Semplicemente Passioni forum

Storia dei Normanni nella provincia di Vibo Valentia

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Utente
    Posts
    35,260
    Reputation
    +346
    Location
    CATANIA (SICILIA)

    Status
    Offline

    Storia dei Normanni nella provincia di Vibo Valentia



    I Normanni: Pellegrini Avventurieri Guerrieri

    vg4Zu
    Quadro raffigurante un guerriero normanno

    - Fonte -

    La mostra fotografica dal titolo " I Normanni: Pellegrini, Avventurieri,Guerrieri.Dalla conquista al Regno", rientra nelle manifestazioni di carattere culturale promosse dal Comitato per la valorizzazione delle presenze normanne nella provincia di Vibo Valentia, dal Sistema Bibliotecario Territoriale Vibonese e dall'Amministrazione Provinciale di ViboValentia-Assessorato Beni Culturali, per la celebrazione del IX centenario dalla morte di Ruggero I d'Altavilla, Conte di Calabria e Sicilia. La mostra, attraverso le foto, le riproduzioni grafiche ed il commento, si propone - in maniera semplice e didattica - di raggiungere un vasto ed eterogeneo pubblico. L'obiettivo è quello di far conoscere gli esiti, culturali ed artistici, della presenza dei Normanni nella Calabria e, più in particolare, nella provincia di Vibo Valentia. Qui, infatti, esistono tuttora numerose testimonianze sparse sul territorio, seppure allo stato di rudere.Le foto vengono utilizzate, quindi, come supporto visivo alla narrazione storica che si basa sulle diverse tipologie e pluralità di fonti storiografiche e, soprattutto,archeologiche. La loro funzione è quella di contribuire ad illustrare i diversi aspetti di quella epopea che ha avuto come protagonisti i Normanni. Questi, giunti nell'Italia meridionale da semplici guerrieri mercenari (ed ancor prima da pellegrini ) diedero vita, nel volgere di pochi decenni, ad uno dei più importanti ed illuminati regni della storia dell'Italia medievale. Comunemente definiti "uomini del Nord", in quanto provenienti dalle terre scandinave e dalla Danimarca, si erano stanziati nei primi anni del X secolo lungo le coste della Francia settentrionale, che da loro prese il nome di Normandia. Nel 911 il re Carolingio Carlo il Semplice aveva concesso al loro capo, Rollone, vasti territori, in cambio di aiuto militare per fronteggiare le incursioni di altri scandinavi e per limitare le devastazioni nei villaggi del paese.Successivamente, l'insufficienza di terre li aveva però portati nell'Italia meridionale dove, specialmente durante i primi anni, si distinsero nei combattimenti contro gli arabi.Si racconta, a tal proposito, che un gruppo di pellegrini di ritorno dalla Terrasanta si sarebbe fermato ad aiutare il principe longobardo Guaimario V nella difesa della città di Salerno dall'assalto dei mussulmani. La diaspora dei coraggiosi guerrieri non interessò un intero popolo, bensì un gruppo sociale ben definito che realizzava, quindi, esigenze e valori individuali. Il loro arrivo portò scompiglio nei vecchi apparati del potere, in quanto introdusse un regime feudale impostato sulle prestazioni militari in armi e uomini piuttosto che sul pagamento del reddito fondiario. Ampio rinnovamento è documentato anche nelle istituzioni, nella cultura e nel costume. La mostra, pertanto, ripercorre la storia dei Normanni in Calabria dall'arrivo al consolidamento del loro regno, soffermandosi sulla presenza a Mileto di Ruggero I d'Altavilla. Questi aveva stabilito qui la capitale del regno e nella stessa città trovò sepoltura, nel 1101, nell'Abbazia da lui fatta edificare anni prima. In un momento, quello attuale, contraddistinto da forti tensioni sociali, legate alla presenza nella nostra società di cittadini provenienti da diverse parti del mondo, è interessante sottolineare come durante il regno di un sovrano illuminato e lungimirante, quale era appunto Ruggero I d'Altavilla, nell'XI secolo riuscirono a convivere, pacificamente, quattro etnie e tre religioni diverse: l'islamica, la latina e la greco-orientale.

