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Memorie - Sulle orme di Lollò in Aspromonte, i passi di una Calabria che si ricorda di non dimentica

Storia

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  1. Isabel
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    Memorie - Sulle orme di Lollò in Aspromonte, i passi di una Calabria che si ricorda di non dimenticare

    - Fonte -
    di Anna Foti


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    Passo dopo passo. Insieme per ricordare, commuovendosi e sorridendo mentre il miracolo si compie. E’ il miracolo della condivisione che nasce da un dolore lacerante, quello della perdita di una persona cara per mano della ndrangheta; un dolore che si scioglie almeno per un momento, almeno per quel momento, in cui il racconto di quell’amore spezzato, di quella vita rubata, di quell’affetto violato, di quella famiglia profanata si scopre essere profondamente di tutti, universale. Uno scrigno di emozioni immersi nella natura straordinaria e maledetta di quell’Aspromonte che ancora custodisce i segreti inconfessabili dei numerosi sequestri di cui è stato teatro negli anni Ottanta e negli anni Novanta. Da dieci anni non custodisce più il segreto della morte di Lollò Cartisano, i cui resti sono stati trovati lì dove da allora c’è una lapide a memoria e che ogni anno, da dieci anni a questa parte, è la tappa finale dei “Sentieri della memoria”, la marcia promossa da Libera per ricordare ogni 22 luglio, il giorno del ritrovamento dei resti di Lollò avvenuto nel 2003, anche altre vittime innocenti della ndrangheta, altre persone che con la loro resistenza, il loro impegno civile hanno reso e rendono ancora grande questa terra, seppur nel cammino della memoria. L’avvio con i saluti dei rappresentanti delle amministrazioni di Bovalino, Locri, Benestare, Sant’Ilario dello Jonio poi in marcia. Centinaia di persone, familiari, cittadini, rappresentanti di associazioni e delle Forze dell’Ordine giovani impegnati nei campi di lavoro sui terreni confiscati in Calabria e provenienti anche dal Nord Italia, gli imprenditori Gaetano Saffioti e Rocco Mangiardi, hanno marciato lo scorso 22 luglio in Aspromonte fino a Pietra Cappa, il luogo in cui furono trovati i resti di Lollò, al seguito della figlia Deborah, oggi coordinatrice di Libera Locride, che ogni 22 luglio, dal 2004, compie quel percorso. Ogni anno accompagna il suo papà, da solo in quei luoghi, lontano dai sui cari al momento di una morte così ingiusta e crudele. Ma anno dopo anno Deborah e la madre Mimma, sono sempre meno sole. In tanti si sono uniti in questa marcia che incarna la speranza per la nostra terra attraverso l’immenso dolore che, negli anni, ha avuto la forza di emergere, di venire fuori e di rappresentante quell’energia che unisce e che rende possibile il cambiamento. In tanti marciano sulle orme di Lollò per onorare la memoria dei propri cari e di cittadini liberi e coraggiosi.
    «Ero in ginocchio per terra. Scavavo con le mani. Non avevo altro. Poi, improvvisamente, sento che la terra diventa più morbida. Capisco che ci siamo. Ed ecco comparire un osso. Avevo trovato il corpo di Lollò Cartisano. Ero già in ginocchio e allora mi sono fatto il segno della Croce e ho pregato». E’ il 25 giugno del 2003. Così l'ispettore di Polizia Raffaele La Bella racconta il ritrovamento dei resti del fotografo di Bovalino, sequestrato dieci anni prima il 22 luglio 1993. Un ritrovamento reso possibile dalle indicazioni precise fornite da un pentito di cui non si conosce il nome che rispose agli incessanti appelli della figlia Deborah con una lettera battuta a macchina che esordiva così: "Sono unu ricarcereri i vostru maritu io sono difronte a diu pentitu ra me azzioni o votato con diu…".
