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Tutte le chiese di Caccuri

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    Tutte le chiese di Caccuri



    Chiesa di Santa Maria delle Grazie

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    - Fonte -

    La Chiesa Madre di Caccuri è intitolata a Santa Maria delle Grazie e si trova nel bel mezzo del centro storico del paese, di cui rappresenta il centro della vita religiosa.Si tratta di una chiesa in pietra del Settecento a pianta basilicale a tre navate, di impostazione romanica ma con abbellimenti barocchi: uno dei diversi esempi della lavorazione della pietra tipica di Caccuri. Pur essendo chiaramente visibili i tanti danneggiamenti arrecati dai terremoti e dagli incendi, la facciata presenta ancora tracce delle caratteristiche curve e degli altri fregi baroccheggianti: molto bello anche il portale ad arco a tutto sesto ed il robusto campanile laterale a base quadrata. All’interno troverete l’atmosfera tipica delle chiese di un tempo insieme a molte testimonianze di arte sacra di autori locali. Tra queste vi segnaliamo il ciclo pittorico dedicato alle figure femminili della Bibbia presenti nella volta della navata centrale: Debora, Ester, Giuditta e Maria Assunta dipinte dal Santanna (pittore locale del ‘700) negli anni della sua maturità, da Jorgh Sana e Josef Santi (primo Ottocento). Nelle navate laterali troverete due cappelle, quella di San Gaetano e quella del Santissimo Sacramento: in entrambe potrete ammirare marmi policromi, statue di vari stili e fatture e dipinti di soggetti sacri di gran pregio. Tra le innumerevoli rappresentazioni artistiche che troverete in tutta la chiesa di Santa Maria delle Grazie vi invitiamo a guardare con particolare attenzione il San Vito dipinto olio su tela alla destra dell’altare maggiore: altamente simbolica la sua tenuta da legionario romano, quale militante della Fede, e i due cani che porta al guinzaglio, in quanto santo protettore di questi animali. Pregevole anche il fonte battesimale, in legno e granito lavorato da artigiani caccuresi, e la sacrestia, ricca di diverse opere d’arte sacra.

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    Facciata

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    Veduta del Campanile

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    Campanile





    Madonna del Soccorso

    - Fonte -


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    Di epoca medioevale, la chiesa sorge nel centro storico. Nel XV° secolo fu largamente rimaneggiata, tanto da cambiare completamente aspetto. Testimoniano tale intervento alcuni resti di monofore tufacee alla base della torre campanaria ed il fonte battesimale litico di chiara origine quattrocentesca. Subì gravi danni in occasione del catastrofico terremoto del 1638 (che provocò, fra l’altro, anche il crollo di parte del rione Pizzetto), di un incendio nel 1769 e poi, ancora, a seguito del terremoto del 1908. Quest’ultima calamità procurò alcune lesioni alla struttura per cui l’amministrazione comunale dell’epoca decise di realizzare il muro di sostegno al piazzale ed alcuni altri interventi di consolidamento. La chiesa, a tre navate, presenta una cappella laterale a destra, la cappella De Luca, che ospitò, fino a qualche decennio fa, le ceneri del vescovo caccurese Raffaele De Franco. Di notevole valore artistico è il pulpito datato 1795, opera di Battista Trocino, un artigiano caccurese autore di altri lavori tra cui gli scanni corali di alcune chiese dei paesi vicini. L’opera, purtroppo, appare vistosamente rimaneggiata. Il baldacchino, sorretto da elementi intagliati a volute, è ornato con frange e cornici. Nella parte anteriore vi si legge la seguente scritta: "D.O.M. Audite Verbum Domini et Assumant Aures Vestrae Sermone Oris Eius. Anno Rep. Sal. MDCCCV Pax B. Trocini L." Santa Maria delle Grazie ospita inoltre, il dipinto della Trasfigurazione, un olio su tela che rappresenta il Cristo su di una nuvola circondato da cinque apostoli e realizzato nel XVIII° secolo probabilmente su commissione della famiglia De Luca, la statua di S. Francesco d’Assisi e quella di S. Luigi, a tutto tondo, scolpita, negli anni ’60 da un caccurese, il compianto professor Francesco Antonio Fazio. Sulla torre campanaria troneggia una maestosa campana del 1578 fusa in loco da Angelo Rinaldi su commissione dell’Università di Caccuri. E’ retta da sei grappe cordonate e ornata da un elegante fregio decorato con motivi floreali. Al centro vi è un medaglione che raffigura la Madonna col Bambinio. La storia della campana è fusa nello stesso bronzo, in una scritta sotto la fascia decorativa che recita: "Universitatis Cathcuri Conventus Pred. Angelioz Rinaldi LX Facta Sum - Laudo Deum Verum - Plebem Voco - Congrego frates - defunctos ploro - Pestem fuglo - festa decoro. S. Maria Sua Mis."

