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Memorie - Laura C, 3 luglio 1941: Madre Natura custodisce i segreti della Storia

Storia

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  1. Isabel
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    Memorie - Laura C, 3 luglio 1941: Madre Natura custodisce i segreti della Storia

    - Fonte -
    di Anna Foti


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    Un relitto del passato, affondato in tempo di guerra, che potrebbe aver seminato morte con il suo carico, nonostante la sua rotta interrotta; una presenza affascinante ma, al contempo, lugubre e misteriosa nei fondali della Calabria. La natura in questi oltre 70 anni lo ha abitato, plasmandone i luoghi e trasformandone l’immagine, con la meravigliosa flora marina, la variegata e ricca fauna capaci di ravvivare con colori e forme anche le più antiche incrostazioni. Tra i tanti misteri che i mari calabresi custodiscono. Alcuni si allontanano nel tempo senza essere stati svelati, stillando la possibilità di celare storie di scomode verità taciute. Tante le imbarcazioni, oggi relitti, ancora giacenti sui fondali calabresi e tra questi vi è anche quello della Laura Couselich, detta Laura ‘C’, una imponente nave di trasporto della Marina Militare Italiana salpata dal porto di Venezia il 28 giugno 1941 e affondata il 3 luglio dello stesso anno, al largo di Saline Joniche, sulla costa jonica della provincia di Reggio Calabria. Nel lontano 1941, inviata a rifornire le truppe italiane che combattevano in Africa, in particolare a Tripoli, il piroscafo Laura C faceva scalo a Taranto per unirsi alle imbarcazioni Mameli e Pugliola e raggiungere in gruppo il porto di Messina. Fiancheggiate dal cacciatorpediniere Altair, lungo la costa jonica calabrese le navi subiscono l’attacco del sommergibile inglese Upholder. E’ il tre luglio del 1941 quando la Laura C cola a picco sul fondale sabbioso di Saline Joniche, frazione del comune di Montebello Jonico. Un episodio che costò la vita di due uomini, Marò R.M. Vittorio Panariello di Michele – 1917 – Napoli e Marò merc. Angelo Duse – 1892 – Venezia, la scomparsa di quattro, 3° Uff. Macc. Pietro Mosetti di Antonio –1889 – Trieste; Segn. R.M. Francesco Diritti di Antonio –1911 – Paola; Fuoch. Merc. Stefano Izzo di Gennaro –1903 – Torre del Greco; Marò Merc. Edoardo Marcuzzi di Edoardo –1906 – Trieste , e il ferimento di cinque, nostromo Luigi Tarabocchia di Andrea –1893 – Trieste e l’ingrassatore Pasquale Moscheni di Matteo –1897 – Paola.

    Sono trascorsi più di settanta anni dal momento in cui la nave venne colpita da alcuni siluri, mentre trasportava oltre 5 tonnellate di materiale vario di cui 1500 di tritolo che, più tardi, si sarebbe ipotizzato sarebbero entrati nella piena disponibilità della mafia che, grazie al quel carico incustodito, si sarebbe rifornita gratis per seminare paura, morte e orrore. Un affondamento che si colloca durante la seconda guerra mondiale e che, negli anni a seguire, ha riservato numerosi colpi di scena in cui storia, mistero e leggenda si sono intrecciati. La nave, per le sue peculiarità, era stata confiscata dalla Marina Militare per gli scopi bellici ed era stata caricata con merci destinate alle truppe italiane impegnate in Africa: farina, stoffe, macchine da cucire, biciclette per i bersaglieri, profumi, inchiostro, china, farina, coltelli, vino, birra, ricambi per autoveicoli, medicinali, conserve, cavi per linee telefoniche, armamenti vari ed un ingente carico di tritolo, che occupava tutta la terza stiva posteriore. Quindi la partenza e l’affondamento, con variegato carico al seguito, al largo delle coste calabresi prima dell’arrivo a destinazione. Dopo i fatti del 3 luglio 1941, l’attività di recupero richiese diversi anni. Due i palombari designati, Salvetti, che sarebbe morto durante tali attività, e Todaro la cui vita proseguì a Saline Joniche. Qui morì all’età di 88 anni e a lui si devono i racconti più suggestivi della natura e dei misteri della Laura C.

    Ma torniamo al carico di tritolo. I Carabinieri cominciano ad indagare nel 1995. Durante queste prime indagini emerge uno dei misteri più inquietanti legati a questo relitto. L’ingente carico di tritolo presente nella stiva sarebbe stato fornito dalla ndrangheta, che avrebbe avuto accesso al relitto come deposito di esplosivo, per le stragi di Capaci e via D’Amelio nel 1992 in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le scorte. Lo stesso tritolo sarebbe stato utilizzato per quel messaggio intimidatorio al comune di Reggio, quando tre panetti furono ritrovati nei bagni di Palazzo San Giorgio, sede dell’amministrazione, nel 2004. A tracciare le ipotesi di raccordo, in nome di tritolo disponibili e gratuito per le ndrine, tra la ndrangheta e la mafia siciliana, campana e pugliese, alcune dichiarazioni di pentiti (Vincenzino Calcara, Emanuele Di Natale e Carmine Alfieri), in occasione delle indagini condotte dalla Direzione Distrettuale antimafia di Reggio per il tramite della Guardia di Finanza, in collaborazione con il Sisde. Ipotesi e dubbi pesanti in ragione dei quali il Genio Militare della Marina pensò di liberare le stive e di cementificarle. Sul fondale, sempre più mimetizzati, ancora giacciono oggetti di lavoro. Sono anni di incertezza quelli in cui la società napoletana, Cormorano Srl, esegue in 150 giorni al prezzo di oltre tre miliardi di vecchie lire l’operazione di cementificazione iniziati e completati nel 2002.

