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Campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia

Comune di Tarsia

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  1. Isabel
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    Campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia

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    - Fonte -

    La costruzione, del Campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, ha avuto inizio nel maggio 1940 ed è stata eseguita dalla ditta Parrini di Roma; alla stessa è stata affidata successivamente la manutenzione di tutto il Campo.
    Il Campo, a differenza degli altri Campi di Concentramento italiani fu costruito ad hoc, e, nell'aspetto esteriore ricordava chiaramente un lager nazista, fatto com'era da lunghi capannoni e posto nell'immediata vicinanza della linea ferroviaria Sibari-Cosenza.
    È stato il più grande ed importante Campo di Concentramento fascista Italiano, con una presenza media di oltre 2000 persone ed una punta massima, raggiunta nell'estate 1943, di 2.700 persone.

    Storia

    Era costituito da 92 baracche su un territorio di circa mq. 160.000 circondato da un recinto di filo spinato, sorvegliato dall'esterno lungo il suo perimetro dalla Milizia Fascista (gente del luogo e dei paesi vicini), mentre all'interno era sorvegliato da un Commissariato di Pubblica Sicurezza alle cui dipendenze vi erano un gruppo di agenti ed un Maresciallo.
    Il Campo sorgeva nella Valle del Fiume Crati, a circa 6 Km dal paese di TARSIA, in una zona malsana, malarica e paludosa, dove erano in corso lavori di bonifica. Durante il periodo di prigionia molti internati si ammalarono e morirono di malaria. Esso entrò ufficialmente in funzione il 20 Giugno 1940.
    Tra la fine di giugno e luglio 1940, giunsero a Ferramonti, provenienti da varie città dell'Italia Centro-settentrionale, più di un centinaio di Ebrei, solo uomini. Giorno dopo giorno arrivarono centinaia di persone così da formare, all'interno del Campo, una varietà di culture, lingue e usanze, ma dando anche luogo a non poche difficoltà dovute all'eccessiva popolazione ed alle ristrettezze economiche.
    Dall'autunno del 1941 gli internati di Ferramonti non furono più soltanto Ebrei, Dalla Jugoslavia occupata, cominciarono ad arrivare moltissimi internati ariani, uomini politici e semplici cittadini che avevano avuto contatti con i partigiani.