    Edited by Isabel - 3/11/2014, 15:54
     
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    Badia, Chiesa e Cappella di Santa Maria del Soccorso

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    - Fonte -
    Foto tratte da: mobitaly.it

    Il complesso monumentale della Badia di Santa Maria del Soccorso di Caccuri (KR) comprende:
    • ex Convento dei Domenicani
    • Chiesa di S. Maria del Soccorso o della Riforma
    • Cappella della Congregazione del S. Rosario

    Il complesso fu fondato nel 1518 dal frate domenicano Andrea da Gimigliano, su richiesta dell'Università di Caccuri. Il pontefice Leone X diede l'approvazione definitiva nel 1519. Sulla facciata della Chiesa, oltre allo stemma dell'Università, appare lo stemma del feudatario del luogo, Giambattista Spinelli, duca di Castrovillari e conte di Cariati.

    Nel 1651 il Convento domenicano conosce il periodo del suo massimo splendore, sotto l'egida dei duchi Cavalcanti (Antonio, Marzio, Rosalbo): essi investono molto nell'arte, con la costruzione della Cappella di San Domenico all'interno della Chiesa, e della Cappella della Congregazione del S. Rosario, poco prima dell'antico chiostro.



    Chiesa di S. Maria del Soccorso o della Riforma


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    Entrando nella Chiesa di S. Maria del Soccorso, si nota subito l'acqua santiera in marmo verde Guatemala e l'interminabile "ammucchiata" di altari; si pensa infatti non fosse quella odierna la disposizione dei vari altari lignei, logorati dal tempo e dalla mano veloce dei ladri, che hanno trafugato tutti i preziosi paliotti d'altari, il cui modello è visibile solo nell'altare di S. Barbara nella Cappella Palatina del Castello di Caccuri (infatti gli stessi motivi decorativi degli altari presenti in questa chiesa sono presenti nel castello, poiché entrambi i monumenti dovevano esaltare la magnificenza della famiglia Cavalcanti). Procedendo verso l'interno, l'occhio va alla tela della Madonna del Rosario, per poi notare la contrapposizione tra il maestoso altare in gesso (a simboleggiare il Clero, potente ma povero di risorse economiche; infatti il gesso non è un materiale pregiato) e l'arco in pietra serena che conduce alla Cappella Gentilizia dei duchi Cavalcanti, che vollero erigere per assistere alle cerimonie senza doversi per questo mischiare alla gente comune. La cappella Cavalcanti custodisce al suo interno un gioiello settecentesco che è l'altare di San Domenico, realizzato nel 1781 da Francesco Paolo Cristiano, in legno stuccato e dipinto. Al centro dell'altare vi è la statua di San Domenico, raffigurato con la Bibbia in mano e la Terra ai suoi piedi, in compagnia di un cane recante la fiaccola ardente della sapienza teologica. Ai lati della statua del santo, sempre in legno, vi è il gruppo scultoreo dell'Annunciazione. Sopra la statua, nel punto più alto dell'altare, è posto il tondo di San Domenico, dove il santo è rappresentato nel cartiglio sorretto dalle tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. Sull'altare maggiore troneggia la statua lignea di Santa Maria del Soccorso, donata nel 1542 dall'abate Salvatore Rota del vicino Monastero dei Tre Fanciulli. La Vergine è raffigurata nel gesto di scacciare un satiro per difendere il Bambino Gesù; il satiro presenta notevoli danni perché nel '900 venne gettato nel fiume Lepre dalle donne del paese, perché incuteva in loro timore. Nell'abside, un coro in legno intagliato di scuola sangiovannese (XVI sec.) è sovrastato da una volta affrescata con un ciclo sullo Spirito Santo, oggi andato perduto per l'umidità ma ricordato dalla presenza di una Colomba bianca al centro della volta. All'esterno, un pregevole portale in pietra serena, con motivi bellici. Sulla chiave di volta di tale arco il simbolo dei Domenicani, con la tipica stella e la spada, a simboleggiare la loro grande arma: la sapienza teologica. E sopra di esso uno splendido rosone romanico a dodici raggi (tanti quanti gli apostoli), in mezzo agli stemmi di chi fece erigere la badia: l'Universitas di Caccuri e la nobile casata degli Spinelli.

