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Aree archeologiche della città di Krotone

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  1. Isabel
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    Aree archeologiche della città di Krotone

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    - Fonte -

    L'impianto urbano di Crotone si sviluppò a partire dalla metà del VII sec. a.C., organizzando, in modo razionale ed in funzione della caratteristiche geo-morfologiche e idrografiche , le esperienze maturate a seguito di organiche divisioni delle superfici di terreno e delimitazioni dei lotti klèroi ) in parte assegnati ai coloni e in parte destinati alle parti comuni e al sacro, nel corso della prima generazione coloniale (fine VIII-metà del VII sec. a.C.). L'abitato presentava precise scansioni geometriche, generate dall'intersezione perpendicolare di stenopoi (strade larghe da mt. 4.80 a mt. 5.00) e plateiai (larghe circa mt. 9.00) che seguivano in linea di massima la linea naturale di pendenza, per favorire il deflusso e il drenaggio delle acque, e perfezionavano e allungavano nel loro impianto definitivo gli assi viari che in modo semplice ed embrionale erano stati tracciati al momento del primo insediamento.

    Data la particolare conformazione del territorio su cui sorse la città il tessuto urbano fu articolato secondo tre grandi partizioni.

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    • La prima, comprendente l'acropoli (la medievale Cotrone ) e i settori dall'attuale piazza Pitagora fino all'Ospedale, aveva orientamento N-S.
    • La seconda, dal Campo Sportivo al fiume Esaro, era divergente di 30° ad Est.
    • La terza, infine, dal fiume Esaro alla contrada Vela e fin quasi il torrente Passovecchio, costituita da un ampio spazio pianeggiante (parco Montedison e Vigna Galluccio) con piccoli rilievi ai bordi (collina della Batteria), era divergente di 60° ad Est.

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    Grazie alle numerosissime esplorazioni stratigrafiche e geofisiche compiute negli ultimi decenni del XX secolo e all'inizio del XXI secolo è stato possibile in linea di massima delineare come si sviluppò e si perfezionò nei secoli l'impianto geometrico, razionale e funzionale Il raggiungimento in numerosi saggi urbani degli strati di frequentazione più antichi, dall'ultimo quarto dell'VIII sec. a. C. alla prima metà del VII sec. a. C., ha fornito importanti dati sull'occupazione intensa di buona parte dell'area che sarà della polis tardo-arcaica, classica ed ellenistica. Tuttavia, in mancanza di dati precisi sulle modalità di insediamento e sulla tipologia delle abitazioni fino alla metà del VII sec. a. C. (a questo periodo infatti risalgono i primi resti murari noti) si possono formulare solo caute ipotesi, cercando di cogliere gli elementi fondamentali dell'organizzazione dello spazio urbano per questo periodo così antico. Sembra infatti di ravvisare una primitiva ripartizione geometrica, costituita dai nuclei di kleroi - adattati alla morfologia del territorio - e dagli assi stradali, già delineati nelle loro fondamentali direzioni verso le aree libere retrostanti, verso cui furono progressivamente allungati.

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    In base alle testimonianze archeologiche, il piano regolatore, tracciato precedentemente nelle sue linee essenziali, solo verso la fine del VII e l'inizio del VI sec. a. C. si consolida e si definisce sempre più. Percepiamo così la dinamicità politica e sociale della città in crescita che, proprio per la sua voglia di affermazione, in questo periodo si spinge ulteriormente nella chora e cerca alleanze o muove guerra ad altre comunità greche. Alla luce delle attuali ricerche, invece, non è possibile avere un quadro urbanistico e monumentale abbastanza chiaro della città tra VI e il V sec. a. C., pur essendo un periodo denso di avvenimenti durante il quale la città conobbe alti e bassi: le guerre intorno alla metà del VI sec. a. C. contro Siris - da cui ne uscì vittoriosa - e la rovinosa guerra contro Locri, l'arrivo di Pitagora e la guerra vittoriosa contro Sibari con l'annessione del suo territorio, le sedizioni - che tra l'altro portarono alla cacciata del filosofo e arrecarono anche danni ai monumenti cittadini.

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    Ci sfuggono le localizzazioni di aree sacre e pubbliche e di monumenti di cui rimane un'eco nelle fonti, come il tempio di Eracle e quello delle Muse, costruito su consiglio di Pitagora; il Ginnasio in cui insegnava lo stesso Pitagora; l' ekklesiasterion per l'amministrazione della polis ; la grande sala per riunioni costruita dai duemila seguaci del filosofo. Ma anche di monumenti che certo non potevano mancare in una città greca quali il teatro e lo stadio. Non si hanno, inoltre, dati a sufficienza sulle abitazioni private, per la difficoltà di investigare queste fasi, per la sovrapposizione ad esse delle strutture più recenti.

    Per il V sec.a.C. possiamo farci un'idea indiretta sulla sontuosità e la monumentalità di alcuni edifici pubblici e sacri all'interno della cinta muraria solo grazie al reimpiego negli edifici di IV e III sec. a. C. di blocchi di arenaria squadrati, con anathyroseis accurate, e altri frammenti architettonici in pietra (rocchi di colonne, frammenti di capitelli dorici ecc.) e talvolta in terracotta (frammenti di rivestimenti policromi come quelli da via XXV Aprile/cantiere Foti II). Il tutto testimonia l'esistenza a Crotone in quel periodo di maestranze altamente specializzate.

    Nel IV sec. a.C. l'impianto urbanistico precedente, rispettato nei suoi lineamenti essenziali, assume una distribuzione per strigas . Alla luce delle attuali scoperte non si conoscono le dimensioni precise per una ricostruzione dell'isolato tipo. Tuttavia, sulla base di alcuni dati di scavo e in riferimento a calcoli parziali, è possibile ricostruire almeno la misura dei fronti delle insulae (mt. 35 area Gravina, B.P.C...; però mt.40 nell'area ex-Montedison secondo le prospezioni geofisiche) in senso Nord-Ovest/Sud-Est e di mt. 70.50 in senso Nord-Est/Sud-Ovest, sulla base di unità abitative di circa mt. 17 x 23.00 (area Gravina, area Via Tedeschi, cantiere Ospedale, B.P.C.), separate da stretti ambitus variabili (da mt. 0.90 a 1.10) La misura di mt. 35, ripetuta quattro volte,a cui si sommano gli spazi di due strade di circa mt. 5, è quella che più si avvicina alla distanza di mt. 160.00 verificata tra i due stenopoi individuati in Via Tedeschi/cantiere Messinetti e Via Firenze.

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    Le verifiche di questi ultimi anni, infine, hanno permesso di verificare anche che nella seconda metà del IV sec. a.C. in alcuni settori cittadini sono state variate leggermente la larghezza degli stenopoi (da 5 mt a poco più di 4 mt, come per es. in via XXV Aprile e al Fondo Gesù) e in alcuni casi anche l'orientamento delle strutture, soprattutto nel secondo blocco urbanistico (da +30° a circa +40°, come per es. sempre al Fondo Gesù, proprietà Romano). Inoltre, si assistito talvolta alla chiusura delle strade con muri trasversali, soprattutto nei settori più prossimi alla linea di costa, come ad esempio in via XXV Aprile prop. Foti. Fino al secondo decennio del III sec. a. C. la città mantiene l'estensione dei secoli precedenti, ma alla fine della guerra tra i Romani e Pirro Crotone, per la strage fatta dei suoi cittadini, si contrase, tanto che lo storico romano Tito Livio (24, 3) ci informa che il fiume Esaro, che prima attraversava la città, ora resta al di fuori a lambire la parte abitata. L'inesorabile decadenza della polis greca è ormai compiuta e bisognerà aspettare l'epoca romana per un ripopolamento della città, ormai ridotta alla sola collina del Castello.


    Le aree pubbliche

    Le difficoltà di compiere indagini mirate e programmate all'interno della cinta muraria antica, per il sovrapporsi della città moderna, non hanno permesso finora di sciogliere alcuni nodi fondamentali circa l'organizzazione urbana di età greca. Il nodo più importante da sciogliere è quello della localizzazione della piazza pubblica, l'agorà (ricordata da Diod ., 12, 9, 3 e 21, 4), intorno a cui ruotano altre problematiche, quali la presenza o meno di alcune tipologie edilizie amministrative (come il bouleuterion e il pritaneo), la collocazione di importanti santuari urbani, l'esistenza di altri monumenti che certo a Crotone potevano mancare. Le indagini condotte in più occasioni intorno all'area dello stadio e soprattutto di fronte ad esso (area “delle Cooperative”) hanno permesso di identificare tra le vie XXV Aprile, M. Nicoletta e Di Vittorio, laddove sorsero vari complessi edilizi residenziali (coop. Pertusola, S. Cristoforo, Uranio e Di Vittorio, su una superficie di circa mq 16.000) un grande spazio vuoto, caratterizzato da varie maglie di battuti, pressati, sovrapposti e talvolta intersecantesi tra loro. Una serie di problemi ha impedito il prosieguo di indagini nell'area, compresa, a N e a S tra due lunghi e poco massicci muri costruiti anche con materiali di reimpiego e si è appurato che complesso è databile essenzialmente alla metà del IV secolo a.C.

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    Nell'area, centrale nell'ambito della polis, sono stati individuati due vespai di fondazione (larghi circa m 2.10) congiunti ad angolo retto, databili alla seconda metà del V sec. a.C.. Quasi sicuramente si tratta dei resti dei livelli di sottofondazione di un edificio di riguardo, forse un tempio, caduto in disuso verso la metà del IV secolo. Ugualmente si segnalano blocchi a formare 2 basi (area S. Cristoforo) e i resti di una stoà a circa 200 m dalle basi medesime (10 basi quadrangolari nell'area Di Vittorio). Pertanto qui doveva collocarsi l'agorà dei Crotoniati, in cui le fonti ricordano l'esistenza di altari dove cercarono rifugio i supplici esuli di Sibari (Diod., 12, 9, 3). Un ulteriore conferma in tal senso verrebbe dai resti di una stoà - a due ordini sovrapposti (dorico e ionico), con colonne in calcarenite stuccata, e con gronde leonine di terracotta - chiusa verso lo stenopos ed aperta verso uno spazio in cui era un piccolo basamento in blocchi di pietra.

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    Essa è stata rinvenuta sul finire del XX secolo nel corso dei lavori di costruzione della curva nord dello stadio ed è stata provvisoriamente interrata.




    Le aree sacre

    Fino ad oggi nei settori urbani esplorati all'interno della cinta muraria non sono stati rinvenuti resti sicuramente attribuibili ad edifici sacri, con la sola eccezione dell'area dell'ex Banca d'Italia, dove si rinvennero resti databili tra V e IV sec. a.C. Gli elementi architettonici pertinenti al sacro recuperati in vari cantieri cittadini, invece, se da un lato ci fanno conoscere il livello qualitativo raggiunto dagli edifici soprattutto nel V secolo, dall'altro offrono pochi elementi per contestualizzare con certezza le aree di provenienza dei materiali, reimpiegati nelle fasi successive anche a notevole distanza dal luogo di messa in opera originaria.

