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Memorie - Edward Lear e le altre penne straniere che hanno raccontato la Calabria

Storia

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    Memorie - Edward Lear e le altre penne straniere che hanno raccontato la Calabria

    - Fonte -
    di Anna Foti


    learreggio

    Il viaggio ed il suo racconto attraverso varie forme di narrazione tra cui i resoconti illustrati, dunque parole e tratti grafici, testi e disegni, per fotografare luoghi ed impressioni con cui lo scrittore esplora e alimenta l’affascinante dimensione della letteratura itinerante che respira e narra di luoghi, da quegli stessi luoghi. Una letteratura nutrita da scrittori che rendono il viaggio uno straordinario scrigno di emozioni e sensazioni visive la cui narrazione è capace di renderli universalmente condivisibili. Anche la Calabria è stata luogo di grande ispirazione di viaggiatori/scrittori inglesi, ma anche tedeschi e francesi, che nel 1800 giunsero in punta all’Italia e lo raccontarono al resto del mondo. L’Italia fu tappa dell’elitaria esperienza del ‘Grand Tour’ condotta nei paesi del Vecchio Continente per ampliare gli orizzonti culturali. Una pratica avviata nella seconda metà del Seicento in Europa e le cui esperienze più significative furono condotte soprattutto nei due secoli successivi, nel Settecento e nell’Ottocento. La Calabria, in particolare, rimase fuori fino all’Ottocento dagli itinerari degli intellettuali per questioni di raggiungibilità, di collegamenti ma anche di sicurezza per via del brigantaggio. Non mancano infatti aneddoti incresciosi riportati dagli stessi scrittori stranieri in Calabria. Tra le principali firme che raccontarono la Calabria c’è quella dello scrittore, illustratore inglese Edward Lear, il cui bicentenario di nascita a Londra ha segnato, proprio quest’anno, la data dello scorso 12 maggio. Un letterato noto per i suoi limerick, brevi componimenti poetici, tipicamente inglesi, dalle rigide regole con non poche eccezioni, di cosiddetto contenuto umoristico nonsense, di cui uno anche dedicato all’Etna. Lear in Italia trascorse talmente tanto tempo da stabilirsi in Liguria, a Sanremo, dove morì nel 1888. Proprio nella sua ultima e stabile residenza, che fu appunto in Liguria, nel 1870 curò la sua pubblicazione ‘Nonsense Songs, Stories, Botany and Alphabets’, segno di un’opera complessiva nonsense nutritasi non solo di limerick (’A Book of Nonsense pubblicato nel 1846 con lo pseudonimo di Derry Down Derry), ma anche di testi di botanica e alfabeti. Un’adolescenza segnata da difficoltà economiche e dalla malattia, iniziò a guadagnarsi da vivere da pittore naturalista con disegni e schizzi ispirati ad animali, in particolare ad uccelli di ritraeva in dimensioni reali, a foglio intero, e rigorosamente dal vivo. Attività che lo mise in contatto con l’illustre ornitologo John Gould. Ospite e dipendente del Conte di Derby, scrisse i suoi limerick per intrattenere i figli del conte. I pappagalli furono i protagonisti di una delle più rappresentative opere della sua produzione, ‘Illustrations of the family of Psittacidae, or Parrots’. 42 tavole litografate e colorate a mano da lui stesso, pubblicate tra il 1830 ed il 1832. Quindi iniziano i viaggi, prima in Inghilterra ed in Irlanda poi in molte località europee. Un’esperienza che lo condusse particolarmente in Italia: dal Lazio, (Roma,1837, la campagna romana e la Ciociaria), dove si avvicinò al movimento dei preraffaelliti senza però concretizzare alcuna collaborazione, fino in Abruzzo e Molise (tra il 1842 ed il 1846). Poi nel 1847 fu la volta della Calabria, con particolare riferimento alla provincia reggina anche se in quel frangente interessata dai moti, e poi nel 1848 la Basilicata (Melfi e Vulture nel potentino) e l’Irpinia. Ma fu la Calabria ad essere al centro della pubblicazione che Lear pubblicò a Londra nel 1852 ‘Journals of a Landscape Painter in Southern Calabria’, preceduta di un anno da una analoga con i paesaggi della Grecia e dell’Albania e seguita da quella dedicata ai paesaggi della Corsica. I paesaggi italiani sono protagonisti anche di altre opere come ‘Views in Rome and its Environs’ (1841) e ‘Views in the Seven Ionian Isles’ (1863). Il suo viaggio a piedi o in dorso di mulo nella provincia reggina tra il 25 luglio ed il 5 settembre 1847 è stato ripreso in due pubblicazioni postume (Franco Pancallo editore, Locri (RC), 2002 – Baruffa editore, Reggio Calabria, 2003). Ma la grande eredità che il poliedrico Edward Lear ci lascia sono le illustrazioni di Scilla, Bagnara, Montebello Jonico, Palizzi Superiore, Pentedattilo, Stilo, Reggio Calabria con veduta dell’Etna (nella fotografia) e Polsi. In particolare di questa scrive:’Senso del mistero, solitudine delle montagne che alcuna penna o matita possono descrivere’, come ricordato da Lorenzo Lazzarino studioso della cultura anglosassone e socio dell’Anglo Italian Club di Reggio*. Proprio l’illustrazione di Reggio, nella sua versione ad olio originale, fu per lungo tempo esposta a Londra presso la Tate