    Cappella della Congregazione del SS. Rosario


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    All'interno del complesso monumentale di S. Maria del Soccorso, esternamente alla Chiesa, prima di accedere in quello che era un tempo l'ingresso al chiostro, si trova la vera perla del patrimonio artistico caccurese: la Cappella della Congrega del S. Rosario, dove si concede l'indulgenza plenaria dal 1679; è ancora visibile la bolla papale di Innocenzo XI. Mattonelle di cotto alternate a maioliche in pietra azulea del Settecento (provenienti dalla manifatturiera napoletana Giustiniana) compongono il pavimento della cappella, alla quale avevano accesso solo i frati della Congregazione e i mecenati della costruzione della Cappella: i membri della famiglia Cavalcanti. A ricordare don Antonio Cavalcanti, duca di Caccuri, un'epigrafe in latino, sotto lo scranno corale dedicato al priore della congregazione; all'interno il teschio dell'uomo che tanta parte ebbe nell'allestimento del patrimonio artistico caccurese. Sull'altare maggiore, un quadro della Vergine del Rosario spicca per la sua peculiarità: ai piedi della Madonna vi è San Domenico ma manca Santa Rosa, sostituita ancora una volta dall'araldo della famiglia Cavalcanti. Ai lati, le due statue lignee della Madonna Addolorata e della Madonna della Pace.

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    Particolare del Portale

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    Portone

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    Rosone

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    Torre Campanaria

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    Veduta



    Edited by Isabel - 3/11/2014, 15:57
     
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    Santuario dei tre Fanciulli

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    - Fonte -

    La chiesa di S. Maria dei Tre Fanciulli in località Patia, sulla strada per Fantino e San Giovanni in Fiore, è tutto ciò che resta dell’antichissimo monastero basiliano di Santa Maria Trium Puerorum o di S. Maria la Nova o della Paganella, come fu denominata, nel corso dei secoli, la chiesa annessa al cenobio. “Della sua fondatione et erettione non si have memoria certa per essersi disperse le scritture” è scritto in una relazione del priore Gregorio Ricciuti e del sacerdote Michelangelo Prospero commissionata da papa Innocenzo X° e datata 20 marzo 1650, ma l’origine del monastero risale, quasi certamente, al periodo compreso tra il V° e il IX° secolo e fu opera di anacoreti bizantini. Il declino del convento basiliano, che pure si distinse per il notevole spirito battagliero contro l’invadenza monacale latina, ebbe inizio con la donazione dell’imperatore Enrico VI° del 1195 con la quale il sovrano concedeva all’abate Gioacchino da Fiore un vasto territorio appartenuto fino a quel momento ai monaci greci. Da allora il monastero dei “Tre fanciulli” perse ogni importanza fino a divenire una proprietà dell’ordine florense.Nella citata relazione del XVII° secolo si fa cenno al pessimo stato dell’eremo attribuendone la causa al fatto che, per molto tempo, era rimasto disabitato. Ma, forse la vera causa del declino e dell’abbandono va ricercata nella decisione di papa Alessandro VI° Borgia del 13 settembre del 1500 di dare l’abbazia in commenda. Da allora i commendatari si preoccuparono soltanto di riscuoterne le rendite lasciando nell’incuria e nell’abbandono ogni cosa. Poi, per volere di Pio IV°, Pio V° e, soprattutto di Sisto V°, il monastero riacquistò importanza e vi fu reintrodotto il culto. Nel 1560, comunque, come apprendiamo dalla stessa relazione, oltre alla chiesa che misurava “di lunghezza 58 palmi ed uguale larghezza col suo altare maggiore”, vi era un cortile grande circondato da mura.“Nel piano di detto cortile” vi erano cinque stanze abitabili ed una scoperta “le quali servono per cocina, forno, cellaro (cantina) , magazeno e stalla.” All’epoca fra le proprietà del monastero vi erano Forestella e Casale nuovo (Casalinuovo), donati in parte alla chiesa da Francesco Antonio Parise, il Tenimentello e Vignali ed il commendatario era Ottavio Protospataro. Nel 1650, cioè quando fu stilata la relazione citata, commendatario era, invece, il cardinale Prapacioli. Pochi anni prima che i due religiosi stilassero la relazione il complesso monastico era stato danneggiato dallo spaventoso terremoto del 1638 che provocò notevoli danni anche nella vicina Caccuri. Nei secoli successivi fu completamente abbandonato tanto che crollò. Attualmente la chiesa restaurata una ventina d’anni fa, è compresa nel territorio di San Giovanni in Fiore, ma il confine con Caccuri, il cui abitato dista meno di due chilometri dal luogo di culto, passa ad una ventina di metri dall’ingresso.