    Tra i manufatti architettonici in pietra (rocchi di colonne, frammenti di capitelli, parti di trabeazioni doriche, blocchi accuratamente lavorati…) e terracotta (lastre decorate di sime-grondaie, antefisse..) si segnalano quelli dai cantiere via Tedeschi, B.P.C. ed ex-Banca d'Italia (I blocco urbanistico), da via XXV Aprile e da Fondo Gesù (II blocco urbanistico), dall'area del parco Montedison e dallo scolmatore (III blocco urbanistico).

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    Ad essi si aggiungono altri generi di manufatti: un'ara (dal cantiere di via Tedeschi) ed una testa di marmo (priva purtroppo del volto) appartenente ad un acrolito (dal cantiere via Tedeschi), piccoli scarichi di microceramica votiva e una testa di kouros in terracotta nella zona tra via Tedeschi via Firenze.

    Tutti gli indizi a disposizione mostrano il grande fervore che deve aver investito Crotone dopo l'arrivo di Pitagora, con la formazione in loco di abili maestranze ed artisti per la lavorazione della pietra, ma anche del marmo (si pensi allo scultore crotoniate Dameas, che scolpì la statua d Milone per Olimpia) e dei metalli. Ai dati archeologici fa eco poi la documentazione letteraria che ci ricorda, tra l'altro, che Pitagora volle un tempio alle Muse. Ma di esso al momento, non vi è traccia, come del tempio urbano di Apollo ( Ps. Arist ., Mir , 115) e della casa di una figlia di Pitagora trasformata in uno hieron di Demetra ( Tim ., FGrHist 566 F131 ap . Porph ., V .Pith ., 4).

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    Subito fuori le mura, invece, sorgeva il santuario esplorato in loc. Vigna Nuova sul fianco di una collinae identificato come Heraion. Esso ruotava intorno all'edificio sacro, costruito nel VI sec.a. C. e strutturato come aula rettangolare con fondazioni di scaglie di pietra ed elevato in mattoni crudi, legno e terracotta per la copertura. Nel primo venticinquennio del V sec. a.C. fu aggiunto un vestibolo sul lato sud ovest e furono ricostruiti alcuni muri perimetrali.

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    Ulteriori ristrutturazioni furono eseguite nel IV sec. a.C. All'interno dell'aula trovava posto un basamento quadrato, in blocchi di arenaria, forse per il simulacro della dea o per altra destinazione rituale. Il santuario si segnala per la quantità e la qualità degli ex-voto rinvenuti, ma soprattutto per le varie tipologie di catene, ceppi e collari in ferro per gli schiavi ed attrezzi da lavoro. Ma il principale e più rinomato santuario di Crotone è quello extra-urbano di Hera Lacinia sul promontorio lacinio, oggi Capo Colonna, il più famoso santuario della Magna Grecia che, come scriveva lo storico romano Tito Livio (XXIV, 3, 3-7), «era… più famoso della città stessa… venerato da tutti i popoli circostanti… celebre non solo per il suo carattere sacro ma anche per le sue ricchezze», mentre il greco Strabone (Geografia VI, I, 11) tra I sec. a.C. e I sec. d.C. affermava che il santuario era «un tempo ricchissimo e pieno di oggetti offerti in dono alla dea». Altri importanti santuari della chora crotoniate, infine, sono quelli in loc. S. Anna di Cutro e quello di loc. Giammiglione, posti entrambi su direttrici stradali che dalla chora conducevano in città.

    Materiali da Vigna Nuova

    Alla fase di VI secolo rimandano alcuni pregevoli ex-voto metallici quali gli specchi con decorazione a linguetta e doppia treccia, patere umbilicate di bronzo, frammenti di imbracciature di scudi, utensili in ferro e soprattutto un'eccezionale ansa di oinochoe di bronzo modellata a forma di giovanetto (kouros) che afferra due leoni, posti simmetricamente ai lati della sua testa, per la coda. Inoltre rimangono pochi ma significativi frammenti delle decorazioni di terracotta dell'edificio sacro. Più ricco di ex-voto appare lo scorcio finale del VI secolo e i primi decenni del V. In particolare predominano, per quantità, attrezzi agricoli ed altri oggetti in ferro, ceppi per i piedi, catene, collari, c.d chiavi di tempio. Alcuni di essi erano contenuti in un calderone di bronzo La rottura o deformazione intenzionale di ceppi e collari, che rimanda al carattere “liberatorio” della divinità qui venerata (Hera Eleutheria , cioè liberatrice), ha fatto ipotizzare che gli oggetti siano stati dedicati dagli schiavi sibariti, liberati dal tiranno Clinia intorno al 480-470 a.C. Ancora di bronzo erano poi alcuni puntali che costituivano il rinforzo della parte terminale dell'asta di lance e il cui valore storico è incrementato dalle iscrizioni in alfabeto acheo che ci informano su coloro che fecero la dedica alla divinità del santuario, Hera: si tratta di Aqanthropos figlio di Teognis e Aischylos figlio di Echestenes.

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    Più corsivi e di minor pregio appaiono infine gli ex-voto di IV e III secolo a.C., essenzialmente ceramiche a vernice nera, ma anche lucerne e pesi da telaio. Non mancano comunque doni preziosi come tre monete d'argento emesse dalla zecca di Crotone, uno statere con la testa di Hera ed Eracle e due trioboli con Atena ed Eracle.

    Il Santuario di S. Anna di Cutro

    Sorto intorno al VII secolo a.C. a sud di Crotone, fu uno dei santuari più antichi del territorio crotoniate, frequentato fino al III secolo. Posto in un punto di passaggio obbligato per accedere all'altopiano del Marchesato, sorgeva in un luogo particolarmente fertile e perciò adatto all'agricoltura. Di esso rimane una importante serie di terrecotte di rivestimento policrome, in parte ricostruite e riproposte nel Museo.

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    Le ricche stipi votive, indagate nel corso delle ricerche, hanno permesso invece di recuperare ex-voto di vario genere (coroplastica, vasellame e oggetti in metallo). Tra le numerosissime statuette, oltre ai frammenti delle lampade cothon del tipo “Sele” (metà del VI secolo), fanno bella mostra un cospicuo gruppo di esemplari di Potnia theron (signora degli animali), statuette femminili con caratteristico copricapo svasato, il polos , riccamente abbigliate, e testine femminili con una particolare acconciatura (VI secolo a.C.). I materiali denotano l'influenza in loco di produzioni magnogreche e greco-orientali, note anche a Sibari, Metaponto, Posidionia, Policoro e Taranto. Tra il V e il IV sec. a.C., la continuità di culto è attestata dal diffondersi di nuove correnti stilistiche che risentono degli influssi ionici.

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    Pochi, ma di qualità, appaiono i reperti metallici, tra i quali si segnala una lamina d'oro decorata a sbalzo e un massiccio anello d'argento.




    Il territorio Nord e Sud. Santuari ed insediamenti

    Nel mondo antico la polis è un insieme complesso di rapporti tra la città strutturata e pianificata, con mura, monumenti pubblici, aree produttive ed abitazioni private, e il territorio circostante, ampio molti kmq, che costituisce una solida base economica per la città, con le sue produzioni agricole e i prodotti dell'allevamento, integrati dalla silvicoltura nelle zone montuose, che forniscono legname per tutti gli usi (domestico, edilizio, per la marineria) e risorse minerarie.

    Indagini estensive di superficie (survey) e ricerche archeologiche mirate, anche a seguito di importanti segnalazioni, stanno permettendo di delineare gradualmente l'organizzazione del territorio (chora) a N e a S della città, con forme di insediamenti di diversa estensione e santuari rurali, inseriti, soprattutto nella chora meridionale, in una maglia geometrica di partizione territoriale, oggi divisa ricadente in vari comuni della provincia di Crotone (Crotone, Cutro, Isola di Capo Rizzuto). Partendo dal territorio settentrionale (escludendo però l'area di Krimisa e il tempio di Apollo Aleo) si ricordano alcune località. A Nord del fiume Neto, presso il suo affluente Vitravo, spiccano i due insediamenti di Makalla e di Petelia-Strongoli, di una certa entità, che ben documentano il rapporto nel corso dei secoli tra popolazioni locali (nel tempo genti enotrie, Lucani, Brettii) e Greci, fino all'arrivo dei Romani.

    Makalla, città fondata da Filottete, è da localizzare nell'area delle Murge di Strongoli (De la Genière-Sabbione), un'altura difesa da strapiombi invalicabili. I reperti attestano contatti con i Greci, già dal VII secolo e un'intensa frequentazione fino a tutto il V secolo, con un'area sacra posta sulla sommità. Un migliore assetto urbanistico con edificazione della cinta muraria ebbe il centro nel corso del IV sec. a.C., in rapporto con l'occupazione brettia. L'abitato comunque fu distrutto violentemente alla fine del III sec. a.C., nel corso di avvenimenti legati alla presenza di Annibale nell'area nel corso della II guerra punica.

    Strongoli - Petelia, ricca di storia e dall'ingente patrimonio archeologico, prima centro lucano, fu metropoli dei Brettii (dal IV secolo a.C.) fortemente ellenizzata. Filoromana al tempo della seconda guerra punica, fu assediata e distrutta (così le fonti) da Annibale, nonostante fosse naturalmente difesa da ogni parte. Della città, indagata in modo non sistematico per la sovrapposizione del centro medievale e moderno su quello antico, si conoscono e restano poche tracce sia del periodo brettio che romano (scavi in vari settori delle Pianette, corso Miraglia, vecchio campo sportivo, via della Salute, cimitero vecchio e Vigna del Principe), ma sufficienti per evidenziare la floridezza che acquistò soprattutto in età romana (presenza di un foro con statue di maggiorenti locali della famiglia dei Megonii, iscrizioni, materiale architettonico). Alcuni significativi reperti esposti nel Museo di Crotone documentano la vitalità del centro prima dei Lucani e sotto gli italici. Quanto alla fase romana imperiale di particolare interesse sono alcuni corredi ed alcune iscrizioni funerarie dalla necropoli di località Fondo Castello. Tra le iscrizioni, spesso incise su stele sormontata da un disco liscio (columella), la più importante per conoscere alcuni aspetti della vita quotidiana e gli usi di Petelia romana è quella di Celadione, che, con un testo testo bilingue, latino e greco, ci fa conoscere le generalità del morto e l'esistenza di un collegio di pantomimi in città.

    Zinga, frazione di Casabona, con un piccolo luogo di culto rurale presso una sorgente ed un affioramento di salgemma, che ha restituito reperti di IV e III secolo (terrecotte votive, statuette femminili, bruciaprofumi, vasellame a figure rosse)

    Prebenda di Scandale, con un sito a destinazione cultuale, caratterizzato da statuette di vario genere e i resti di una statua in terracotta con schiniere, vestita di un corto mantello.

    Serrarossa di Roccabernarda, lungo il fiume Tacina, da cui proviene un rilievo di terracotta, forse un'antefissa, con testa maschile imberbe di profilo (Dioniso?) della fine V-inizi IV secolo a.C. ed una matrice per teste maschili barbate, forse relativa ai Brettii, della fine del IV- inizi del III sec. a.C.

