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Panettieri

Provincia di Cosenza

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    Panettieri

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    - Fonte -

    Panettieri è un comune di 375 abitanti della provincia di Cosenza.

    Territorio


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    Foto di Massimiliano Palumbo

    Panettieri sorge nel versante occidentale della Presila ed è uno dei centri fra i più caratteristici della Sila Piccola, nonché il più piccolo paese della Comunità Montana del Savuto e dell’intera Calabria ed è situato in una posizione piuttosto centrale della regione, equidistante sia dal versante Ionico che da quello Tirrenico. Il comune, situato a 950 metri sul livello del mare e che si estende su una superficie di 14,65 Kmq per una densità che si attesta sui 23,4 abitanti su kmq, confina con Bianchi, Sorbo San Basile e Carlopoli, tracciando con quest’ultimo paese una importante e peculiare linea di confine fra la provincia di Catanzaro e quella di Cosenza. Si presenta inoltre al visitatore suddiviso in due differenti nuclei: la Parte Bassa a sud-est, coincidente con il centro storico, e la Parte Alta a nord-ovest, rappresentata dall’evoluzione edilizia verificatasi sul territorio nel corso degli anni, ma sia l’una che l’altra sembrano vivere insieme in perfetta simbiosi. Il complesso urbano assume la fisionomia di un triangolo equilatero, speculare a quello rappresentato dall’abitato di Carlopoli, con cui oggi costituisce un’unica area urbana senza soluzione di continuità e dalla forma romboidale. La struttura viaria primaria ricalca quella urbana, con una direttrice principale (via Risorgimento) che attraverso in lungo il territorio comunale, e due complanari (via Papa Giovanni XXIII e via Aldo Moro), che lambiscono i due lati del paese per poi convergere rispettivamente nel quadrivio per Carlopoli e in Piazza Sant’Elia. Da qui si riparte un’altra strada (via Coschino) che risalando taglia diagonalmente il centro abitato fino a confluire in via Tasauro e risalire al cimitero, posto al di fuori del perimetro urbano. L’abitato risale per curve di livello fino allo slargo presso cui sorge la Chiesa intitolata a San Carlo Borromeo, adiacente all’asse stradale principale , lungo cui sorgono gran parte delle nuove abitazioni e si trovano i servizi primari. L’agglomerato originario sorge lungo il corso della fiumara Sant’Elia, sulla sponda di un burrone che divide l’abitato da quello limitrofo di Carlopoli. In passato i due villaggi erano collegati da una stradina (oggi in disuso) con al centro una sorgente, che la toponomastica locale designa come fhuntana d’ammianzu (fontana di mezzo) poiché si trova nel punto di confine tra i due comuni, e anticamente tracciava i limiti giurisdizionali tra la Calabria Citra e la Calabria Ultra II. La memoria popolare ricorda il sito come punto nevralgico di contesa tra le due comunità, oltre che come ritrovo di massaie che qui si recavano per lavare i panni e attingere acqua. Il paesaggio naturale circostante è composto da terreni ortivi, aree coltive ed ampie zone boschive. I principali torrenti sono il fiume Fego, affluente del Corace, e la fiumara Sant’Elia. Il percorso naturalistico offerto da comune di Panettieri è ampio e variegato poiché dal borgo si raggiungono, in breve tempo, i villaggi silani Mancuso e Racise nonché il lago Passante e, inoltre, a piedi o in bicicletta, è possibile effettuare suggestive passeggiate lungo i castagneti, il sottobosco e la ricca vegetazione circostante. Nel periodo invernale Panettieri, con i suoi tetti imbiancati, i comignoli sbuffanti e le strade ricoperte di neve, riporta alla mente i classici paesi delle fiabe, dove il tempo sembra essersi fermato in ascolto della quiete montana che rende l’atmosfera quasi irreale. Le estati invece, particolarmente fresche ed arieggiate, si trascorrono partecipando alle innumerevoli attività proposte dal comune e facendo tranquille passeggiate nel verde della natura circostante.