    Edited by Isabel - 3/11/2014, 15:57
     
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    Chiesa di San Rocco

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    - Fonte -

    Nei pressi della Porta Piccola di Caccuri, ai margini dell’abitato del comune di Crotone, sorge la Chiesa di San Rocco, un edificio molto particolare che caratterizza la via per le campagne del centro, ricche di uliveti ed alberi secolari. San Rocco è il patrono del paese ed a lui sono legate diverse leggende relative soprattutto agli anni bui della pestilenza che colpì la zona nel XVII secolo: non si conosce la data della sua costruzione ma, data l’iscrizione, doveva essere già presente da molto tempo quando, nel 1638, venne intitolata al Santo. L’aspetto più interessante della chiesetta di Caccuri è certamente l’esterno, contrassegnato da un evidente sviluppo verticale. La facciata presenta un portale ad arco a tutto sesto con decorazioni barocche come le lesene corinzie e la cornice del rosone circolare sopra di esso, alla cui sommità è posta una conchiglia in rilievo, quale simbolo del viandante pellegrino. L’interno, mononavato, è oggetto di ristrutturazioni che ne hanno ridimensionato notevolmente la bellezza artistica, senza però intaccare l’atmosfera raccolta che da sempre caratterizza la Chiesa di San Rocco.

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    Particolare della facciata