    Le località di Timpone del Gigante di Cotronei e di Le Castella di Isola Capo Rizzuto, invece, rivestono un carattere particolare nell'organizzazione del territorio, per la presenza di importanti fortificazioni (phrouria). La prima è posta su un altipiano, a ovest di Crotone, punto di snodo verso la Sila interna e la valle del Crati. Sul luogo inoltre sorgeva un santuario ‘di confine' una zona franca per scambi commerciali tra le genti greche e le popolazioni locali, da cui provengono contenitori per unguenti (alabastroi, lekythoi, aryballoi ), ceramica corinzia e ionica e microceramica (VII-VI secolo). La seconda, all'estremo sud della Crotoniatide, su una penisoletta che si protende nel mare, conserva sotto la fortificazione angioina, aragonese e viceregnale cospicui resti della fortificazione greca di IV-III secolo a.C., a controllo dell'approdo naturale. Dal sito, frequentato per la sua valenza strategica dalla prei-protostoria all'età moderna, provengono ceramiche neolitiche e dell'Età del Bronzo, greche (frammenti di ceramiche di Gnathia a vernice nera, del III secolo), resti delle stoviglie invetriate, collane e bottoni in osso dal basso Medioevo all'Età Moderna (XIV – XV secolo d.C.).

    Riguardo allo sfruttamento agricolo del territorio sud, soprattutto nel comune di Isola Capo Rizzuto, ma anche di Crotone e Cutro, importanti ricerche di missioni americane ed italiane negli anni '80 e '90 del XX secolo hanno dimostrato la floridezza di questa parte del territorio, frequentato ed organizzato razionalmente almeno dal VI sec. a.C. e fino al IV secolo a.C.. Ricognizioni di superficie (survey) e scavi di varia estensione hanno documentato in modo egregio la divisione agraria del territorio in età greca, portando alla luce resti di fattorie e di gruppi di sepolture in relazione all'abitato sparso. Le sepolture di località Ronzino, di V secolo a.C., hanno restituito corredi (oggi al Museo Nazionale di Crotone) che per composizione e qualità dei manufatti trovano ampi e precisi confronti nella grande necropoli cittadina della Carrara, come la serie di strigli in ferro e in bronzo, le lekythoi attiche a figure rosse e a vernice nera, un poppatoio a vernice nera.





    Le Mura

    Crotone ebbe una lunga e poderosa cinta muraria, nota dalle fonti antiche, ma di cui ben poco, al momento, è visibile o conservato per le vicissitudini subite nel corso dei secoli. Da Diodoro Siculo (XXI, 4), che descrive l'assedio "da mare a mare" del siracusano Agatocle nel 295 a.C., emerge un quadro realisticamente forte della città e della cinta difensiva, che si snodava anche lungo la costa, a protezione da sbarchi nemici, ed intorno alla roccaforte (acropoli, arx ) costituita dalla rupe su cui si sviluppò l'abitato dall'età romana a tutta l'età moderna (attuale centro storico).

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    Tito Livio (XXIV 3, 1), parlando del passaggio dalla polis achea di Pirro, intorno al primo quarto del III sec. a.C., scriveva che la città era interamente fortificata e che le mura si snodavano per XII miglia (circa 18 km), con un'arx che dominava il territorio circostante.

    Dunque dai dati a disposizione si può percepire l'impegno profuso dai Crotoniate per difendere un'area vasta - non tutta urbanizzata però - di circa 620 ettari, come stanno dimostrando le ricerche archeologiche, soprattutto a partire dagli ultimi decenni del XX, svelando il vero volto della città greca tra VIII e III sec. a.C. Il percorso delle mura fu studiato e proposto per la prima volta in modo organico dal Byvanck nel 1914, che operò una correzione ritenendo esagerata la misura liviana. Lo studioso ipotizzò che le difese si attestavano solo lungo l'acropoli e nelle area pianeggianti tra via Cutro e parte dell'area ex-Montedison, con due capisaldi sulle colline della Batteria e di Vigna Nuova.

    Scavi e ricerche eseguite per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria negli anni Settanta-Ottanta del XX secolo e in questi anni iniziali del XXI secolo hanno permesso agli studiosi (Sabbione, Spadea, Tréziny), sulla scorta di tratti conservati, di una lettura della morfologia delle zone colinari e di evidenze ‘negative', frutto di saccheggi e spoliazioni, soprattutto degli Spagnoli nel XVI secolo per il castello e le nuove mura di Cotrone, di delineare un percorso ampio ed articolato delle mura greche. Esse, costruite a più riprese, si snodavano lungo i crinali delle colline (S. Lucia, Carrara, Cimone Rapignese, Monte Viscovatello) e dei due rilievi già ricordati prima (Vigna Nuova e Batteria), con ampi tratti nelle piane alluvionali e lungo la costa, fino a comprendere l'acropoli a strapiombo su due insenature. Nei primi secoli di vita della colonia achea si deve pensare che le difese dell'abitato fossero discontinue e incentrate solo sulle sommità delle colline, già naturalmente difendibili, e su pochi punti di valenza strategica a dominio di vie di accesso. Solo in seguito, almeno dal V secolo a.C., si deve pensare ad un vasto e ambizioso progetto per costruire un sistema continuo di difesa, che aveva i suoi punti cardine nelle emergenze già ricordate.

    Dai tratti scoperti nell'area industriale e sulla collina di S. Lucia si conoscono le tecniche edilizie e la cronologia di alcuni rifacimenti, resi necessari dall'incalzare di vicende belliche che interessarono Crotone fino al III secolo a.C.

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    Un punto chiave della difesa era costituito dalla collina di S. Lucia la cui sommità (m 130 s.l.m.) fu regolarizzata ed integrata con imponenti opere murarie, creando uno spazio piano ma in forte pendenza, analogo a quelli noti in altre fortificazioni magnogreche (per es. Caulonia) e siceliote (il Castello Eurialo di Siracusa).

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    Le strutture superstiti suggeriscono, in via ipotetica,che alle parti in blocchi squadrati si aggiungessero strutture in mattoni crudi (come le mura di Gela, a Capo Soprano) e parti sommitali protette da tegole di terracotta. La presenza di blocchi di reimpiego fa avanzare l'ipotesi di una edificazione o rifacimento del complesso all'epoca dell'assedio dionigiana e riprese fino a dopo l'assedio di Agatocle. Di notevole importanza anche i tratti identificati nella collina di Vigna Nuova e nel collettore delle acque bianche della zona industriale del Papaniciaro, dove è stata rilevato un frammento poderoso con doppio paramento in opera quadrata e emplecton (pietrame frammentario) che può essere datato alla metà del IV secolo a.C alla stessa maniera della fortificazione della collina di S. Lucia.

    In base ai rilevamenti del Byvanck ed agli scavi effettuati dal 1975 ad oggi, si può completare la ricostruzione delle mura tardo-classiche ed ellenistiche, che dovevano risalire la collina della Batteria e ridiscendere, all'altezza dello stabilimento della Pertusola, verso il mare. Nel lato settentrionale la difesa doveva essere rafforzata forse con un fossato, se è così da intendere un'anomalia rilevata dalle sonde della Fondazione Lerici.



    La Necropoli

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    Nel mondo greco, fin dal periodo più antico, limitazioni di carattere sacrale separavano nettamente la "città dei vivi" (lo spazio diviso con santuari, aree pubbliche e aree produttive e abitazioni, che i seguito sarà cinto e meglio definito dalle mura urbiche) da quella "dei morti", destinata alla sepoltura dei membri della comunità politica. Anche a Crotone, fin dalla prima generazione coloniale, si impiantarono necropoli delle quali la più importante ( e al momento meglio indagata) è quella di località Carrara. Qui si seppellì per parecchi secoli, dall'inizio del VII almeno fino all'inizio del III, e il suo sviluppo nel tempo si intreccia con il problema del successivo passaggio in questo settore collinare di un tratto della cinta urbana, che nel tempo avrebbe incluso al suo interno sepolture più antiche. Gli scavi condotti negli ultimi decenni del secolo scorso e i primi anni del XXI in tre lotti di attività differenti (denominati Carrara I, II e III), hanno permesso di indagare un'area superiore a due ettari e di esplorare più di cinquecento tombe. Nel corso dell'intenso uso cemeteriale dell'area le sepolture furono disposte su più livelli (le più antiche sono le più profonde).

    Le tombe individuate presentano una ristretta tipologia e non sono presenti tombe monumentali architettoniche. Nella maggioranza dei casi si tratta di inumazioni dei morti, talvolta dentro casse di legno (lo provano i chiodi in ferro recuperati), custoditi da una sorta di cassa fatta con tegole piane (le stesse di quelle adoperate per l'edilizia) o con tegole piane disposte a formare, su una base piana, un a sorta di tetto a spiovente (tipologia alla cappuccina), sulle cui giunture sono sovente posti i coppi.

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    Alcune tegole di IV secolo a. C. presentano interessanti bolli (tripode e altri attributi, fanciullo sul delfino), utili anche per la storia economica e produttiva della città. Per i bambini oltre che la tipologia a cappuccina, sono attestate coperture con grandi coppi di colmo (kalypteres hegemones ) e vaschette di terracotta ed inoltre l'uso di vasi (piccoli pithos, anfore da trasporto o pentole) tagliati per il seppellimento detto enchytrismos.

    Dai pochi dati a emerge anche il ricorso all'incinerazione dei defunti, con le ceneri deposte vasi, ed infine la sepoltura di cadaveri in piena terra. Poco più della metà delle tombe indagate ha fornito interessanti elementi dei corredi che accompagnavano i defunti ed oggi esposti in parte nel Museo Nazionale.

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    All'esterno delle sepolture, invece, sono frequenti frammenti di grandi vasi, da interpretare, sull'esempio di Locri (secondo una felice ipotesi di P. Orsi) "come resti di vasi usati per i sacrifici sulla tomba ormai chiusa, oppure come epitymbia".


    Dalla scavo al Museo: la necropoli di località Carrara

    Nel Museo Nazionale di Crotone si presenta un'accurata selezione dei principali corredi tombali da contrada Carrara. Grazie ai manufatti in terracotta e metallici d'importazione e di produzione locale è possibile seguire lo sviluppo nel tempo della "città dei morti" sepolture e cogliere elementi importanti della "città dei vivi", quali commerci, produzioni e, sul piano spirituale, evoluzione del pensiero filosofico e religioso.

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    Tre vasi della classe di Thapsos, un cratere e due grandi coppe, e una fibula indigena rimandano alle vicende del primo impianto coloniale tra fine VIII e inizi del VII secolo a.C. Tra gli oggetti di corredo da tombe di VI secolo a.C. di particolare suggestione appaiono quelli della tomba 101: aryballoi in faïence di tradizione orientalizzante decorati da palmette a rilievo, anfore a figure nere, una statuetta di tipo greco-orientale dalla tomba 101 e vasi a figure nere. Accanto ad essi splendidi vasi integri o frammentari nella tecnica a figure nere, da sepolture inquadrabili ancora nel VI secolo, dimostrano da un lato l'arte superiore dei ceramografi attici e dall'altro documentano come Crotone, in questa fase, sia legata al mondo siceliota e alla distribuzione di determinati prodotti in quella regione.