    Non trovò più la libertà dopo il sequestro, Adolfo Cartisano, detto Lollò, diviso tra la passione per il calcio e quella della fotografia rapito a Bovalino nel luglio del 1993, non fece più ritorno a casa. Siamo nella Bovalino, soffocata dal dominio di ndrine locali, ostaggio delle famiglie mafiose di Africo, Natile di Careri, Platì e San Luca in provincia di Reggio Calabria. Finito nel mirino del racket, ricco certamente di coraggio, Lollò non si piegò e subito denunciò. Un sequestro anomalo. Era il 22 luglio del 1993, quando stordita la moglie Mimma Brancatisano e poi legata ad un albero sulla via per l’Aspromonte, i rapitori sequestrarono Lollò davanti alla sua casa al mare a Bovalino. Nonostante il pagamento del riscatto, duecento milioni di lire non ritenute sufficienti, Lollò non sarebbe mai stato liberato e la sua morte ascritta ad un colpo alla nuca che invece di tramortirlo, lo avrebbe ucciso. L’ultimo dei terribili sequestri di ndrangheta, l’ultimo dei 18, con inizio nell’ottobre del 1979 con il quello del tredicenne Alfredo Battaglia, che l’organizzazione mafiosa calabrese abbia compiuto solo a Bovalino prima di divenire la holding internazionale del traffico di stupefacenti che oggi è. In quegli anni tanti i nomi, le vite, le storie: Luana Lizzi Ferrigno, Giuseppe Pappalardo, il medico in pensione Silvio De Francesco nel 1980, il farmacista Giuseppe De Sandro nel 1983, l’imprenditore Giandomenico Amaduri nel 1985, Sandra Mallamo, figlia dell’ex-sindaco Vincenzo Mallamo, il dentista di origine fiorentina Tommaso Municchi, l’industriale oleario Peppe Catanese, il gioielliere sidernese Mario Gallo, il medico Agostino De Pascale, l’imprenditore Domenico Antonio gallo, il dentista Nino Errante, l’imprenditore Paolo Canale e il possidente e sindaco democristiano, l’attuale sindaco bovalinese. Tommaso “Masino” Mittiga. Tra le persone condannate in Cassazione per il sequestro di Lollò, dopo l’arresto nel 1994 di Carmelo Modafferi e dei figli Santo e Leo Pasquale, anche Santo Glicora, latitante da 13 anni, originario di Bova Marina, inserito nella lista dei 100 ricercati più pericolosi d’Italia e genero di Carmelo Modafferi, arrestato nel 2010 a Platì dai carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria. Vibrante è stata la protesta dei familiari delle persone condannate anche durante le prime udienze del processo di revisione a Catanzaro.
    Il sentiero di memoria in Aspromonte termina proprio con la storia di Lollò, un tempo l’unica oggi la l’ultima tappa di un percorso sempre più lungo. I suoi familiari, sua figlia Deborah, con il supporto di Libera, hanno creduto per primi in questo meraviglioso afflato di memoria e di impegno, per non dimenticare.
    Un miracolo possibile per il coraggio dei familiari che hanno raccontato il dramma che si è abbattuto sulla loro vita, familiari che sono riusciti a non subirlo ma a renderlo un dono spinoso per il distacco ed, al contempo, un dono gioioso e prezioso per l’orizzonte di condivisione ed impegno che schiude. La loro voce deve diventare la voce della Calabria orgogliosa dei suoi figli più coraggiosi, quei figli che non saranno uccisi una seconda volta dall’oblio. Marciare con questa famiglia di familiari, che grazie all’impegno di Deborah Cartisano e di Libera cresce anno dopo anno, significa salvare almeno dalla dimenticanza persone che anno cercato, al prezzo della loro vita, di migliorare l’esistenza di tutti noi, di difendere la nostra libertà ed il futuro di questa terra dal sopruso, di salvare i nostri figli dall’oppressione mafiosa. Quell’unica tappa di Pietra Cappa oggi è divenuta la tappa finale e, prima di quella, altre ne sono state