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Tutte le chiese di Alessandria del Carretto

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  1. Isabel
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    Tutte le chiese di Alessandria del Carretto


    Chiesa Matrice di Alessandria del Carretto

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    - Fonte -

    Il marchese di Oriolo, tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600, "...mettendo in isperanza di più comoda fortuna gli oriolani, ne trasse moltissimi a popolare quella Terre che oggi si appella Alessandria" e questo lo fece non tanto per migliorare le condizioni dei suoi vassalli, come potrebbe sembrare leggendo il documento riportato, ma per salvaguardare i suoi interessi. Infatti, in quel periodo vi era una grande richiesta di grano e solo dissodando e mettendo a coltura nuovi terreni era possibile rispondervi. Ecco, a tal proposito, cosa dice un documento riportato dal prof. G. Galasso a pag. 145 del suo volume Economia e società nella Calabria del Cinquecento: "Da tre anni in cqua in dicto territorio so' state conzate terre assai da fare grani più de li altri anni passati et quello ei seminato et cultivato da li homini de Rosito, Rocha Imperiale et Riolo et la Canna". Per tale motivo "…pochi villani di Oriolo ...", così è citato in una allegazione della fine del XVIII secolo, "...appianarono le rovine di Castel di Drogo: quindi adescati dalla libertà di godersi quel suolo in esclusione di ogni altro, si aumentarono: le capanne divennero fabbriche: li tugurj abitazioni più comode e chi tra loro era magiormente distinto fabricava picciole Torri, onde quell’aggregato di pochi individui Torricella si disse". Alessandria, comunque, risulta già esistente nel 1623. Infatti, nella refuta di D. Aurelio Pignone a favore di suo figlio D. Alessandro, datata appunto 1623, risulta che il feudo di Oriolo comprendeva i casali chiamati Farneta, Alessandria, Castroregio e Montegiordano. Altra traccia la si trova anche nel ricorso presentato, al collaterale Consiglio in data 10 maggio 1629, da D. Francesco Castrocucco feudatario di Albidona e da D. Giacomo Pignatelli "utile signore" di Amendolara contro D. Alessandro per l’edificazione di " una nuova Terra seu Casale … nel luogo detto Castel del Drogo". Ed è proprio D. Alessandro Pignone, allo scopo di attrarre nuovi coloni, che, successivamente, fa costruire a sue spese altri edifici, tra cui il Palazzo Baronale e la Chiesa Parrocchiale. E’ chiaro che la costruzione della Chiesa risponde sia ai bisogni spirituali dei coloni che alle esigenze del feudatario, perché come fondatore, ne ottiene il patronato ma, purtroppo, senza dotarla di alcunché, come sarebbe stato logico. La Chiesa di Alessandria viene aperta al culto nel 1633 (3 ottobre) e viene intitolata a S. Alessandro Papa e Martire, come ci è dato di leggere nella Bolla di erezione, che recita "Ecclesiam Parochialem sub… titulo S. Alexandri Papae et Martyris". Altro documento che siamo riusciti a trovare sulla chiesa di Alessandria del Carretto è la relazione del Tavolario Luca Vecchione, del 1744, da cui risulta la seguente descrizione: "Nel corpo della Terra sta situata la Chiesa Madre sotto il titolo di S. Alessandro Maggiore (Martire N.d.S.), tiene la sua affacciata principale con due porte: per la maggiore entrandosi, che sollevasi dal piano della Terra tre scalini, s’entra nella Chiesa di due navi, lastricata di mattoni nel suolo, coperta a tetti con siffatta (soffitto N.d.S.) di legname a quadretti, secondo il stile del paese, e nella nave più maggiore sonovi tre altari in faccia a muro, il primo sotto il titolo di S. Giovanni Battista con