    Il Patrimonio ambientale

    Il territorio di Panettieri fa parte della Comunità Montana del Savuto e si sviluppa sul versante meridionale dei monti della Sila Piccola, a quote comprese tra gli 850 m ed i 1.237 m s.l.m. Ha morfologia prevalentemente montana, arricchita dalla presenza di estesi boschi di latifoglie e conifere, distribuiti lungo i versanti in quota tra le vette principali: Colle la Croce e Serra S. Nicola a sud, Monte Comunelli ad est e la zona del “Malitano” a nord. Numerosi sono i corsi d’acqua che si snodano attraverso valli incantate e ricche di vegetazione. Tra questi il più importante è il fiume Fego affluente del fiume Corace, che segna il territorio nella porzione a nord-ovest fino a giungere ai piedi del centro abitato; seguono la fiumara del Sant’Elia ed il torrente Nero, che scorre ad est lungo il confine comunale e offre, ancora oggi, un ambiente naturale suggestivo ed incontaminato. I consistenti nuclei boscati, costituiti prevalentemente da castagneti, querceti ed ontaneti, sono in gran parte di proprietà privata e vengono utilizzati per la produzione di paleria e legna da ardere. Molto diffusi sono anche i castagneti da frutto, la cui coltivazione è legata ad una radicata tradizione del comune nel commercio delle castagne. Accanto ai boschi di latifoglie, sul versante settentrionale di Monte Comunelli e in località Malitano, si ritrovano rimboschimenti di conifere (abeti, pini e douglasie), la cui realizzazione risale al secondo dopoguerra. Passeggiando all’interno dei boschi è facile scoprire lungo gli antichi tratturi segnati dal tempo, secolari castagni e maestosi abeti, che si ergono come muti guardiani a presidio dei luoghi e della memoria. Alle quote più basse, ampi pascoli si alternano a piccoli appezzamenti coltivati, che si concentrano nella basse valle del fiume Fego, a nord del centro abitato.

    Storia


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    Foto di Massimiliano Palumbo