    Storia di una migrazione

    yaiau
    Geografia dell'espansione normanna

    I primi cavalieri Normanni erano giunti in maniera disordinata nell'Italia meridionale all'inizio del XI sec. quando, in qualità di mercenari, offrirono i loro servigi al principe di Salerno. Originari della Normandia, regione ubicata nella Parte più a nord della Francia di fronte alle coste della Gran Bretagna, gli Uomini del Nord si erano ben inseriti in quello che era lo scacchiere politico di quel momento: situazioni politiche frantumate e, dal punto di vista culturale, polifoniche.Infatti l'Italia meridionale era controllata nella parte a nord da gastaldati Longobardi (circoscrizioni amministrate da gastaldi per conto del re), e in quella più a sud dai temi (province) Bizantini. Essere stati al servizio del principe di Salerno, aver combattuto per un periodo al fianco dei Bizantini, li aveva resi consapevoli della fragilità e precarietà dei vari stati per i quali o contro i quali avevano guerreggiato. La ricchezza di queste terre meridionali, inoltre, aveva esercitato sui conquistatori del nord un forte fascino tanto da spingerli alla conquista di più territori possibili.Tra i guerrieri Normanni emerge per la forte personalità Roberto d'Altavilla, figlio di Tancredi detto il Guiscardo, cioè il furbo, lo scaltro ( " più sottile di Cicerone e più accorto di Ulisse") che, approfittando delle debolezze dei contendenti, realizzò in breve tempo il sogno di conquista di terre e beni. Roberto era giunto in Italia meridionale al seguito dei fratelli maggiori Guglielmo Braccio di Ferro e Drogone d'Altavilla i quali, a loro volta, erano stati ingaggiati da Guaimario V per respingere i Bizantini dalla zona dell'alto Tirreno cosentino e dalla valle del Crati.Successivamente al Guiscardo fu riconosciuta la genialità, la destrezza politica, l'astuzia ed il coraggio, ma gli inizi furono contraddistinti da un comportamento da vero predone che, pur di raggiungere il proprio scopo, non esitò ad uccidere e saccheggiare villaggi e città.Infatti, dopo la morte di Guaimario V assassinato mentre tentava di riportare l'ordine nelle città ribelli, Roberto d'Altavilla - a capo di bande organizzate di predoni - viveva razziando bestiame, devastando quanto incontrava sul suo cammino e, soprattutto, terrorizzando le popolazioni. Nel 1058 ribadì la sua sottomissione feudale a Gisulfo I, figlio del defunto Guaimario V, e ne sposò, in seconde nozze, la sorella Sichelgaita. Tutto questo caratterizza la prima fase di conquista ed il regno che i Normanni costruirono, diversificato nelle varie identità culturali e religiose, fu contraddistinto da una notevole coesione politica che ancora oggi non può essere spiegata se non con le straordinarie doti politiche dei suoi sovrani. Il forte desiderio di conquistare terre e possedimenti è strettamente collegato alle motivazioni che inizialmente avevano spinto i Normanni ad allontanarsi dalle proprie terre per raggiungere quelle più lontane. La crescita demografica, infatti, obbligava coloro i quali non disponevano di proprietà ed eredità a cercare di impadronirsi di nuovi territori. Vigeva, inoltre, la regola che prevedeva la sottomissione di volta in volta al signore di turno; questi obbligava soprattutto gli esponenti dell'aristocrazia locale, spesso molto rissosa ed aggressiva, ad allontanarsi e quindi ad emigrare. La diaspora dei guerrieri Normanni in terre lontane, pertanto, non fu la migrazione di un popolo bensì un'espressione riconducibile ad un determinato gruppo sociale che così realizzava necessità proprie e propri valori. Si narra che Melo, nobile longobardo nativo di Bari, con una forte personalità ed un particolare ascendente sulla sua città e sulla regione pugliese in generale, cercava di far sollevare la popolazione di Salerno dal giogo dei Bizantini. Per la buona riuscita dell'impresa cercò di convincere un gruppo di pellegrini Normanni, recatisi in viaggio presso il monastero di S.Michele sul Gargano, ad offrirgli aiuto.Questi non accettarono la proposta ma promisero di incoraggiare i compatrioti ad unirsi a loro. Un'altra versione, invece, riferita da Amato di Montecassino, voce autorevole sulla storia dei Normanni in Italia, riporta che un gruppo di pellegrini Normanni di ritorno dalla Terrasanta, durante lo sbarco nella città di Salerno, affrontarono i mussulmani mettendoli in fuga e liberando così la città. Ma anche in quest'occasione non accettarono la proposta di rimanere al servizio dei longobardi, e fu così che una delegazione seguì i pellegrini in Normandia per reclutare un corpo di ausiliari piuttosto consistente. Da questo momento in poi la presenza dei Normanni divenne una costante e la Calabria bizantina, regione ricca grazie alla gelsicoltura, alla conseguente produzione della seta ed alla piccola e media proprietà contadina, divenne un'appetibile preda per chi aveva abbandonato il proprio paese d'origine alla ricerca di nuovi territori.La Calabria, tra il X ed XI secolo, fu contraddistinta da una forte identità culturale e religiosa di tipo prettamente greco, nonostante la lontananza dalla capitale e dalle altre province ellenizzate del mondo bizantino. Nel nord della regione persisteva, invece, la tradizione culturale latina di matrice longobarda. Possiamo affermare che l'inizio dell'avventura normanna coincide con il tentativo di riportare la sovranità longobarda sui territori che afferivano al principato di Salerno.Roberto il Guiscardo, della numerosa famiglia degli Altavilla, aveva raggiunto i fratelli maggiori in Italia tra il 1046 ed il 1047. Questi ultimi, che avevano conquistato delle posizioni di prestigio, consigliarono il giovane erede Altavilla ad indirizzare le proprie mire espansionistiche nei confronti della Calabria. A suo favore giocò una circostanza importante allorquando, nel 1053 a Civitate, si distinse tra i capi Normanni nel contrastare il tentativo di Papa Leone IX di scacciare i cavalieri Normanni dal sud d'Italia. Contestualmente, però, avviò, con la sottomissione, proficui rapporti di alleanza che spinsero il papa a rivedere le proprie posizioni.Dopo un primo periodo di iniziale tensione con il papato, il Guiscardo, con equilibrio, saggezza e determinazione, riuscì a tessere importanti relazioni e ad intraprendere proficui rapporti di alleanza.Il quartier generale del giovane condottiero venne stabilito a Scribla, nei pressi dell'odierna Spezzano Albanese, e da qui continuò la sua lotta nei confronti dei Bizantini aiutato dal fratello minore Ruggero che, nel frattempo, dalla Normandia aveva finalmente raggiunto l'Italia meridionale. Il piccolo castrum (abitato fortificato) bizantino di Mileto divenne quartier generale di Ruggero, che insieme a Roberto riuscì ad espugnare Reggio, dove si erano ritirate le truppe bizantine, costrette a rifugiarsi a Squillace, nell'estremo tentativo di salvarsi dalla furia dei guerrieri Normanni. Subito dopo i soldati bizantini ripartirono, dalla cittadina ionica, alla volta di Costantinopoli. La data del 1059-1060, con la caduta di Reggio, segna pertanto la fine dell'impero bizantino e l'avvento del dominio normanno.Questo aveva preso avvio in un momento particolare anche per via di una terribile carestia che, scoppiata nel 1058, si era aggiunta alla violenza delle operazioni di conquista. L'arrivo e la stabilizzazione dei Normanni non aveva però allentato i legami dei greci di Calabria con Bisanzio, anzi i contatti con l'antica capitale erano ancora vitali e, d'altra parte, i nuovi dominatori avevano assunto un ruolo di pacificatori tra le due chiese, quella greca e quella latina.In questo clima relativamente disteso i Normanni agevolarono nuove fondazioni monastiche o restaurarono costruzioni abbaziali che richiedevano urgenti interventi, oppure fondarono ex novo monasteri e chiese senza tralasciare però di difendere e diffondere la cultura occidentale che prevedeva l'introduzione del sistema feudale, la latinizzazione delle istituzioni ecclesiastiche su indicazione dei Papi e della chiesa di Roma.Scopo fondamentale dei giovani figli di Tancredi era, infatti, far dimenticare al più presto l'origine illegittima del loro potere che andavano consolidando sempre più, in un preciso piano politico, con la promozione della costruzione di nuove chiese o monumenti, investendo ricchezze e beni per una sorta di riconciliazione con le alte sfere ecclesiastiche e con le popolazioni locali. Le opere del cronachista Amato di Montecassino(Ystoire de li Normant) e del biografo Goffredo Malaterra(De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius), che narrano le gesta della conquista, costituiscono un supporto imprescindibile per la ricostruzione delle vicende collegate ai condottieri Normanni nell'Italia meridionale, anche se il loro lavoro rimane pur sempre un punto d'osservazione abbastanza partigiano.Negli ultimi anni, per fortuna, l'intensificarsi delle ricerche archeologiche sull'alto medioevo nell'Italia meridionale e in Calabria ha accresciuto di molto le nostre conoscenze introducendo un nuovo punto di vista, più obbiettivo rispetto alle fonti storiografiche anch'esse, comunque, molto importanti. Gli studi hanno preso l'avvio nel lontano 1961 con gli scavi pionieristici di Scribla, a cura di Margherite Mathieu, che costituiscono sicuramente il punto di partenza della ricerca archeologica medievale in Calabria.Non bisogna tuttavia dimenticare che Paolo Orsi, archeologo classico che operò in Calabria ai primi del 1900, si interessò dei monumenti medievali calabresi di maggior rilievo, allora praticamente sconosciuti anche agli stessi calabresi. E' comunque nell'ultimo decennio che si sono intensificate le indagini di scavo nei centri più importanti come Gerace e, per rimanere sul versante ionico, nel piccolo monastero di S.Giovanni Theresti di Bivongi o ancora a Stilo, e più recentemente a S.Severina.Ma anche in altre zone l'attività sul campo è stata intensificata di molto e le indagini, finalizzate ad una conoscenza più puntuale di monumenti, strutture civili e manufatti, hanno chiarito molti aspetti fino ad ora sconosciuti.Si ricordano in questa sede gli scavi presso S.Eufemia, avvenuti dopo che la grande abbazia normanna era stata ricoperta dalla folta vegetazione e se ne erano perse le tracce, oppure quelli condotti di recente presso l'abbazia di Mileto e ancora presso l'episcopio di Tropea. In tutti questi casi si tratta di eventi di estremo interesse in quanto i tre centri hanno esercitato un ruolo determinante nel periodo eroico della storia dei Normanni in Italia.