segnate nel sentiero lungo quattro chilometri e altre lo saranno ancora. Ogni sosta è una storia da ascoltare, da scoprire, da custodire nel profondo del nostro cuore dove rimangono le scintille dei cuori altrui che a noi si aprono. Ogni storia è una scintilla di speranza. Si comincia con il papà di Gianluca Congiusta, Mario da Siderno, seguito dal giornalista Alessio Magro che ha ricordato il mugnaio di Gioiosa Jonica Rocco Gatto, fino al giornalista Giovanni Tizian, figlio dell’impiegato di banca Peppe di Bovalino. Poi ancora Massimiliano Carbone di Locri, la lotta estenuante di mamma Liliana per essere nonna del nipotino che la ndrangheta tiene da lei lontano, ricordati dal giornalista Giuseppe Trimarchi. Su richiesta della stessa donna, di salute cagionevole ed impossibilitata a prendere parte alla marcia, lo stesso Trimarchi ha ricordato anche il piccolo pastore Paolo Rodà, ucciso in un agguato di cui il padre era il bersaglio a Ferruzzano. Altra tappa quella dell’imprenditore Vincenzo Grasso di Locri ricordato dalla moglie Angela ed il giovane Celestino Maria Fava di Palizzi, ricordato da papà Totò e mamma Anna Maria. Prima della tappa finale di Pietra Cappa con la celebrazione della messa, quest’anno nuovi volti, nuove voci, nuove storie di dolore strappate all’oblio. Sono quelle di Dario Montana, fratello del poliziotto Beppe, dalla Sicilia, di Barbara Vinci, figlia dell’operaio Bruno da Serra San Bruno, Matteo fratello di Giuseppe Luzza da Vibo Valentia. Molte tra queste storie celano anche l’agghiacciante risvolto dell’impunità, delle denegata giustizia. Una ricerca di verità che è responsabilità di tutti come la loro memoria ha diritto di cittadinanza nella coscienza collettiva. A questo coro di speranza coraggiosa si unisce anche quella di mamma Caterina che, per voce dell’amica calabrese Lucetta Sanguinetti, ha raccontato in Aspromonte la storia della scomparsa del giovane torinese, Fabrizio Catalano, avvenuta ad Assisi nel luglio del 2005. Alcune segnalazioni di suoi avvistamenti sono pervenute, in questi anni di ricerche, anche dalla Calabria. Questo l’appello che mamma Caterina continua a lanciare:
    «Fabrizio, dovunque tu sia... Se senti o leggi le mie parole, è a te che mi rivolgo. Sono passati otto anni dal nostro ultimo abbraccio e la tua mancanza diventa sempre più insopportabile. La nostra vita è proiettata solo sulla ricerca di te, di tue notizie. Sappi che non vogliamo in nessun modo ostacolare le tue scelte e non vogliamo strapparti da una vita ascetica per ricondurti a una che ormai senti lontana, ma abbiamo il bisogno di sapere che sei vivo, che stai bene, che sei felice. E mi rivolgo anche a voi che avete avuto modo di incontrarlo, di stargli vicino o avete avuto anche solo la sensazione di averlo visto: non esitate, vi prego a contattarci: si può farlo anche in forma anonima attraverso il sito”. La memoria in Aspromonte aleggia tra i suoi colori, i suoi profumi, i suoi misteri e quel dolore, solo a volte, schiuso alla speranza. Come momenti di vita rimangono impressi sulla pellicola e nella memoria, così l’esistenza di Adolfo Cartisano, scandita da tanti scatti fotografici e tragicamente spezzata dalla ndrangheta, e quella di tanti altri non accennano ad essere dimenticate. La memoria è un dovere nei confronti di chi ha avuto e ha coraggio, di chi presto scoprirà di doverne avere, un dovere nei confronti di Lollò che non ha conosciuto i suoi nipoti, per quanti, troppi, hanno conosciuto lo stesso drammatico destino e si sono visti defraudati del loro futuro. Per la vita che verrà, per una Calabria più libera e più giusta.

    Edited by Isabel - 15/10/2014, 15:22
     
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