    Nel novembre 1941 arrivarono a Ferramonti i primi nuclei di Cinesi, altri profughi fuggiti dai Campi di concentramento della Germania e della Polonia giunsero da Rodi, si trattava per lo più di Ungheresi imbarcatisi a Bratislava, il 16 Maggio 1940 sul "Pentcho".
    Gli internati arrivarono a Ferramonti sempre ammanettati, accompagnati da Carabinieri, venivano fatti scendere alla stazione ferroviaria della vicina Mongrassano e da qui proseguivano a piedi per circa 6 Km. Alcune volte, venivano fatti scendere direttamente al Casello Ferroviario di Ferramonti, a pochi metri dall'ingresso del Campo.
    Il primo Commissario di P.S., nominato dal Ministero degli Interni a dirigere il campo fu Paolo SALVATORE.
    Il 10 Luglio la Direzione del campo, rese noto il regolamento disciplinare a cui dovevano attenersi gli internati, che, riportava quanto previsto dalla Circolare ministeriale n. 442/12267, emanata l'8 giugno 1940 ed avente ad oggetto la prescrizione per i campi di concentramento e le località di confino.
    Sottoposti a 3 appelli giornalieri, gli internati non potevano uscire dalle baracche prima delle 7.00 e dopo le 21.00, o superare i limiti del Campo senza uno speciale lasciapassare. Non potevano occuparsi di politica, né leggere, senza autorizzazione, pubblicazioni estere e la corrispondenza. Pure proibiti erano la detenzione e l'uso di apparecchi fotografici e radiofoniche e di carte da gioco. Non era invece previsto l'obbligo di lavorare, chi non aveva altri redditi per il proprio mantenimento, riceveva un sussidio governativo.
    Gli internati realizzarono ben presto una organizzazione interna a carattere democratico basato sull'elezione diretta di un delegato per ogni baracca. Essi si riunivano tutte le settimane in una sorta di Assemblea dei delegati delle baracche, che eleggeva al suo interno un rappresentante generale di tutti gli internati, il Capo dei Capi delle baracche. Il più prestigioso fu GIANNI MANN.
    Il Direttore del campo riconosceva ufficiosamente l'esistenza degli organi di autogestione e si appoggiava volentieri ad essi per mantenere quella tranquillità necessaria specialmente con l'arrivo delle donne e dei bambini.
    Con l'arrivo dei bambini sorsero nuovi problemi in ordine alle scarse capacità alimentari e all'istruzione. Un sostanziale aiuto venne dato dalla organizzazione di ISRAEL KALK.
    Con il beneplacito del Ministero degli Interni e della direzione, l'ing. Kalk poté dare il suo sostegno materiale e morale in quei duri anni agli internati di Ferramonti.
    Gestiti degli stessi internati funzionarono una scuola, un asilo, un ambulatorio medico e, inoltre, si svilupparono varie attività artistiche, culturali e religiose, sia ebraiche che cristiane.
    Tra gli internati del Campo vi erano decine di medici, tre rabbini, illustri pittori e musicisti, numerosissimi insegnanti e studenti universitari. Ognuno cercava di svolgere varie attività. La scuola del campo, fondata nell'autunno del 1940 da ERICH WITTENBERG (profugo dalla Cecoslovacchia, che fu il primo direttore) si arricchì di nuovi corsi e fu affiancata da un asilo per i più piccoli. All'interno del Campo vennero aperte anche 3 Sinagoghe.
    Il 22 Maggio 1941, il Campo di Ferramonti, veniva visitato dal Nunzio Apostolico presso il governo italiano, Monsignor Francesco BORGONCINI-DUCA
    In occasione della visita del Nunzio Apostolico, gli ebrei chiesero di avere a Ferramonti una continua assistenza spirituale. Due mesi dopo fu inviato nel Campo il Cappuccino sessantacinquenne Padre Calisto LOPINOT, che presto riuscì ad accattivarsi la stima anche degli internati non Cattolici.
    Visitò più volte il Campo di Ferramonti il Rabbino Capo di Genova dottor Riccardo PACIFICI, il quale celebrò solenni cerimonie nel Campo. Frequenti le manifestazioni artistiche e dibattiti culturali a Ferramonti: la vita culturale fu particolarmente intensa se non altro perché al suo interno si trovarono riuniti molti artisti di talento, vennero organizzati spettacoli teatrali, mostre di arte, corsi per adulti, conferenze.
    La vita musicale era curata dal Maestro LAV MIRSKI, che prima della guerra era stato direttore d'orchestra all'Opera di OSIJEK (Jugoslavia). Anche lo sport ebbe grande impulso e in esso primeggiò il calcio, molto seguiti erano i tornei di scacchi .
    I numerosi medici internati, spesso, alla fine della guerra furono autorizzati a curare anche persone dei paesi vicini. Uno di essi, dopo la liberazione, si trasferì proprio nel paese di Tarsia, dove rimase per circa 1 anno; un altro impiantò lo studio a Castrovillari, una cittadina a circa 30 Km. da Tarsia.
    Nel 1943 fin dal primo mese avvennero numerosi episodi che mutarono le condizioni all'interno del Campo. Il 22 Giugno 1943 il direttore del Campo Paolo SALVATORE, venne trasferito, fu sostituito nel ruolo da Mario FRATICELLI.
    Nell'estate 1943 la malnutrizione e la fame erano ormai una consuetudine a Ferramonti. Giungevano nel Campo una nuova categoria di internati, gli antifascisti italiani trasferiti da altri luoghi di detenzione.
    Il 25 luglio 1943, un telegramma del Sottosegretario di Stato, diretto al Capo della Polizia chiedeva il trasferimento degli internati di Ferramonti di Tarsia nella Provincia di Bolzano ad un tiro di schioppo dalla fortezza tedesca. Ma quel giorno la storia avrebbe riservato altri avvenimenti: MUSSOLINI venne deposto e gli internati, temporaneamente, furono salvi.
    Il 14 Settembre del 1943, verso le otto del mattino, sulla strada di Ferramonti apparivano i carri dell'VIII Armata Britannica. La Liberazione di Ferramonti avvenne in modo del tutto imprevisto.
    La maggior parte degli internati, anche dopo l'arrivo degli alleati, non sapendo esattamente dove andare e cosa fare rimase a Ferramonti o si trasferì nella vicina Cosenza. L'abbandono del Campo si è avuto solo alla fine della seconda guerra Mondiale con la liberazione di tutta l'Europa dal giogo nazi-fascista.
    Successivamente all'abbandono completo, da parte degli internati, le baracche che erano ben tenute non vennero in alcun modo vigilate e così iniziarono veri e propri saccheggi che vennero completati alla fine degli anni ‘60 dai lavori autostradali (A3 SA/RC) che ha diviso e sventrato in due tronconi le baracche esistenti.