    Architettura militare - Architettura del potere

    V4uyJ
    Pianta del Castello Normanno - Svevo

    - Fonte -

    Il castello, residenza signorile fortificata, rappresenta un segno tangibile e distintivo del potere normanno. Durante questo periodo il termine castrum continua ad indicare un abitato dotato di difesa, mentre il termine castellum non indica più la cittadella protetta da mura, ma una fortificazione leggera tirata su nel periodo di assedio, oppure una struttura riparata destinata ad ospitare un personaggio militare o un feudatario.Gli scavi archeologici nel sito della città di Scribla ( nei pressi di Spezzano Albanese - CS), primo insediamento e quartier generale di Roberto il Guiscardo, hanno rivelato la presenza di un baluardo realizzato con ciottoli, strutture di legno ed un fossato. E' ovvio che al modo di costruire tipico dei Normanni corrispondevano delle precise necessità collegate al territorio ed alle risorse reperibili sul luogo ed al momento. Scribla pare fosse stata fondata tra il 1044 ed il 1048: la prima data è riferita da Lupus Protospadarius, mentre la seconda da Goffredo Malaterra, storico del gran Conte Ruggero.Quest'ultimo riferisce che Drogone, duca di Puglia, dopo averla fondata ne aveva fatto dono al fratello cadetto Roberto il Guiscardo, il quale a sua volta l'aveva eletta come base per le scorrerie verso il territorio circostante. Gli scavi archeologici hanno evidenziato che, presumibilmente per l'insalubrità del posto, il sito venne abbandonato per circa un decennio per poi essere rioccupato e ripopolato in un periodo successivo. Della prima fortificazione non rimangono tracce poiché si pensa fosse stata realizzata in legno. Della seconda fase rimangono resti di una cortina costruita con ciottoli di fiume tenuti insieme da legante costituito da malta bianca.La struttura dava origine ad un recinto di forma trapezoidale con una torre sul lato est. In seguito, nel XIII secolo, venne ricostruita la torre maggiore, a quattro piani, messi in comunicazione tra di loro tramite delle scale in legno: l'accesso era ubicato sicuramente al primo piano, mentre l'interrato doveva essere usato come deposito di derrate alimentari.Nello spiazzo antistante la torre è documentata una cisterna adibita a raccolta delle acque e databile al XIII secolo. L'individuazione e lo scavo di questo sito, avvenuto nel lontano 1961, costituisce un punto di riferimento molto importante in quanto è considerato il primo castello normanno documentato in Calabria.Altro discorso vale per la cosiddetta Motta di S.Marco Argentano,CS,che costituisce un esempio di particolare costruzione rientrante nella tradizione tipica normanna. La motta, (dal francese motte, castello in posizione elevata ) sarebbe stata inizialmente fortificata da una palizzata in legno a scopo difensivo.Nell'attuale forma la costruzione, ubicata nella zona sud-est dell'abitato moderno ed inglobata in una controscarpa, presenta una imponente torre circolare coronata da beccatelli ( struttura a sbalzo per sorreggere un ballatoio). L'edificio, che pare sia stato fatto costruire da Drogone nel 1048, ha un diametro di 44 m, si svolge su cinque livelli collegati da una scala, e l'ultimo ambiente, di dimensioni maggiori degli altri, presenta la volta semisferica ribassata. L'ingresso è costituito da una torretta quadrata, costruzione più recente di epoca aragonese, che consente l'appoggio del ponte levatoio. Alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso sono stati effettuati dei restauri, finalizzati alla conservazione della struttura con la ripresa del tessuto murario e la ricostruzione deibeccatelli.Nonostante venga individuato con il nome di Castello normanno-svevo , quello di Vibo Valentia, la medievale Monteleone, non conserva alcuna struttura ascrivibile a quel periodo. D'altra parte i nuovi conquistatori, avendo eletto Mileto capitale, non avevano, probabilmente, alcuna necessità di erigere nuove fortificazioni.E' verosimile però che per tutelare il colle posto nella parte più alta, là dove sorgeva l'acropoli dell'antica città greca, i Normanni avessero costruito un accampamento, protetto presumibilmente da una palizzata in legno, piantandovi delle tende. La fonte, la cronaca del monaco Goffredo Malaterra, in effetti ricorda sessanta militi inviati da Roberto il Guiscardo con a capo il fratello Ruggero in "altiori cacumine montium Vibonetium castrametatus, tentoria fixit ut, longe lateque visus, incolas circumquaque facilus deterret". Suggestiva l'ipotesi che identifica il monte Poro, che si erge per un'altezza di 710 metri s.l.m. sull'omonimo altipiano, con la parte più alta dei colli vibonesi, anziché con la sede dell'attuale castello.Quindi il brano del cronista Malaterra, storico del gran conte Ruggero, ritenuto a ragione una delle fonti più importanti sulla conquista normanna, fu interpretato male, soprattutto dagli studiosi ottocenteschi, forse in maniera non del tutto casuale. Infatti attribuendo ai Normanni la prima costruzione nell'area del castello intendevano nobilitarne le origini. Ad ogni modo l'attento studio delle fonti storiche ed iconografiche, connesse ad una lettura delle fasi edilizie e costruttive, hanno portato gli studiosi ad affermare che non vi sono strutture riconducibili all'epoca normanna. Il castello, nel suo impianto più antico, venne costruito da Federico II. La notizia è ricavata da tre frammenti di regesti (registri) angioini.Questi confermano che tra il 1270 ed il 1275 la città venne rifondata dall'imperatore con abitanti provenienti da terre demaniali. Anche in un Breve( lettera personale del pontefice) di Alessandro IV del 1255, si legge che Monteleone fu fondata, o meglio rifondata, da Matteo Marcofaba segretario di Federico II su un fondo di proprietà del monastero della SS.Trinità di Mileto. Tra il 1240 ed il 1255 si colloca la realizzazione della fortificazione che, oltre ad avere funzioni di difesa, era deputata al controllo del territorio circostante. D'altra parte il confronto con altre situazioni analoghe avvalora la tesi che quanto costruito risponde a precisi criteri seguiti dall'imperatore