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Il Parco Comunale archeologico-speleologico della Cessuta, nei pressi del Santuario di S. Maria delle Armi, offre sentieri ed itinerari di grande suggestione, che si dipanano tutt’intorno fino alla cima del Sellaro (1439 m). Esso racchiude l’intero centro abitato e si estende su circa 300 ettari di bosco in cui ammirare bellissimi esemplari di oleandro (nerium oleander), cerro (quercus cerro), leccio (quercus ilex), farnetto (quercus frainetto) e molte altre specie.
Il Parco ricade interamente sul versante orientale del monte Sellaro ed è a sua volta compreso nel Parco Nazionale del Pollino. La zona è completamente attrezzata di aree pic-nic (50 tavoli in totale sparsi nelle località Acqua Rossa, Venaglie, Calvario e Bifurto) per offrire ai turisti la possibilità di entrare in contatto diretto con la natura. Tra le strutture realizzate, i rifugi Calvario (vicino al centro storico, con 10 posti letto), e l’ex Caserma Forestale (completamente ristrutturata - già organizzata per la cucina - che offre 27 posti letto) costituiscono il fiore all’occhiello di tutto il parco. Il primo si raggiunge dal centro abitato, trovandosi molto vicino al paese, e il secondo si raggiunge da località Bifurto, lungo la Provinciale che porta al Santuario. Da essi, percorrendo i sentieri podistici-multiuso, si giunge al Santuario di S. Maria delle Armi, alla vetta del monte Sellaro e alla Grotta delle Ninfe. In località Calvario - uno dei punti di partenza del percorso - il rifugio, benché situato a ridosso del centro abitato, è propriamente immerso in un paesaggio tipicamente montano, tra boschi di conifere e di lecci. L’attrattiva di questi luoghi selvaggi sprona anche i più pigri a cimentarsi in escursioni lungo questi itinerari che, snodandosi lungo la gola, conducono al centro abitato e ai quali si accede da diversi siti pittoreschi (Grotta delle Ninfe, Ponte Gravina, Calvario) e dal paese stesso.
La percorrenza di questi tracciati sinuosi, aperta a tutti, è piuttosto sicura giacché sono protetti da staccionate in legno e, nei punti più scoscesi, il tragitto è facilitato da una ferrata: un cavo d’acciaio ancorato alla roccia, cui reggersi per proseguire il cammino. Immettendosi nel sentiero dalla Grotta delle Ninfe, si percorrono circa sei chilometri straordinariamente panoramici; oppure si può entrare dal Ponte Gravina, sulla Statale 92, attraversando la gola su percorsi tortuosi per circa cinque chilometri. Avviandosi dal Calvario il tratto è più breve, solo due chilometri, ma è senza dubbio questo il punto più spettacolare. Da qui, con lo sguardo, si racchiude l’intero scenario. Se invece si accede da Cerchiara, partendo dalla Via Gravina, si percorre un chilometro scendendo a strapiombo attraverso una ferrata fin quasi al greto del torrente, per poi risalire, sempre nel centro abitato, nei pressi del Municipio.
Esiste, inoltre, una spettacolare ferrata che partendo dal greto del torrente, ai piedi del castello, giunge fino ai ruderi dello stesso, con un dislivello di 200 metri a strapiombo. Un percorso riservato solo ad esperti.La gola del Caldanello
La gola del Caldanello si è creata dall’erosione che ha determinato il distacco di una porzione del monte Sellaro, sulla quale è sorto l’abitato di Cerchiara. L’incantevole area che sovrasta e racchiude la gola invita a salubri e ricreative passeggiate lungo i suoi sentieri, per godere dello spettacolo imponente delle sue pareti scoscese e della natura maestosa che le fa corona. In questi luoghi il silenzio e la quiete regnano sovrani.Abisso del Bifurto
Il territorio di Cerchiara di Calabria è ricco di grotte di origine carsica, che alloggiarono i primi abitatori ed i monaci basiliani del IX secolo. In epoche successive, furono nascondiglio e riparo per briganti e pastori. Tra le più importanti citiamo il celeberrimo Abisso del Bifurto, detta anche "Fossa del Lupo". Si tratta di un profondissimo inghiottitoio che scende in verticale per 683 metri, esempio fra i più evidenti del lavorio carsico sulle pendici del Pollino. Occupa il quarantesimo posto nella graduatoria delle grotte più profonde del mondo ed è, secondo gli speleologi, una delle cavità più difficili dell’intero Mezzogiorno. Nei suoi pressi fiorisce la superba Peonia maschio (Paeonia mascula ssp. Russoi), una rara pianta del Pollino.La grotta Serra del Gufo