    Il lager che salvò migliaia di ebrei

    Ferramonti di Tarsia in Calabria, un campo di concentramento atipico dove arrivava «L'Osservatore Romano»

    - Info -
    di Gaetano Vallini


    "Ho ordinato e pagato il 16 luglio a Tarsia "L'Osservatore Romano". Oggi 22 agosto è arrivato il primo numero". Così scriveva padre Callisto Lopinot nel suo diario del 1941. Niente di eccezionale, non fosse che il sacerdote era il cappellano del più grande campo di concentramento per ebrei e stranieri costruito in Italia dopo le leggi razziali del 1938, quello di Ferramonti di Tarsia, in Calabria. Dunque, il quotidiano della Santa Sede arrivava in un luogo impensabile in un periodo in cui il regime certo non godeva dei favori della Chiesa. In una circostanza il giornale del Papa vi arrivò persino con più copie. "Il 24 dicembre - annota infatti lo stesso anno padre Lopinot - molti cattolici ed ebrei alle ore 12.30 hanno ascoltato nella cappella il discorso radiofonico del Santo Padre. Quando poi "L'Osservatore Romano" ha riportato il discorso, questo è stato addirittura divorato da tutti gli internati di qualsiasi nazione e lingua. La notizia di una tiratura a parte ha avuto una così grande richiesta che mi sono deciso a ordinare 100 esemplari. Molte persone vogliono un numero per se stesse".
    Già in questi particolari si può cogliere la singolarità di quel campo, tanto atipico da essere definito qualche anno fa "un paradiso inaspettato" dal "Jerusalem Post" o "il più grande kibbutz del continente europeo" dallo storico Jonathan Steinberg dell'università di Cambridge. Ma a renderlo differente da tutti gli altri, da quelli fascisti più tristemente famosi, come la Risiera di San Sabba e Fossoli, e soprattutto da quelli nazisti, fu la qualità di vita che gli internati riuscirono a mantenere nonostante tutto. Fra il 1940 e il 1943 più di duemila persone vissero in questo luogo che, malgrado l'aspetto esteriore - quello sì, simile in tutto a un lager - rappresentò per molti ebrei una fonte di vita e di salvezza. E qui, attraverso padre Lopinot, si concretizzo in maniera esplicita la sollecitudine di Pio xii verso le vittime dell'antisemitismo, con l'invio a più riprese di somme di denaro e di altri aiuti.
    Proprio il ruolo essenziale svolto dal Vaticano, e dal Papa in prima persona, nel principale campo di concentramento fascista è evidenziato con particolare forza da Mario Rende nel libro Ferramonti di Tarsia (Milano, Mursia 2009, pagine 276, euro 19) nel quale grazie a documenti e a testimonianze originali ne ricostruisce la storia. Ma più che sui fatti - peraltro già noti - si sofferma sui due uomini straordinari, dimenticati troppo in fretta, che resero possibile questo miracolo della compassione e del rispetto della dignità umana: padre Lopinot, appunto, che tenne le relazioni fra il Vaticano e la comunità ebraica, occupandosi dei bisogni spirituali e materiali degli internati, cattolici e non, e il direttore del campo, il commissario Paolo Salvatore, un funzionario statale che non esitò ad arrivare alle mani pur di difendere gli ebrei. Il campo - allestito nella valle del fiume Crati, a circa sei chilometri da Tarsia, nel Cosentino, in una zona malsana, malarica e paludosa - fu aperto il 20 giugno 1940 e raggiunse una punta massima di 2.700 persone nell'estate 1943. Era costituito da 92 baracche su un'area di circa 160.000 metri quadrati, circondato da un recinto di filo spinato, sorvegliato dall'esterno dalla milizia fascista e all'interno da agenti di pubblica sicurezza.
    Dall'autunno del 1941 gli internati di Ferramonti non furono più soltanto ebrei. Dalla Jugoslavia occupata, cominciarono ad arrivare numerosi uomini politici e semplici cittadini accusati di aver avuto contatti con i partigiani. Nel novembre 1941 arrivarono i primi nuclei di cinesi; altri profughi fuggiti dai campi di concentramento di Germania e Polonia giunsero da Rodi.
    Tutto lasciava presagire una reclusione dura, resa più drammatica dalle notizie che arrivavano sulla sorte degli ebrei deportati oltre confine. Eppure, scrive Rende, "nelle stesse ore in cui nei lager nazisti i bambini ebrei venivano separati dai genitori e avviati a morte, Salvatore scarrozzava i bambini a bordo dell'auto di servizio fino al paese di Tarsia dove offriva loro un gelato".
    Gli internati realizzarono ben presto una organizzazione interna basata sull'elezione di un delegato per ogni baracca. I prescelti, riuniti in una sorta di assemblea, eleggevano un rappresentante generale di tutti i reclusi. Il direttore del campo riconosceva ufficiosamente l'esistenza degli organi di autogestione e vi si appoggiava per mantenere la tranquillità necessaria.