anche per altre strutture coeve.All'esterno la cortina presenta ampie integrazioni di conci e trova riscontro, in ambito calabrese, nel castello della vicina Lamezia Terme - Nicastro.Anche la tecnica costruttiva, in conci squadrati, è riconducibile alle strutture di epoca sveva. Ad epoca angioina, invece, pare debbano ascriversi le trasformazioni operate nel fronte nord-ovest: apertura di un ulteriore ingresso e realizzazione di nuovi ambientiinterni.Addossata alla cosiddetta torre a "cuneo" è la chiesetta dedicata a S.Michele datata indirettamente sulla base dei regesti del 1278-1279 che attestano, proprio per quegli anni, la presenza di un cappellano e di un chierico in pianta stabile presso la guarnigione del castello. Una terza fase che vide trasformazioni di tipo residenziale può essere attribuita ai Pignatelli, prima conti e successivamente duchi di Monteleone.Il castello era utilizzato ancora come residenza quando venne danneggiato nel 1783, nel corso del rovinoso terremoto che aveva colpito quasi tutta la Calabria; in seguito a questo evento la fortezza venne trasformata in caserma. Per moltissimo tempo la struttura alla quale furono aggiunti ambienti e nuovi corpi di fabbrica, è rimasta inutilizzata fino al recente restauro finalizzato alla conservazione ed al riutilizzo come Museo archeologico statale.Il maniero di Roseto Capo Spulico, CS, dopo molti secoli dalla sua costruzione presenta ancora oggi, intatto, tutto il suo fascino e la sua imponenza. Assai suggestiva la storia che si racconta a proposito del sito dove attualmente sorge il castello.Pare che in questa località, chiamata Pietra di Roseto, fosse presente un romitorio abbandonato ( rifugio per eremiti) divenuto in un periodo successivo covo di briganti che terrorizzavano le contrade limitrofe con le loro scorrerie. Si racconta che San Nilo, famoso monaco vissuto in epoca bizantina, di passaggio nella zona li avesse messi in fuga, ponendo fine a quella incresciosa situazione.In virtù di questo "miracolo" l'area acquisì agli occhi di tutti un alone di mistero.Ma un ruolo determinante giocò la posizione strategica del sito ben chiara ai nuovi dominatori, i quali decisero così di costruire il maniero che, durante il periodo Normanno, assunse un ruolo strategico particolare.Infatti sotto il regno di Ruggero II la Porta Roseti ebbe la funzione di segnare, dal punto di vista amministrativo, due Capitanati: l'uno che comprendeva la Puglia, la Lucania e la Campania, l'altro la Calabria e la Sicilia. La posizione del castello, tra la Calabria e la Lucania, gli conferiva un ruolo fondamentale in quelle che erano le operazioni militari portate avanti da Roberto il Guiscardo. Inizialmente pare che la costruzione del castello si fosse resa necessaria proprio per marcare la linea ideale che suddivideva i possedimenti sulla costa ionica tra i due fratelli Altavilla, Roberto e Ruggero, che nonostante i legami di parentela pare non andassero molto d'accordo. Nella struttura, assai rimaneggiata nei secoli successivi, è possibile riconoscere parti originali nella più alta delle torri. L'imponente struttura si trova a strapiombo sul mare, su di una rupe di cui segue l'andamento naturale.Le notizie più antiche di cui siamo in possesso risalgono,però, al periodo svevo in quanto il suo nome ricorre spesso negli atti di quella cancelleria. La pianta del castello è piuttosto irregolare, come si diceva prima, a picco sul mare e la rocca in pietra si fonde con la strana conformazione del soccorpo litico naturale.La costruzione, circondata da mura speronate e merlate, dalla pianta quadrata con portale aggiuntosuccessivamente, è caratterizzata dalla presenza di due torri, di cui una di forma quadrata ubicata sul lato sud, piuttosto sviluppata in altezza, mentre la seconda è posta sul lato ovest ed è coronata da merlature. Il cortile, alquanto ampio, ospita una cisterna, e vi si scorgono i resti di quelle che dovevano essere le scuderie. Le sale sono spaziose e la più ampia, illuminata da una bifora, presenta le arcate minori trilobe e i pilastri con capitelli di chiara impronta sveva. Anche per il castello di Nicotera VV , nella sua veste odierna, non sono documentate strutture riconducibili al periodo normanno. Le fonti riferiscono di un primo nucleo fatto costruire da Roberto il Guiscardo, che aveva fortificato il luogo per offrire un punto d'appoggio al fratello Ruggero nelle operazioni belliche verso la Sicilia.Tale nucleo venne presumibilmente costruito nel 1065.Le torri angolari, pur essendo state rimaneggiate, evidenziano l'impronta normanna della costruzione."Maestoso ed austero quale vigile custode della città...", così lo descriveva Goffredo Malaterra. Nella zona denominata attualmente Baglio, nella parte sommitale della collina, doveva essere ubicato il valium, ovvero il recinto merlato e murato con una o due torri; nella parte sottostante, invece, doveva esserci il fortilizio, cioè la cittadella. Nel periodo bassomedievale si definiva "barbacane", o cittadella, la struttura utilizzata come sentinella o area di protezione del castello. Attraverso la "portagrande" si accedeva al maniero dotato di fossato e di ponte levatoio, che veniva comandato tramite grosse catene e metteva in comunicazione con l'abitato, che si era sviluppato intorno e dove era ubicata, anche, la chiesa dedicata a S.Nicola.Il castrum, o accampamento, pare sia stato costruito, o ristrutturato, dal gran Conte Ruggero per fronteggiare le incursioni saracene di cui fornisce notizie sempre il cronista Goffredo Malaterra. Pare, comunque, che nel 1200 la città di Nicotera fosse semidiroccata, probabilmente in seguito al terremoto che alla fine del 1184 distrusse la Calabria. E' chiaro che le vicende del castello sono strettamente collegate a quelle del sito ed in effetti Nicotera rivestiva un ruolo strategico di primo piano.Durante la guerra del Vespro, divampata tra Angioini e Aragonesi, Nicotera divenne per sette mesi sede della corte e luogo deputato alla preparazione delle operazioni bellicheDelle strutture relative al periodo angioino rimangono la "portagrande", dalla quale si accedeva al maniero.