    Panettieri fu fondato nel corso del XVI e XVII secolo da coloni provenienti dalla città di Scigliano che, attirati dall’ottima prospettiva economica offerta dal monastero di Santa Maria di Corazzo, decisero di stabilirsi in questa terra distante dal monastero solo 5 Km. Intorno al monastero di Corazzo (situato nel territorio di Castagna, frazione di Carlopoli), sorto presumibilmente intorno al 1050 d.C, erano presenti importanti attività economiche quali agricoltura, pastorizia, artigianato, lavorazione del formaggio e della lana, che portarono alla nascita di insediamenti urbani, detti “casali”. E’ solo in seguito ai terremoti del 1613 e soprattutto del 1638, che colpì gravemente il circondario di Scigliano e devastò il paese di Martirano, che con la presenza dei coloni sul territorio di Panettieri prese forma e consistenza il paese, facendo dell’agglomerato un “Casale” di Scigliano, con legami amministrativi e fiscali con la suddetta città. Fino ad allora, infatti, gli insediamenti presenti sul territorio erano costituiti per lo più dagli antichi cenobi di anacoreti, dislocati tra le montagne. Almeno due erano invece gli insediamenti monastici ancora in attività alla data di fondazione del paese. Il primo, quello di Santa Maria di Peseca, ricade oggi in territorio del comune di Taverna. L’altro convento, intitolato a San Nicola di Giacciano, sorgeva in una zona impervia sulla sponda est del fiume Sant’Elia. Anche lo storico Scigliano Accattatis, sulle origini di Panettieri, sostiene che l’erezione del paese non fu molto anteriore al 1650 e che il terremoto del 1638, che si abbatté sulla Contea di Martirano, segnò la devastazione delle terre circostanti generando un processo di edificazione circostante e un consistente rinforzo del nucleo abitativo di Panettieri. L’Accattatis, inoltre, parla di un certo Carlo Mancuso, che costruì qui la prima vera abitazione e , a conferma delle sue tesi, menziona Mons. Francesco Monaco, vescovo di Martirano, che con un decreto emanato in 23 aprile del 1612 eresse a parrocchia Castagna e vi assegnò come parrocchiani anche gli abitanti del casale di Panettieri. Dato l’evolversi, in questi stessi anni, dell’agglomerato urbano e l’incremento demografico, e anche il disagio dei fedeli a raggiungere la Chiesa sia per la distanza che per le strade (difficili da percorrere soprattutto d’inverno), maturò così la richiesta della comunità, avanzata al vescovo di Martirano di poter dotare il paese di un autonomo luogo di culto. La parrocchia fu realizzata il 20 ottobre 1705. Fino a tutto il XVIII secolo Panettieri rimase casale di Scigliano, di cui seguì le vicende politico-amministrative. Nel 1811 la giurisdizione amministrativa del comune, come di buona parte dei casali periferici di Scigliano, venne assegnata a Colosimi, con la legge n. 360 del 1 maggio. Nel 1818 venne soppresso il vescovado di Martirano, e Panettieri passò a quello di Nicastro. Due anni più tardi, esattamente il 25 gennaio 1820, al paese venne riconosciuto lo statuto di comune autonomo, sancendo così il suo definitivo affrancamento politico-amministrativo. Dalla seconda metà dell’Ottocento l’abitato ha conosciuto un progressivo e costante spopolamento. Le grandi ondate migratorie (quelle di fine secolo nelle Americhe, quelle degli anni ’50-’60 del Novecento in Lombardia) hanno largamente interessato anche la comunità panetterese, mentre esigui e insignificanti sono stati nel corso degli anni i ritorni. Per quanto riguarda l’etimologia del nome di Panettieri, secondo Vincenzo Padula, il nome del paese deriverebbe dal greco. In una brevissima annotazione l’autore scrive infatti: “Panettieri. Se il paese non è antico, il nome è antichissimo. Παυαϰτεϱής significa «tutti insepolti»”. Tuttavia, l’ipotesi più accreditata presso gli storici circa l’origine del toponimo, richiama alla parola calabrese “Panetterì”, che vuol dire fornaio e quindi lo farebbe derivare dalla specializzazione e bravura raggiunta dai suoi abitanti nei processi di panificazione. Nel centro storico sorse presto uno dei primi forni ad uso pubblico del paese (che, dopo una fase di restauro, ospita oggi il Museo del Pane). E altri forni sorsero nel corso degli anni, fino a fare dunque dell’agglomerato un paese di panettieri. Inoltre, data la sua collocazione geografica lungo la direttrice di transito che da Corazzo conduceva alle alture silane, nelle fasi del suo sviluppo Panettieri deve essersi configurato come tappa obbligata durante i percorsi di transumanza e gli spostamenti di lavoratori stagionali, che ebbero nuovo impulso dalla nascita stessa del casale. In questo contesto la comunità deve aver maturato attitudini e vocazioni ricettive, e perfezionato le proprie abilità nella fabbricazione del pane. È ipotizzabile la presenza sul territorio di stazioni di sosta, tanto che uno dei rioni del nucleo originario conserva ancora oggi il nome di ’u cucinaru, e farebbe dunque pensare all’esistenza di un punto di ristoro. Per quanto riguarda la popolazione residente, i Censimenti del 1991 e del 2001, hanno attestato una riduzione pari al 6,3% (da 400 a 375 abitanti), mentre ad oggi (al 31/12/2010) i cittadini residenti sono 343, di cui 162 maschi e 181 donne e rappresentano solo lo 0,02% della popolazione totale della Calabria e lo 0,05% della popolazione della provincia di Cosenza.