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    Particolare del rosone

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    Portone





    Convento dei Dominicani

    - Fonte -

    Il convento dei Dominicani di Caccuri venne edificato a partire dal 1515 nel luogo detto “il Casale”, a circa due miglia di distanza dal vecchio monastero basiliano dei Tre Fanciulli e a poche centinaia di metri dal paese, su di un terreno che il sindaco del tempo e l’Università misero a disposizione di alcuni religiosi tra i quali frate Andrea da Gimigliano, il vero e proprio artefice della fondazione di questo nuovo monastero caccurese. Fra le altre cose il religioso del Catanzarese si recò anche a Roma in San Giovanni in Laterano per ottenere le autorizzazioni papali. Tra il monaco, le autorità e i cittadini di Caccuri ci si accordò per erigere il fabbricato sull’area donata dalla stessa Università, ovvero l’orto di un tal Filippo Piluso, già in passato appartenuto a Gugliemo Sproveri. L’orto in questione confinava con la strada che portava “all’ Aruso” (Laruso), un terreno a sud est della cittadina, e la proprietà degli eredi del defunto Carlo Martino (probabilmente S. Andrea). Reperito il suolo, l’Università si impegnò a costruire a sue spese due calcare (una fu inspiegabilmente demolita negli anni ’70) che avrebbero prodotto la calce utilizzando la pietra calcarea della vicina Serra Grande e concesse ai monaci di riscuotere una tassa di un tornese per ogni rotolo di carne o pesce che si vendeva in paese per ricavarne le somme necessarie alla costruzione dell’edificio. Le autorizzazioni ecclesiastiche furono concesse da Papa Leone X°. Poterono così iniziare ufficialmente i lavori (che erano in effetti già iniziati) per la costruzione dell’imponente complesso monastico con la benedizione del vescovo dell’epoca Gaspare de Murgis. Nel 1542 l’abate Salvatore Rota, commendatario del vicino monastero dei Tre Fanciulli (Patia) donò alla chiesa annessa al convento la statua di S. Maria del Soccorso. La vita monastica nel nuovo cenobio procedette tranquilla per tutto il XVI° secolo, anche se i frati non riuscirono mai a reperire i fondi necessari per completare la costruzione. I monaci coltivavano i terreni intorno al monastero attingendo l’acqua dal vicino ruscello di San Nicola che alimentava la vasca di irrigazione (‘a cipia e ri monaci) nei pressi del campanile. L’acqua potabile giungeva invece da Sant’Andrea ed il convento era immerso nel verde. Tutto ciò rendeva il luogo ameno e adatto al raccoglimento al punto che il vescovo di Cerenzia mons. Maurizio Ricci nel 1626 volle trascorrervi gli ultimi giorni della sua vita proprio nel convento caccurese e fu sempre particolarmente legato a questo luogo di preghiera e di raccoglimento a pochi chilometri di distanza dalla sua diocesi. All’epoca vivevano nel monastero undici religiosi, tra sacerdoti, monaci e professi, ma già qualche decennio dopo il numero dei frati si ridusse a meno di sei, tanto che, come prevedeva la costituzione di Innocenzo X, se ne decise, in data 24 ottobre del 1652, la chiusura. A contribuire a questa drastica decisione fu anche la grave situazione finanziaria dovuta al fatto che molti dei terreni di proprietà non erano fittati perché i cittadini di Caccuri, che avevano dovuto affrontare le spese per riparare i danni del terremoto del 1638, non erano in condizioni di poter assumersi altre spese, i tre mulini erano diroccati e, nelle ultime tre annate, c’era stata una spaventosa carestia. Due anni dopo, però, nel 1654, il convento riaprì i battenti e, nel secolo successivo, riacquistò la sua autonomia. All’epoca i frati che vi abitavano erano ben 12 e, anche grazie alla munificenza dei Cavalcanti, la chiesa si arricchiva sempre più di opere d’arte. Il convento aveva diritti su circa cento ettari di terreno, possedeva diverse vigne, case, armenti e 13 maiali. Fu in questo periodo, probabilmente, che qualche bontempone coniò la famosa espressione nota ad ogni caccurese, “dodici monaci, tredici porci”, a significare che i religiosi non se la passavano poi troppo male e che tutti i giorni mangiavano “cuzzettu e fave”, ossia guanciale bollito con le fave. Nel 1690 il Padre Provinciale dei Predicatori concesse l’autorizzazione ad erigere, in una stanza del convento, la cappella della Congregazione del Santissimo Rosario accogliendo una richiesta di un gruppo di cittadini caccuresi tra i quali Francesco Bonaccio, Orazio Antonio Novello, Filippo Mele, Santino Falbo e Francesco Mele. Come contropartita il Padre Provinciale pretese dalla Congregazione il versamento della somma di 15 carlini annui al convento a titolo di elemosina. Ottenuta l’autorizzazione i confratelli si misero subito all’opera e, grazie anche alla munificenza dei Cavalcanti, la chiesetta si arricchì sempre più di capolavori dell’arte barocca, sculture e quadri. Particolarmente sensibile e generoso si mostrò don Antonio Cavalcanti, figlio