    Architettura religiosa-Architettura del compromesso

    UMXzT
    Cattedrale di Gerace (RC)

    - Fonte -

    L'atteggiamento dei conquistatori Normanni nei confronti della società calabrese, profondamente segnata dall'esperienza e dominazione bizantina, non è stato mai repressivo, come più volte affermato, ma piuttosto caratterizzato da tolleranza, che si concretizzò con una politica deliberatamente di conciliazione tra le due chiese: la greca e la latina.D'altra parte l'opera di recupero e di rilatinizzazione dei territori sottratti ai Bizantini, ratificata dal concordato di Melfi del 1059, doveva in qualche modo essere onorato dai sovrani Normanni.Il Papa, infatti, con l'atto giuridico sancito appunto dal concordato, consegnava l'Italia meridionale ai Normanni prevaricando l'imperatore tedesco che all'epoca era ancora un bambino, ed offriva l'opportunità ai Normanni di diventare suoi feudatari e di affrancarsi, così, dalla condizione di mercenari ottenendo poteri, titoli e prestigio.Nonostante le guerre, le carestie ed i problemi connessi ad anni di assedi e scorrerie, la Calabria, che continuava ad avere contatti con l'oriente bizantino, vive un momento di grande distensione.La progressiva sostituzione dei vescovi greci con quelli latini non impedì ad intere comunità laiche di continuare a seguire il rito greco. In questa temperie culturale accade che cenobi basiliani ricevano donazioni decisive per la sopravvivenza.La fondazione della cattedrale di Gerace RC pare sia avvenuta intorno alla fine del XI secolo allorquando Ruggero d'Altavilla acquisisce il controllo della rocca.Prima di allora, pur essendo il sito frequentato fin da periodi piuttosto antichi, pare non rivestisse un ruolo di primo piano.Molto probabilmente nel X secolo, divenuta sede vescovile, la cittadina assunse una importanza strategica, anche se si deve comunque all'arrivo dei Normanni il consolidamento di una posizione di tutto rispetto come dimostrato dalla realizzazione dell'imponente opera.Iniziata quindi alla fine del XI, l'opera viene completata nella prima metà del XII secolo. Pare che Ruggero re di Sicilia vi si fermò intorno al 1130-1135 e, secondo un'antica consuetudine della corte siciliana, venne raffigurato accanto al vescovo Leonzio in un mosaico.Quest'ultimo, realizzato alla fine dei lavori e la cui esistenza è ricordata da Padre Giovanni Fiore nella sua opera La Calabria Illustrata, venne distrutto agli inizi del 1700 per far posto ad una nuova rappresentazione.Ma la nuova costruzione ricalca un edificio preesistente di cui sono state rinvenute le tracce nel corso di recenti scavi archeologici.L'edificio più antico, di probabile origine bizantina, doveva sorgere nei pressi dell'attuale cripta e risalirebbe al VII-VIII sec..Oggi il monumento nel suo insieme presenta molte modifiche operate nel corso dei secoli; maestose le absidi che originariamente erano tre di cui solo quella di settentrione conserva l'assetto originario. All'interno il monumento denuncia tutta la sua grandiosità, tratto peculiare delle basiliche tardoantiche.La pianta è a croce latina con il braccio longitudinale coperto da capriate lignee, diviso in tre navate da due filari di dieci colonne ciascuno. Quello che salta subito all'occhio è la sproporzione tra i pilastri e le colonne così esili da sembrare inadeguate a reggere il peso delle poderose strutture soprastanti.Ma l'illusione è data sicuramente dal fatto che nel colonnato sono riutilizzati i materiali di spoglio,che si presentano diversi tra di loro per materiale, dimensioni e tipologia.Ad una prima lettura sembrerebbero collocati alla rinfusa, in realtà è stata impiegata una cura particolare nella dislocazione. Infatti nel primo tratto si nota la massiccia presenza di colonne di granito, mentre nell'area prossima al presbiterio le colonne sono in marmo e brecce colorate proprio per mettere in risalto e sottolineare l'importanza del luogo.Sulla base di studi approfonditi è stato appurato che le colonne provengono tutte da cave microasiatiche,soprattutto dall'isola del Proconneso, e che anche i capitelli di epoca romano-imperiale, tranne cinque esemplari, sono di provenienza asiatica.Il pavimento oggi visibile è moderno, ma sono state rinvenute tracce di una sistemazione più antica realizzata con calce battuta che ingloba frammenti fittili e ghiaino di mare. La sottostante cripta pare sia stata costruita sui resti di un oratorio basiliano databile tra il X e XI secolo; è del tipo a sala ed è caratterizzata da 35 piccole volte a crociera prive di sottarchi e sorrette da 26 colonne. Affinità stringenti sono state notate tra la cripta di Gerace a T capovolta e quella del duomo romanico di Spira (Germania), anche se non mancano condizionamenti dovuti alle fasi precedenti di cui è stata trovata traccia.La cattedrale di Gerace, nel suo complesso, sintetizza quelli che erano gli scopi dell'architetto costruttore: la fusione tra la tradizione locale bizantina e le istanze riformiste cluniacensi, così come è possibile osservare, ad esempio, nei raccordi a gradi della cupola propriamente greci ed il coro prolungato di chiara matrice cluniacensi.Chi oggi si reca in visita al parco archeologico della Roccelletta, nel comune di Borgia, dove si estendono le rovine della romana Scolacium, si imbatte nei maestosi ruderi pertinenti alla chiesa della beatae Mariae de Rokella, oggi S.Maria della Roccella (CZ ). Il rosso dei mattoni impiegati nella costruzione della chiesa si staglia nel verde degli ulivi secolari, di cui l'area abbonda, e contemporaneamente si fonde con il colore delle collinette circostanti. Le notizie più antiche sulla sua istituzione risalgono al 1084, data riconducibile alla donazione concessa dal conte Ruggero a Gerosimo, abate del monastero, mentre la menzione esplicita della chiesa risale al 1110 e si riferisce all'atto di donazione della chiesa che Adelaide, vedova di Ruggero I, fa alla mensa vescovile di Squillace.Alcuni studiosi ritengono però che la chiesa di cui si parla nel privilegio non sia quella attuale ma una più antica, quindi precedente, di cui non sono rimaste tracce.Dal punto di vista dello svolgimento planimetrico la struttura si presenta a navata unica, con transetto sporgente e coro a gradoni; la parte orientale è sopraelevata in quanto al di sotto si svolge una cripta; transetto e absidi erano voltate ma sulla copertura della navata centrale è difficile esprimere giudizi in quanto non sono presenti indizi validi a proporre alcuna ricostruzione. In generale gli studiosi concordano nell' ipotizzare però una copertura a capriate, che poi sarebbe l'unico tipo possibile, tenuto conto delle dimensioni della navata e dello spessore delle mura perimetrali.Le fasi costruttive individuabili sono essenzialmente due e, da una parte vediamo impiegato un tipo di materiale laterizio che è prevalente, mentre da un certo punto in poi, precisamente dalla parte al di sopra le finestre, sono impiegati pietrame e blocchi squadrati che conferiscono alle superfici un senso di precarietà. L'articolazione delle superfici esterne richiama l'analogo trattamento murario di alcune chiese di Costantinopoli: quella di Gul Cami e Zerek Cami.Dal punto di vista cronologico viene datata al tardo XI sec,. e ricollegata alle chiese francesi aderenti al modello esemplificato di Cluny, oppure, sulla base dei caratteri tipologici, degli elementi decorativi e delle fonti documentarie viene inquadrata tra il 1130-1150.

