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Memorie - Pietro, il partigiano calabrese in terra ligure

Storia

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  1. Isabel
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    Memorie - Pietro, il partigiano calabrese in terra ligure

    - Fonte -
    di Anna Foti

    Ricordano insieme due luoghi, uno al Sud ed uno al Nord, la Resistenza che ha unito l’Italia attorno al sogno di Libertà. Questa memoria comune è alimentata dalla storia di Marco Perpiglia, nato e morto a Roccaforte del Greco, in provincia di Reggio Calabria, partigiano a La Spezia con il nome di battaglia “Pietro”.

    Nipote per parte di madre di Marco Sergi, morto in pieno regime fascista e che aveva già combattuto in Aspromonte al seguito di Garibaldi per conquistare l’Unità d’Italia, Marco Perpiglia matura fin da ragazzo il sentimento antifascista ed una profonda ed indomabile adesione agli ideali di Uguaglianza, Libertà e Giustizia. Guidato dai racconti del nonno materno, si iscrive giovanissimo al partito Comunista Italiano, di cui diviene un appassionato ed attivo militante. Una militanza che lo avrebbe reso scomodo anche in Liguria, a La Spezia, dove nel 1936 emigra per lavorare come ebanista presso l’Arsenale.

    Con lui emigra anche la moglie Giuseppina Russo, operaia nello jutificio Montecatini, anche lei attivista antifascista e partigiana nella brigata “Gramsci” morta nel 1991, che lo affianca nel suo impegno politico-sindacale. La vita di Pietro, il suo fervore politico si intrecciano in un periodo storico di profondo fermento sociale, di militanze clandestine, di resistenze nelle fabbriche, di persecuzioni politiche spesso determinanti l’espatrio che, di fatto, getta le basi per la formazione di un fronte internazionale solido contro i totalitarismi.

    Notevole è il contributo alla causa che Pietro, calabrese, offre in qualità di ispettore del comando della IV Zona Operativa Ligure, allocata vicino al mare e in un territorio ricco di fabbriche, bersaglio dei tedeschi. Marco Perpiglia è protagonista di quella Resistenza che valse alla città di La Spezia la Medaglia d’Oro al Valore Militare, consegnata dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nell’aprile del 1996.

    Le lotte operaie e l’accrescimento della coscienza antifascista sono stati alla base del fronte di resistenza sempre più esteso al punto che la guerra nella vicina Spagna contro il regime di Franco ebbe eco in questi ambienti (Ansaldo, Oto dell’Arsenale ed altre fabbriche dello spezzino) da dove in tanti partirono per combattere come volontari.

    Tra questi anche Marco Perpiglia, in quel momento attivo militante del partito con il compito di fare da tramite tra gli operai delle diverse fabbriche spezzine. L’arrivo in Spagna, con l’aiuto delle organizzazioni antifasciste di Marsiglia, il combattimento sui diversi fronti, l’incarico di segretario aggiunto del PCI e di commissario politico della Compagnia Mitraglia, il grave ferimento alla gola, la fine della guerra ed il ritorno, passando per la Francia dove è stato detenuto presso alcuni campi di concentramento (st Cyprian, Gours, Vernet). Queste le tappe della sua vita a cavallo tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale.

    Al suo rientro in Italia, nel 1941, ad attenderlo le accuse di propaganda comunista e di militanza rossa nella guerra civile in Spagna, ma anche diverse denunce per lesioni, tentato espatrio clandestino ed una interdizione per furto in Francia. Quindi l’arresto, le perquisizioni e l’incriminazione ad opera del Tribunale speciale di La Spezia che lo interroga e, nonostante il suo tardivo tentativo di ritrattare il suo impegno politico, lo condanna al confino per cinque anni nella colonia di Ventotene.

    Il lustro non trascorre e nell’agosto del 1943 viene liberato. Il ritorno dall’amata Giuseppina a La Spezia è tuttavia doloroso. Non c’è più ad attenderlo il figlio, morto in un incidente stradale. Il dolore è immenso ma i tempi sono duri. Serve una resistenza armata. Il Fascismo è caduto ma bisogna liberare l’Italia dall’occupazione nazista e così risponde presente all’appello. Riprende i contatti nelle fabbriche ed assume un ruolo di primo piano nella organizzazione e nella formazione dei giovani combattenti. Perpiglia diviene uno dei promotori del Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale, prima, e della brigata garibaldina unitaria Cento Croci (frazione di Varese Ligure nella provincia spezzina), dopo, con Terzo Ballani, Flavio Maggiani ed altri.

