia si era ricomposta e gli eserciti britannico e italiano erano ancora in lenta ma inesorabile crescita. La Germania, nel tentativo di tagliare i rifornimenti all'Intesa, che succhiava risorse da tutto il mondo, non poté far altro che dichiarare la guerra sottomarina indiscriminata di fronte alla sempre crescente capacità bellica, anche a costo della rottura con gli Stati Uniti. Ma ecco che mentre gli Alleati si preparavano ad un'attacco concentrico da scatenare nella primavera del 1917, il 15 marzo lo zar abdicò gettando la Russia in una crisi politica dalle enormi conseguenze, e il 6 aprile gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania. Il 1917 fu quindi caratterizzato da una crisi politica di carattere mondiale. Nonostante il fronte orientale fosse immobile, gli Imperi Centrali spostarono le loro forze dal fronte (140 divisioni in totale) solo con il trattato di Brest-Litovsk firmato il 5 dicembre.
    Gli anglo-franco-italiani proseguirono tuttavia il loro piano; l'8 aprile i britannici attaccarono ad Arras, il 17 i francesi attaccarono sullo Chemin-des-Dames, mentre il 12 maggio Cadorna scatenò la decima battaglia dell'Isonzo, che consentirà al generale Luigi Capello di affermarsi sull'orlo occidentale dell'altipiano della Bainsizza.

    Dalla decima all'undicesima battaglia dell'Isonzo

    In seguito ai modesti guadagni ottenuti nella decima battaglia dell'Isonzo, gli italiani diressero due attacchi contro le linee austriache a nord e a est di Gorizia. L'avanzata a est venne bloccata senza troppa difficoltà, ma le forze italiane sotto il comando di Capello riuscirono a rompere le linee nemiche e a penetrare nell'altopiano di Bainsizza. Le truppe italiane erano quasi riuscite a ottenere la vittoria, ma furono costrette alla ritirata perché le linee di rifornimento non riuscivano a stare al passo dei reparti in prima linea.
    Dopo l'Undicesima battaglia dell'Isonzo, gli austriaci, stremati, ricevettero l'ausilio delle divisioni tedesche arrivate dal fronte russo in seguito al fallimento dell'offensiva del generale russo Kerenskij (luglio 1917). I tedeschi introdussero l'utilizzo di tattiche di infiltrazione oltre le linee nemiche e aiutarono gli austriaci a preparare una nuova offensiva. Nel frattempo, le truppe italiane erano decimate dalle diserzioni e il morale era basso: i soldati erano costretti a vivere in condizioni disumane e a ingaggiare sanguinosi combattimenti che portavano ben pochi risultati.

    La disfatta di Caporetto

    Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana, austro-ungarici e tedeschi decisero di contrattaccare. Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi sfondarono il fronte dell'Isonzo a nord convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2ª Armata italiana, in particolare il IV ed il XXVII Corpo d'armata, comandato dal generale Pietro Badoglio.
    Da lì gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. La disfatta di Caporetto provocò il crollo del fronte italiano sull'Isonzo con la conseguente ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, oltre alle perdite umane e di materiale; in due settimane andarono perduti 350.000 soldati fra morti, feriti, dispersi e prigionieri, ed altri 400.000 si sbandarono verso l'interno del paese. La ritirata venne prima effettuata portando l'esercito lungo il Tagliamento, ed in seguito fino al Piave, l'11 novembre 1917, quando tutto il Veneto (Venezia compresa) sembrava potesse andare perduto.
    In seguito Cadorna, invitato a far parte della Conferenza interalleata a Versailles, venne sostituito, per volere del nuovo presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando, dal generale Armando Diaz, l'8 novembre 1917, dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del monte Grappa e del Piave.
    Gli austro-ungarici e i tedeschi chiusero il 1917 con le offensive sul Piave, sull'Altipiano di Asiago e sul monte Grappa, la ritirata sul fronte del Grappa-Piave però consentì all'esercito italiano, ora in mano a Diaz, di concentrare le sue forze su un fronte più breve e soprattutto, con un mutato atteggiamento tattico, più orgoglioso e determinato.
    Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta. La fine della guerra contro la Russia fece sì che la maggior parte dell'esercito impiegato sul fronte orientale potesse spostarsi a ovest.
    L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella cosiddetta battaglia del solstizio, che vide gli italiani resistere all'assalto e infliggere al nemico pesantissime perdite. Gli austro-ungarici, per i quali la battaglia del solstizio era l'ultima possibilità per dare una svolta al conflitto e ribaltarne le sorti, persero le loro speranze, e con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò ad ottobre l'offensiva prevista per il 1919, impedendo la prosecuzione dell'offensiva.

