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Lo Tsunami di Scilla: quel 6 febbraio 1783 di terrore e distruzione nel Reggino Tirrenico

Storia

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  1. Isabel
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    Lo Tsunami di Scilla: quel 6 febbraio 1783 di terrore e distruzione nel Reggino Tirrenico

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    Lo “Speciale Tsunami Italiani di MeteoWeb“ oggi si arricchisce di un nuovo preziosissimo capitolo, dedicato interamente allo storico evento del 6 febbraio 1783 a Scilla (RC) & dintorni. Adesso ci soffermiamo su un singolo evento particolarmente devastante e ben documentato, con il solito validissimo contributo del geologo Giampiero Petrucci.

    Scilla & Cariddi tra mito e leggenda

    Lo Stretto di Messina è da millenni al centro di miti e leggende. I marinai dell’antichità avevano terrore di transitare nel tratto di mare che separa Sicilia e Calabria, spesso preda di venti impetuosi e governato da correnti dispettose quanto irregolari, ma soprattutto regno di Scilla e Cariddi. La prima, anche secondo quanto narra Omero nel libro XII dell’Odissea, a seguito di un malefico incantesimo della maga Circe (sua rivale in amore per il dio marino Glauco) aveva assunto le sembianze di un mostro che, vivendo in una grotta della rupe all’imbocco settentrionale dello Stretto, provocava terribili marosi e divorava gli sventurati marinai naufragati su quelle coste. Anche sei compagni di Ulisse perirono nelle sue fameliche bocche. Cariddi invece, spesso raffigurata come un altro orribile mostro e detta “colei che risucchia”, generava un immenso e vorticoso gorgo, al largo di Capo Peloro (la punta settentrionale della Sicilia), che improvvisamente agitava il mare ed inghiottiva navi intere. Lo Stretto dunque da sempre ha suscitato mistero e generato fantasie popolari, raramente scalfite dalla realtà dei fatti.

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    Scilla oggi di notte - foto di Peppe Caridi
    Il paese di Scilla. Nella sponda calabrese dello Stretto, sulla rupe un tempo regno della ninfa Scilla poi trasformata in mostro, sorse un insediamento dei Tirreni, chiamato Scyllaeum. Già all’epoca della distruzione di Troia (1270 a.C.) i Greci abitavano i dintorni della rupe. Paese quindi antichissimo, dove “soggiornarono” pure Spartaco (a capo della sua rivolta di schiavi) ed Ottaviano (il futuro Augusto). Cittadina che poi durante il Medioevo divenne dominio incontrastato della potente famiglia feudataria Ruffo e che oggi ha uno sviluppo urbano alquanto particolare.Secondo una diceria popolare infatti Scilla avrebbe una conformazione urbanistica simile alla forma di un’aquila. Il capo maestoso è la rupe dove ancora oggi sorgono i resti del possente castello Ruffo; le ali aperte sono rappresentate dai quartieri di Marina Grande (dove in estate la Spiaggia delle Sirene è sempre affollatissima) e di Chianalea (abitata prevalentemente da pescatori che tramandano di padre in figlio tradizioni millenarie come la caccia al pesce spada); il corpo e la coda sono formati dall’altopiano (geologicamente un terrazzo alluvionale) su cui sorge il quartiere di San Giorgio e dal quale, soprattutto al tramonto, si gode un’impareggiabile vista della Sicilia settentrionale e delle Eolie. Un paese da paradiso, ricco di storia e di tradizione, oggi ad alta vocazione turistica, una vera e propria perla dell’intera Calabria. Ma anche un paese a rischio.


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    Lo Stretto di Messina dall'alto