Gallery. Gli scorci reggini appassionarono anche il pittore inglese William Brokedon sempre nell’Ottocento. Dunque sono i paesaggi a rapire in particolare l’illustratore inglese che di Reggio scrisse, ricorda ancora il professore Lazzarino: ‘Mosso da puro godimento estetico e spirituale. Una contemplazione della natura in un vasto giardino. Reggio, uno dei più bei posti visti sulla terra’. Rilievo assume anche la permanenza di Lear a Bova nell’agosto del 1847 ed il contributo del pittore/scrittore alla verità sulle origine antiche, di cultura grecofona, della popolazione di Bova, tutt’altro che affine all’identità arbereshe sulla quale si erano soffermati invece i connazionali, anche loro scrittori viaggiatori, Swinburne e Craven. Oltre che dai paesaggi, la Calabria, infatti, attraeva intellettuali per via dei suoi gruppi linguistici. In molti, letterati, archeologi, naturalisti, eccentrici scrittori, pittori, e anche ufficiali-scrittori dell’esercito napoleonico, cronisti, ritrattisti, nonchè precettori di giovani appartenenti a famiglie nobili o ricche, fecero tappa in Calabria proprio perché attirati dalle comunità albanesi e da quelle greco-bizantine. Tra questi Henry Swinburne (1743 – 1803) che in “Travels in the two Sicilies” aveva indicato la minoranza arbëreshe nel capitolo dedicato alla comunità grecofona di Bova, classificandola erroneamente come italo-albanese. Nello stesso errore incappò anche Richard Keppel Crafen, tipografo e osservatore inglese (1779 – 1851) che nel 1821 pubblica ‘A tour through the Southern Provinces of the kingdom of Naples’ opera sulla periegetica calabrese e siciliana; un viaggio storiografico nell’epoca ellenistica le cui tappe furono occasione di studio della cultura e dell’origine dei popoli del luogo, attraverso la raccolta di testimonianze dirette. Il costume delle donne arbereshe della comunità di Spezzano Albanese, nel cosentino, affascinò anche Arthur John Strutt, gran viaggiatore inglese, pittore, incisore, archeologo e cittadino onorario di Lanuvio, deceduto anche lui come Lear nel 1888 in Italia, ma nella capitale. Nel 1838 Strutt, con l’amico poeta William Jackons, intraprese un avventuroso viaggio a piedi in Calabria che poi raccontò su A pedestrian tour in Calabria and Sicily nel 1842, attraverso una raccolta di lettere-diario con al centro persone, paesaggi e colori. Il viaggio si sviluppò lungo il percorso da Lauria, Castrovillari, Tarsia, Rogliano e Tiriolo fino a Catanzaro, San Floro, Cortale e Monteleone. Sulle comunità calabro-albanesi scrivono anche l’autore inglese George Gissing, nel 1897, nel suo celebre libro di viaggi ‘By the Ionian sea’’, nel capitolo intitolato “Catanzaro”, e lo scrittore/viaggiatore che colse l’intima essenza della Calabria, visitandola nel 1907 e nel 1911, nell’opera ‘Old Calabria’ pubblicata nel 1915, Norman Douglas (Thuringen 1868 – Capri 1952). Da Castrovillari egli arrivò a Spezzano Albanese, poi a Vaccarizzo dove esplorò la cultura arbereshe, rimanendo anche lui colpito dagli sfarzosi costumi della donna. La Sila è inoltre un altro suo luogo di sosta, in particolare l'antica residenza di Torre Camigliati, oggi tappa all’interno dell’ampio progetto del parco letterario che ripercorre i racconti del suo viaggio. Il regista Renato Guzzardi ha dedicato all’opera ‘Old Calabria’ il film ‘Il ritorno di Norman’, realizzato in massima parte a San Demetrio Corone, in provincia di Cosenza, dove è stata presentata l’anteprima la scorsa estate. Il film, racconta il ritorno di Norman Douglas, negli stessi luoghi ma cento anni dopo. Dunque anche i racconti della Calabria, le sue bellezze principalmente, ma anche alcune sue problematiche, alimentano il patrimonio culturale dei libri di viaggio, un tempo frutto dei racconti dei diplomatici e degli ufficiali dell’esercito in missione lontano da casa, poi materia di scrittori in movimento come Marco Polo (‘Il Milione’), Wolfgang Goethe (‘Viaggio in Italia’), Stendhal (‘Passeggiate Romane’). Il viaggio da sempre è stata fonte di grande ispirazione fin dai tempi di Omero nella sua ‘Odissea’ e di Dante ne ‘La Divina Commedia’, dal viaggio introspettivo di James Joyce nell’’Ulisse’ al viaggio reale alla scoperta di luoghi altri. Tante le penne straniere che hanno raccontato la Calabria, fermandone immagini e tradizioni. Un patrimonio che accresce la conoscenza, specie fuori dai confini nazionali, della nostra regione, un tempo meta di intellettuali, in virtù dell’eterogeneità di lingue e costumi, e grande fonte di ispirazione per pittori viaggiatori per i suoi suggestivi paesaggi. Le loro opere oggi rappresentano un viaggio nei viaggi di scrittori stranieri in terra di Calabria, i loro occhi dentro i nostri luoghi, i nostri paesaggi, le nostre culture.

    • L’anglo Italian club fu fondato a Reggio nel 1972 dal diplomatico inglese Spencer Mills e dalla reggina Anna Rita Vollaro con lo scopo di divulgare la cultura inglese con particolare riferimento ai libri di viaggio in Calabria.

    Edited by Isabel - 13/10/2014, 10:04
     
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