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    Spiccano i frammenti di anfore con la testa di Athena e con un personaggio maschile barbato (seconda metà del VI sec. a.C.), un anfora del c.d. gruppo E con scena di combattimento (seconda metà del VI sec. a.C.), l'anfora con Eracle che uccide il leone (fine del VI secolo a.C.). L'artigianato artistico crotoniate contemporaneo è rappresentato invece da resti di manufatti di bronzo, che dimostrano la perizia locale nella lavorazione dei metalli. Una fanciulla (kore) nel tipico abbigliamento (himation e chitone) e acconciatura a trecce fungeva da manico di specchio (non conservato), mentre una sfinge accovacciata costituiva l'ornamento applicato di uno specchio. Infine i resti di un modellino di carro (confrontabile con esemplari analoghi da Locri, Matauros e anche Murge di Strongoli), che richiamano, per questo elemento del corredo di un fanciullo, gli ideali atletici e bellici che permeavano la cultura di Kroton.

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    Passando al V secolo a.C. particolarmente ricco ed articolato appare il corredo della tomba 1, con vasi a figure nere e figure rosse o solamente a vernice nera. La lekythos a figure rosse, con la dea Nike che compie una libagione, fu prodotta dall'officina del "pittore di Bowdoin", mentre i kantharoi, della metà V secolo a.C., decorati con figure di sileni e giovinetti sono attribuiti al "pittore di Sotades". Tra i capolavori assoluti della ceramografia attica a figure rosse si colloca poi il vaso più prestigioso e di dimensioni ragguardevoli rinvenuto alla Carrara. Si tratta di una lekythos attribuita alla cerchia del “Pittore di Polignoto”, datata tra il 470 e il 450 a.C, su cui campeggiano con solennità scultorea Apollo citaredo e una Musa che volge lo sguardo verso dietro per fissare il dio. Le figure, slanciate, sono rese prospetticamente e sono apparentemente bloccate nella semplicità dei gesti pacati, nel gioco di linee sottili che descrivono il panneggio delle vesti. Il IV e III secolo, infine, sono documentati da elementi di corredo ormai corsivi o prodotti localmente, efficaci riflessi del declino verso cui tende la polis.

    Se la necropoli di Carrara è la meglio conosciuta, tuttavia anche altre aree cimiteriali servivano i bisogni rituali della comunità crotoniate. Infatti, sempre al di fuori della cinta muraria sono state in parte indagate necropoli a San Francesco (in riva all'Esaro), a Tufolo, contrada Vela.



    Il Porto

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    Le fonti antiche offrono spunti preziosi per indirizzare la ricerca nella localizzazione dell'antica area portuale.

    Strabone (VI, 1,12), per esempio, con la sua consueta precisione, accompagnata da una essenzialità descrittiva, dice:
    "... prima è Crotone a circa cinquanta stadi dal Lacino, poi il fiume Esaro, il porto [limhn] e l'altro fiume, il Neto...".

    Dunque il porto, definito limhn, è da ricercare a nord dell'Esaro, ma molto prima del fiume Neto, in un settore dell'attuale piana presso gli stabilimenti industriali.

    La scelta dell'area su cui fondare la nuova polis achea fu determinata, fra l'altro, dalla possibilità di sfruttare gli approdi naturali per le navi e quindi per il controllo delle rotte ioniche, vitali per i commerci e i contatti con le poleis vicine e la madrepatria. Se non si tratta di un porto-canale alla foce del fiume, potrebbe allora trattarsi di un approdo realizzato integrando artificialmente con banchine e moli una insenatura o meglio una laguna costiera, in cui sfociava anche l'odierno torrente Papaniciaro-Lamps. Indicazioni in tal senso verrebbero da prospezioni degli anni '70 del XX secolo (fondazioni Lerici) e nuove ricerche geo-meccaniche (integrate da saggi), eseguite in questo inizio di XXI secolo, che hanno segnalato un vuoto di strutture e stratificazioni antropiche antiche. Inoltre, lavori di bonifica eseguiti nel 1998 a seguito della disastrosa alluvine del 1996, hanno dimostrato il notevole avanzamento della linea di costa alla foce dell'Esaro (Fondo Gesù) e l'assenza di opere murarie di una certa consistenza nel sottosuolo.

    Da Polibio (l0, 1,14), invece, si apprendono le caratteristiche del porto crotoniate: "... Costoro infatti [cioè i Crotoniati], pur avendo approdi [ormoi] adatti alla stagione estiva e una limitata possibilità di ormeggio, pare abbiano raggiunto una grande prosperità per la loro posizione naturale... ".

    Il porto, definito approdo, in contrapposizione alla tipologia portuale di Taranto (dove l'ottimo attracco è definito limhn), presenta degli inconvenienti (limitatezza ed esposizione in inverno ai venti di Nord-Est) eppure è fonte di prosperità Grazie al porto notevole fu l'attività marinara dei Crotoniati, ben evidenziata dalle fonti, che ricordano la discreta presenza di contingenti marittimi e una marina da guerra. Si consideri in proposito che Crotone fu l'unica città greca d'Occidente ad armare una nave per combattere a Salamina (480 a.C.), grazie a Phayllos . Inoltre alla presenza del porto erano collegati i cantieri navali, in stretto rapporto con lo sfruttamento del patrimonio boschivo della Sila, da cui provenivano legnami e pece, indispensabile quest'ultima per calafatare, cioè impermeabilizzare, il fasciame degli scafi.



    La viabilità

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    Nelle tre partizioni urbanistiche della polis achea esisteva una fitta rete viaria, formata dagli allineamenti rigorosi degli stenopoi , cui si intersecavano perpendicolarmente altri stenopoi e, a distanza non ancora conosciuta, strade più larghe, le plateiai.

    Le strade non erano lastricate, ma costruite con gettate frequenti di terreno sabbioso mescolato con ghiaia e numerosissimi e minutissimi frammenti ceramici, che garantivano il drenaggio e l'assorbimento in profondità delle acque di scolo, data la natura limo-argillosa del suolo cittadino. Il piano di calpestìo vero e proprio veniva poi compattato, realizzando così dei battuti che, secondo le necessità, venivano sopraelevati con gettate di altro materiale, di cui è possibile cogliere la stratificazione nel corso delle ricerche archeologiche. Talvolta (per es. cantiere Ospedale) le strade erano costeggiate da canali di scolo e il profilo del piano stradale era a schiena d'asino. Gli stenopoi finora messi in luce sono in media larghi da m 4,80 a m 5, ma nel quartiere Nord esistono strade di m 5.30, mentre per il tardo IV sec. a.C. sono note misure intorno a m 4-4.50 (simili a quelle di Locri Epizefirii). Erano costruiti con gettate d ghiaia, sabbia e frammenti ceramici Quanto alle plateiai , ne sono state accertate con sicurezza solo due. La prima, scoperta durante i lavori per l'acquedotto presso la collina della Batteria è larga m 8.50 circa, con dimensioni e tecnica costruttiva che l'avvicinano alla via sacra dell'Heraion lacinio. La seconda, invece, scoperta nei pressi del Comune durante la posa del metanodotto, è larga m 12, con una misura analoga a quella delle strade principali di altre poleis magno greche. Completavano infine la viabilità gli stretti ambitus (vicoli), intercapedini con larghezza compresa tra m 0.90 e m 1,10, che oltre a dividere i lotti abitativi consentivano l'accesso, non sempre secondario, alle case e botteghe, e consentivano la raccolta delle acque meteoriche convogliandole dove era più opportuno per lo smaltimento o raccolta.




    La casa

    Le ricerche pluriennali che si conducono nell'area dell'antica città achea stanno incrementando sempre più le conoscenze di alcuni aspetti dell'urbanistica cittadina e, soprattutto, dell'edilizia residenziale di età greca, particolarmente attenta ai dettami della salubrità e della buona esposizione, alla razionale e accurata partizione degli spazi e al problema dei drenaggi e dell'approvvigionamento idrico. Il primo dato accertato ampiamente è che le dimensioni di ogni lotto abitativo (per esempio nelle aree della B.P.C, del Padiglione Microcitemia, area Municipio, area Ospedale, via Telesio, via XXV Aprile e il Fondo Gesù, via Tedeschi) rispettano le partizioni originarie fino al III secolo a.C., periodo di abbandono della maggioranza delle aree indagate, e i muri perimetrali delle varie epoche (circa quattro secoli) si sovrappongono quasi perfettamente.

    Riguardo alla tipologia delle abitazioni, sulla scorta di quanto finora esplorato, si possono definire due tipi principali, uno a carattere misto abitativo-artigianale e uno esclusivamente residenziale. Il primo tipo, caratterizzato da blocchi abitativi e per le attività artigianali posti ai due lati di un cortile, con moduli di ca. 5 m e alcuni vani con esclusivo accesso dalla strada, è documentato per esempio dalle case-bottega delle aree di via XXV Aprile e dell'area Gravina.

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    Il secondo tipo, invece, con gli ambienti su tre o quattro lati di un'ampia corte quadrangolare e talvolta caratterizzato dalla presenza di una specie di porticato (pastàs), è molto più diffuso e riscontrato, ad esempio, nei cantieri B.P.C, Campo Sportivo, Campo Sportivo/Curva Nord, area Licinia, Microcitemia, via Telesio, via XXV Aprile/Foti.

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    In entrambe le tipologie grande cura è prestata all'organizzazione e alla distribuzione degli spazi aperti e degli ambienti, per rispettare norme urbanistiche, igieniche e di rispetto nei confronti dei vicini, per non limitare l'insolazione giusta e la circolazione aria, che garantivano microclimi ideali e la salubrità.

    L'elemento sempre presente su cui si imperniava la planimetria della casa e su cui ruotava la vita domestica è il cortile. Disimpegno tra gli ambienti, a cui fa arrivare la luce, solitamente era posto al centro e aveva quasi sempre forma quadrangolare (ma nell'area Gravina è documentato un cortile ad L), molto ampio (da 100 a 225 mq)

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    Esso era pavimentato, secondo le esigenze dei residenti, con materiali differenti (battuti di sabbia o ghiaia e frammenti ceramici minutissimi, tegole piane) e vi si trovava il pozzo per le necessità idriche quotidiane, talvolta con vera in pietra ( B.P.C e via Telesio), collocato non necessariamente al centro, ma anche in posizione eccentrica. Sul cortile, in cui potevano trovarsi piccoli ambienti di servizio (come a Microcitemia), si affacciavano direttamente o tramite un disimpegno porticato (pastàs), analogamente alla Grecia (Attica, Olinto) e al restante mondo coloniale (per esempio Agrigento, Himera, Locri), ambienti di rappresentanza e funzionali (cucina, bagno). L'ambiente più importante era quello per gli uomini (andron), ampio circa 30 mq., che conteneva sei lettini per il banchetto (klinai) ed era raggiungibile mediante un percorso interno che escludeva la parte più riservata dell'abitazione. Questa, che pure si affacciava sul cortile, e in cui si svolgeva la vita familiare, comprendeva l'ambiente per le donne (gineceo o oikos ), ampio circa 25 mq e collocato nel lato settentrionale, con aperture a Sud. Da resti di impronte di scale in legno molto ripide, addossate alle pareti, si evince anche la presenza di un ulteriore piano sopra alcuni settori delle abitazioni, articolato sopra solai lignei. Le case, dignitose e curate, ma tuttavia senza particolari elementi di lusso, erano costruite con tecniche edilizie che privilegiavano materiali locali, economici e di facile lavorazione, per le quali necessitava però una robusta copertura con elementi di terracotta su orditura lignea.