quadro ad oglio sopra tela e sua cornice; il secondo di nostra Signora del Carmine Ius Patronato delli Rossi; il terzo di S. Antonio di Padua ornato di stucchi, con suo frontespizio, e l’altare alla Paulina Ius Patronato della famiglia Rocco (Larocca N.d.S.); nell’altra nave anche in faccia al muro vi sono due altri altari, il primo di S. Simone con quadro ad oglio sopra a tela con cornice di stucco, e vari ornamenti all’intorno, Ius Patronato delli Munni (Mundo N.d.S.), il secondo di nostra Signora della Concezione, Ius Patronato della famiglia Doghi (Drogo N.d.S.); in testa poi di detta nave vi è altro altare risaldato di nostra Signora del Rosario, con suo frontespizio e cona di stucco, con nicchia in mezzo e statua di nostra Signora di rilievo al naturale con Puttin in braccia, ed in tempo di festività si trasporta processionalmente per il paese il suddetto altare, vedesi racchiuso da balaustra di legname. In testa della prima (navata) da tre scalini di legname alla Paolina ben dipinto con sua custodia anche di legname, intagliata ed indorata con Cornu Evangeli, vi sta l’organo di cinque registri, ed il medesimo serve anche per pulpito in Cornu Epistolae, stavvi uno stipo di legno nel quale conservasi statua di legno di mezzo busto di S. Alessandro titolare della Chiesa, e nel principio della prima nave, vedesi anche il Fonte Battesimale, due Confessionili, e la fonte per l’acqua benedetta. Dietro all’altare maggiore vi sta situato il Coro ove officiano i Sacerdoti con sedili, e spalliere di legname di buon compartimento, ed a fianco vi è Sacrestia con stipi di legno, che servono anche da banconi, ove si vestono i Sacerdoti, e vi si conservano li suppellettili, e dalla medesima si ha anche la salita nel Campanile, in cui vi sono due Campane di buona grandezza ". Questa struttura ricalca quella della fondazione e si conserverà ancora per qualche anno; successivamente, con inizio verso la metà del XVIII secolo e con l’apporto finanziario di tutto il paese ed in particolare di alcune famiglie (Adduci, Angiò, Chidichimo, Covelli, Napoli, Rossi), come si rileva da una lettera (Arch. Storico Com.le di Alessandria del Carretto), del gennaio 1831, inviata dal Parroco al Soprintendente, viene costruita la terza navata, quella orientale o di S. Pasquale come è conosciuta dagli alessandrini. La Chiesa era di patronato del Principe ma veniva mantenuta dall’Università (come allora si chiamavano i Comuni), anche perché il fondatore non l’aveva dotata di alcunché, come si è già detto; ecco, a tal proposito, cosa riporta lo "stato discusso" ( grosso modo il conto consuntivo) del 7 novembre 1742 : "Al Rev.do Sagristano d.ti 8. Al Rev.do Clero per servizio prestato alla Chiesa per le Messe d.ti 19. Al Rev.do P. Predicatore d.ti 17. Per cera al S. Sepolcro e alla Chiesa d.ti 10. Oglio per le lampade d.ti 9. Per li Confessionili in Chiesa, Campane, e Candelieri, e vestimenti sacri d.ti 30 ". Il Principe nominava il Parroco, al quale corrispondeva 12 ducati all’anno (20, secondo la Relazione del Tavolario Vecchione) e tutto questo fino alla eversione della feudalità, quando la chiesa diventa di patronato comunale. Nella sua storia ebbe più volte bisogno di interventi di restauro e sul finire del 1700, cioè, grosso modo, nello stesso periodo della costruzione della terza navata, la comunità alessandrina si vedeva costretta a rivolgersi al Tribunale del S.C. affinché il Principe provvedesse alle opere di restauro. Il Tribunale del S.C., per mezzo del suo Consigliere Commissario Marchese Ippolito Porcinari, invitava il Principe Pignone del Carretto ad eseguire le necessarie opere per renderla sicura. Gli alessandrini ritenendo detti lavori, necessari e