    qtpvg
    Abbazia di Santa Maria del Patire (CS)

    Tra i più importanti monumenti superstiti del periodo normanno va ricordato S. Maria del Patir, o Patirion come volle chiamarlo Paolo Orsi che, con il suo impegno pionieristico, contribuì a far conoscere l'importante monumento quando ancora l'attenzione nei confronti dell'architettura e dell'arte medioevale era piuttosto scarsa. Il monastero sorge in una località amena a 605 metri sul livello del mare "sulla dorsale pianeggiante di una di quelle numerose propaggini della Sila, protese a guisa di digitazioni sulla breve fascia costiera fra Rossano e Corigliano, prima che questa si apra nell' ampia e luminosa vallata del Crati".Fondata dal Beato Bartolomeo da Simeri, tra il 1101 e il 1105, la chiesa con annesso monastero doveva essere originariamente affrescata, così come documentato da una visita apostolica della fine del 1500.La pianta dell'edificio sacro è longitudinale a tre navate, triabsidata e priva di transetto. All'interno le tre navate sono divise da pilastri piuttosto semplici, che reggono archi a sesto acuto prive di capitelli, e adagiate su basi ioniche. Più articolata la parte presbiteriale dove l'arco trionfale poggia su pilastri quadrati con semicolonne addossate.La copertura dell'edificio è a doppio spiovente tranne che nella prothesis e diaconicon (piccoli ambienti collocati ai lati opposti dell'abside). All'esterno la parte orientale della struttura, con le tre absidi, presenta sulle pareti la stessa articolazione di S. Maria dei Tridetti.La presenza di archi ciechi su lesene produce piacevoli effetti chiaroscurali, creati da motivi a disco in mosaico policromo ed inseriti in ogni arcata. Nella fascia bicroma le tessere gialle e nere disposte ad opus reticulatum (tecnica che produce come effetto finale una rete di rombi) ricordano le decorazioni di alcuni edifici in area campana.La facciata principale, oggi con un portale a sesto acuto e un rosone più in alto, è opera posteriore in quanto, originariamente, doveva presentare tre portali preceduti da un nartece. In una relazione di una visita datata al 1587, successiva quindi alla riforma sui monasteri italo-greci, è contenuta una descrizione della chiesa così come si presentava ai visitatori alla fine del XVI secolo.Tra le altre notizie importanti viene riferito che anche il soffitto ligneo era affrescato ma già compromesso per la forte umidità. Ai visitatori, oggi, la chiesa si presenta scarna e spoglia anche se è ancora possibile cogliere quello che nonostante l'austerità del luogo doveva essere la chiesa nel periodo del suo massimo splendore. Il pavimento originariamente in opus tesselatum (cubetti di marmo e pietre) ricopre parzialmente la navata centrale; l'iscrizione musiva collocata tra la prima e la seconda campata ci fa conoscere il nome del committente "BLASIUS VENERABILIS ABBAS / HOC TOTUM IUSSIT FIERI" Blasius era probabilmente l'archimandrita (superiore dell' abbazia) del monastero e fu nel corso del suo mandato che venne realizzata la pavimentazione musiva.Questa, oltre all'iscrizione, raffigurava quattro animali fantastici racchiusi entro dischi: un liocorno al galoppo,un centauro, un felino, un grifone rampante che ricordano molto bene esempi orientali documentati in Sicilia e in particolare a Palermo, dove venivano prodotte stoffe decorate riconducibili a tradizioni che affondano le radici nell'Egitto copto (Egitto cristiano).L'abbazia di S. Maria della Sambucina, Luzzi - CS, che sorge alle pendici dei monti tra la serra Filetta e la serra Castellana, nei pressi di Luzzi, sulla via che conduce in Sila dalla media valle del Crati, è la prima costruzione cistercense della Calabria. A parere di alcuni studiosi, che datano la fondazione al 1142, sarebbe stata l'emanazione diretta della famosa abbazia di Clairvaux.Un'altra tesi, basata sulla documentazione d'archivio, vuole la fondazione spostata al 1160 ad opera di maestranze provenienti da Casamari-Frosinone nel Lazio.Forse la teoria più attendibile è quella che interpreta la costruzione dell' abbazia avvenuta a più riprese, in momenti diversi, a partire dalla metà del XII e alla fine sempre dello stesso secolo. Una frana nel 1569 obliterò parzialmente le strutture che, successivamente, furono ripristinate anche se ridotte dal punto di vista spaziale.Pittoresca la descrizione di chi, proprio per la sua posizione e se non fosse per lo splendido e caratterizzante portale, la vede quasi come un casale di campagna e solo il monumentale ingresso denuncia da subito l'importanza originaria del luogo.Ma, purtroppo, anche sul portale esistono seri dubbi circa la sua originalità.Esso presenta due ampie fasce: una a bugne, l'altra ad archetti che terminano in piccoli dischi accoppiati, ma che a parere di alcuni studiosi potrebbero essere riconducibili ad un rifacimento più tardo databile forse al 1600.Sul primitivo insediamento gli studiosi riferiscono una probabile datazione al 1160, ad opera dei cistercensi, ma su una preesistente fondazione benedettina, S.Maria Requisita, che compare successivamente nella documentazione della fondazione con il nuovo titolo. Nel corso di questo primo periodo pare debba datarsi la costruzione del presbiterio ( parte riservata al clero), anche se i lavori si prolungarono nel tempo a causa dei due terremoti avvenuti il primo nel 1184 ed il secondo nel 1220.Dopo questo periodo i monaci abbandonarono la struttura conventuale, per trasferirsi nella vicina abbazia di S.Maria della Matina che dal 1235 fu unificata alla casa madre.Ai monaci Benedettini si deve la fondazione nel 1060 del monastero di S.Maria della Matina, lungo le rive del Follone, presso S.Marco Argentano (CS).Roberto il Guiscardo e la moglie, la principessa longobarda Sichelgaita, furono i principali benefattori, presenti anche alla consacrazione ufficiale della chiesa celebrata da Arnolfo, vescovo di Cosenza, nel 1065.L'istituzione di questa fondazione, come di altre strutture sparse per la Calabria, rientra in un preciso progetto politico che mirava fondamentalmente a riconquistare terreno nel discorso generale di rilatinizzazione delle contrade calabresi. Insediamenti benedettini, Normanni e borgognoni, garantivano una presenza attiva di persone di formazione latina all'interno di una compagine ancora profondamente collegata alla chiesa orientale.Tale atteggiamento, forse prevaricatore, comunque non dispiaceva alla Santa Sede, che in questo modo teneva sotto controllo l'evolversi della situazione.Oggi la prestigiosa struttura denuncia la quasi radicale trasformazione avvenuta in seguito alla soppressione Napoleonica e la conseguente vendita demaniale. Ma nonostante lo stravolgimento, dovuto ad una recente trasformazione in azienda agricola, l'edificio, pur sovraccaricato da strutture posteriori, si presenta ancora monumentale.La sua origine è quindi benedettina, databile intorno al 1061-1066, mentre ad un secondo tempo risale la ricostruzione cistercense. Nel 1949 fu redatto un rilievo da parte di un funzionario competente, utilizzato come base per uno studio recente da parte degli storici dell'architettura.Ancora ben conservati alcuni ambienti che risalgono al 1200 con particolare riferimento alla sala capitolare, che negli impianti di quest'ordine era considerata un ambiente molto importante.Diviso in sei campate, coperte da volte a crociera "su pilastri a fascio anellati e desinenti in capitelli a bocciolo presentava tre grandi finestre a sguancio". La chiesa era chiusa a nord dalla abbazia e doveva aver avuto come punto di riferimento gli schemi campano- cassinesi tenuto conto del transetto poco sporgente e dalle tre absidi allineate. Una lettura stratigrafica degli alzati potrebbe essere funzionale ad una maggiore quanto puntuale conoscenza del monumento.Ancora a S. Marco Argentano è documentata la presenza di una cattedrale di cui oggi non abbiamo testimonianza in quanto, dell'originario impianto, non ci è pervenuto nulla; quello che oggi è possibile visitare alla periferia della cittadina altro non è che il rifacimento, in forme neonormanne, effettuato nel corso di un restauro che ha avuto luogo nel 1938.Spettacolare invece la cripta che ha mantenuto, per fortuna, la conformazione originaria di epoca normanna.Dopo la cripta del Duomo di Gerace è sicuramente la più vasta della regione, occupando una superficie di 360 mq. L'accesso è possibile sia dalla chiesa che dall'esterno.La struttura presenta una pianta rettangolare ed è internamente divisa da poderosi pilastri in pietra, consta di quattro navate absidate articolate ciascuna in cinque campate.L'ambiente è coperto da volte a crociera in laterizio con archi a ogiva, e l'alternanza dei conci al cotto crea un vivace effetto cromatico che lo rende peculiare rispetto alle altre cripte della regione calabrese.