    I Monumenti


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    Monumento a San Pio

    • Fontana Monumentale - Al centro di Piazza San Carlo è posta questa fontana dalla forma circolare con al centro uno zampillo. Le vasche sono a foglia di conchiglia, e si presentano sovrapposte ed inframmezzate con elementi decorativi.
    • Fontana Jugale - La fontana, anticamente utilizzata per la raccolta dell’acqua, è costituita da una struttura rivestita in pietra e da due bocche d’acqua che scorrono in una vasca, con al fianco un lavatoio. Ancora oggi gli abitanti del paese e la gente di passaggio si dissetano presso questa antica fonte.
    • Monumento a San Pio - Inaugurata nell’agosto del 2000, la statua è il risultato della forte devozione che gli abitanti del paese hanno verso questo Santo. In un piccolo angolo di paese si erge quindi, sulla base di un imponente basamento lastricato, questo monumento composto da una statua in bronzo a figura intera raffigurante San Pio da Pietralcina. Il monumento è luogo di un frequente peregrinare di devoti che in un atto di fede e di carità depositano fiori o recitano preghiere in onore del Santo.
    • Monumento ai Caduti - Il monumento, collocato all’interno di uno splendido giardinetto fiorito rialzato rispetto al manto stradale, è composto dalla figura di un Fante in bronzo nell’atto di incitare i compagni all’attacco. Posto su di un piedistallo rivestito in pietra “Verde di Calabria”, ai suo piedi è collocata una possente lapide in marmo sulla quale sono incisi i nomi dei valorosi soldati di origine panetterese che hanno dato la vita per difendere la patria nel corso dei conflitti mondiali di inizio secolo.

    La Leggenda di Giosafatte Talarico - Brigante di Panettieri
    di Salvatore Piccoli