    1918: La guerra termina

    La battaglia del Piave

    A causa della loro veloce avanzata, gli austriaci avevano perso i contatti con le loro linee di rifornimento e furono costretti a fermarsi e a riunirsi. Gli italiani furono costretti a ripiegare fino alle linee difensive presso Venezia, sul Piave, dopo aver subìto perdite per circa 600.000 uomini dall'inizio della guerra. Nel novembre 1917, le truppe francesi e britanniche cominciarono ad affluire sul fronte italiano in maniera consistente. Nella primavera del 1918, la Germania ritirò le proprie truppe per utilizzarle nell'imminente offensiva di primavera sul fronte occidentale. I comandi austriaci cominciarono allora a cercare un modo per porre fine alla guerra in Italia. C'era infatti disaccordo tra i generali austro-ungarici su come condurre l'offensiva finale. L'Arciduca Giuseppe Augusto d'Asburgo-Lorena decise di condurre un attacco su due direttive.
    La Battaglia del Piave iniziò con un attacco diversivo presso il passo del Tonale, fu facilmente respinto dagli italiani. Gli obiettivi dell'offensiva erano stati rivelati agli italiani da alcuni disertori austriaci, permettendo ai difensori di spostare due armate direttamente nelle zone prestabilite dal nemico. Gli attacchi sull'altra direttiva, condotti dal generale croato Svetozar Boroevic von Bojna, ottennero qualche successo nelle prime fasi finché le linee di rifornimento austriache non furono bombardate e non arrivarono i rinforzi austriaci.

    La battaglia decisiva: Vittorio Veneto

    La battaglia del Piave non fu seguita da alcuna controffensiva, cosa che irritò gli alleati dell'Italia. L'esercito italiano aveva infatti subito ingenti perdite, e un'offensiva generale era considerata troppo rischiosa. Il nuovo Capo di Stato Maggiore Armando Diaz decise così di attendere che nuovi rifornimenti arrivassero dal fronte occidentale. Nell'ottobre 1918, l'Italia aveva finalmente abbastanza truppe per scatenare un'offensiva. Gli attacchi vennero concentrati su Vittorio Veneto, oltre il Piave. Le divisioni austriache combatterono coraggiosamente ma furono sopraffatte dalla superiorità numerica degli Alleati. Gli italiani sfondarono le linee nemiche presso Sernaglia della Battaglia, e vi impegnarono i rinforzi che distrussero il fronte difensivo austriaco. Il 3 novembre, 300.000 soldati austriaci si arresero. Il giorno seguente l'Austria-Ungheria, sfiancata dalla Battaglia di Vittorio Veneto, firmò l'armistizio che pose fine alla guerra sul fronte italiano.

    Il Bollettino della Vittoria

    Il Bollettino di Guerra del 4 novembre 1918, redatto dal generale Siciliani e firmato da Armando Diaz, Capo di stato Maggiore del Regio Esercito, tra le altre, diceva:

    « Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12

    La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta.

    I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.
    Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, generale Diaz
    »


    Il giorno seguente, mentre il generale Armando Diaz annunciava la vittoria, venivano occupate Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa e Fiume, quest'ultima pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane venne occupata, come previsto da alcune clausole dell'Armistizio, in seguito agli eventi del 30 ottobre 1918 quando il Consiglio Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi, aveva proclamato, sulla base dei principi wilsoniani, l'unione della città all'Italia. L'esercito italiano forzò la linea del Trattato di Londra intendendo occupare anche Lubiana, ma fu fermato poco oltre Postumia dalle truppe serbe.
     
    .
0 replies since 3/10/2011, 07:29   2644 views
  Share  
.