La grotta Serra del Gufo (-139 m) è una delle più note del territorio e presenta uno sviluppo planimetrico di circa 1200 metri. Vanta ambienti sotterranei dalle morfologie estremamente varie con pozzi, saloni e cunicoli ricchi di spettacolari concrezioni calcitiche che le conferiscono un fascino particolare. Anch’essa, come il Bifurto, è riservata agli speleologi. La grotta Panno Bianco si trova vicino al Santuario, in località Oratorio e al suo interno ci sono interessanti formazioni di stalattiti e stalagmiti. La difficoltà è medio-bassa ed è visitabile soltanto con una guida. "La Madonnina",Tra le altre grotte ricordiamo quella di Balze di Cristo (che include, tra l’altro, un "pozzo" di ben 88 metri di profondità).Museo del Pino Loricato
A volte l’incontro con un frammento di vera natura può arricchire di impressioni e ricordi incancellabili. Che si tratti d’un albero finalmente abbracciato dopo una lunga marcia, o d’un lupo intravisto di sfuggita ai margini del bosco, oppure del fremito d’ali d’un uccello che si svela a breve distanza. Un bagliore di vita spontanea, un incontro fortuito e la musica della foresta possono imprimersi nel cuore, svelare mondi nascosti, lasciare un segno indelebile. Aprendo la finestra su orizzonti incantati ai quali si anelava, forse senza rendersene neanche conto. Così avvenne a chi scrive, un numero imprecisato di estati fa. Fu l’incontro con il mitico Pino loricato sulle aspre balze del Pollino, respirando i profumi delle alte creste del Mezzogiorno, saziando la mente di mille sorprese, perdendo lo sguardo nella vastità e solitudine circostante. Accarezzando finalmente quella scorza rugosa mai prima veduta, capace d’infondere tanta energia. Cercando di cogliere i misteri della foresta non più da libri e immagini, ma dalla rivelazione dei faggi vetusti, dei pini neri e dei colossali abeti bianchi. Non ricordo più se a spingermi laggiù fossero le indimenticabili pagine di Norman Douglas in “Old Calabria”, oppure le incantate descrizioni di qualche altro viaggiatore straniero in terre lontane. Certo bruciavo dal desiderio di esplorare il Pollino, la più sconosciuta tra tutte le montagne del Mezzogiorno. Ne avevo sentito favoleggiare, eppure mi sembrava lontanissimo, quasi inafferrabile: così mi accontentavo di leggere avidamente quel poco che si poteva racimolare qua e là. Riuscii a trovare, non so come, alcune fotografie in bianco e nero del Pino loricato, l’albero più straordinario e meno noto dell’intero Appennino: una specie di gigante decrepito, dalla forma contorta, avvolto nella nebbia delle alte quote. Ma non sto parlando di ieri, tutto avvenne molto tempo fa: non c’erano strade né autostrade, allora, ma solo il trenino delle ferrovie calabro-lucane dal quale saltare a terra, per poi affrontare l’ascensione alle vette lontane. Arrampicando con zaini pesantissimi dalla pianura alla quota 2.267 di Serra Dolcedorme, senza sentieri segnati ma cercando la via tra una sorgente e un pianoro. Più in basso, accanto ai villaggi dove c’era il taglio del bosco, la foresta pullulava di mulattieri, bovari, boscaioli e carbonai. La sera era accompagnata da suoni e canti lontani, ma lassù tra le cime, nell’aria rarefatta, su quel balcone segreto della Magna Grecia affacciato tra Jonio e Tirreno, a parte rari pastori, nessuno arrivava. Bene, fu come una rivelazione per me e per i pochi altri che riuscii a trascinare negli angoli più remoti del massiccio. A prezzo di solitudini assolate, marce estenuanti, sete, stanchezza e bivacchi all’addiaccio. Il Pollino era allora sconosciuto anche agli amici calabresi, al punto che se, incalzato dalle loro pressanti domande su dove andassi e cosa mai facessi da quelle parti, mi azzardavo a confessare la mia meta, sorridendo esclamavano che l’avevano capito, sì, perché l’Ampollino era davvero un bel posto. Confondendo così la montagna a due passi da loro con un lontano lago della Sila, meta talvolta delle scampagnate festive. E’ passata quasi una vita, molte cose sono cambiate. Sulle strade montane si muovono ormai veicoli di ogni genere, il silenzio è diventato un bene sempre più raro. Gente vera, sulla montagna, non ce n’è quasi più.Edited by Kelly C. - 10/9/2013, 08:44