    Il brigantaggio mi ha da sempre affascinato, poichè molte dinamiche di questo fenomeno rimangono avvolte nella nebbia dell’inconoscenza per caratteristiche particolari ed estremamente articolate, di cui difficilemente si riesce a capire con chiarezza l’evolversi. E’ certo però che ogni forma di ribellismo nasceva da una condizione di estrema miseria e da quella profonda ingiustizia sociale che da secoli attanaglia le nostre terre, da un’ansia di giustizia mai saziata. Devo dire che il brigantaggio mai nulla è stato capace di mutare negli assetti sociali, anzi, talvolta è risultato essere strumento di oppressione contro le fasce deboli della popolazione:bastava dare ad un affamato un pezzo di pane e un coltello perché un altro affamato venisse ucciso. E proprio da questa bruciante contraddizione che è nata in me la curiosità. Dalle memorie dei vecchi che quasi sottovoce, quasi con sensi di colpa mi narravano storie spesso crudeli di uomini disperati che vivevano nei boschi e rubavano pane, ricotte, e quando andava bene, qualche agnello. Il brigantaggio in Calabria ha origini remote: la parola briganti fu usata per la prima volta in questa regione dai romani per designare le bande dei ribelli bruzi che mai riuscirono a stanare del tutto dai boschi della Sila. Ma fu all’inizio dell’800 che il fenomeno assunse caratteri riconoscibili. Alle invasioni francesi successive alla rivoluzione del 1789, si opposero le vecchie gerarchie clericali e i loro alleati baroni che temevano di perdere i propri privilegi dalle nuove disposizioni francesi che si basavano sulle famose libertè , egalitè, fraternitè. Fu facile per costoro, terrorizzati da quelle parole, dipingere i francesi come assalitori e nemici di Dio provocando nelle popolazioni incolte e rozze atteggiamenti di rifiuto delle nuove idee. Così anche un cardinale, Fabrizio Ruffo si mise alla testa di un esercito di incalliti delinquenti chiamandoli briganti e spargendo il terrore nelle campagne, disse di combattere i Francesi. Nei primi anni dell’800 Inglesi e Borboni sostennero e pagarono bande di briganti per combattere i francesi, ma soprattutto le loro idee. Le popolazioni stremate, spesso capirono ben poco di quello che avveniva. Nacquero così numerose bande dedite ad ogni forma di violenza. Quando i Borboni, nel 1815, tornarono al potere, il fenomeno del brigantaggio non era assolutamente scomparso a dimostrazione che i contadini insorgevano non per sterili motivi politici ma per fame! Il fenomeno assunse un’estensione di massa, con una diffusione capillare su tutto il territorio montano calabrese, dopo il 1861! Il brigantaggio postunitario fu causato sostanzialmente dalle questioni delle terrre silane. Garibaldi con decreti emessi da Rogliano nel 1860 aveva concesso l’uso gratuito ai pascoli ai contadini delle terre silane. Partito Garibaldi, le terre furono restituite ai vecchi baroni e i contadini insorsero con disperata violenza reclamando di sopravvivere. I piemontesi non seppero dare altra risposta che il piombo! Inviarono truppe per contrastare il fenomeno: cinici e incapaci, indifferenti e insensibili alle problematiche economiche e sociali, cause evidenti delle ribellioni. Il governo sabaudo si mostrò sordo anche alle numerose relazioni parlamentari sul fenomeno redatte da alcuni ministri meridionali a cui erano chiarissime le cause del brigantaggio: fenomeno oramai completamente di massa, paesi interi collaboravano con i briganti. Un’altra causa fu l’obbligo militare: molti giovani per sottrarsi si gettarono alla macchia con la complicità anche dei parenti, visto che togliere braccia giovani e forti al lavoro delle campagne voleva dire condannare a morte per fame famiglie intere. Le vicende del brigante Giosafatte Talarico si collocano al di fuori dei due periodi di maggiore diffusione del brigantaggio calabrese. Esattamente tra il 1823 e il 1845.Le sue gesta vengono ancora narrate dai vecchi con orgoglio, con una particolare luce negli occhi. Lunghe sere invernali accanto al camino ho trascorso con alcune persone anziane di Panettieri che parlavano di Giosafatte come se parlassero del più puro degli eroi. I loro racconti , pur affaticati dal tempo, erano ancora vivi, segnati da un’antica suggestione: il ricordo di Giosafatte vive nella memoria collettiva come il giustiziere che vendicava i torti e difendeva i deboli. In realtà, sebbene Giosafatte non fosse propriamente e completamente così, la nostra gente, da mille anni oppressa, depredata e umiliata aveva bisogno di trovarsi un eroe, un simbolo, un vendicatore, cui affidare la speranza di una vita migliore, anzi, direi di una vita! Ma fu da questi racconti che presi a ricercare riferimenti storici documentati o indizi letterari. Scoprì, anzi riscoprìi Nicola Misasi. I suoi racconti su Giosafatte, romantici e affascinanti, ricalcavano esattamente la tradizione popolare. Devo dire che i racconti di Misasi per un po’ mi hanno rapito. Ma poi sono state le fonti archivistiche e la bibliografia storica a offrirmi un determinante contributo di chiarezza anche se i rapporti di polizia hanno ben altro tono rispetto alle mielose pagine del Misasi o ai commoventi racconti degli anziani. Ma in sostanza, Giosafatte fu davvero un personaggio straordinario. Fu davvero sensibile alle ingiustizie e disponibile ad aiutare i deboli, ma fu anche crudele quando ce ne fu bisogno. Giosafatte operò in tutta la Sila, dove, all’epoca, agivano bande ben definite, piccoli gruppi e addirittura individui isolati: le bande di San Giovanni in Fiore, la banda di Giovanni Roma di Caloveto, quella di Domenico Falcone detto Vis Vis ed anche una banda di Tiriolo. Le loro gesta rimangono per la gran parte avvolte nel mistero delle impenetrabili selve silane e sono ben poche le testimonianze storiche, e arduo appare rintracciare documenti d’archivio anche perché le amministrazioni del territorio avevano modalità e confini diversi rispetto ad oggi. L’ambiente storico e geografico in cui agì Giosafatte fu la Sila alcuni decenni prima dell’unità d’Italia: la Sila tutta: da Camigliatello a Taverna, da San Giovanni in Fiore a Panettieri. Nel mio libro le vicende di Giosafatte sono state ricostruite su tre basi sostanziali da episodi noti in letteratura, vedi Misasi, o nelle memorie collettive, inventandone