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Memorie - Il sangue calabrese a Cefalonia

Seconda Guerra Mondiale

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  1. Isabel
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    Memorie - Il sangue calabrese a Cefalonia


    cefalonia

    di Anna Foti - Disobbedire per onorare la Patria. Una guerra dentro la Guerra quella che nel settembre 1943 frantumò la Trentatreesima Divisione Aqui, una della grandi Unità del Regio esercito nella Seconda Guerra Mondiale durante l’eccidio di Cefalonia, al largo della Grecia, compiuto dall’esercito Tedesco. Appena firmato l’Armistizio tra Italia e forze Angloamericane a Cassibile, l’Otto settembre dello stesso anno, migliaia furono i soldati italiani, tra questi molti calabresi, vittime di fucilazioni, rappresaglie, deportazioni ed internamenti, in balia degli ex alleati Tedeschi che, con una violenza inaudita, riempirono il vuoto di ordini confusi e contraddittori della madrepatria Italiana.

    La divisione Aqui a Cefalonia, 10.000 uomini comandati dal generale veneto Gandin alle dipendenze dell’11° armata per presidiare le isole Ionie (tra Corfù e Cefalonia), e dunque con mansioni di vigilanza e controllo su golfo di Corinto e mar Egeo, compatta, nonostante la resa incondizionata, non cedette al ricatto degli ex alleati e continuò a ‘resistere’ in forma autonoma ed organizzata, combattendo contro coloro al fianco dei quali aveva combattuto negli ultimi tre anni e che adesso invadevano il suolo italiano. Difesero così ad oltranza la Patria e l’onore vilipeso. Un tracollo annunciato ma inevitabile, data la scelta di non cedere al ricatto di resa imposto dai Tedeschi e nonostante l’’abbandono’ della madrepatria. Ordini confusi, nessuna possibilità di movimento, richieste di soccorsi ignorate. Quindi la scelta, tra cedere o combattere, nonostante l’annuncio, falsario di Libertà, della fine della Guerra. Una superiorità numerica Italiana che miseramente naufragò sotto il peso dell’artiglieria tedesca a Cefalonia.

    E’ ugualmente battaglia durissima fino dall’epilogo drammatico. Oltre mille in caduti in combattimento poi la strage con diverse migliaia (alcune fonti parlano di 5000) negli ultimi giorni fino al 24 settembre 1943. Di fatto condanne a morte senza processo per i traditori Italiani, un tempo alleati, che avevano osato resistere e far tuonare senza sosta i cannoni. Duemila persone furono deportate.Tremila sarebbero addirittura affogate, per l’esplosione di mine, a bordo dei piroscafi diretti ai lager tedeschi.Tante le storie calabresi che si intrecciano in questa Grande Storia. Una storia di tale Resistenza che Carlo Azeglio Ciampi, da presidente della Repubblica, ebbe a definire Cefalonia come luogo in cui nacque l’Italia Repubblicana. Tra queste storie, quella scritta proprio il 24 settembre 1943, in piena sanguinaria vendetta nazista. Vendetta che travolse anche l’ingegnere appassionato di musica, Giuseppe Di Giacomo, Capitano d’Artiglieria originario di Cassano allo Jonio in provincia di Cosenza, al comando dei più anziani, noti come ‘ i vecchioni’ della Divisione Aqui di stanza a Cefalonia.

    Coraggioso, sorridente e gioioso anche in quella isola, futuro teatro di un massacro. La sua storia di fedeltà alla Patria, pur se nella lucida disobbedienza ad un ordine di resa, è raccontata da Vincenzo De Luca, altro combattente di Cassano, sopravvissuto all’eccidio e che riferisce che il pomeriggio del 23 settembre 1943, il capitano Di Giacomo rifiutò di fuggire, scegliendo il martirio alla “Casetta Rossa”. Il capitano calabrese lasciò al futuro che non avrebbe vissuto la nascita della sua piccola Adele, che non avrebbe conosciuto. La moglie, la professoressa Carmelina Arcieri, vedova Di Giacomo, scrive con delicatezza e commozione di un ciclamino sbocciato giunto per Adele dalla Grecia, proprio da quella terra martoriata dalla quale suo papà, da uomo libero, non fece mai ritorno.

    Una vita strappata a quella cieca violenza, ma solo per pochi altri mesi, fu quella di Salvatore Carrozza, originario di San Martino di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria cui non avrebbe fatto più ritorno. Dopo avere combattuto, resistendo all’ordine di arrendersi, in Cefalonia, sarebbe stato trucidato dai Nazisti il 18 aprile 1944 a Parma, gridando in punto di morte: ‘L’Italia Vivrà’. Ritornerà invece, l’allora ventenne Giuseppe Licopoli che in seguito testimoniò la brutalità di quella pagina di storia in Grecia ma anche la necessità irrinunciabile di resistere ad ogni tentativo di asservimento a difesa di Patria, Giustizia e Libertà.

    Tra i sopravvissuti a Cefalonia vi è anche il catanzarese Antonio Canino assegnato alla divisione Aqui, precisamente al 110° Battaglione mitraglieri in cui erano presenti anche altri calabresi (Bevilacqua di Catanzaro Lido, Furfura di Nicastro, Vito Simonetta di Francavilla Angitola, Raffaele Serrao). Una guerra dentro la Guerra in un angolo di mondo immerso nel mare, dove altro sangue è stato sparso dopo quello di un migliaio di greci, di cui 300 spartani guidati da Leonida, che caddero eroicamente combattendo contro i persiani nel 480 a.C.

    Edited by Simona s - 2/8/2013, 12:08
     
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