    L'area Banca Popolare Crotone, Via Cutro/Via Panella

    È situata in posizione centrale nella prima partizione urbanistica della città greca perfettamente orientata N-S dall'attuale piazza Pitagora fino all'Ospedale e comprendente l'acropoli (la medievale Cotrone). Nelle fasi di IV e III sec. a.C., quando l'impianto urbanistico precedente, rispettato nei suoi lineamenti essenziali, assume una distribuzione per strigas, sulla base di alcuni dati di scavo e in riferimento a calcoli parziali, è stato possibile ricostruire almeno la misura del fronte dell'insula ricadente nell'area in mt. 35, sulla base di unità abitative di mt. 17.00 e mt. 23.00. Inoltre è possibile ricostruire almeno parzialmente la pianta di alcune abitazioni. Queste presentano una organizzazione spaziale complessa, con maggiori setti divisori, evidentemente a causa del diverso numero di abitanti nell'isolato. In particolare si segnala la grande abitazione di età ellenistica formata da vari ambienti aperti su un grande cortile lastricato di tegole e in cui è scavato un pozzo con vera in pietra.

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    L'abitazione sarà in parte ristrutturata nel III sec. a.C., con restringimenti delle stanze e del cortile e la parziale trasformazione dell'edificio in area artigianale, documentata dalla presenza di fornaci (tra le quali se ne segnala una a pianta circolare, smontata nel corso degli scavi e che dovrà essere riposizionata). Le tecniche edilizie, al solito, sono caratterizzate dall'utilizzo di mattoni crudi, su cui si stendeva l'intonaco; da fondazioni in argilla, scaglie di calcarenite, frammenti laterizi e materiali di spoglio, protette talvolta da tegole paraguttae ; tetti in embrici e coppi, completati da antefisse, posti su armature lignee. I piani pavimentali erano costituiti da terra battutta con frammenti ceramici e sabbia. L'approvvigionamento idrico domestico era garantito, nei vari periodi, da una impressionante quantità di pozzi - scavati fino ad attingere le sottostanti falde di acqua dolce abbastanza superficiali (da 2 a 4 metri dal piano di campagna), ancora attive ai giorni nostri - e costruiti in età più recente con cilindri di terracotta e filari sovrapposti di schegge di arenaria, frammenti di laterizi e scorie della lavorazione della ceramici. Oltre alle abitazioni private, nell'area sono state indagate anche unità artigianali (fornaci per produzioni ceramiche) risalenti ad epoca classica ed ellenistica, recuperando resti degli scarti dei prodotti mal riusciti e strumenti utilizzati per cuocere il vasellame (valvole-distanziatrici) o per la sua lavorazione (per esempio impastatoi).

    L'area Municipio

    È posta nei pressi dell'area B.P.C. e dunque situata in posizione centrale nella prima partizione urbanistica della città greca. A seguito di segnalazioni, la Soprintendenza Archeologica della Calabria, con suo personale, ha eseguito una campagna scavi negli scantinati del Municipio, dove erano in corso lavori edilizi per la sopraelevazione dell'edificio. Oltre all'indagine di lembi di necropoli romana, sono state indagate appena le presenze archeologiche relative alla fase greca (strutture, strati antropizzati e materiali mobili), sottostanti alla necropoli stessa. L'indagine esplorativa d'emergenza ha interessato cinque locali cantinati, con una strategia per trincee larghe, secondo lo schema dei lavori edilizi. Per l'età greca sono state esplorate le stratificazioni relative a fasi di frequentazione e abbandono di età ellenistica, in relazione a resti di fondazioni di abitazioni costruite con le tecniche edilizie note in tutto l'abitato antico di Crotone e in particolare nelle vicine aree B.P.C. e Via Tedeschi. Tra i materiali di età greca recuperati, non certo abbondanti, si segnala una piccola moneta in bronzo di Crotone, risalente al periodo della guerra annibalica, costituente una prova della vitalità della zecca cittadina ancora sul finire del III secolo a.C.

    Area Ospedale/Ceramico

    È situata nella seconda partizione urbanistica della città greca (dal Campo Sportivo al fiume Esaro) divergente di 30° ad Est. Lo scavo, eseguito con finanziamenti del Ministero BB.CC.AA. e legato a interventi edilizi (espansione dell'Ospedale), ha permesso di indagare una complessa stratificazione di un lembo di abitato greco databile tra IV e III sec. a.C., senza sovrapposizioni successive fino alla fine del XIX secolo. Dapprima una serie di saggi più o meno estesi (1993 e 1994) e quindi lunga campagna di scavi estensivi (1996-1997), ha portato alla luce resti importanti per la topografia della polis greca. È stato indagato quasi esaustivamente una parte del Ceramico tardo-classico ed ellenistico, con resti mal conservati di fornaci per ceramiche e per tegole e discariche di materiali vari (strumenti di lavoro quali matrici, impastatoi, valvole-distanziatori; scarti di produzione). La vera novità delle ricerche consiste nella scoperta - al di sotto di strati alluvionali argillosi apparentemente vergini e strati relativi alla frequentazione ed abbandono degli impianti produttivi - dei resti di parte di due isolati rettangolari separati da uno stenopos (starda minore larga mt. 4.80) perpendicolare ad una plateia (strada principale larga almeno 12 mt.) parallela alla fascia collinare soprastante su cui si sviluppava parte della cinta muraria. L'isolato sud (Is), invece, risulta danneggiato da azioni recenti (costruzione dell'Ospedale e del suo recinto, stradella a sterro, impianti ceramici degli anni ‘30-'40, deviazione del corso del fosso Pignataro). I due isolati individuati (che proseguivano con terrazzamenti verso l'attuale Ospedale, in direzione di Microcitemia) furono abbandonati nel primo quarto del IV secolo a.C. e sull'abbandono si impiantò a poco a poco e per tutta la prima metà del III sec. a.C. un lembo del grande quartiere artigianale, sfruttando l'area a monte della plateia come cava di argilla e i resti dell'isolato nord per scaricare materiali vari di risulta, come provano i risultati di scavo. In altri settori dello scavo, una serie di saggi ha infine provato la frequentazione più antica dell'area (tra VII e VI sec. a.C.), non raggiunta invece nei resti di isolati. I dati topografici sin qui raccolti permettono di confermare il ruolo di cesura del fosso Pignataro tra il blocco urbanistico N-S (in cui rientra il cantiere di Microcitemia) e quello successivo spostato di 30° e di individuare al di sotto dell'attuale Ospedale un'importante area-ceraniera (ormai irrimediabilmente persa) tra le due trame del reticolo viario.

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    Tra i reperti mobili rinvenuti nelle discariche delle officine produttive si segnalano enormi quantità di vasellame verniciato e non (con numerossissimi scarti vetrificati o deformati da un'errata cottura); impastatoi; valvole-distanziatrici per impilare il vasellame da cuocere e moltissimi distanziatori a cuneo anche con sigle monogrammatiche; alcuni frammenti di statuine votive in terracotta; frammenti di matrici per lastre architettoniche (tipo quelle del Tempio di Hera Lacinia - fase di V sec. a.C.) e per statuette o oggeti d'uso comune (focula cioè bracieri).


    Area Ospedale/Padiglione Microcitemia

    E' situata nella prima partizione urbanistica della città greca, con orientamento N-S (si veda in proposito quanto detto a riguardo dell'area B.P.C.).

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    Lo scavo, eseguito con finanziamenti Ministero BB.CC.AA. e legato a interventi edilizi di primaria necessità (costruzione del padiglione Microcitemia dell'Ospedale "S. Giovanni di Dio", realizzato orientando le strutture moderne come quelle antiche) ha permesso di indagare in modo estensivo i resti di due isolati allineati lungo un'asse stradale N-S (stenopos) e la stratigrafia che dalla fine dell'VIII sec. a.C. giunge fino al III sec. a.C. senza sovrapposizioni successive.

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    L'area indagata costituisce una interessante esperienza di ricerca in un quartiere cittadino di età classica e tardo-classica con i resti di quattro abitazioni antiche con cortile, risalenti al V sec. a.C. (su resti di VI sec. a.C. – foto microc_arc ) e ristrutturate fino al IV sec. a.C. La casa meglio conservata presenta una ricca articolazione planimetrica con ambienti organizzati intorno ad un vasto cortile, chiuso da un lungo muro di cinta, e un portico pastàs ) che funge da disimpegno tra il cortile stesso e le stanze retrostanti. Al solito la tecnica edilizia è caratterizzata dall'utilizzo di mattoni crudi ; da fondazioni in argilla e materiali eterogenei (scaglie di calcarenite e frammenti laterizi); tetti in embrici e coppi, posti su armature lignee. I piani pavimentali erano costituiti da terra battutta con frammenti ceramici e sabbia. Sotto alle abitazioni private di V-IV sec. a.C., sono stati indagati i resti di un'unità artigianale (fornace) che alla fine dell'età arcaica produceva coppe di tipo ionico, recuperando pochi resti degli scarti dei prodotti mal riusciti.

    Via Telesio/Via P. Galluppi

    E'situata nella seconda partizione urbanistica della città greca (dal Campo Sportivo al fiume Esaro) divergente di 30° ad Est ed è prossima al fiume Esaro (riva destra), alle spalle dell'I.N.P.S. (area oggetto di altre campagne di ricerche). Lo scavo, eseguito con finanziamenti pubblici e disponibilità dei proprietari dell'immobile, motivato da esigenze edilizie, ha permesso di indagare la stratificazione di un lembo di abitato greco che dalla fine dell'VIII sec. a.C. giunge fino al III sec. a.C. senza interventi romani dopo la fine della guerra annibalica. Sono stati individuati e parzialmente indagati i resti di un edificio a pastàs della seconda metà del IV secolo a.C. con ampio reimpiego di materiale edilizio di età classica (soprattutto blocchi squadrati). Dal crollo del tetto di un ambiente allungato e della pastàs (con muri originariamente dipinto, come provano minuti frammenti di intonaco colorato recuperati) provengono quattro antefisse di tipo ben noto (Artemis Bendis), mentre l'esplorazione degli strati di abbandono hanno restituito statuette fittili di un certo pregio, ceramiche verniciate e non, monete in bronzo di Crotone (databili tra la fine del IV e il primo quarto del III sec. a.C.), uno scarico di pithoi frammentati (alcuni presentano tracce di restauri antichi in piombo).