    Sono tempi di grande repressione soprattutto nei luoghi dove la militanza è più forte, ossia le fabbriche. All’interno di esse la Repubblica di Salò istituisce delle commissioni interne. I sindacati repubblichini nella fabbriche spezzine si scontrano proprio con gli operai dei gruppi sindacali di Perpiglia. Lo scontro si fa tale che il 1 marzo 1944 a La Spezia viene organizzato uno sciopero delle fabbriche che in realtà ebbe un valore interregionale, coinvolgendo anche altre fabbriche liguri e quelle lombarde e piemontesi. Tra le anime della contestazione, con Marco Perpiglia, anche Anselmo Corsini, Silvio Borgatti, Anelito Barontini, Mario Ragazzini, Otello Giovannelli.

    Allo sciopero seguirono numerosi arresti tra cui anche quello di Giuseppina Russo, arrestata con le altre due attiviste Elvira e Dora Fidolfi, detenuta per 12 giorni. Detenuto anche Pietro, torturato e poi liberato.

    Con la fine della guerra, finisce per Pietro ed i suoi compagni anche la clandestinità. Si insedia insieme agli altri componenti del comitato di Liberazione presso la Prefettura spezzina. Avrebbe potuto cominciare una carriera politica ma, come l’altro partigiano calabrese Vito Doria, rifiuta. Risponde di no alla candidatura al Parlamento, proposta dalla Federazione del Pci di La Spezia, e risponde di no anche alla proposta di reintegro sul posto di lavoro, dal quale era stato licenziato per la sua attività politica e sindacale, presso l’Arsenale. Chiede che con lui siano reintegrati tutti coloro che erano stati licenziati, non accetta trattamenti di riguardo. La richiesta non è accolta ed allora chiede che al suo posto sia reintegrato il più bisognoso dei compagni partigiani un tempo messi alla porta. Quindi torna a Roccaforte del Greco, nel profondo Sud Italia, con l’amata Giuseppina.

    Più forte è il richiamo della terra natia, dopo una vita in trincea, al servizio di ideali che hanno servito la storia dell’Italia ma non la sua personale. Non accettò nessun trattamento privilegiato e quando un male incurabile irruppe nella sua esistenza, condizionando l’autonomia dei suoi giorni, “Pietro”, combattivo ma consapevole dei suoi limiti, si tolse la vita nell’ottobre del 1983 per non essere di peso ai familiari. Cordoglio unanime arrivò soprattutto dalla Liguria, dove il ricordo del suo contributo alla Resistenza è ancora oggi molto vivo.
    Antoni Varese, presidente dell’Anpi Spezzina fino alla sua morte avvenuta nel dicembre 2008, di Pietro scrisse al nipote Carmelo Azzarà, attivamente impegnato nella promozione della memoria dello zio in Calabria: “(…) io vedo Pietro come Primo Levi il cui libro “Se questo è un uomo” resta emblematico della resistenza (…) uomini che hanno preferito chiudersi al mondo esterno e poi farsi scomparire perché la fede nelle loro (nostre) idee si scontrava sempre più, sino a divenire insopportabile con lo stesso mondo esterno”.

    Anche Roccaforte del Greco ha ricordato Pietro, intitolandogli una piazza. Sopravvisse intatto al tempo ed alle distanze, quel legame con gli altri combattenti, abbracciato ai quali era sceso nella città spezzina lacerata dalla guerra, come il resto dell’Italia, quel 25 aprile 1945. Alcuni vennero a trovarlo anche in Calabria.

    La storia del partigiano Pietro, dunque, unisce l’Italia in tutti i modi possibili e la sua memoria è presidio insopprimibile di un’identità Italiana. Fieramente, e non molto tempo fa, in tanti hanno perso la vita per non rinunciare al sogno di consegnare la Libertà ai posteri. Tra questi ci fu anche Marco Perpiglia, nome di battaglia “Pietro”, il partigiano calabrese in terra ligure.

    Edited by Isabel - 15/10/2014, 15:31
     
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