di sana pianta alcune e tenendo presenti documenti d’archivio. Ho tentato di amalgamare il tutto per darne un’immagine coerente e unitaria. Sono rimasto quanto più possibile fedele ai nomi reali dei personaggi storici: è stato così per i familiari di Giosafatte, per l’ucciso Giacinto Citriniti di Catanzaro, per gli amici Santo Gentile e Filippo Mussari, per il traditore Tommaso Brutto, per la compagna degli ultimi anni Giuseppina, per i nomi dei 12 briganti graziati nel 1845, per il procuratore di cz Olivo, per Anna Moens. Chi era Anna Moens? Anna era una signora inglese venuta con il marito in Italia per una visita di piacere e per annotare sulle pagine di un diario le impressioni sul loro romantico viaggio. Solo che un brigante di Salerno, Gaetano Manzo, rapì il marito e lo portò sulle montagne. Anna, impegnata a reperire i soldi per il riscatto, soggiornò anche a Ischia. A Ischia, in quegli anni soggiornava anche Giosafatte dopo essere stato graziato dal governo. Si conobbero. Il marito fu poi liberato i coniugi tornarono in Inghilterra e il diario divenne un libro. Il mio libro su Giosafatte è un romanzo storico. In un romanzo storico non è necessario che tutti i personaggi siano davvero esistiti, quello che è importante è che agiscano come si agiva nell’epoca in cui sono collocati. Occuparsi di storia locale vuol dire essere coscienti della limitatezza delle proprie conoscenze, sempre suscettibili di essere sconfessate, ma è per questo che si fa storia, per scoprire dove si sbaglia, alla ricerca di quell’utopia che si chiama verità storica. Un romanzo storico risponde ad esigenze di conoscenza e cerca di dare risposte alle domande più brucianti con la fantasia e con il sentimento colmando le lacune dell’indagine storica, dando nuovo slancio agli eventi, dichiarando realtà quello che poteva essere e forse non è stato. Un romanzo storico è anche poesia della storia! La mia ricostruzione storica è partita dalla certificazione esistente nel libro dei battezzati della parrocchia di Panettieri dell’anno 1805. Da contatti con il comune di Ischia ho avuto il certificato di morte di Giosafatte. Sulle ultime pagine del libro è riportata copia della richiesta di grazia fatta da 12 briganti alle autorità politiche del tempo. Osservando attentamente si potrà notare come le otto firme apposte sulla parte sinistra del foglio appaiano naturali mentre le altre 4, tra cui quella di Giosafatte, sembrano scritte da una stessa mano, una mano, secondo me, più abituata a scrivere delle altre. Di questo fatto ho dato nel libro una spiegazione squisitamente letteraria. Ho avuto dei contatti telefonici con il comune di Ischia, con una anziana funzionaria che mi raccontava dell’esistenza di un medico in un comune vicino, Lacco Ameno, che si chiamava Carlo Talarico morto negli anni venti e di due signore figlie di una figlia di questo medico che vivono ancora a Lacco Ameno. A Ischia opera uno storico locale, Nino d’Ambra, che ha fatto varie ricerche sui personaggi noti che soggiornarono nella sua isola. Egli ha scritto un libro intitolato: “Garibaldi cento vite in una”, nel quale descrive un episodio taciuto dalla storiografia ufficiale. Si tratta di un incarico dato dai Borboni nel 1860 a Giosafatte e ad altri briganti relegati a Ischia, di raggiungere Garibaldi a Palermo e ucciderlo! Nel libro ho compiuto una ricostruzione letteraria dell’episodio. Giosafatte, ovviamente, non uccise Garibaldi. L’episodio è narrato anche ne “Le mie memorie” di Giuseppe Garibaldi dove l’eroe dice che mentre soggiornava a Palermo durante la spedizione dei mille, fu avvicinato da un barbuto brigante della Sila pagato dai borboni per ucciderlo e che alla fine costui gli chiese di essere arruolato nelle camicie rosse! Ho citato quest’episodio perché pochissimo tempo fa ho trovato il nome di Giosafatte Talarico dove non mi sarei mai aspettato di trovarlo: in un libro di memorie di Sigismondo Castromediano intitolato Carceri e galere politiche. Il Castromediano era un patriota risorgimentale di Lecce incarcerato dai Borboni assieme a numerosi altri rivoluzionari meridionali in seguito alle sommosse del 1848 nelle galere isolane di Ventotene, Santo Stefano, Nisida, Procida. Questo dimostra quanto sempre ci sia da scoprire e quanto sia suscettibile di sempre nuovi esiti la storia locale. Questo libro di memorie mi è necessario per delle ricerche che sto facendo sul Risorgimento calabrese che, spero l’anno prossimo, daranno vita ad un romanzo storico incentrato sulla vita di uno dei più controversi e vitali protagonisti di questo periodo storico: Raffaele Piccoli, che ha attraversato per intero l’Ottocento politico: dalle rivolte di Palermo del 1848, alle battaglie dell’Angitola dello stesso anno con i gruppi del nicastrese, allora si chiamava così, oggi lametino. Dalla difesa della repubblica romana del 1849, alla spedizione dei mille, fino all’estremo tentativo repubblicano della rivolta di Filadelfia del 1870. Anche Raffele Piccoli fu nelle galere borboniche dal 1851 al 1857. Sigismondo Castromediano nelle sue memorie dedicò due intere pagine a Giosafatte. La sua testimonianza scritta arricchisce le notizie su Giosafatte, sul fatto che prima che i borboni lo relegassero nella dorata prigione di Ischia, gli fecero assaporare le loro poco dorate galere politiche! Ma da ciò emerge un dubbio: la rinuncia ad uccidere Garibaldi a Palermo, alla luce di questo fatto, può assumere una coloritura diversa? Fu illuminazione improvvisa a fermare la mano di Giosafatte, una presa di coscienza politica fulminea, oppure quel gesto di ripulsa fu la naturale conseguenza di un percorso ideologico che aveva trovato nelle prigioni borboniche, a fianco dei condannati politici, un condizionamento essenziale? Quindi, pur scientemente e arrogantemente, evitando nella sua esistenza di fuorilegge di farsi coinvolgere nelle sovversioni politiche e nei moti carbonari, Giosafatte con la sua intelligenza e la sua personalità, restò davvero del tutto indifferente al sogno rivoluzionario che mosse gli uomini liberi del suo tempo? Ma in questo libro non c’ è solo Giosafatte, c’è anche qualcosa dell’autore, una scia che talvolta si cela, talvolta riemerge. Ma io spero che ognuno di voi, che lo leggerete, possa trovarci qualcosa di sé.