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    Nel tempo all'edificio originario si erano addossati altri ambienti (parzialmente esplorati), mentre nella parte posteriore si sviluppavano sicuramente due abitazioni separate da uno stretto ambitus (cioè un vicolo) che convogliava le acque di scolo e meteoriche verso l'Esaro. Sui crolli di tutti gli edifici scoperti, infine, sono state evidenziate labili tracce di frequentazione databile tra l'ultimo quarto del III sec. a.C. e i primi anni del II sec. a.C., rinvenendo anche una moneta brettia in bronzo (mezza unità con testa di Nike e Zeus in biga al galoppo). Tra i reperti rinvenuti si ricordano ancora una volta la bella serie di antefisse in terracotta, alcune statuine fittili, vasellame a vernice nera di produzione locale e parte di un'arula arcaica (fuori contesto) con decorazione a rilievo, di tipica produzione crotoniate.

    L'area Via XXV Aprile/Via M. Nicoletta

    È situata nella seconda partizione urbanistica della città greca (dal Campo Sportivo al fiume Esaro) divergente di 30° ad Est. Lo scavo, eseguito con finanziamenti privati e legato a interventi edilizi in parte realizzati al momento dell'intervento archeologico, ha permesso di indagare un lembo di abitato greco che dalla fine dell'VIII sec. a.C. giunge fino al III sec. a.C. Su di esso in età romana, dopo un secolare abbandono - si sovrapposero una strada pavimentata con grossi frammenti laterizi e frammenti ceramici ben compattati, frequentata dal I sec. d.C. almeno fino al VII secolo d.C., ed una piccola necropoli di II-III sec. d.C.

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    Rimane visibile sotto il palazzo moderno parte di un isolato, con resti sovrapposti di abitazioni databili tra VI e III sec. a.C. disposte ai lati di un asse stradale minore (stenopos) largo circa mt. 4.50/4.70. A causa di alcuni condizionamenti pratici (non ultimo la presenza della strada romana) non è stato possibile portare alla luce la pianta completa delle abitazioni greche più tarde, nè ricostruire la fisionomia di ambienti delle case di VI e V sec. a.C. Tra i rinvenimenti, notevole una fossa di scarico, a fini drenanti, nel cortile di età tardo-classica, che ha restituito importanti frammenti di terrecotte architettoniche di epoche precedenti. Da strati di frequentazione, invece, si segnalano i resti di una coppa rodia ad uccelli (VII sec. a.C.), frammenti di produzioni fittili crotoniate con decorazioni a rilievo (arule, louteria, deinoi, bacili, pithos), frammenti di vasi attici a figure nere (VI sec. a.C.) e a figure rosse (fine VI-in. V sec.a. C.), un frammento di pinax locrese, prodotti della coroplastica locale (tra i quali una statuetta di attore con maschera teatrale).

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    Le tecniche edilizie

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    Gli scavi in vari settori dell'area dell'antico abitato (dalla zona pianeggiante ai piedi della collina del Castello fino a Vigna Galluccio e Vigna Morelli) hanno portato alla luce bassi muretti in schegge di arenaria o calcarenite di varia pezzatura, con frammenti laterizi (embrici) e talvolta materiale architettonico di spoglio (blocchi squadrati, rocchi di colonne e capitelli, frammenti di decorazioni in terrecotta, provenienti principalmente da edifici pubblici e privati del V sec. a.C.) legati tra loro con argilla.

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    Si tratta degli zoccoli di fondazione degli edifici privati ed avevano lo scopo, posti com'erano in parte sotto il piano di calpestio, di isolare dall'umidità del terreno l'elevato dei muri costruiti con mattoni crudi. I muretti, avevano uno spessore variabile tra i 40 ed i 50 cm e fondazioni poco profonde, prive di risega. In età arcaica sono contraddistinti da pietrame di piccola pezzatura dimensioni. Nel IV secolo a.C. invece si assiste ad un ampio ricorso di blocchi interi o spezzati, di spoglio (cantieri Gravina, B.P.C., via XXV Aprile, via Telesio) o grosse pietre appena sbozzate (Ospedale e Fondo Gesù) per meglio ripartire i carichi agli stipiti e agli angoli). Nella fase di poco successiva, poi, si pongono in opera blocchi di spoglio e ricorsi di tegole disposte con cura secondo piani paralleli. La fase che precede la conquista romana vede infine l'affermazione di una tecnica più precaria e impoverita, con ampio reimpiego di materiali architettonici di spoglio (per esempio fusti di colonne, capitelli, cornici di arenaria). Si è già detto che l'elevato era in mattoni crudi. Questi, realizzati con un impasto di argilla, paglia e sabbia (talvolta con strame) ed essiccati al sole, avevano il vantaggio di essere di materiali dal costo molto contenuto, facilmente realizzabili e, per il clima a cui erano esposti, molto robusti. Per aumentare la durata dei muri così costruiti si provvedeva anche a stendere un sottile strato di argilla rifinito poi da un intonaco a base di calce (documentato per es. nei cantieri B.P.C, via Telesio e Campo Sportivo/curva nord) su tutta la superficie esposta all'aperto, subito sopra le fasce "paraguttae" costruite con tegole (o frammenti di pithos, come per es. via Tedeschi), con lo scopo di evitare che le acque di scolo provenienti dal tetto scalzassero le fondazioni.

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    I tetti delle case, nella maggior parte dei casi a spiovente, erano inizialmente (età arcaica) in paglia e frasche. Dal tardo arcaismo invece si preferirono per le coperture embrici (stroteres , lastre di terracotta di circa cm.90x60, spesse circa 3 cm.) e coppi (kalypteres , di due tipi: a sezione quasi semicircolare e poligonale di tipo corinzio), su una grossa e una piccola armatura lignea, con ampio uso di grossi e robusti chiodi in ferro a sezione quadrata. Data la pesantezza di questo tipo di copertura, talvolta si ricorreva all'uso di un'intelaiatura lignea per irrobustire i muri perimetrali. Alle terminazioni dei coppi erano posti elementi decorativi, le antefisse, documentate da esemplari di varia foggia e varia epoca.

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    Quanto alle pavimentazioni, infine, erano realizzate con battuti di sabbia o ghiaia e frammenti minutissimi di arenaria e/o ceramici, con livelli ben pressati argillo-limosi e in qualche caso con pianciti di tavole. Non sono al momento documentati per le epoche più tarde (IV-III sec. a.C.) pavimentazioni decorate (come si conoscono invece in Sicilia e, per restare nell'attuale Calabria, a Kaulonia, nella "casa del drago").




    L'approvvigionamento idrico e lo smaltimento delle acque

    Come quasi tutti i centri magno-greci, Crotone non aveva una rete idrica e quindi fontane pubbliche che garantissero l'acqua corrente le necessità domestiche e d artigianali. Per risolvere questo problema fondamentale i Crotoniati costruirono una impressionante quantità di pozzi (in media uno per nucleo familiare), direttamente nei cortili delle case, facilitati dall'esistenza di ricche falde di acqua dolce abbastanza superficiali (da 2 a 4 metri dal piano di campagna).

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    Per la costruzione dei pozzi, analogamente alle altre città greche continentali e coloniali, si scavava fino a raggiungere la falda. Quindi, a partire dal fondo, si rivestivano le pareti in vario modo. Nei periodi più antichi si fece ricorso a filari sovrapposti d scaglie di pietra locale e/o ciottoli. Dalla seconda metà-fine del V secolo in poi, nella stragrande maggioranza dei casi si adoperarono cilindri di terracotta fabbricati appositamente e quindi filari sovrapposti di pietrame e, nelle fasi più tarde, di frammenti di laterizi e scorie della lavorazione di metalli e/o ceramiche. In età tarda, inoltre, occorre ricordare che in alcuni cortili sono presenti vasche di fontane con piancito di tegole (Via Tedeschi e Coop. Licinia). Legato all'uso dell'acqua per fini domestici ed artigianali, nonché alle precipitazioni meteoriche, è poi il problema dello smaltimento delle acque di scolo e piovane. Mentre in alcune aree del centro urbano il terreno in parte sabbioso garantiva l'assorbimento e dunque lo smaltimento delle acque residue, in buona parte dell'abitato si ricorreva ad alcuni artifici. Primo tra tutti la costruzione di canalette di scarico fatte con coppi rovesciati, col fine di convogliare, tramite gli ambitus, le acque nelle strade principali (talvolta costeggiate da canalette scavate ai lati della carreggiata, come nel cantiere Ospedale). Le canalette potevano anche finire in buche appositamente scavate nel terreno e riempite di frammenti ceramici o anfore (come per es. nel cantiere B.P.C.).





    Produzioni e importazioni

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    Crotone greca fu caratterizzata dalla presenza, in ogni sua fase di vita, da un buon numero di manifatture locali, grazie all'abbondanza di materia prima e al precoce formarsi di una tradizione artigianale in loco fin dalle prime generazioni coloniali.

    Fino alla fine del V-inizi del IV secolo a.C. gli scavi hanno verificato che in vari settori urbani esistevano fornaci per la cottura di manufatti ceramici ed in particolare nelle aree prossime al Campo Sportivo (dove si svilupperà il quartiere artigiano tardo-classico ed ellenistico), nella zona delle Cooperative (area "Pertusola"), con ritrovamenti di fornaci, pozzi, strutture, scorie, databili almeno a partire dal VII secolo a.C., ma anche nell'area Montedison e nell'area B.P.C., accanto a zone in cui sono presenti tracce consistenti di officine metallurgiche (per es. area Campitello, Fondo Gesù).

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    In età tardo-classica ed ellenistica il 'quartiere dei vasai' invece si sviluppò nei pressi degli attuali Campo Sportivo e Ospedale, in un'area con particolari caratteristiche geografiche ed urbanistiche: è quasi centrale e costituisce una sorta di cerniera tra diversi blocchi urbani con orientamento diverso; si trova nei pressi delle pendici collinari argillose, i cui punti più elevati sono il Cimone Rapignese e la necropoli della Carrara ed è lungo il fosso Pignataro che, scendendo dalle colline retrostanti, attraversa anche l'area di Campitello, dove, come già detto, è accertato che si lavoravano i metalli.

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    Le ceramiche arcaiche

    Gli scavi archeologici condotti da più decenni nell'area dell'abitato antico hanno permesso di recuperare nei vari contesti una grande quantità di ceramiche d'uso locali e di importazione, che forniscono preziose informazioni sulle attività artigianali locali e sui flussi dei commerci da altre località del Mediterraneo. La ceramica più antica finora recuperata è ascrivibile alla classe di produzione corinzia detta di "Thapsos" e risalente al 730-720 a.C.. Si tratta di frammenti di coppe e crateri con caratteristica decorazione (zig-zag, sigma, spirali e meandri o trattini verticali e tremuli).

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    Della fine dell'VIII secolo a.C, sono poi le tipiche kotylai (bicchieri) "protocorinzie", caratterizzate da sottili linee orizzontali parallele e motivi a tremuli o ad aironi stilizzati sotto l'orlo. Dal VII secolo a.C, accanto ai prodotti corinzi (anche anfore da trasporto), si affermano classi di produzione da altre aree della Grecia continentale ed insulare. Le produzioni orientali sono ben documentate da uno splendido esemplare di coppa "ad uccelli" forse di fabbrica rodia (prima metà del VII secolo a.C), da resti di calici chioti (dall'abitato e dall'Heraion lacinio).