urgenti li iniziavano a loro spese e nello stesso tempo denunciavano il feudatario nuovamente per ottenere giustizia; passano gli anni ma non finisce nel modo da loro desiderato, infatti, tra cavilli giudiziari e rinvii vari, si giunge al 1809, all’abolizione della feudalità. La "Commissione Feudale" con propria sentenza, datata 15 maggio 1810, risolve la vertenza ritenendo il Principe non più proprietario, infatti la chiesa diventa di proprietà comunale, e quindi il feudatario non ha più impegni verso la chiesa e i cittadini di Alessandria. Nel 1823, il Comune e il parroco dell’epoca, D. Leonardo Rago, si vedevano costretti a scrivere al Ministro degli Interni per chiedere di poter utilizzare il materiale, preparato per il costruendo cimitero, per le necessarie riparazioni del sacro edificio. E’ del 1830, invece, la decisione dell’amministrazione comunale di destinare 44 ducati per i lavori di riparazione del tetto. Più tardi, grazie ad un lascito di D. Leonardo Rago (100 ducati), il comune autorizzato dal Ministero degli interni (decreti: N° 811, datato Napoli 27 marzo 1832 e N° 4231 datato, Napoli 12 settembre 1837) avviava altri lavori di restauro (ecco cosa aveva disposto D. Leonardo, al 1° punto, del suo testamento olografo: "Sia tenuto erogare per l’Anima mia ducati cento (D 100) cioè, ducati venti per la rifazione della Cappella del Carmine: altri ducati venti per la rifazione della Cappella di S. Antonio di Padova, site amendue dentro questa Matrice Chiesa: altri ducati sessanta per la rifazione di questa stessa Chiesa, e propriamente di quei luoghi, ove vi sarà più di bisogno, e ciò fra lo spazio di un anno, dopocchè sarà seguita la mia morte"). Il primo campanile, che nella descrizione del Vecchione risulta sopra la Sagrestia, era, forse, di legno (in una delibera comunale del 16 ottobre 1825 si stanziano 6 ducati per la riparazione della scala e del soppalco). Per potervi sistemare un nuovo orologio nasce l’idea di costruire un campanile in muratura, cosa che verrà portato a termine nel 1832, come ci è dato di leggere su due mattoni murati, uno all’esterno e l’altro all’interno, sul campanile stesso. Altri restauri vennero avviati da D. Alessandro Napoli (u prievetë i cinchicientë) tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX. A lui si deve il rifacimento del tetto e della volta della navata centrale (dipinta da un pittore locale: Rocco Adduci). Nel 1926/27, su iniziativa di D. Carmelo Fiordalisi, con fondi del Vaticano e degli Alessandrini residenti in Chicago, viene costruita la canonica (sull'ingresso era visibile, fino a qualche anno fa, lo stemma di Papa Pio XI). Gli alessandrini emigrati in Chicago intervengono finanziariamente altre due volte destinando fondi per il restauro della chiesa: nel 1951, per il restauro della navata della Madonna del Rosario; nel 1958, anche a seguito del viaggio di D. Giuseppe Chidichimo negli Stati Uniti, vengono raccolti fondi che saranno utilizzati per "restaurare " il resto della chiesa. E’ proprio durante questi ultimi restauri che viene eliminato il pulpito, molto probabilmente, di fine ‘700. I lavori svolti in questo intervento sono, per le moderne vedute, discutibili; infatti oltre alla eliminazione del suddetto pulpito, viene rinnovato anche la pittura delle pareti, facendo scomparire la vecchia pitturazione; il pavimento che andava rifatto secondo quanto già si sapeva dalla relazione Vecchione, viene invece realizzato con antiestetici mattoni di cemento. I restauri avviati in questi ultimi anni stanno cercando di riportare l'edificio sacro all'aspetto che aveva.


    Edited by Simona s - 7/10/2013, 11:19
     
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