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Memorie - Le donne nella strage degli Alberti di Pentidattilo

Il fascino della leggenda e la violenza della storia

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  1. Isabel
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    Memorie - Le donne nella strage degli Alberti di Pentidattilo. Il fascino della leggenda e la violenza della storia

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    - Fonte -
    di Anna Foti

    Un massiccio che si staglia nella cornice dell’Aspromonte con le sue cinque punte, come una mano che mostra il suo palmo al mare con le sue cinque dita si rivolge al cielo. Paese fantasma, antico borgo, oggi abbandonato, Pentidattilo si erge in tutto il suo fascino, dominando il mar Ionio a 250 metri sul livello del mare. Ma il suo fascino si deve anche ad una secolare e cruenta leggenda.

    E’ rossa la roccia che compone le cinque dita del suggestivo borgo di Pentidattilo, frazione del comune di Melito Porto Salvo, nella provincia reggina, la cui etimologia greca completa l’affascinante immagine che il borgo, ancora oggi, offre al mare Ionio. Colonia calcidese, nel periodo greco romano fu un fiorente centro economico, promontorio sfruttato dal punto di vista militare per la posizione di strategico dominio della fiumara di Sant’Elia (dal nome del Santo a secolo Giovanni Rachites, originario di Enna che dall’Oriente fece ritorno in Sicilia e poi soggiornò anche in Calabria e che nell’884 fondò qui un monastero, poi a lui intitolato, proprio nella Valle delle Saline, sul monte Aulinas, oggi monte Sant’Elia di Palmi). Comune aspromontano autonomo fino al 1811, di cui Italo Calvino scrisse: "Il suo passato è scritto nelle vie, in ogni segmento rigato a sua volta da graffi, seghettature, intagli." Il suo fascino è stato anche colto dalla penna dell’illustratore, viaggiatore inglese dell’Ottocento, Edward Lear. E’ in quelle vie rocciose, aspre ma cariche di emozioni e storia vissuta e tramandata, riecheggiano ancora, la leggenda narra, le urla strazianti di Lorenzo tra le gole della montagna nelle fredde notti di inverno del borgo arroccato, e scorre il sangue versato per mano del barone Abenavoli, cui si deve anche la denominazione del borgo ‘Mano del Diavolo’. Pentidattilo è stato infatti teatro del terribile misfatto noto come ‘la Strage degli Alberti’, una cruenta notte, quella del 16 aprile 1686.

    Il nobile Bernardino Abenavoli da Franco, barone di Montebello, innamorato della Marchesina Antonietta Alberti, che gli era stata promessa in sposa dal padre don Domenico, ebbe a scoprire che l’erede del marchese Domenico nel dominio del feudo, il figlio Lorenzo signore di Pentidattilo e suo successore, la aveva promessa ad altro uomo, non onorando la volontà del padre defunto. Appreso infatti del fidanzamento di costei col figlio del Viceré di Spagna, don Petrillo, cognato di Lorenzo, il barone Abenavoli, diviene furioso al punto da organizzare una spedizione punitiva. Un attacco che si avvalse della corruzione del servitore Giuseppe Scrufari.

    Si consuma una vera e propria strage con uccisioni brutali: Lorenzo assassinato a colpi di archibugio, prima arma da fuoco portatile e precisa nel tiro, e poi a pugnalate; il fratellino di 9 anni sbattuto contro le rocce e la madre Maddalena, gli altri fratelli Simone ed Anna ed altri ospiti nel castello barbaramente uccisi. Non raggiunte da tale violenza Caterina Cortez, Antonietta Alberti, la sorellina Teodora, la madre Donna Giovanna e Don Petrillo Cortez, rapito a garanzia di eventuali ritorsioni del Viceré nei confronti degli Abenavoli e tenuto in ostaggio nel castello a Montebello.

    Con il sangue, Bernardino ottenne di rapire ed avere per sè Antonietta per sposarla con la forza tre giorni dopo nella chiesa di San Nicola di Montebello, ritrovandosi poi a dover fuggire prima a Malta e poi a Vienna e morire in combattimento nelle file delle milizie austriache nel 1692. Il Viceré Cortez, infatti, informato dell’accaduto, inviò una vera e propria spedizione militare che sbarcata in Calabria, attaccò il Castello degli Abenavoli, liberando il figlio del Viceré e catturando sette degli esecutori della strage compreso il servitore traditore Scrufari, decapitandoli. Le loro teste furono appese ai merli del castello di Pentedattilo e quel matrimonio tra Bernardino e Antonietta annullato dalla Sacra Rota, perché contratto con violenza, nel 1690.