    Economia

    Dal punto di vista burocratico, non si registrano particolari strutture: le uniche attività del genere che vi si svolgono sono quelle destinate al funzionamento dell’ufficio postale e del municipio. Per l’assenza sul posto della stazione dei carabinieri, le funzioni di autorità di pubblica sicurezza sono, all’occorrenza, esercitate dal sindaco. L’agricoltura si basa sulla produzione di cereali, frumento e ortaggi; parte della popolazione si dedica anche alla zootecnia, prediligendo l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini e avicoli. Le attività industriali, limitate a qualche piccola impresa edile, sono pressoché irrilevanti. Alquanto modesta è pure la presenza del terziario: non sono forniti servizi più qualificati, come quello bancario; la rete distributiva, di cui si compone, soddisfa le esigenze primarie della comunità. Non si segnalano strutture sociali degne di nota. Nelle scuole locali si impartisce l’istruzione obbligatoria; manca una biblioteca per l’arricchimento culturale. Le strutture ricettive offrono la sola possibilità di ristorazione; quelle sanitarie assicurano il servizio farmaceutico; per le altre prestazioni occorre rivolgersi altrove.

    Tradizioni e altro

    L’aria salubre, la genuinità dei prodotti del luogo e le bellezze dell’ambiente naturale, arricchito da estesi boschi di castagni, costituiscono valide risorse, il cui sfruttamento potrebbe portare a un incremento della presenza turistica nella zona. È poco frequentata pure per lavoro, in quanto le sue attività produttive non consentono di assorbire neppure tutta la manodopera del posto, costretta ogni giorno a raggiungere le aree più sviluppate. I rapporti con i comuni del circondario sono molto intensi; a essi la popolazione si rivolge anche per l’istruzione secondaria di secondo grado e i servizi non disponibili localmente. Non si segnalano appuntamenti tradizionali religiosi o folclorici che protrebbero, periodicamente, animare la comunità e richiamare visitatori dai dintorni. Il Patrono, San Carlo Borromeo, si festeggia la prima domenica di luglio con una sagra.