    0b9dR
    Il Sacro Monastero greco-ortodosso di San Giovanni Theristis - Bivongi (RC)

    Di sicuro per la sua posizione strategica ed il fertile entroterra agricolo Tropea (VV) fu abitata e frequentata da sempre, anche da genti preistoriche. Ma è sicuramente durante il periodo normanno che la cittadina sul Tirreno divenne importante e fiorente. Il geografo arabo El-Drisi la cita come la più "bella e nota fra le primarie del paese dei RÛM". Ma, a proposito della prima fase della conquista, le cronache normanne non fanno riferimento alla città di Tropea.Goffredo Malaterra, parlando di Sichelgaita seconda moglie di Roberto il Guiscardo, indirettamente cita la città allorquando la principessa longobarda vi cercò rifugio in seguito alla diffusione della falsa notizia che i soldati di Ruggero, fratello di Roberto, avevano assassinato il marito a Mileto.Nella dinamica insediativa normanna il castello svolge un ruolo fondamentale ed il binomio cattedrale- castello sembra essere stato rispettato anche a Tropea. Il castello, infatti, doveva sorgere nei pressi dell'attuale palazzo Toraldo all'ingresso meridionale della cittadina. L'edificazione della cattedrale di Tropea pare sia da collocare nel periodo in cui la sede episcopale era guidata dal Vescovo Coridone, importante figura nel panorama ecclesiastico calabrese, in un momento particolare in cui si passava dal governo normanno a quello svevo.La città entrò di diritto nelle mani del Gran Conte alla morte di Roberto, suo fratello, e la mantenne fino al 1101, anno della sua morte. Della primitiva struttura normanna rimane purtroppo ben poco a causa dei numerosi rimaneggiamenti, restauri e aggiunte; ad ogni modo, l'edificio si presentava a tre navate divise da due serie di pilastri ottogonali in arenaria; nell'impianto originario la struttura ricorda molto da vicino la cattedrale di Agrigento, ma anche altre soluzioni riconducibili, ad esempio, al primo periodo normanno di S. Giovanni dei Lebbrosi a Palermo.Le tre absidi semicircolari attualmente visibili , sono frutto di un rifacimento posteriore effettuato di recente seppur sulla base delle tracce lasciate sul terreno dalle tre absidi originali. Particolarmente interessante risulta essere il lato settentrionale portato alla luce durante un intervento di restauro condotto nel 1927. Questa parte risulta essere originale se si esclude il pezzo che costituisce il prolungamento delle navate.Particolare e di grande effetto appare la soluzione decorativa caratterizzata da un vivace cromatismo ottenuto dall'accostamento di materiali di colore e consistenza diverse, schiuma di lava e calcare, che ricordano soluzioni analoghe adottate in contesti campani e siciliani. In seguito al rovinoso terremoto del 1783 la cattedrale venne ricostruita e assunse una veste neoclassica fortunatamente rimossa negli anni trenta e quaranta del secolo appena trascorso.Il complesso monastico di S.Giovanni Teresti di Bivongi (RC) , conosciuto anche come S.Giovanni vecchio di Stilo, nonostante oggi si trovi nei pressi dell'abitato di Bivongi (RC), venne riscoperto da Paolo Orsi nei primi anni del secolo scorso, quando, animato dal desiderio di conoscere il monumento visitò il rudere diverse volte, nonostante le difficoltà per raggiungere il sito.Lo studioso inserì le osservazioni sul pregevole monumento in un più ampio lavoro sui documenti architettonici di epoca medievale in Calabria dal titolo: Le chiese basiliane in Calabria. Numerose fonti documentarie informano che il monastero e la chiesa annessa furono costruite nel XII secolo, grazie ad una lauta donazione del Conte Ruggero, confermata successivamente da Ruggero II nel 1144.Si narra che nella seconda metà del XI secolo Giovanni Teriste ( Theristés / mietitore) si fosse fermato in questa località, che da allora divenne molto famosa proprio in virtù di quella autorevole presenza. Molto avvincente la storia che vede protagonista Giovanni da bambino, il quale, originario di un paese nei pressi di Stilo, visse per un periodo in Sicilia.Era infatti accaduto che durante un'incursione saracena il padre del piccolo Giovanni venne ucciso e la madre, incinta di Giovanni, deportata a Palermo.Cresciuto ed educato come un mussulmano, all'età di 14 anni la madre lo fece imbarcare su una nave per fare ritorno a Stilo e ricevere il battesimo. Completata la sua istruzione cristiana, Giovanni chiese al vescovo di poter imitare la vita solitaria e penitente del Battista e si recò pertanto in un piccolo monastero sito poco lontano da Stilo, alle pendici del Consolino.Da questo momento in poi la vita e le opere di Giovanni diventano un susseguirsi di miracoli. Quello connesso al titolo di mietitore si svolse nella maniera seguente.Giovanni, in viaggio per Robiano ( nei pressi di Monasterace) per incontrare un benefattore del convento, incontrò molti mietitori intenti al proprio lavoro che non persero l'occasione di deridere il monaco. Nonostante tutto il Santo si fermò ed offrì loro pane e vino, che malgrado il consumo non diminuivano.Nel frattempo era scoppiato un temporale ed i lavoratori erano fuggiti via per ripararsi. Il santo, a questo punto, aveva operato il miracolo di far trovare tutto il grano mietuto e raccolto in covoni. I lavoratori si recarono allora dal padrone per riscuotere il compenso ma questi, pensando ad un imbroglio non volle pagarli tenuto conto del poco tempo a loro disposizione per sbrigare il lavoro.Recatosi sul posto si accertò che i lavoratori avevano detto il vero, ed appreso di Giovanni, volle donargli i due fondi di Maturbulo e di Marone non senza aver prima divulgato il miracolo: da allora il santo venne chiamato con l'appellativo di Mietitore proprio in ricordo di questo evento soprannaturale.Per quanto riguarda invece il monumento presso il quale il santo soggiornò, c'è da dire che sono stati effettuati diversi studi e quello che è stato giustamente messo in risalto dagli specialisti, riguarda la sproporzione esistente tra la parte presbiteriale ( zona alla fine della navata mediana riservata al clero) articolata in tre vani, e la lunga navata. Se la soluzione del presbiterio tricoro con abside mediana sporgente è di matrice cluniacense-benedettina, la lunga e sottile navata, riconducibile ad un modello microasiatico, è resa ancora più allungata per via del vano di forma quadrata antistante.Alcuni studiosi hanno interpretato l'ambiente quadrato come una trasformazione del nartece bizantino e quindi un adattamento occidentale, mentre Paolo Orsi lo considerava come un aggiunta successiva e quindi un rimaneggiamento. E' comunque in anni recenti che in seguito ad un accurata indagine stratigrafica effettuata nel corso delle operazioni di restauro finalizzato alla conservazione del monumento è stato possibile evidenziare alcune peculiarità del monumento di epoca normanna. Il risultato più rilevante riguarda appunto il famoso vano quadrato che tanto ha fatto discutere. Grazie soprattutto ad una puntuale lettura delle strutture murarie è stato possibile stabilire che il vano risulta essere un ambiente costruito precedentemente, quindi in un periodo più antico rispetto alla chiesa e che solo in un secondo momento quest'ultima vi si era appoggiata.L'ingresso principale della chiesa è sul perimetrale meridionale, poiché il fronte occidentale affaccia su una zona particolarmente scoscesa.Piuttosto articolata l'area presbiteriale e la cupola che è retta da tre tamburi sovrapposti, tanto che per questa parte si è parlato di soluzioni di derivazione islamica.Ma questa complessa sistemazione della parte presbiteriale è difficile da cogliere dall'interno della chiesa, mentre l'esterno, per via del paramento in laterizio,omaggio alla tradizione bizantina, è composta da mattoni alternati a conci di pietra che creano un effetto cromatico molto particolare tale da catturare immediatamente l'attenzione dei fedeli. La cura nella realizzazione di questa parte è dovuta probabilmente al fatto che era stata concepita per essere subito visibile; i muri perimetrali, invece, denunciano una scarsa cura per la costruzione in quanto si presume dovessero essere originariamente intonacati.Tracce di affreschi sono state rilevate nelle nicchie esterne dei cori laterali; anche all'interno di questo piccolo gioiello sono stati documentati resti di pitture, segnalati per la prima volta da Paolo Orsi ma oramai illeggibili.E' comunque all'esterno che sono state notate le tracce più cospicue e se come spesso accadeva nel mondo bizantino, l'esterno fosse stato affrescato, ci troveremmo di fronte ad un unicum non conoscendosi altri esempi per l'Italia meridionale. A Catanzaro la piccola chiesa di S.Omobono già dedicata a S. Salvatore, costituisce l'unico esempio di architettura sacra medievale presente nella città. Alcuni studiosi fanno risalire la sua costruzione al 1070 ad opera di Roberto il Guiscardo.A semplice aula rettangolare, con copertura lignea, l'edificio si presenta molto rimaneggiato e le absidiole ricavate nello spessore dei muri, tipiche delle mononavate bizantine in Calabria, ricordate come prothesis e diaconicon, sono completamente assenti.Nella facciata e sul perimetrale laterale si notano chiari indizi dal gusto orientale. Si ricordano ad esempio "motivi su arcature cieche su piedritti allungati alternati ad altre a sesto ribassato a doppia ghiera e tompagnate ed aperte in più tarde piccole finestre...." .In sintesi il piccolo monumento è stato classificato come un prodotto romanico che, però, nello schema generale risente ancora degli influssi bizantini. Alla fine del 1500 fu sede della confraternita dei Bianchi di S.Croce e, fino al 1783, della corporazione dei sarti. Sconsacrata, acquistata da privati, attualmente assolve al compito di deposito.

    " title
    Interno Chiesa S.S.Trinità di Mileto (VV)