    La figura femminile assolutamente in balia del delirio e della violenza maschile al centro di questa antica leggenda contaminata dalla storia, come tante alte vicende, del passato più o meno recente, e del presente della nostra terra, ma non soltanto. Alcuni atti notarili, conservati presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria e in questo frangente in mostra nell’ambito della mostra “Generazione di Donne”* allestita fino al prossimo dicembre per sensibilizzare la cittadina sul retaggio culturale manipolativo delle donne e del loro destino, custodiscono frammenti di storia della tormentata famiglia Alberti e fotografano momenti prima e dopo la strage dell’aprile del 1686.

    In particolare risale al 5 maggio 1685, un anno prima della strage, la dichiarazione di apertura del testamento di don Domenico Alberti a cura della moglie, marchesa di Pentidattilo, donna Maddalena Vanacthoven Alberti (Fondo Notarile, notaio Giuseppe Foti, inv. 81 b. 662 prot. 3529, ff. 29r-30r). La procedura, avallata dal placet della Corte Capitaneale, era stata avviata dalla marchesa Maddalena anche in qualità di tutrice dei figli minori Simone, Antonia, Anna, Teodora, Giovanna.

    Si percepisce lo strazio della stessa Antonietta (Antonia) Alberti, invece, nell’atto notarile (Fondo Notarile, notaio Vincenzo Chirico, inv. 81 b. 744 prot. 3791, ff. 13v) datato 9 maggio 1686 (solo alcune settimane dopo l’eccidio) con cui donna Antonia Alberti, consumata dal rimorso di essere stata l’involontaria causa della strage, dichiara di volersi trasferire dal Conservatorio delle educande di Reggio al Monastero di Santa Maria di Basicò. Tra le sue motivazioni la volontà di allontanarsi dalla sua famiglia.

    Da altro fondo Notarile, quello del notaio Giuseppe Foti, inv. 81 b. 662 prot. 3535, ff. 16r-18r, anche la richiesta, in mostra presso l’Archivio di Stato, della richiesta del Feudo e del castello di Pentidattilo in gestione dopo la strage allo zio Francesco, fratello di don Domenico deceduto nel 1685. La richiesta è datata 13 ottobre 1695 ed è rivolta dalla nipote Teodora, sorella di Antonia, intanto sposatasi con don Francesco Ruffo. Teodora era l’ultima marchesa di Pentidattilo e duchessa di Melito.

    Rimangono comunque frammentarie le fonti sulla storia di quel frangente e abbondano le versioni, il che rende arduo accreditare l’una o l’altra, attribuendo un adeguato margine di veridicità. A titolo esemplificativo citiamo la prosa dello Spanò-Bolani e del Mandalari che nella descrizione dei fatti di quella notte nel borgo accentano più le passioni ed i sentimenti dei personaggi che gli intrecci ed ai risvolti politici e sociali degli avvenimenti.

    Non mancano, inoltre, crogiuoli di ipotesi neanche suffragate da supporti documentali ma tessute in ragione di quell’alone di mistero e di leggenda che ancora avvolge questa pagina sanguinaria della storia di Pentidattilo. Il borgo, tuttavia, rimane un suggestivo massiccio montuoso, incontaminato nel suo fascino e nella sua bellezza paesaggistica, naturalistica, fortemente e implacabilmente evocativa.

    • La mostra, allestita presso l’Archivio di Stato reggino diretto da Mirella Marra, non è celebrativa della condizione femminile ma evidenzia il ruolo immancabilmente subalterno della donna rispetto ai poteri maschili e a retaggi e subculture che la storia ha determinato e raccontato. Il destino della maggior parte delle donne è dipeso completamente ed a lungo da quello degli uomini. Il percorso, che è un itinerario squisitamente documentale e fotografico, delinea a tappe l’universo femminile dentro la storia tormentata della nostra terra, grazie ad una significativa presenza di carte d’archivio con riferimento alla donna ed alla sua condizione dal XVI al XX secolo. Diverse sono le sezioni tematiche: Itinerari di vita – Da schiava a maestra – Pietas e vita monastica – Operaie e cittadine – La donna allo specchio.

    Edited by Isabel - 15/10/2014, 15:30
     
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