    Nella primavera del 2004, DDA e Guardia di Finanza eseguono l’operazione Bumma in cui personaggio chiave è l’elemento di spicco della cosca Iamonte di Melito Porto Salvo, Gaetano Evoli. Pare, ancora una volta, che la ndrangheta trafugasse il tritolo della Laura C per i suoi scopi. Sempre nel 2004, inoltre, i carabinieri di Melito Porto Salvo e di Reggio Calabria ritrovano panetti di tritolo, plausibilmente estratto dalle stive della Laura C, rispettivamente sotto il ponte Molaro e sul greto del torrente Sant’Elia. Il tutto tra un divieto di immersione l’altro, imposti dalla Capitaneria di Porto e poi sempre revocati fino all’autorizzazione per soli scopi scientifici. Sono i tempi della tragedia del sub barese, Domenico Racaniello, che secondo il rapporto dei Vigili del fuoco, sarebbe rimasto impigliato nelle cime della nave nel 2006. Laura C, settanta anni di esplorazioni, passione subacquea, indagini e mistero. Oggi abitata da popoli di polipi, anemoni, invertebrati specialmente rappresentati dai gamberi rossi (Plesionika narval) ”inquilini stabili delle parti più buie, che rappresentano degnamente il phylum dei crostacei tra le strutture di questo complesso sistema perfettamente in equilibrio” descrive sapientemente il fotografo subacqueo naturalista reggino Francesco Turano a cui si devono i racconti più suggestivi dei viaggio sotto il manto marino alla ricerca ed alla scoperta della Laura C che lui stesso descrive come “un’oasi di vita, isolata su un fondale sabbioso o fangoso, ideale per lo studio e la conoscenza del mondo sommerso. Molte opportunità vengono qui offerte alla fauna marina, con netta prevalenza di pesci rispetto agli inveretebrati; questi ultimi, presenti con poche specie, sono comunque ben rappresentati, ma non altrettanto evidenti; nel caso dei poriferi, per esempio, la discreta presenza si manifesta attraverso splendidi cuscini neri, che si sollevano in modo evidente dalle strutture dove aderiscono con la porzione basale”. Oggi il relitto, un tempo dimora di florida fauna marina ed affascinante meta per appassionati subacquei, da più parti e più volte attenzionato per progetto di valorizzazione e realizzazione di un parco acquatico, si presenta con la prua verso terra, in corrispondenza della costa.

    E’ lo stesso Francesco Turano a guidarci in questa immersione tra natura e storia:
    “L’ingresso in acqua dalla spiaggia prevede una lunga pinneggiata in superficie, visto che quella che un tempo era la spiaggia è oggi un fondale sabbioso, causa la lenta e inesorabile erosione costiera provocata dalle vicine strutture di un porto realizzato senza i criteri adeguati. Quindi cento metri a galla e poi giù, seguendo il pendio del fondale, che ci porta immediatamente, con i giusti riferimenti a terra, sul primo pennone che esce dalla sabbia, indicandoci la presenza della nave oggi completamente sepolta nel sedimento nella sua parte prodiera. Lasciato il pennone di prua proseguiamo verso la parte di relitto ancora visibile, oggetto della nostra immersione, che inizia a circa 26 metri di profondità. La nave è rivolta con la prua verso terra, perpendicolare al profilo costiero, e il fondale raggiunge quote impegnative in modo piuttosto celere, e quindi si arriva sulla poppa con già 50 metri di profondità. Questo ci porta a dover programmare bene il percorso subacqueo e non affrontare strane immersioni multilivello con profondità gradualmente crescenti e risalita tutta d’un fiato (errore classico in questi casi). Conviene spingersi subito alla massima profondità stabilita e poi procedere con la perlustrazione del relitto attraverso un lento itinerario in ascesa. A differenza d’un tempo, non è più possibile visitare le stive di poppa, ma solo quel che resta di esse, ormai cementate. Tuttavia è ancora probabile l’incontro con grosse e scaltre cernie brune, enormi trigoni sul fango del fondale circostante e nuvole di boghe, castagnole, anthias e pagelli” (da fondali.it/articoli/page.asp?articolo=210).

    Fascino e mistero di un’imbarcazione utilizzata in tempo di guerra e che a lidi di pace, se non nell’apparente immobilità dei fondali calabresi, non è riuscita ad approdare.

    Edited by Isabel - 15/10/2014, 15:23
     
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