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    Tra la fine del VII e la prima metà del VI secolo a.C iniziano pure le importazioni delle "coppe ioniche", sempre affiancate da importazioni corinzie (produzioni del "Corinzio Antico" e "Corinzio Medio"). Il VI secolo vede invece l'affermarsi dei prodotti ateniesi, nella tecnica a figure nere. Tuttavia, mentre le necropoli offrono esemplari di gran pregio, talvolta quasi integri, con forme particolari (lekythoi, anfore, pelikai, hydriai ), dall'abito in genere si segnalano esigue presenze molto frammentate. Non mancano le coppe dei tipi più antichi ("Gruppo dei Comasti" del 580-570 a.C; coppe di Siana del 570-550 a.C; coppe dei "Piccoli Maestri", del 560-530 a.C). Accanto alle importazioni, precocemente si sviluppano le produzioni locali che imitano inizialmente la classe di "Thapsos" (come provano vari scarti da via Tedeschi e Campo Sportivo) e a partire dal VII secolo offrono al mercato locale grandi vasi (soprattutto crateri), inizialmente di grande qualità e decorati con motivi geometrici e vegetali,pur non mancando raffigurazioni di altro genere (come nell'eccezionale frammento di cratere che presenta il tripode delfico, della metà del VII secolo a.C,, dall'ex-area Montedison).

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    Tra le ceramiche di prodotte tra VII e Vi secolo a.C. notevoli appaiono per quantità le imitazioni greco-orientali e di coppe ioniche, ed in misura minore di ceramiche corinzie. Alla koinè achea, infine, rimandano alcune produzioni peculiari di vasi per bere (kantaroi di tipo acheo), che presentano confronti puntuali con le produzioni di altre aree coloniali (Sibari e l'area sirite-metapontina).

    La ceramica a rilievo

    Costituisce una delle più importanti e caratteristiche produzioni in terracotta di Crotone fra la fine del VII e la metà del VI secolo a.C . Tra i manufatti predominano le arule e i vasi su alto fusto (louteria e deinoi ). Su di essi è presente la decorazione a rilievo su registri sovrapposti di varia larghezza, ottenuta imprimendo, su un sottile strato di argilla fresca applicato sugli oggetti, le matrici cilindriche (h. fra 2 e 7 cm, ), facendole scorrere lungo la superficie da decorare. Si ottenevano così motivi ripetuti su ogni registro. I motivi decorativi, derivati da prototipi diffusi in tutto il mondo greco arcaico, ma soprattutto in ambiente peloponnesiaco, anche su manufatti architettonici e metallici, propongono principalmente motivi vegetali (catene di palmette e fiori di loto), elementi geometrici (le spirali continue, le trecce, le linguette, gli zig-zag), scene figurate (teorie di cavalieri, corse di carri, fregi animalistici, esseri fantastici, zoomachie).

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    Le arule sono piccoli altari a forma di parallelepipedo con base e cornici aggettanti, note da svariati rinvenimenti in tutta l'area della città antica e anche nelle aree sacre. Databili fra gli ultimi decenni del VII secolo a.C e la metà del VI secolo a.C , sono oggetti abbastanza peculiari della produzione crotoniate, che trova pochi confronti a Sibari e Selinunte, e rari nelle altre città greche della Magna Grecia e della Sicilia.

    I louteria sono bacini con vasca poco profonda e ampi da 40 a 70 cm (diametro), collocati su alti sostegni cilindrici con base fortemente svasata circolare. Servivano per contenere l'acqua, essenzialmente per la toletta giornaliera, analogamente ai bacini su sostegno tripode, abbastanza diffuso nelle case crotoniate del tempo.

    I deinoi sono forme vascolari chiuse, globulari, caratterizzate dalle dimensioni notevoli, utilizzati per contenere il vino. In genere venivano collocati su sostegni di dimensioni ridotte rispetto a quelli dei louteria , ma più articolati. Mentre altrove nel mondo greco sono molto diffusi gli esemplari metallici, a Crotone prevalgono gli esemplari fittili, in cui gli artigiani locali, di valesnte maestria, hanno posto talvolta le riproduzioni in terracotta di anse e rocchetti, analoghi a quelli in metallo.

    La ceramica coroplastica

    Tra le produzioni più caratteristiche delle poleis greche e magnogreche rientra la coroplastica, cioè gli oggetti figurati ottenuti con l'argilla plasmata manualmente oppure, per produzioni seriali, ottenute con matrici di terracotta, aggiungendo altri elementi a parte e rifinendo i pezzi (per esempio a stecca). La produzione di questa classe di manufatti, comprendente statuine ed altri elementi cultuali e d'uso domestico, si sviluppò localmente solo alcune generazioni dopo l'impianto coloniale, ma dalla ricezione di influssi vari, rielaborati con sapienza dalle botteghe artigiane, nacque una gamma molto varia di prodotti legati essenzialmente alla sfera cultuale, pubblica e domestica, che pertanto forniscono preziose informazioni sui culti e su aspetti del rito in ambito locale.

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    La maggior parte delle statuette recuperate in città e nel territorio provengono da importanti santuari ed aree sacre (Vigna Nuova, Heraion Lacinio, S. Anna), dove costituivano un gruppo importante di offerte alle divinità. Ma anche da abitazioni (per esempio Via Telesio), attestando così lo svolgimento di culti domestici, e dall'interno di sepolture. Tra i soggetti prevale la figura femminile (intera o a mezzo busto) in vario atteggiamento e dalle più varie acconciature (a partire da un idoletto del VII sec. a.C. fino alle figure di cd. Tanagrine ellenistiche). Ma non mancano, soprattutto in età classica ed ellenistica, figurine maschili (recumbenti, kouroi, attori ed animali (cinghiali, cavalli, galli, anatre, colombe, tartarughe). Nelle produzioni più tarde, in generale, si notano influssi stilistici di aree culturalmente dominanti (per es. Taranto). Accanto a prodotti più seriali e corsivi, si segnalano eccezionali manufatti, come la testa fittile dell'ex-Museo Civico, di poco inferiore al vero e pertinente forse ad una statua di culto della prima metà del VI sec. a.C., la testa maschile un po' rovinata dal cantiere di via Tedeschi (abbastanza vicina alla testa dello Zeus fittile di Poseidonia, databile intorno al 540 a.C.), e due kouroi arcaici.

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    Il primo, dai marcati caratteri ionici (come una testina di S. Anna), è un giovanetto stante inquadrabile nel terzo quarto del VI sec. a.C.. Il secondo, molto frammentario, rappresenta una figura seduta, forse un cavaliere (metà del VI sec. a.C.).


    Le decorazioni architettoniche

    La mancanza di materie prime quali ottima pietra da taglio o marmo fece si che a Crotone si sviluppasse una cultura architettonica basata essenzialmente, fin dall'età arcaica, su fondazioni in scaglie di pietra, elevato in mattoni crudi, strutture portanti in legno, rivestimenti delle stesse in terracotta. Solo in seguito, a partire dal V secolo, si sarebbe fatto ricorso alla calcarenite locale integrata da importazioni di altri materiali (per esempio il marmo pario ed il pentelico) lavorati e messi in opera da maestranze itineranti altamente specializzate. Si comprende quindi che massima cura veniva prestata per la protezione degli edifici costruiti con tecnologie sostitutive e dunque si mettevano in opera elementi in terracotta (tegole piane e coppi, lastre di rivestimento) che garantivano la durata delle costruzioni, impedendo o limitando l'azione degli agenti atmosferici. Inoltre gli elementi di terracotta, dipinti o decorati a matrice, servivano anche da apparati decorativi per gli impianti architettonici e costituiscono oggi per noi "la testimonianza fondamentale di un'architettura altrimenti impenetrabile" (G. Aversa). I tetti più antichi e peculiari di produzione crotoniate sono quelli caratterizzati da elementi decorativi della futura trabeazione dorica in pietra (regulae, guttae, teniae). In questo sistema di copertura le antefisse hanno forma di fiore stilizzato di profilo (in apparenza corna, da cui il nome nella letteratura archeologica di Hörnerantefixe ).

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    Tetti di questo genere, a vario grado di evoluzione, sono documentati da vari ritrovamenti a Crotone (via XXV Aprile, Fondo Gesù, Campo Sportivo, Cooperative, Vigna Nuova) e nei santuari extra-urbani (S. Anna, Apollonion di Punta Alice), per tutto il VI secolo. Contemporaneamente, però, insieme ai tetti di tradizione peloponnesiaco-acheo occidentale, si affermano a Crotone i tetti di tradizione siceliota, pur con adattamenti locali. Essi sono documentati nel più importante santuario, l' Heraion lacinio (tetto B), ed all'interno della polis, grazie a ritrovamenti isolati (in una fossa di scarico indagata in via XXV Aprile, con almeno due tipi differenti di sime-grondaie di tale genere. Poi, mentre nella Grecia continentale si assiste alla definitiva affermazione dei tetti in marmo, dal V secolo a.C, a Crotone, come nel resto della Magna Grecia, le produzioni di terrecotte architettoniche prosegue nel tempo. Lo testimoniano i ritrovamenti di matrici nell'area di quello che sarà il ceramico tardoclassico ed ellenistico. Ma soprattutto la bella serie di antefisse decorate con essenzialmente con la palmetta (derivata dalle lastre dall'Heraion Lacinio) ma anche quelle decorate con la cosiddetta immagine di Artemis-Bendis, (una falda di tetto così decorata è stata) recuperata nella casa di via Telesio e con la testa femminile di tre quarti, che provano l'influenza tarantina nel corso del IV secolo a.C.




    La monetazione

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    Crotone cominciò a coniare moneta propria, in argento, intorno al 540-530 a.C., con la tecnica incusa (cioè con il simbolo del rovescio non a rilievo, ma ad incavo), adottando, come le altre città achee della Magna Grecia, il sistema ponderale acheo-corinzio, in cui lo statere pesa circa 8 grammi e risulta diviso in 3 dracme (che saranno poi divise in altre sei frazioni). Fin dalle prime emissioni la città scelse come tipo il tripode, legato ad Apollo delfico e ai miti di fondazione della polis , affianca dalla legenda QRO, QROT, QROTO, QROTON e, nel tempo, da simboli accessori (airone o granchio).

