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Ponti della provincia di Cosenza

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    Ponti della provincia di Cosenza


    Ponte di Annibale
    [Comune di Scigliano]

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    Ponte Romano (II secolo a.C.) - Foto di gesco61

    - Fonte -

    Nel territorio sciglianese ubicato in una proprietà della Famiglia Micciulli troviamo un importante monumento che merita di essere menzionato visto l’interesse suscitato in molti studiosi ed è il Ponte romano volgarmente detto di S. Angelo o di Annibale. Il ponte di Annibale è nel Comune di Scigliano, il nome è da attribuire all'antico condottiero cartaginese che, secondo la tradizione, l'attraversò con le sue truppe. Di certo si sa che questo ponte fu costruito nel periodo che va dal 131 al 121 a.C. Infatti in questo periodo l'imperatore Tiberio Gracco fece costruire l'antica via Popilia, di cui il ponte fa parte, che collegava l'attuale Reggio di Calabria a Capua. A conferma del periodo di costruzione nel 1961 in concomitanza con un'opera di consolidamento si prelevò del materiale calcareo e si fece analizzare ottenendo come risultato che tale materiale aveva un'età superiore ai 2000 anni. Questo ponte largo 3,45 metri alto 11 metri e lungo circa 25 metri, è costruito ad una unica volta con due archi concentrici. Completamente costruito a secco con pietra di tufo rosso calcareo, proveniente da una cava non molto lontana, da oltre 2000 anni sfida le intemperie e le piene del fiume presentandosi a noi ancora perfettamente percorribile. Questo assieme al ponte Fabricio dell'isola Tiberina (69 a.C.) ed al ponte Emilio (179 a.C.) è uno dei più antichi ed importanti d'Italia. Diverse sono le testimonianze di un tragitto percorso da strateghi militari.

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    Il prof. Emilio Barillaro scrive:”…Il ponte fu gittato dai romani a servizio della via Popilia nel 203 A.C., distrutto dagli stessi costruttori all’epoca della sconfitta di Annibale per arrestare la fuga di costui ed impedirgli di raggiungere il mare e poi ricostruito con lo stesso materiale edilizio e con lo stesso modulo architettonico dei genieri del generale cartaginese per il transito della sua armata." Ed il Padula in “Calabria prima e dopo l’unità”.” Quel ponte può dirsi l’unico monumento architettonico della provincia. E' un solo arco colossale della luce di cento palmi che comincia dal suolo e non s’appoggia ai pilastri. Vi si ascende per una scaglionata che lascia tra sé e l’arco del ponte un vuoto dove si ricovrano i pastori. Mentre tu sali spesso ti viene all’orecchio uno scoppio di riso; e sono foresi e forosette che ridono sotto i tuoi piedi. Il ponte è di piperno ( roccia eruttiva effusiva, n.d.c.) e se ne ignora l’autore. Il volgo lo crede opera del diavolo e crede di vedere sopra alcune pietre l’impronta di sua mano e va a cercarvi tesori”. Ai primi del 1900 in una relazione l’archeologo Edoardo Galli, fra l’altro, scriveva: “ Il ponte ad una sola luce, è ormai ridotto in misero stato, non però da essere del tutto inservibile. E’ naturale che in tanti secoli d’incuria molte opere secondarie siano rovinate; tuttavia resta lo scheletro dell’arco, tutto a grandi massi rettangolari di un tufo grigiastro, frequente in quella località, sovrapposti solo e non legati con calce. Chi guarda il ponte con le spalle alla foce, vede a sinistra un corpo avanzato, una specie di terrapieno che in altri tempi doveva essere rivestito di un muro a grandi massi, ma che ora mostra la sua struttura interna “incerta”. Anche i parapetti sono crollati e sul piano stradale non si vede traccia di “crepidines” o marciapiedi laterali. Guardando ,poi,le fiancate appare evidente l’intenzione dei costruttori di restringere artificialmente, ridurre quanto più possibile la valle, per soverchiarla con un solo,arditissimo arco. Questo è all’incirca, alto 13 metri e largo il doppio,ma nell’antichità doveva librarsi ad una altezza vertiginosa, poiché è risaputo che tra i fiumi della Calabria il Savuto è uno dei più noti e temuti per piene e devastazioni: “E’ gonfio di verno e porta alberi all’impiedi “ scriveva il Padula n.d.c., quindi non v’è dubbio – conclude l’architetto Galli – che in più di duemila anni il fiume abbia colmato una buona metà dell’altezza primitiva. Infatti non si vedono i pilastri su cui poggia la volta perché sono sotterrati nella ghiaia e come si può notare oggi, il fiume scorre a livello della corda dell’arco”.