    5 Febbraio 1783. Nel biennio 1783-1784 la Calabria meridionale fu colpita dalla “crisi sismica” più intensa mai registrata in Italia: una serie di terremoti distruttivi, ravvicinati nel tempo e talmente disastrosi da modificare radicalmente la morfologia del territorio nonché l’intero sistema idrogeologico. La crisi acquistò particolare rilevanza tra il Febbraio ed il Marzo del 1783. Due fondamentali studi, in particolare, possono aiutarci a ricostruire quanto accaduto in quei tragici giorni a Scilla e dintorni: “A Revision of the 1783-1784 Calabrian (Southern Italy) Tsunamis” di L. Graziani, A. Maramai e S. Tinti (Nat. Hazards Earths Syst. Sci, 6, 2006) ed il recentissimo “Revisiting the February 6th 1783 Scilla (Calabria, Italy) Landslide and Tsunami by Numerical Simulation” di P. Mazzanti e F. Bozzano (Mar Geophys Res, 2011). Il 5 Febbraio 1783, intorno a mezzogiorno, si verifica un terremoto con epicentro nei pressi di Oppido Mamertina e magnitudo 6.9 (per fare un raffronto, quello di L’Aquila 2009 aveva magnitudo 5.9 sulla scala Richter). Il potente sisma colpisce con particolare violenza la piana di Gioia Tauro ed in totale si registrano circa venticinquemila morti. A Scilla le vittime sono circa 150. Crolla la chiesa matrice, rovinando sulle case vicine. La chiesa di S. Rocco (amatissimo Santo patrono locale) perde la cupola e due campanili mentre la chiesa dello Spirito Santo, a Marina Grande, subisce gravi lesioni alla volta. Nel castello, che aveva resistito tetragono per mille anni a qualsiasi assalto, cade in rovina la chiesa basiliana di S. Pancrazio e viene danneggiata buona parte dei piani superiori. Numerose le abitazioni private distrutte mentre diverse frane scivolano nelle valli dei torrenti Oliveto e Livorno. A seguito di questo terremoto si origina uno tsunami, con il mare che dapprima si ritira e poi colpisce con violenza sia la costa siciliana dello Stretto (tra Messina e Capo Peloro) che quella calabrese (tra Cannitello e Scilla). A Messina il mare invade il porto ed i viali a mare. A Capo Peloro raggiunge i due laghetti, distrugge parzialmente il faro e devasta la spiaggia. A Reggio Calabria le acque invadono il litorale, a Scilla l’intera Marina Grande è ricoperta dalle onde mentre a Chianalea il livello marino si alza di circa due metri. Effetti sono segnalati anche più a nord (a Joppolo il mare si ritira, a Nicotera si registrano onde anomale) e perfino nello Jonio, da Bianco a Roccella dove diverse barche vengono trascinate sulla terraferma. Uno tsunami dunque importante, di intensità 4, che interessa una vasta area geografica (Tinti S., Maramai A., Graziani L., The New Catalogue of Italian Tsunamis, 2004). Ma, passata l’onda, si cerca, pur nel terrore, una via di salvezza. Circa duemila scillesi si accampano a Marina Grande, a Chianalea, ad Oliveto, in ripari di fortuna, sotto le barche rovesciate od in tende improvvisate, dentro qualche baracca di legno costruita in fretta e furia. A Marina Grande viene pure trasportato l’ottantunenne don Fulcone Antonio Ruffo, il Principe di Scilla, con la sua corte di cinquanta persone. Facilmente immaginabili lo scoramento, la disperazione, il dramma che vivono queste persone. Ma la natura sta preparando un’altra tragedia, ancora più sconvolgente. Inizia infatti la notte più terribile della storia di Scilla.

    6 Febbraio 1783. Sì, perché alle 00.20 del 6 Febbraio 1783 si verifica un’altra scossa tellurica, di magnitudo 6.3 e grado Scala Mercalli VIII-IX, con epicentro sulla costa di Villa S. Giovanni. A Scilla altre costruzioni vengono lesionate, il terrore serpeggia nella popolazione sconvolta e prostrata. Improvvisamente, poco dopo la scossa, un’immensa frana (un fronte di circa 500 metri ed un volume di diversi milioni di metri cubi) si stacca dal Monte Pacì (immediatamente a Sud di Scilla) e rovina precipitosamente in mare nel giro di pochi secondi. Allo stesso modo di quando si getta con violenza un dado in un bicchiere d’acqua, nel giro di uno-due minuti un’enorme ondata si abbatte su Marina Grande, travolgendo i poveri scillesi lì rifugiatisi, terrorizzati dal cupo rombo susseguito allo scivolamento in mare della frana (ricordiamo che è notte fonda). Il mare seppellisce tutto, risalendo addirittura il vallone del torrente Livorno per diverse decine di metri, con un run-up stimato di almeno dieci metri (alcune testimonianze parlano di “acqua fino ai tetti delle case”), forse perfino 15, inondando, più a nord e dall’altra parte della rupe, anche Chianalea e la zona di Oliveto (Graziani L. ed altri, op. cit., 2006). Soltanto a Scilla muoiono circa 1500 persone, probabilmente di più: i cadaveri, spesso irriconoscibili, vennero poi rapidamente bruciati per evitare infezioni. Alcune vittime vennero ritrovate sui terrazzi e perfino sui tetti delle case, altre sugli alberi. Per oltre un anno il mare restituì altri corpi e detriti vari, a ricordo di una tragedia sconvolgente e terrificante.