primogenito del duca Don Marzio che rinunciò alla successione per farsi cavaliere di Malta e che convinse il padre a donare alla Congregazione, con un atto del 4 gennaio 1750 stilato nel castello di Caccuri e controfirmato dal suo segretario Diego Guarascio, che era anche il sindaco dell’epoca, il ricco terreno denominato Vignali a est della cittadina. Ciò gli valse una epigrafe in latino che è possibile ancora leggere sugli scanni corali della chiesetta e che ci informa che “tutto ciò che si vede nel tempietto fu condotto a termine dal frate dominicano Antonio Cavalcanti, nell’Anno del Signore 1753, in voto alla Vergine del Rosario perché la si possa lodare.” Nel 1824 la Congregazione implorò il Papa affinché concedesse l’indulgenza plenaria per coloro i quali visitavano la chiesa nei giorni delle feste principali e in tutte le domeniche dell’anno. I confratelli chiedevano inoltre che questo privilegio fosse perpetuo ed applicabile “pur in suffragio delle anime del Purgatorio”. Il Papa Leone XII, il 24 luglio dello stesso anno, su sollecitazione del cardinale Nava, concesse il privilegio. Infine, qualche anno dopo, i confratelli chiesero al Santo Padre di “voler loro accordare la partecipazione ai privilegi che si godono dall’ordine dei Predicatori, quantunque vengano diretti nello spirituale dai Religiosi riformati, venendo raccomandati dal proprio ordinario coll’attestato che si umilia qui annesso.” Anche quest’ultimo privilegio venne concesso dal papa Gregorio XVI° il 27 marzo del 1835. I nomi dei confratelli trapassati, dal 1835 al 1860, venivano annotati in un registro conservato nella stessa chiesa. Il lunedì di Carnevale, poi, sempre nella stessa chiesetta, veniva celebrata una messa in loro suffragio con la presenza sull’altare dei teschi di alcuni defunti tra i quali quello dello stesso fondatore Antonio Cavalcanti. Questa singolare tradizione rimase in vigore fino alla metà degli anni ’50 quando la Congregazione fu sciolta. La piccola, splendida chiesa è adornata da un altare barocco con tela raffigurante la Vergine del Rosario e S. Domenico inginocchiato ai suoi piedi nell’atto di ricevere dal Bambinello, che è in braccio a Maria, il rosario. Si tratta di una rappresentazione unica nel suo genere in quanto non vi è raffigurata, a differenza di molte altre tele simili, S. Caterina. Ai lati dell’altare, in due nicchie, sono custodite le statue dell’Addolorata e della Madonna dei Fratelli. Sulla volta sono rappresentate scene del vecchio testamento. All’interno degli scanni corali, come è già stato detto, vengono custoditi i teschi dei confratelli defunti recuperati agli inizi del XIX secolo dalle fossae mortuorum. Tornando alla Chiesa della Riforma, va ricordato che nel 1781, Francesco Paolo Cristiano decorò il monumentale altare di San Domenico. Qualche anno dopo, nel 1809, quando i Francesi occuparono il Regno di Napoli, il convento dei Dominicani venne soppresso con un decreto del 7 luglio. Riaprì solo nel 1833 per iniziativa dei frati Francescani Riformati che vi rimasero fin dopo l’Unità d’Italia quando fu soppresso definitivamente. Nel 1865 monastero e chiesa furono venduti al barone Giovanni Barracco e, nei primi anni ’50, gli eredi Barracco rivendettero il monastero a privati, mentre la chiesa divenne proprietà della curia arcivescovile. Nel 1956 furono eseguiti alcuni lavori fra i quali la copertura del campanile che era crollato da decenni ed il rifacimento del tetto. Nel piano terra del campanile era stata ricavata una stanza nella quale abitava un vecchio muto e la moglie che custodivano e pulivano la chiesa. A quei tempi vi era ancora abbondanza di opere d’arte e di arredi tra i quali un grande organo a canne che, pare, venne poi venduto verso la fine del decennio perché oramai inservibile. Probabilmente in quell’occasione fu demolito e disperso anche il soppalco che sovrastava l’ingresso del tempio e che era retto da colonne in legno.Su una di esse era stata collocata una cassetta delle elemosine con scolpito un bassorilievo della Morte e la scritta “Come tu sei io fui; come io sono tu sarai.”Negli anni ’60 e ’70 il degrado del monumento subì un’accelerazione finché, nel 1972, crollò il tetto e la chiesa rimase scoperchiata per otto anni. Negli anni ’80 l’amministrazione del tempo provvide, con fondi propri e con contribuiti della Provincia e della Regione, ad eseguire alcuni interventi urgenti che impedirono la perdita definitiva del bene. Attualmente sono in corso lavori per impedirne l’ulteriore degrado della importante chiesa. Tra le opere più significative di quelle che si sono salvate e sono giunte fino a noi nonostante l’incuria, l’abbandono e gli sfregi arrecati al monumento, figura un bellissimo ambone intagliato, un crocifisso ligneo, le statue di San Vincenzo, Sant’Antonio e San Francesco di Paola e quella della Madonna del Rosario.

    Edited by Isabel - 3/11/2014, 15:59
     
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