    La leggenda

    Secondo la tradizione sul ponte il santo sconfisse il diavolo il quale, per rabbia, tirò un calcio alla spalla destra del ponte, provocandone la grossa lesione che dopo un restauro ora è del tutto scomparsa. Sicuramente possiamo dire questo e cioè che il ponte faceva parte dell’antica via romana che venne costruita a partire da Reggio a Capua per poi congiungersi con le altre arterie che portavano a Roma, ed è l’unica opera ancora agibile nel Bruzio. Altra cosa certa è l’età dell’opera che fu costruita così come tutta la via Popilia, nel periodo della riforma agraria dei Gracchi ( 131 – 121 a . C ). Fu una via che servì da riferimento e limite della riforma agraria promossa da Tiberio Gracco che limitava a 500 iugeri ( 1 iugero = mq 2523, 34 ), circa 379 tomolate ( ha 126.33 ), la proprietà dei ricchi distribuendo 30 iugeri, circa 23 tomolate ( ha 7.66 ), agli agricoltori poveri. Per questo eccesso di riformismo sociale, Tiberio fu ucciso nel Campidoglio, ma la sua opera continuò e fu portata a termine dal fratello Caio nel 121 a . C .Il tracciato, in linea di massima, della strada a partire da Reggio costeggiava il Tirreno, toccava Vibo Valentia, la piana di S. Eufemia, risaliva la valle del Savuto, attraversava il ponte sul fiume e saliva ai Campi di Malito, s’infilava attraverso lo stretto corridoio del torrente Iassa, sboccava al Busento all’altezza del vecchio quartiere di Portapiana di Cosenza e dopo questa città seguiva la sponda sinistra del Crati sino a Tarsia, quindi Morano, il Vallo di Diano, tagliava Salerno e Nocera e a Capua si congiungeva all’Appia per Roma.

    La struttura del ponte

    Le fondazioni del ponte, si trovano ad una profondità di circa ml 1,50 dal piano attuale del greto del fiume. L’ipotesi dell’interramento di una parte del ponte è da scartare perché il fiume nel tempo, ha continuato sempre a scavare non poteva, poi interrare senza opere d’ imbrigliamento o di sbarramento che non furono mai costruite prima delle fondazioni del ponte romano, che sono costituite da una platea di due ordini di blocchi squadrati e sovrapposti per una larghezza di ml 5 circa ed una lunghezza pari a quella del ponte compresa la rampa di salita lato destro , ed uno spessore di ml 1, 40 – 1, 50. Così i mensores romani, intesero creare anche una briglia antierosione, a protezione del ponte, a gradoni a scendere verso il centro. La volta è costituita da due archi concentrici a tutto sesto di blocchi squadrati di tufo a secco e sfalsati, rispettivamente di cm 70 e 45. Il secondo arco è in tufo per le parti prospettiche ed in pietrame e pozzolana all’interno, a copertura del primo arco portante. L’arco portante è impostato direttamente sulla platea di fondazione senza pile d’appoggio e il contro – arco ha la funzione di rinforzo e di contrappeso al primo. La larghezza dell’arco è di ml 3, 55 mentre la lunghezza all’intradosso è di ml 21, 50 circa, l’ altezza massima è di ml 10, 70 rispetto al piano del fiume. I mensores romani, convinti dell’importanza del ponte, lo costruirono in modo da sfidare il tempo e le intemperie; lo costruirono a secco. Evidentemente sapevano già d’allora che assemblando tra loro materiali diversi, non davano sicurezza nel tempo perché hanno una diversa dilatazione, per cui la calce dei giunti si sarebbe erosa con la conseguente caduta dei blocchi di tufo. Invece, con il passare del tempo i giunti si sono suturati con il calcare scioltosi nelle stesse pietre, tanto da formare un unico blocco. Proprio attraverso l’analisi di questo calcare, fu possibile stabilire l’età del ponte. Il responso è che il nostro ponte ha oltre duemila anni.


    Edited by Kelly C. - 30/8/2013, 10:07
     
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    Ponte di Alarico
    [Città di Cosenza]

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    - Fonte -

    Anche la nobile Cosenza custodisce una leggenda, legata al passaggio dei Goti nel remoto 410. Parla di un re-condottiero, Alarico, realmente esistito e morto di malaria alle porte della città, e del suo inestimabile tesoro di cui si favoleggia da secoli e che mai nessuno è riuscito a trovare. L'uno e l'altro sarebbero sepolti nel letto del Busento, fatto deviare dai barbari per non lasciare la tomba del loro re in balia delle orde di miserabili assetati di vendetta che seguivano l'esercito a distanza. A ricordo dell'episodio, a metà tra storia e leggenda, resta il ponte di Alarico, tutto in ferro, sospeso sul fiume tra le chiese di San Domenico e di San Francesco da Paola, nel punto esatto, si dice, in cui giacerebbe il tesoro, ma finora ogni ricerca è stata inutile. Qui il poeta tedesco August von Platen immagina che i Goti piangano "il gran morto di lor gente", affranti dal dolore e ossessionati dall'idea che la tomba del re possa essere profanata. Il carme s’intitola “La tomba nel Busento” e – nella bella traduzione in italiano che ne fece il nostro Carducci – così recita:

    Cupi a notte canti suonano
    Da Cosenza su 'l Busento,
    Cupo il fiume gli rimormora
    Dal suo gorgo sonnolento.
    Su e giù pe 'l fiume passano
    E ripassano ombre lente:
    Alarico i Goti piangono,
    Il gran morto di lor gente.



    Edited by Kelly C. - 30/8/2013, 10:07
     
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