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    Lo sviluppo dell’enorme frana che ha provocato lo tsunami a Scilla nel 1783 in una spettacolare ricostruzione in 3D dell’evento. Dal monte Pacì (area in rosso) si stacca la massa di terreno che scende rapidamente in mare, percorrendo un tragitto quasi rettilineo (in giallo) fino ad accumularsi sul fondo dello Stretto (area evidenziata in bianco). Sullo sfondo, a sinistra, la spiaggia di Marina Grande dove perirono circa 1500 persone. Immagine tratta da “Revisiting the February 6th 1783 Scilla (Calabria, Italy) Landslide and Tsunami by Numerical Simulation” di P. Mazzanti e F. Bozzano (Mar Geophys Res, 2011). Pubblicata per gentile concessione del dott. Paolo Mazzanti

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    Gli effetti dell’onda di tsunami sull’abitato di Scilla. I numeri indicano vari siti, l’area in grigio scuro segnala le zone raggiunte dal mare. I sta per “ingressione” ovvero i metri di costa invasi dalle acque in quel determinato punto, R per “run-up” ovvero l’altezza stimata dell’onda nel punto considerato. Da notare come nel vallone del Torrente Livorno le acque siano penetrate per circa 200 metri e come alla Chiesa dello Spirito Santo l’altezza dell’onda sia stata stimata in 8 metri. Tratta da A Revision of the 1783-1784 Calabrian (Southern Italy) Tsunamis” di L. Graziani, A. Maramai e S. Tinti, Nat. Hazards Earths Syst. Sci, 6, 2006

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    La Scilla di oggi vista dall’alto con gli effetti di uno tsunami simile a quello del 1783. Evidenziata in blu l’area oggetto della possibile ingressione marina. Gli effetti sarebbero disastrosi: l’intero quartiere di Marina Grande, con le sue infrastrutture turistiche e le numerose abitazioni estive, sarebbe interamente sommerso così come il porto ed una parte di Chianalea. Le acque invaderebbero l’attuale Statale 18, giungendo fino all’altezza della ferrovia. Un disastro di enormi proporzioni, soprattutto se dovesse verificarsi in estate. Per la collaborazione nella ricerca e nella gestione dell’immagine si ringrazia Easy-Map (easy-map.it)

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    Cannitello, dove il 6 Febbraio 1783 il mare penetrò per circa un km a seguito dello tsunami scillese. In quest'area, secondo il progetto esecutivo, dovrebbe sorgere il grande pilone a sostegno del Ponte sullo Stretto

    Gli effetti dello tsunami si avvertono anche in altre zone: nell’area circostante Cannitello (proprio dove dovrebbe sorgere il pilone del Ponte sullo Stretto!!!) le acque penetrano per circa un km nella costa, a Nicotera e Bagnara le spiagge sono completamente allagate, a Messina il run-up è di circa due metri e viene inondato il mercato del pesce, a Capo Peloro l’altezza delle onde (arrivate circa cinque minuti dopo lo sviluppo della frana, Mazzanti&Bozzano, op. cit., 2011) è di 6 metri ed il mare penetra per almeno 500 metri, il litorale viene inondato anche a Reggio. Dunque uno tsunami di intensità straordinaria, pari al grado 6, il massimo valore attribuibile. Un evento estremamente rovinoso, con un alto tributo in vite umane che chiude dolorosamente i due giorni più terribili di tutti i tempi sulle coste del nostro paese.

    Questo “tsunami scillese” rappresenta, per certi aspetti, una piccola anomalia dal punto di vista scientifico. Perché non è strettamente correlato ad un terremoto, come accade nella stragrande maggioranza dei casi, quanto ad una frana costiera come, ad esempio, quello verificatosi nel 2002 a Stromboli. Si tratta però di un evento estremamente rovinoso che deve far riflettere gli amministratori del territorio e l’intera comunità scillese. Il degrado ambientale nella zona dello Stretto è evidente. I rischi connessi a catastrofi naturali sono ben documentati storicamente. Non passa inverno a Scilla senza vedere due o tre mareggiate invadere pesantemente il viale a mare, generando una sorta di “mini-tsunami”. La statale 18, da Bagnara a Villa San Giovanni, è continuamente soggetta a movimenti franosi che recentemente hanno addirittura colpito pure l’Autostrada A3, provocando la chiusura di entrambe le carreggiate. Eventi come lo tsunami del 1783 potranno ripetersi, scatenati magari da quello Stromboli che nelle giornate più limpide si staglia minaccioso all’orizzonte: ovviamente è impossibile prevedere quando. Forse domani, forse tra mille anni ma prima o poi si riverificheranno. Non c’è più tempo da perdere. Ed allora cosa possiamo fare? Presentare i fenomeni, sollecitare interventi di amministratori e tecnici. Prevenire, non curare. Ma, per avere una speranza in più, i cittadini devono anche pensare a difendersi da soli, controllando con attenzione il territorio, osservando i piccoli segni premonitori, conoscendo la storia dei disastri ed il loro sviluppo. Insomma, come si dice a Scilla cu si vardau si sarbau. Ovvero chi sta attento, si salva. Tutti noi, dunque, dovremmo prestare più attenzione ai rischi connessi ai fenomeni naturali estremi: è questo l’insegnamento che possiamo trarre dallo “tsunami scillese”.

    Edited by Isabel - 15/10/2014, 15:51
     
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