    All'interno furono attrezzati una scuola, un asilo, un ambulatorio medico e, inoltre, si svilupparono varie attività artistiche, culturali e persino religiose. Infatti, il 22 maggio 1941, in occasione della prima visita del nunzio apostolico Francesco Borgongini Duca, gli internati chiesero di avere a Ferramonti un'assistenza spirituale permanente. Due mesi dopo fu inviato nel campo il cappuccino padre Lopinot, allora sessantacinquenne, che presto riuscì a ottenere la stima anche dei non cattolici. Tra i reclusi c'erano inoltre alcuni rabbini e all'interno del campo vennero aperte tre sinagoghe. A Ferramonti si recò più volte il rabbino capo di Genova, Riccardo Pacifici, celebrandovi solenni cerimonie.
    Fu pure edificata una cappella cattolica - la notizia della posa della prima pietra venne pubblicata in prima pagina da "L'Osservatore Romano" il 24 dicembre 1941 - e il Papa fece pervenire in dono persino un harmonium.
    Insomma, pur tra immaginabili difficoltà, grazie al direttore - capace di rimanere un uomo nonostante leggi infami, regolamenti disumani e fanatismi - si cercò il più possibile di vivere un'accettabile parvenza di normalità. Ciononostante la paura di essere consegnati alle forze tedesche era sempre molto grande. "In questo ambito - sottolinea Rende - fu molto viva l'attività di padre Lopinot che più volte interessò il Vaticano sulla sorte degli internati di Ferramonti. A sua volta il Vaticano intervenne più volte sul governo fascista per evitare qualunque deportazione da Ferramonti". E davvero nessuno venne deportato. Così come nel campo "non si verificò mai nessun episodio di maltrattamento o morte violenta di internati causati dalle forze di polizia o dalla milizia fascista".
    Non solo, dopo l'armistizio, a pochi metri dal campo, lungo la statale 18, passò l'intera armata tedesca "Hermann Göring" in ritirata. "Per evitare pericoli - annota l'autore - con il beneplacito della direzione tutti gli ebrei che potevano furono fatti scappare nelle campagne circostanti. Per evitare intrusioni e a protezione degli ebrei rimasti si issò all'ingresso del campo una bandiera gialla a simbolo di epidemia e si piazzarono delle mitragliatrici nascoste tra le baracche".
    Il 14 settembre entrarono nel campo gli inglesi, dando inizio alla seconda fase delle storia di Ferramonti, ma non meno impegnativa per il cappellano, che divenne la figura più importante in un momento in cui la situazione stava andando fuori controllo. Egli si impegnò per far arrivare nel campo vestiario e viveri per gli internati rimasti. Anche in questa circostanza padre Lopinot mantenne i contatti con il Vaticano, in particolare con il sostituto, monsignor Giovanni Battista Montini, al quale chiese un aiuto - una costosa fornitura di stoffa per confezionare abiti - che puntualmente ricevette e utilizzò per tutti i deportati (in precedenza c'era stato malumore perché una fornitura di cibo arrivata attraverso organizzazioni sioniste era stata distribuita solo tra gli ebrei).
    Il libro di Rende non ha come scopo la discussione e la valutazione dell'atteggiamento di Pio xii nei confronti degli ebrei, ma certamente la lettura della documentazione riportata contribuirà a fare piena luce sugli eventi. "Tuttavia, al di là di ogni considerazione generale, non vi è alcun dubbio storico - afferma l'autore - che il Vaticano aiutò in maniera più che determinante la sussistenza e la protezione degli internati di Ferramonti".
    A testimonianza di ciò resta soprattutto la riconoscenza degli stessi internati ebrei, espressa direttamente a Papa Pacelli nell'udienza da questi concessa a una loro rappresentanza il 29 ottobre 1944. "Mentre in quasi tutti i Paesi d'Europa, a causa della nostra appartenenza al popolo ebraico e della nostra professione di fede ebraica, eravamo perseguitati, imprigionati e minacciati di morte - disse Jan Hermann - la Santità Vostra non solo ha fatto pervenire al nostro campo tramite il nunzio apostolico monsignor Borgongini Duca il 22 maggio 1941 e il 27 maggio 1943 notevoli e generosi doni, ma ha voluto anche manifestare il suo vivo e paterno interessamento per il nostro benessere fisico, spirituale e morale. La Santità Vostra ha in tale guisa, al cospetto dei nostri nemici in quell'epoca ancora così potenti, quale prima e più alta autorità morale sulla terra, intrepidamente levata la voce universalmente venerata per sostenere apertamente i nostri diritti alla dignità umana (...) Quando nel 1942 ci sovrastò la minaccia della deportazione in Polonia, la Santità Vostra stese su noi la sua paterna mano protettrice ed impedì la deportazione degli ebrei internati in Italia salvandoci così da morte quasi certa".