    Nel corso delle varie fasi di sviluppo della monetazione, si assiste ad evoluzioni sia del tondello (3 progressivi restringimenti e ispessimenti nella tecnica incusa - da poco più di 25 mm. a 19 mm. ma con peso costante - fino all'adozione della tecnica "a doppio rilievo" intorno al 440 a.C.), sia del tipo del tripode (che passa via via dalla versione con tre anelli frontali direttamente sull'orlo del calderone a quella con i tre anelli collocati sull'alto collo che si erge dal centro del calderone) cui si affiancano simboli, sia della legenda (con cambiamento definitivo del Q iniziale con la K e l'O con W, intorno alla fine del V - inizi del IV sec. a.C.). Altresì sono documentate le riduzione ponderali (statere da circa 8 a circa 7.50 gr verso la fine del IV sec. a.C.; statere di 6.40 gr nell'età di Pirro). Un carattere particolare presentano due gruppi di emissioni, della fine del VI-metà circa del V sec. a.C. il primo, del V-IV sec. a.C. il secondo. Uno è costituito dalle cosiddette monete di alleanza, coniate dopo che Crotone distrusse Sibari e dunque esercitò il suo ruolo egemone sui territori della rivale. Le emissioni sono caratterizzate da leggende e simboli che uniscono a Crotone (tripode e QRO) la stessa Sibari (toro e SY), Pandosia (toro e PANDO), Laos (toro e LAF), Temesa (elmo e TE). L'altro, particolarmente interessante, ma anche complesso, costituito da emissioni frazionarie (trioboli, dioboli, oboli) non coniate con regolarità e che al tripode crotoniate associano simboli di altre zecche italiote e siceliote, ma anche continentali (granchio di Agrigento e gallo di Himera [prima del 480 a.C.], lepre di Reggio o Messana e ruota di Taranto [dopo il 480 a.C.], pegaso di Corinto e seppia di Siracusa [genericamente di V e fino al IV sec. a.C.], civetta di Atene). Secondo i filoni di studio potrebbe trattarsi di elementi per equiparare gli stateri di Crotone con monete di sistemi ponderali diversi (Kraay) o di monetine coniate per "circostanze di natura politica, economica ecc." (Stazio).

    Tornando alle emissioni a doppio rilievo, dal 440 a.C. circa, si passa da quantità scarse di emissioni, di qualità non rilevante, con i tipi tripode/tripode o tripode/aquila (fino al 420 a.C. circa) ad una situazione più varia e articolata per qualità dei conii, tipologie e quantità di metallo coniato.

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    Il tripode passa sul R/ e sul D/ il tipo che avrà maggiore successo è quello con l'aquila, talvolta sostituito dalla ricca e complessa rappresentazione di Eracle, nudo, seduto su una roccia e legenda OIKIMTAM (oikista V). Su una emissione con Eracle, sul R/ oltre al tripode compaiono Apollo saettante (a s.) ed il serpente Python (a d.) con legenda KROTON.

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    Altre tipologie che si affermano nel tempo, tra fine V e III sec. a.C., accanto al perdurare della tipologia aquila/tripode (caratterizzata però da varietà iconografiche), sono quelle splendide con la testa frontale di Hera Lacinia/Eracle nudo su roccia con kantharos nella mano destra (da mettere in rapporto forse con la creazione della Lega Italiota), testa di Apollo/tripode con le frazioni recanti gli stessi tipi o testa virile/civetta. Alla varietà dei tipi in argento corrispondono le variegate emissioni in bronzo, dalla fine del V sec. a.C. (circa 400 a.C.) fino all'età annibalica, con una evoluzione nei tipi del tripode e di alcuni caratteri alfabetici delle leggende monetali analogamente alle coniazioni argentee. L'articolazione del bronzo è stata analizzata da vari studiosi, ma è stato possibile inquadrare cronologicamente solo nove serie di emissioni (Rutter), in due fasi del 400 e del 400-385 a.C. (rispettivamente tre serie e sei serie), tra le quali si segnalano quelle con i tipi tripode/seppia, tripode/testa di aquila, tripode/lepre, tripode/seppia. Più problematica è la sistemazione delle emissioni dopo il 385 a.C. (quando nelle leggenda compare il k ), caratterizzata da circa una trentina di gruppi, contraddistinti da teste di divinità (Athena, Aisaros, Apollo, Herakles, Persefone) e vari simboli (tripode, arco, astro, fulmine, crescenti lunari, clava, aquila, civetta, granchio, conchiglia, seppia). Si delinea così un quadro molto articolato dal punto di vista ponderale e tipologico, con gruppi e tipi non rapportabili puntualmente con le emissioni in argento e dunque non inquadrabili precisamente dal punto di vista cronologico. Dal punto di vista ponderale incertezza perdura per alcuni gruppi (per es. tripode/aquila o testa di Eracle/Aquila o testa di Persefone o Demetra/Tre crescenti) che secondo i vari filoni attuali della ricerca potrebbero essere articolati in vari nominali contraddistinti dagli stessi tipi oppure costituirebbero la riduzione ponderale di serie precedenti. L'ultima emissione attestata per la zecca di Crotone, sulla scorta di recenti scoperte (cantieri B.P.C. e Municipio) studiate dall'Arslan, è un piccolo nominale con busto di Artemide/cane che annusa a destra e legenda kro. In base a considerazioni di carattere tipologico e ponderale esso è datato tra il 208 e il 203 a.C., cioè al periodo di permanenza di Annibale nel territorio. Dopo la definitiva conquista romana la zecca sarà chiusa per sempre.




    Gli olimpionici

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    ''Sembra che la città [Crotone] coltivasse soprattutto l'arte militare e le gare di atletica: nel corso di un'olimpiade i primi sette che si classificarono nella corsa dello stadio erano tutti crotoniati; sicché pare giustamente che si dicesse che l'ultimo dei crotoniati era il primo degli altri greci".
    [Strabone, VI, 1,12]

    Crotone fu la colonia magnogreca in cui più radicata era la tradizione agonistica e la pratica ginnica, da cui, secondo i dettami della famosa scuola medica locale, scaturiva la salute del corpo, in associazione ad una specifica dieta.

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    Dopo che i giochi di Olimpia (inaugurati nel 776 a.C. con la corsa nello stadio e con svolgimento ogni quattro anni) furono aperti anche a partecipanti magno-greci, già sul finire del VII secolo a.C., precisamente nel 672 (27ima olimpiade), troviamo un vincitore crotoniate, il pugile Daippos , fra i vincitori olimpici. Per tutto il VI secolo, a partire dal 588 a.C. e fino ai primi decenni del V secolo a.C., Crotone dominò i giochi olimpici in modo incontrastato con i suoi più famosi atleti, membri della ricca aristocrazia cittadina e si seppe imporre anche agli altri giochi "coronali" (così detti dal premio simbolico dato ai vincitori, una corona di materia vegetale, che consentiva però l'onore delle dedica di una statua) del "circuito panellenico": Pitiche, ogni quattro anni nel santuario di Apollo a Delfi o Pito (premio: corona di alloro); Istmie, presso il santuario di Posidone sull'Istmo di Corinto (corona di pino), e Nemee, presso il santuario di Zeus a Nemea (corona di sedano selvatico) in Argolide, ogni due anni. Se massiccia era la partecipazione numerica dei Crotoniate ai giochi, tale da garantire una certa probabilità di vittoria superiore alle compagini sportive delle altre città greche partecipanti, un ruolo fondamentale nella maggiore prestanza atletica doveva comunque scaturire dal massimo rigore negli allenamenti (tramandato dalle fonti antiche) e soprattutto dalla dieta. In particolare con l'arrivo di Pitagora a Crotone e il suo interesse per l'atletismo e l'agonismo, la scuola medica crotoniate proseguì le sue ricerche nel campo medico e nutrizionale (si pensi all'attività di Alcmeone, contemporaneo del filosofo samio), al fine di determinare la dieta ottimale, legata al dibattito filosofico. Se inizialmente su suggerimento di Pitagora le diete per gli atleti erano vegetariane, in seguito si impose una ferrea dieta a base di carne, integrata anche da frutti di mare e crostacei. Questo miglioramento sembra coincidere con il dominio atletico crotoniate nel periodo sopra ricordato. Dalle vittorie tramandate dalle fonti antiche emerge che gli sport prediletti dai crotoniati erano lo stadio (corsa della lunghezza di m 190 circa), il diaulos (corsa della lunghezza di m 400 circa, percorrendo due volte lo stadio, girando intorno al pilastro chiamato meta) e la lotta.

    • Nel 588 (48ima olimpiade) vinse nello stadio (corsa di circa 190 m) Glaukias (o Glykon).
    • Nel 584 (49ima olimpiade) vinse nello stadio Lykinos.
    • Nel 576 (51ima olimpiade) vinse nello stadio Eratosthenes. In questa gara i primi sette trionfatori furono tutti atleti crotoniate, tanto che fu coniato il proverbio ricordato da Strabone (VI, 1,12) "l'ultimo dei crotoniati era il primo degli altri greci ".
    • Nel 564 (54ima olimpiade) e nel 560 (55ima olimpiade) vinse nello stadio Hippostratos.
    • Nel 548 (58ima olimpiade) vinse nello stadio Diognetos.
    • Tra il 532 (62ima olimpiade) e il 516 (66ima olimpiade), vincitore nella lotta fu il celeberrimo Milone, dopo aver vinto nella lotta dei fanciulli nel 540 (60ima olimpiade). Inoltre Milone conseguì sei vittorie nelle Pitiche, dieci nelle Istmie e nove nelle Nemee e pertanto ebbe il titolo di periodonìkes , cioè atleta che riuscì a vincere in sequenza tutti e quattro gli agoni «coronali», per ben cinque volte tra gli uomini.
    • Nel 520 (65ima olimpiade) fu vincitore in una specialità ignota Philippos (L. Moretti). Alla sua morte in Sicilia l'atleta fu venerato, pare, come eroe dagli Egestani.
    • Nel 512 (67ima olimpiade) vinse nella lotta Timasitheos, impedendo a Milon di ottenere la sua settima vittoria olimpica.
    • Nel 508 (68ima olimpiade) e nel 504 (69ima olimpiade) vinse nello stadio Ischomachos.
    • Nel 496 (71ima olimpiade) vinse nello stadio Tisikrates, che ottenne la sua seconda vittoria nel 492 (72ma olimpiade).
    • Nel 488 (73ima olimpiade) vinse nello stadio e nel diaulos Astylos e i Crotoniati gli dedicarono una statua nel santuario di Hera Lacinia. Ma quando l'atleta vinse nuovamente nello stadio e nel diaulos nel 484 (74ima olimpiade) e nel 480 (75ima olimpiade, in cui vinse anche nell'oplite) dichiarandosi siracusano, i suoi concittadini distrussero la statua e inoltre trasformarono la sua casa in prigione.
    • Nel 480 ebbe una statua in Olimpia, scolpita da Pitagora di Samo (ma operante ormai a Rhegion).


    Dalle fonti si conoscono altre vittorie e, da un brano del retore Eliano, è ricordato anonimamente un atleta di Crotone che morì poco prima di essere incoronato (in un periodo incerto tra VII e V secolo a.C.). Quanto ai vincitori pitionici, il più famoso fu Phayllos. A Delfi egli fu vincitore per due volte nel pentathlon (lancio del disco, salto, lancio del giavellotto, corsa e lotta) e una volta nello stadio. Infine occorre ricordare che i Crotoniate parteciparono e vinsero non solo nei giochi panellenici, ma anche in competizioni ‘tra vicini', in cui il premio era costituito da una corona di mirto. Per esempio dai frammenti di una lode di Simonide di Ceo apprendiamo che nel 492, nel 484 e nel Astylos vinse nel diaulos ottenendo in di incoronarsi di mirto. Un ricordo di ciò potrebbe allora rintracciarsi nella corona aurea del Lakinion, secondo una suggestiva ipotesi di P.G. Guzzo. La corona sarebbe stata integrata dalle foglie di selinon a seguito di altre vittorie (la pianta si offriva ai vincitori degli agoni di Tebe, Corinto e Nemea) e infine dedicata ad Hera.

    Edited by Isabel - 3/11/2014, 17:27
     
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