    Gastronomia

    La sostanziosa cucina locale è quella tipica delle zone di montagna. Tra gli ingredienti più usati ci sono : Le Patate Silane, I Cavoli, Le Carote, Le Fave, I Fagioli, e Le Cicorie. Nelle giornate più fredde nelle pentole borbottanti delle massaie di Panettieri non manca, quasi mai, un buon minestrone arricchito dalle gustose Cipolle prodotte in zona. Molto usata, anche la carne che qui si arricchisce di prelibate alternative com in Cinghiale o la Lepre. La Pasta, spesso fatta in casa, è condita con un gustosissimo Ragù. In paese è tradizione preparare gli Insaccati come : Le Salsiccie, I Capicolli, e Le Soppressate; i Contorni Sott'olio come : Olive Schiacciate, Melanzane e Pomodori, che sono spesso usati per iniziare i convivi più ricchi. Rinomati, inoltre, i formaggi come : Ricotte, Pecorino Fresco e Stagionato e Scamorze, spesso accompagnati da un Vino Locale Frizzantino e di ottima qualità. Tra i Dolci tipici troviamo : "I Turdilli" ( dolci fatti con il Miele ), "Le Pitte 'Nchiuse" ( dolci fatti con Uva Passa Miele e Gherigli di Noci ), "Le Grispelle" ( fatte con la Pasta del Pane, fritte e poi cosparse a piacere con Zucchero o Miele ) e "La Pignolata" ( dolce fatto con Farina e Uova, tagliato a cubetti immerso nel Miele ). Il Paese è rinomato per sua lunga tradizione nella Panificazione. I primi abitanti del luogo, infatti, erano panettieri. Molto apprezzato, quindi il Pane, cotto negli antichi forni a legna e "I Taralli" ( biscotti salati a forma di piccola ciambella, aromatizzati con semini di Anice.

    Tutte le chiese

    Tutti i musei



    Edited by Isabel - 22/9/2013, 19:11
     
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    I monti del cosentino ammantati di bianco: straordinario reportage da una gemma della Calabria

    Nel cuore del Savuto, in un ambiente incontaminato, dove il fascino e la bellezza della natura si sposano con la gastronomia, l’arte e le tradizioni, si ritrova il borgo incantato di Panettieri. Conosciuto ai più per le sue antiche tradizioni nella panificazione, è riuscito a conservare nei secoli una forte identità che gli consente, ad oggi, di rappresentare una delle gemme della Calabria. Il territorio di Panettieri offre al viaggiatore una vasta gamma di possibilità per farsi conoscere e apprezzare. Ma per “guardare” Panettieri occorrono occhi liberi e disponibilità a spogliarsi da ogni pregiudizio. E’ necessaria una vocazione al cammino e alla scoperta, per cercare quei segni di una storia ricca ma fin troppo sconosciuta, per provare il piacere di conoscere e di incontrare la piccola comunità che lo anima con tutte le sue infinite virtù. Occorre disponibilità, per comprendere il vero senso dell’accoglienza, per addentrarsi con lo spirito giusto negli stretti vicoli del borgo antico al fine di conoscere la storia di ieri e di oggi, i miti e le leggende, da quella dei briganti a quella dei garibaldini, e le antiche tradizioni, in primo luogo la rievocazione del presepe vivente. E’ quanto si legge sul sito ufficiale di questo comune abitato da soli 342 abitanti e ubicato a 937 metri s.l.m. nel cosentino, interessato da abbondanti nevicate come non si vedevano da anni. Il reportage, per il quale ringraziamo Giovanni Bonacci per la cortese disponibilità, mostra i 35-40 cm di neve fresca caduti nelle ultime ore. Buona visione.

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    Panettieri-58
    Panettieri-6
    Panettieri-7
    Panettieri-8
    Panettieri-9

    Fonte: meteoweb.eu/


    Edited by Isabel - 22/9/2013, 19:12
     
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