    Oggi

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    Oggi poco è rimasto: le uniche baracche sono quelle che, durante il funzionamento del Campo, erano state utilizzate dalla Direzione e dagli uffici dell'Amministrazione del Campo, grazie alla cura dei coniugi PETRONI, dipendenti della Ditta PARRINI, che vi dimorarono fino alla loro morte (primi anni '90).
    Del Campo di Concentramento nessuno parlò fino alla metà degli anni ‘70. Il Prof. Franco FOLINO, professore di lettere della vicina Roggiano Gravina, alla luce dei racconti di cittadini che hanno vissuto personalmente quegli anni, ha voluto approfondire questi racconti regalando così il suo primo libro su Ferramonti.
    Ma solo alla fine degli anni 80, le istituzioni cominciarono a rendersi veramente conto ed a conoscere di nuovo Ferramonti ex Campo di Concentramento.
    Così negli anni ‘90 l'Amministrazione Comunale di Tarsia, ha iniziato a mettere in atto iniziative concrete tese a valorizzare il " patrimonio "Ferramonti, così si è resa protagonista di atti formali, quale appunto far sottoporre, in data 30/08/1999, l'area a vincolo da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e procedendo alla recinzione di tutto il terreno.
    Avendo registrato grande interesse, soprattutto da parte delle scuole, e vista la poca sensibilità da parte delle istituzioni sovra-comunali, L'Amministrazione Comunale di Tarsia, in collaborazione con il Comitato PRO-FERRAMONTI, oggi Fondazione " Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia ", ha voluto dare un segnale forte realizzando all'interno di una baracca, il Museo della Memoria, che, ripercorre, con documenti e fotografie, gli anni in cui il Campo di Ferramonti è rimasto attivo. Il tutto è stato interamente realizzato con finanziamenti Comunali.
    Il Museo è stato inaugurato il 25 Aprile 2004 ed è gestito dalla " Fondazione Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia ", di nuova costituzione.

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    Film
    • 18000 giorni fa - 1993 - Regia di Gabriella Gabrielli
    • Bella Italia - Zuflucht auf Widerruff - 1996 - Regia di Peter Voigt
    • Presso l'archivio dell'Imperial War Museum di Londra esiste un filmato originale del campo ripreso da un operatore militare inglese. Ritrovato nel 2004 dal Prof. Mario Rende.


    Edited by Kelly C. - 4/9/2013, 11:21
     
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