    Di origine tedesca, culturalmente francese, romano in quanto consigliere del papa, Brunone di Colonia, nativo dell'omonima città tedesca, fondò l'ordine dei certosini nel 1084, in una zona disabitata nei pressi di Grenoble, in Francia, dal nome di Chartreuse.Giunto in Calabria, da poco conquistata dai Normanni, si stabilì nei pressi delle Serre calabresi, dove fu aiutato e favorito dai nuovi conquistatori a realizzare la sua opera, la famosa Certosa.Anche questa operazione faceva parte del piano politico che tendeva a sostenere la chiesa latina contro quella bizantina e sia l'ordine dei Certosini che quello dei Benedettini contribuivano ampiamente alla causa.In Calabria, nel 1091, Brunone giunse già sessantenne in compagnia del monaco Lancino, suo seguace, e vi si stabilì con l'intento di continuare l'esperienza ascetica iniziata anni prima. In realtà egli era stato nominato vescovo di Reggio da papa Urbano II che era stato suo allievo a Reims; questi, raggiunta l'alta carica, per stima e riconoscenza lo aveva voluto presso di sé a Roma, ma Brunone rifiutò il riconoscimento. Il Papa rispettò la decisione del pio monaco ma venne convinto ad accettare quantomeno di rimanere in Calabria.E fu grazie ad una generosa donazione di Ruggero I gran conte e di sua moglie Adelasia, che Bruno di Colonia divenne un punto di riferimento importante per la religiosità calabrese, segnando positivamente ed in maniera indelebile l'identità di quelle contrade e di tutta la Calabria medievale. Ruggero, infatti, offrì in dono al monaco la località detta la Torre, che nella bolla (documento autenticato da un sigillo di piombo) di donazione è descritta in maniera dettagliata.L'area oggetto della elargizione era circondata da fitti boschi, freschi corsi d'acqua e rientrava ovviamente nella donazione tutto ciò che veniva a trovarsi sul territorio. Il motivo di tanta generosità pare sia da ascrivere ad un fatto prodigioso accaduto a Ruggero I. Quest'ultimo, mentre riposava nella sua tenda nell'accampamento militare, sogna S. Bruno che lo avvisa di un imminente pericolo: in effetti all'esterno della tenda un soldato bizantino cercherà di ucciderlo.Grato al santo per avergli salvata la vita il valoroso Ruggero offrì per ricompensa vasti possedimenti a Brunone che, grazie anche all'operosità dei monaci, riuscì a costruire la Certosa, importante monumento religioso e punto di riferimento per la spiritualità calabrese. Il convento rimase attivo fino al terremoto del 1783, poi nel 1808 venne soppresso per essere riaperto nella metà dell'ottocento, mentre la Certosa fu ricostruita nei primi anni del 1900 su imitazione delle forme gotiche.Il nucleo più antico doveva sorgere nei pressi della chiesa di S. Maria del Bosco che, successivamente abbandonata, assolverà alla funzione di santuario. In sintesi, della Certosa sono distinguibili tre nuclei principali: la cinta muraria con le relative torri, i ruderi pertinenti alla seconda Certosa, ed i fabbricati connessi con la terza Certosa, gli annessi elementi di servizio, le zone residenziali, i luoghi di preghiera.Ma la peculiarità di questa certosa è data, senza dubbio, oltre che dal complesso aspetto architettonico esteriore, sicuramente dal fatto che nove secoli or sono fu lo stesso S. Bruno, di persona, a volerne l'edificazione nei boschi incantati delle Serre Calabresi.Nei pressi dei moderni comuni di Carlopoli e Serrastretta, S.Maria di Corazzo , ubicata nell'alta valle del fiume Corace, con i suoi monumentali resti rende l'idea di quella che doveva essere l'istituzione ai tempi del suo massimo splendore.Nonostante la condizione di congerie di ruderi emerge prepotente la grandiosità del complesso religioso.Già l'ubicazione dell' insediamento, in una radura boscosa attraversata da un corso d'acqua, denuncia una cura particolareggiata per la scelta del sito sul quale far sorgere l'abbazia. Si tratta infatti di una pianura valliva tra i monti, ben protetta e rispondente a quei requisiti richiesti per un luogo di culto e di preghiera. Seppur allo stato di ruderi ancora oggi è possibile individuare nei resti la chiesa, con l'annesso convento, anche se sarà compito degli studiosi riuscire a rintracciare e ad interpretare cronologicamente gli interventi che si sono succeduti nel tempo. Le sue origini sono benedettine anche se dal punto di vista archeologico scarsamente documentabili; successivamente, alla metà del XI sec, passò ai cistercensi. Nel 1445 l'istituzione viene data in commenda e, come per tutti gli organismi passati sotto questa pratica, inizia il lento declino fino a quando il terremoto del 1783 ne sancì la definitiva rovina. Al 1807 si data il decreto Napoleonico per la sua soppressione.Quindi dopo la sua fondazione le vicende collegate alla sua vita sono molteplici ed in questo caso se per un verso è possibile attingere a fonti di tipo archivistico, dall'altro per chiarire le vicende collegate alle modificazioni architettoniche bisogna indirizzare l'indagine verso scavi archeologici e letture puntuali delle strutture murarie.Un diploma di Ruggero I, noto attraverso copie risalenti al XVI e XVII sec., data la fondazione dell'abbazia di Sant'Eufemia al 1062, pochi anni dopo la conquista della Calabria.Anche questa fondazione appartiene al gruppo benedettino ed insieme ad altre doveva servire da manifesto per il rilancio dell'economia e la ripresa delle tradizioni religiose di tipo latino. Roberto il Guiscardo ne affidò la cura e la costruzione all'abate normanno Robert de Grandmesnil proveniente dal complesso abbaziale di Evroul-sur-Ouche.In realtà nel diploma di Ruggero già ricordato, si parla del restauro di una piccola chiesa, probabilmente di origine bizantina, che successivamente venne inglobata nella grandiosa costruzione posteriore, assai più estesa e sicuramente adatta ad ospitare la numerosa comunità di monaci benedettini, destinata a costituire un modello per la realizzazione di altre abbazie.Per molti secoli, dopo la parziale distruzione avvenuta in seguito al terremoto del 1638, quanto rimaneva della costruzione è stato obliterato dalla folta vegetazione, che ha impedito agli archeologi di studiare e rendere noto l'importante manufatto.Solo di recente è stato possibile procedere ad uno scavo ed a una parziale ricognizione e lettura dei resti che hanno restituito all'abbazia quel ruolo di preminenza e centralità nell'architettura medievale calabrese. I ruderi si trovano in località Terravecchia di S.Eufemia Vetere, poco distante dal mare, in una zona dove era facile controllare le vie di comunicazione sia verso nord che verso sud.L'essere stati occultati dalla vegetazione ha si privato gli studiosi per molto tempo della conoscenza scientifica del monumento ma, nello stesso tempo, ha evitato che lo stesso venisse distrutto dai cavatori di pietra, così come è successo ad altri monumenti calabresi sia di epoca classica che medievale.Quindi per molti secoli, dopo la parziale distruzione avvenuta in seguito al terremoto del 1638, quanto rimaneva della costruzione è stato inglobato nella folta vegetazione, che ne ha impedito l'individuazione e quindi la distruzione.Collocato in posizione strategica, al centro della vasta pianura lametina, in modo da tenere sotto controllo sia le vie di comunicazione verso sud che verso nord, esercitando, pertanto, un potere politico territoriale, il monastero è stato costruito impiegando materiali abbastanza poveri, costituiti da ciottoli di fiume legati da malta resistente e qualche frammento di cotto, probabilmente di reimpiego, recuperato nelle immediate vicinanze. In generale, quindi, l'aspetto estetico doveva apparire alquanto severo anche se nella torre si nota la presenza di alcuni conci squadrati.Oggi i resti delle monumentali fabbriche si ergono solitari nella pianura, a poca distanza dal cosiddetto Bastione di Malta, in località Terravecchia, toponimo conferito alla zona quasi sicuramente in virtù dei resti lì presenti.La struttura superstite di maggiore risalto è costituita da un lungo muraglione, forse pertinente alla chiesa conventuale, con una serie di monofore a tutto sesto, alternate da contrafforti; poi un altro corpo di fabbrica relativo alla parte meridionale del monastero, mentre uno spiazzo a forma di quadrilatero lascia intuire la presenza dell'antico chiostro; rimangono ancora visibili i resti del muro che proteggeva l'intero complesso, ed una torre quadrangolare sempre allo stato di rudere.La chiesa dell'abbazia doveva ricordare nel suo svolgimento planimetrico la SS. Trinità di Mileto con la quale presenta analogie anche relativamente al campanile. Gli studiosi hanno anche notato però delle differenze, ad esempio per quel che concerne l'impiego di materiale classico molto usato a Mileto e assente a Sant' Eufemia, forse perché nelle immediate vicinanze non esistevano edifici monumentali da spoliare.Comunque le analogie tra le due realtà sono notevoli e denunciano entrambe lo stesso piano costruttivo, basato sulla conoscenza della costruzioni sacre della Normandia, ma sicuramente vi saranno state anche differenze determinate, quest'ultime, da vari fattori quali ad esempio l'area di costruzione e le relative differenti soluzioni costruttive.I monaci -costruttori di Sant'Eufemia conoscevano direttamente e piuttosto bene, per via della loro origine, disposizioni planimetriche ispirate allo schema di Cluny II che così furono traslate e diffuse in tutta la Calabria.

    Edited by Isabel - 14/11/2014, 16:46
     
    .
0 replies since 20/7/2012, 13:51   596 views
  Share  
.